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Isolato V1: vico S.Eulalia/Barcellona/Gesus/contrada S.Eulalia

(via Sicilia, via Barcellona, via Cavour, via Sant’Eulalia)

numeri catastali da 2912 a 2920

le modifiche più evidenti riguardano le case 2912 e 2916, sul lato della via Barcellona, ricostruite su una linea arretrata rispetto alle vecchie case, e le case 2913, 2914 e 2915, ricostruite probabilmente a seguito delle distruzioni belliche.

 

2912

Era la casa del “poticario” (speziale, farmacista) Antonio Paolo Soddu; con atto notarile del 01.10.1792 il Soddu la vendette a suo genero Joseph Manca Solinas per 2350 scudi; era una casa “ensostrada” quindi con piani alti sopra il terreno, composta da 2 sottani e 2 piani alti, nella strada di Barcellona; sull’altro lato della strada Barcellona c’era la casa del negoziante Antonio Busu (2921); di spalle confinava con una casa del fu don Francesco Giraldi (2913), di lato con casa degli eredi di Juan Xaccaluga (2916), e dall’altro lato, “callejon por medio” (cioè sull’altro lato del vicolo) con casa che possedeva il nobile don Francesco Maria Viale (2958).

Il Soddu e sua moglie Maria Antonia Demartis l’avevano comprata per 900 scudi, il 14.02.1760, dai sindaci del quartiere della Marina; la stessa casa era stata venduta (in enfiteusi) il 16.09.1693 dai sindaci al mastro Juan Carta con una pensione annua di 60 lire, poi passò agli eredi Carta (cioè Juan Carta minore novizio del convento di San Giovanni, Teresa, Estevan e Luxorio Carta), ma le pensione furono pagate solo fino al 1728, per cui nel 1735 la casa tornò ai sindaci della Marina. Era gravata da un censo la cui pensione si pagava alla Causa Pia istituita in Sant’Eulalia (e amministrata dai sindaci della Marina) dal fu cavalier Antiogo Roquetta, “para casar donzellas dela Marina”.

Il 07.10.1797 i coniugi Joseph Manca Solinas e Ignacia Soddu ottennero un prestito di 150 scudi dal negoziante di Desulo Juan Luguri e ipotecarono la casa, impegnandosi a pagare interessi annui al 6%,.

Con atto del 25.11.1797 Joseph Manca Solinas vincolò la casa per il capitale di 1318 scudi, 3 soldi e 6 denari, per la dote della moglie Ignazia Soddu; nel 1785, al tempo del loro matrimonio, lo speziale Pablo Soddu, padre di Ignazia, aveva costituito in dote per la figlia il capitale di scudi 1000, consistente in una vigna grande e due chiusi in Pauly Pirry; detti terreni furono stimati successivamente per 1229 scudi e furono venduti dai coniugi Manca Solinas e Soddu nel 1795 per 1350 scudi; dopo due anni da questa vendita il Manca ricostituì pertanto la dote della moglie sulla casa di proprietà.

Con atto del 14.12.1798 Joseph Manca Solinas vendette la casa 2912 allo speziale Francesco Matzuzi per 2480 scudi; i confini già specificati nel 1792 vennero confermati nel nuovo atto, con l’unica eccezione che la casa degli eredi Sciaccaluga nel frattempo era stata venduta al negoziante Paolo Moreschi (casa 2916).

In data 22.12.1798 (8 giorni dopo la vendita a Matzuzi) ebbe inizio una causa civile fra Ignazia Soddu e il marito Giuseppe Manca Solinas: Ignazia Soddu, attraverso il suo procuratore Carlo Franquino, riferì che il marito, dopo averla indotta a vendere le vigne e i chiusi che erano la sua dote, aveva venduto anche la casa nella contrada di Barcellona sopra la quale le aveva assegnato la dote solo un anno prima.

Nel frattempo che le vicende giudiziarie procedevano, la casa restò di proprietà del Mazzuzzi; egli il 18.09.1799 entrò in lite con lo speziale Vincenzo Murru per il fitto della spezieria e della casa che il Murru aveva avuto in affitto dal precedente proprietario Manca Solinas.

Nella causa fra Ignazia Soddu e il marito furono emesse delle sentenze a favore della Soddu in data 13.08.1799 e 26.04.1800, per cui la casa, il 19.02.1801, fu venduta all’asta ed assegnata per 2800 scudi al notaio Thomas Massa, nativo di Tortolì e domiciliato in Cagliari.

Sulla casa gravava sempre il censo di 150 scudi, con 9 scudi di pensione annua al 6% che venivano pagati al negoziante di Desulo Juan Lugury; in data 08.06.1801 il Luguri cedette il censo, la cui pensione veniva ormai pagata dal notaio Massa, al negoziante Francesco Usala.

In data 14.12.1811 il notaio Thomas Massa citò in giudizio il negoziante Francesco Ravenna, proprietario in quell’anno delle case 2913 e 2916/A, per una canna fumaria della casa Massa che il Ravenna aveva ostruito.

In data 11.01.1813 venne pubblicato il testamento di Marianna Selis, nativa di San Vito, moglie del notaio Tommaso Massa; il testamento era stato scritto dal notaio Francesco Sirigu nella casa di abitazione e di proprietà dei coniugi Massa Selis, nella strada di Barcellona; il marito venne nominato curatore testamentario; dal testamento si apprende che i coniugi avevano avuto tre figli già defunti, Antonio, Efisia e Rosa, quest’ultima coniugata col notaio Giuseppe Frongia di Villa Puzzu; alla figlia di Rosa, Marianna Frongia Massa, furono lasciate le terre aratorie che la defunta possedeva nel Sarrabus; erede universale di Marianna Selis era però l’altro figlio Giuseppe Ignazio Massa Selis, che divenne quindi proprietario della metà della casa, mentre suo padre Tommaso possedeva l’altra metà.

Dopo il 1850 la casa 2912 apparteneva al tipografo Antonio Timon (1808-1883), figlio di Carlo.

 

2913 e 2916/a (parte sulla strada Barcellona)

Queste due case vengono citate in quasi tutti i documenti che riguardano la casa precedente; nell’atto dell’ottobre 1792 con cui Antonio Paolo Soddu vendette la casa 2912, sono riportati i diversi proprietari che la casa confinante aveva avuto nei decenni precedenti: era appartenuta al fu Antonio Prohens y Lecca, poi a sua sorella Maria Antonia Prohens; quest’ultima la donò al notaio Francesco Mura; il curatore dell’eredità del notaio Mura la vendette al mercante genovese Juan Xaccaluga (defunto prima dell’aprile 1779), e infine nel 1792 la possedevano gli eredi Xaccaluga. Sempre in quell’atto del 1792 è scritto che la casa 2912 confinava di spalle con una casa che era del fu don Francesco Giraldy; la casa Prohens/Mura/Sciaccaluga si può identificare con l’unità 2916, limitatamente alla parte sulla strada di Barcellona, la casa Giraldi con l’unità 2913.

Nell’inventario datato 16.12.1796 dei beni del negoziante Juan Bauptista Martin, proprietario della casa 2917, si legge che di fianco a quest’ultima c’era la casa di Joseph Sciaccaluga (1742-1797), figlio di Juan.

Nell’atto del 7 ottobre 1797 con cui venne ipotecata la casa 2912, non si fa più menzione della proprietà degli eredi di don Francesco Gilardi, ma si cita solo la proprietà di Joseph Sciaccaluga, sia di lato sia posterioremente alla casa 2912; non è nota la data del passaggio di proprietà dagli eredi Gilardi a Giuseppe Sciaccaluga.

Il 01.02.1798 si compilò l’inventario dei beni del fu Joseph Sciaccaluga, morto il 15.10.1797 celibe e senza testamento; fra gli immobili è compresa una casa alta nella strada di Barcellona che aveva una facciata anche sul “callejon”, cioè sul vicolo, che portava alla chiesa di Sant’Eulalia; Sciaccaluga l’aveva però ceduta in enfiteusi vitalizia a Paolo Moreschi per 2600 scudi e canone annuo di 130 scudi.

Con atto del 29.08.1798 le eredi Sciaccaluga rinnovarono un censo di lire 1000 al 5%, che il fu Joseph Sciaccaluga aveva costituito in favore di Maria Francesca Zapatta; venne ipotecata la casa di contrada Barcellona di 2 piani, che aveva l’entrata nel vicolo che dalla contrada di Barcellona va alla chiesa di Sant’Eulalia (attuale via Sicilia), e confinava con casa dell’azienda ex gesuitica mediante la strada di Barcellona (2922), con case del Monastero di S.Caterina da Siena (2915?) e dell’Oratorio della Vergine d’Itria (2914), con casa che era (in precedenza) del fu speziale Antonio Paolo Soddu (2912), con casa posseduta dagli eredi di Gio Batta Martini (2917), e con casa che era del fu conte Musu e poi degli eredi del fu Don Francesco Maria Viale, mediante il vicolo (2958). Detta casa (2913 e 2916/a) era stata ceduta a Giuseppe Sciaccaluga da suo fratello Giovanni (1748-1797) con atto del 03.07.1782, e proveniva dall’eredità del padre Giovanni Sciaccaluga (omonimo di uno dei figli), secondo le divisioni e permute del 26.04.1779 e 25.10.1779.

C’è una apparente contraddizione fra gli ultimi 2 atti, visto che all’inizio del 1798 la casa era stata ceduta in enfiteusi a Paolo Moreschi; però le eredi Sciaccaluga potevano ancora definirsi proprietarie, l’enfiteusi era solo un affitto a lungo termine, a volte perpetuo.

Anche nell’atto del 19.02.1801, con cui la casa 2912 venne assegnata al notaio Massa, è scritto che detta casa confinava di spalle e di lato con casa che era stata del defunto Joseph Sciaccaluga e poi del negoziante Paolo Moreschi.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni del 27.03.1804 le sorelle Anna e Giuseppa Sciaccaluga, e la loro nipote Paola Sciaccaluga, figlia del loro defunto fratello Giovanni, proprietarie della casa che era stata del defunto loro fratello e zio Giuseppe, la vendettero al negoziante Francesco Ravenna per lire 7025, soldi 10 e denari 2.

Anna era vedova del negoziante Francesco Antonio Denegri, Giuseppa era vedova dell’avvocato Genuardo Busu, Paola era invece assistita da suo marito negoziante e bottegaio Giuseppe Campi; la casa aveva l’ingresso nella “stretta chiamata del Conte Musu che dalla contrada Barcellona sta in prospettiva alla chiesa di S.Eulalia” (cioè quella parte della via Sicilia fra le strade di Barcellona e Sant’Eulalia [1]); aveva una facciata anche sulla strada Barcellona ed era composta “da una bottega con un piccolo magazzeno, due piani alti, ed un mezzo piano”; il prezzo di vendita superava di oltre 218 lire quello stabilito dai mastro Francesco Spetto e Luigi Palmas, rispettivamente falegname e muratore; vi erano caricate a censo lire 4250 di proprietà del Monastero della Purissima e lire 1000 di proprietà della marchesa d’Albis Zapata; inoltre era stata ceduta in enfiteusi dal 23.05.1793 al negoziante Paolo Moreschi, che la abitava, e che avrebbe continuato a versare il canone enfiteutico di scudi 135 annui al negoziante Ravenna.

Il passaggio di proprietà al Ravenna è confermato da atto notarile del maggio 1806, relativo alla casa 2921: questa aveva di fronte una casa che era appartenuta all’eredità Sciaccaluga, passata poi al Ravenna; ed è ancora confermato da un atto del 08.10.1807, relativo alla parte est dell’unità 2916, sulla strada di S.Eulalia, che confinava alle spalle con la casa Ravenna.

E’ probabile che Paolo Moreschi vi abitasse ancora almeno fino al 1808: in quell’anno ospitava nella sua casa della strada Barcellona 3 maioli: Nicolò De Pau di Lanusei, Francesco Bollacchi di Villacidro, Francesco Meloni di Siliqua.

Come già detto per la casa 2912, il 14.12.1811 il notaio Tomaso Massa citò in giudizio il negoziante Francesco Ravenna che aveva ostruito una canna fumaria della casa del Massa; la proprietà Ravenna della casa 2913 è inoltre confermata da un atto notarile del 31.05.1813, relativo alla casa 2914.

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 tutta l’unità 2916, cioè sia la parte sulla strada Barcellona, sia la parte sulla strada Sant’Eulalia, appartenevano a don Efisio Ciarella (1785-1855), figlio del conte Michele; la casa 2913 apparteneva invece al negoziante Lazzaro Ravenna (1796-1882), figlio di Francesco.

 


[1]  E’ l’unico atto, fra quelli consultati, che fa riferimento a questo tratto dell’attuale via Sicilia come “stretta del Conte Musu”: il conte Giacomo Musso (-1741) era stato proprietario della frontale e più importante casa 2958.

 

2914     

L’unità 2914 potrebbe identificarsi con una casa che era appartenuta al boticario Joseph Antonio Mazzuzi, a cui fanno riferimento due atti notarili, uno del dicembre 1798, l’altro del febbraio 1799 relativi entrambi all’unità 2908; i documenti riportano che quest’ultima confinava sul davanti, mediante la strada, con una casa che era stata in precedenza del Mazzuzi; in entrambi non è purtroppo riportato l’ultimo proprietario.

Nell’atto notarile del 29.08.1798 con cui le eredi Sciaccaluga rinnovarono l’ipoteca sulla casa 2913/2916 è scritto che detta casa confinava, fra le altre, con case del Monastero di Santa Caterina e dell’Oratorio della Vergine d’Itria; la proprietà dell’Oratorio grazie ad altri documenti è stata identificata con l’unità 2914; è meno sicura l’identificazione della proprietà del Monastero, non confermata da nessun’altra fonte (vedi 2915).

Nel suo donativo del 1799, l’Oratorio della Beata Vergine d’Itria dichiarò di possedere una casa di fronte alla chiesa di Sant’Eulalia, composta da due piccoli piani di una stanza ognuno affittati a Luigi Sechi e il piano terreno affittato a Caterina Durci, ognuno per lire 35 annue.

Con atto notarile del 31.05.1813, l’avvocato Michele Onnis e Francesco De Baille, rispettivamente Governatore e “Congiunto di Dritta” della Venerabile Confraternita dell’Oratorio della SS.ma Vergine d’Itria, cedettero in enfiteusi al notaio Giuseppe Isola una casa propria della Confraternita, situata nella contrada di Sant’Eulalia, composta da 2 piani alti e terreno; confinava davanti con casa della congregazione del SS.mo (2908), dietro con casa del negoziante Francesco Ravenna (2913), da un lato con casa di donna Speranza Paglietti (2915) e dall’altro lato con casa degli eredi di Francesco Viale (2958), attraverso la strada laterale; si stabilì il canone annuo di scudi 24 corrispondenti al fitto che se ne ricavava in precedenza; Giuseppe Isola promise di effettuare miglioramenti e di pagare ogni anno la rata per la contribuzione del donativo di Sua Maestà la Regina.

Dopo il 1850 questa casa risulta ancora appartenere in enfiteusi al segretario della Corte d’Appello Giuseppe Isola defunto ultra-ottantenne nel 1860.

 

2915     

Nel donativo del 1799 Speranza Tuveri coniugata Paglietti dichiarò di possedere una casa nella strada di Sant’Eulalia, di fronte alla scalinata della chiesa, composta da un pianterreno e due piani, in tutto 3 stanze affittata per scudi 20; proveniva dall’eredità di suo padre, lo speziale Michele Tuveri (-1798), come confermano la denuncia per il donativo del già defunto Michele Tuveri, del 20.06.1799, e quella non datata di don Saturnino Cadello, marchese di San Sperate: in entrambe le denunce si fa riferimento a un censo di scudi 1000, e pensione di lire 125, che Tuveri e i suoi eredi pagavano al Cadello, con ipoteca di alcuni immobili del Tuveri, fra cui una casa nella strada di Sant’Eulalia; da altri documenti la casa Tuveri è identificata on l’unità 2915: è citata in atto del 1807, relativo alla confinate casa 2916/b, e nell’atto del maggio 1813 relativo alla casa 2914; potrebbe identificarsi con la casa appartenuta in precedenza al Monastero di Santa Caterina, citata nell’atto del 1798 per la casa 2913, ma occorrerebbe sicuramente una conferma.

Nell’inventario dei beni di Speranza Tuveri, rintracciato in una causa civile del 1840, è compresa anche una casa composta da 2 piani e una bottega nella strada di Sant’Eulalia; su questa e su altre due proprietà Tuveri (casa 2606 nella strada Barcellona e casa 2897 nella strada Gesus) era caricato un censo di scudi 1000, cioè lire 2500, per il quale veniva ancora pagata la pensione annua di lire 125, al 5%.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 l’unità 2915 appartenesse a don Gavino Paglietti (1822-) figlio di don Raffaele, quest’ultimo figlio di donna Speranza Tuveri.

 

2916/A                 

Vedi unità 2913

 

2916/B                 

La si identifica con la casa che il mastro sapatero (calzolaio) Pasquale Pinna dichiarò nella sua denuncia per il donativo: era composta da piano terra con una stanza e due piani alti con due stanze ciascuno; il primo piano era affittato per 13 scudi annui; il Pinna dichiarò che la casa dove viveva sarebbe spettata, dopo la sua morte, al convento di San Mauro; la denuncia non è datata, ma risale probabilmente al 1799, ed è comunque precedente al dicembre 1804; lo si deduce da un atto notarile dell’08.10.1807 nel quale è riportata la storia della casa: si sa che in precedenza apparteneva a Giovanna Mula la quale, nel suo testamento del 1764, destinò la proprietà della casa al Convento dei padri Osservanti di San Mauro in Villanova, l’usufrutto a suo nipote calzolaio Pasquale Pinna; il Pinna nel dicembre 1804 acquistò dal convento anche la proprietà della casa, su cui rimase un carico di 200 scudi di proprietà del convento, al quale Pasquale Pinna doveva pagare 10 scudi annui; con l’atto del 1807 il Pinna, non potendo pagare dei debiti che aveva verso il convento, vendette la casa al notaio e segretario del Regio Patrimonio Giuseppe Cossu, per 450 scudi; i confini sono chiari: da una parte c’era la casa Tuveri (2915), dall’altra la casa Martini (2917), davanti la casa Alciator (2907), alle spalle la casa che era di Sciaccaluga e poi di Ravenna (2913 e/o 2916/a).

Da altri documenti si sa che i beni del notaio Giuseppe Cossu (- 1827), dopo la sua morte e quella di sua moglie Anna Conti, furono ereditati dai nipoti della moglie, figli del conte Michele Ciarella e di Antonia Conti.

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 tutta l’unità 2916, cioè sia la parte sulla strada Barcellona sia la parte sulla strada Sant’Eulalia, apparteneva a don Efisio Ciarella (1785-1855), figlio del conte Michele.

 

2917     

Era la casa Martini; aveva l’ingresso e la facciata principale nella strada Barcellona, una facciata secondaria sulla strada di Sant’Eulalia; nel gennaio 1794, in atto relativo alla casa Alciator (2907), è scritto che detta casa aveva davanti, sull’altro lato della strada di Sant’Eulalia, la casa del negoziante Juan Bauptista Martini; nato nella Marina nel 1719, era figlio di Ambrogio Martini di Alassio e di Polonia Cagnè Preve, anch’essa di famiglia ligure.

Il 16.12.1796 il notaio Pasquale Maria Cicalò si recò nell’abitazione del defunto negoziante Juan Bauptista Martin, nella strada di Barcellona, per compilarne l’inventario dei beni, su richiesta dei Guardiani dell’Arciconfraternita di Santa Lucia, curatori testamentari; il defunto era vedovo di Ignes Postillon, morta nel marzo del 1790, lasciava i seguenti figli: Emanuela coniugata con lo speziale Pietro Altea di Tempio, Ambrogio coniugato con Rosa Manca, Apolonia coniugata con Aniello Onorato di Ischia, separata dal marito già da alcuni anni.

Fra gli immobili dell’eredità vi era la casa grande nella strada Barcellona di 3 piani, con 2 piani nella strada di S.Eulalia, stimata in totale £ 8329 soldi 8 denari 4 dal mastro muratore Joseph Squirru e dal mastro falegname Antonio Ferdiani; confinava da un lato con la casa del negoziante Pasquale Gorlero (2919), dall’altro lato con casa di Joseph Sciaccaluga (2916/a), di fronte sulla strada Barcellona con casa degli eredi di don Franceschino Rapallo (2923), di spalle sulla strada di Sant’Eulalia con casa che era della congregazione del Santissimo e poi del dottore in arti e medicina Pedro Alciator (2907).

Non si hanno a disposizione il testamento e la divisione dei beni di Giovanni Battista Martini; da altri documenti si sa però che egli aveva istituito erede universale la sua anima, e aveva nominato curatori ed esecutori testamentari i guardiani dell’Arciconfraternita di Santa Lucia; vi erano con tutta probabilità dei cospicui legati per i figli, dato che, per evitare una lite giudiziaria, in data 12.08.1797 l’Arciconfraternita e gli eredi Martini trovarono un accordo, e le proprietà immobiliari restarono ai figli.

Tre atti notarili del 1798, del 1799 e del 1807, relativi rispettivamente alla casa Sciaccaluga (2916/a), alla casa Rapallo (2923) e alla casa Pinna (2916/b), confermano la proprietà Martini della casa 2917, senza aggiungere altre notizie.

Fino al 1801 era l’abitazione della famiglia Altea Martini, e nel mese di gennaio 1801 vi morì lo speziale Pietro Altea, marito di Emanuela Martini, lasciando i figli Antonio, Fedele, ed Efisia Altea Martini, il primo quindicenne.

Con atto del notaio Gioachino Mariano Moreno del 11.07.1804 venne eseguito l’estimo dell’intero immobile; era necessario per chiudere un accordo fra Ambrogio ed Emanuela Martini, per la divisione delle eredità paterna e materna, a cui si era aggiunta la quota che sarebbe spettata alla sorella Apollonia, defunta il 13.01.1801 senza discendenza. Si occuparono della perizia il falegname mastro Antonio Ferdiani e il muratore mastro Francesco Porcu.

La valutazione complessiva fu di lire 10609, soldi 19 e denari 5, e la casa fu divisa fra fratello e sorella in questo modo: ad Ambrogio fu assegnata la parte più a sud dell’ala sulla strada Barcellona, composta da 3 piani alti e una bottega, e un magazzino che si apriva sulla strada di Sant’Eulalia; questa parte fu valutata in lire 5645, soldi 9 e denari 1; ad Emanuela fu assegnata la parte nord dell’ala sulla strada di Barcellona, 3 piani alti ben più piccoli di quelli assegnati ad Ambrogio, in quanto le scale, al centro della casa, erano spostate nella parte nord; le fu assegnata anche una bottega sulla strada Barcellona, utilizzata come spezieria: fino al 1801 dal marito di Emanuela, Pietro Altea e forse anni dopo dal figlio Antonio (solo quindicenne alla morte del padre); per bilanciare meglio le quote, furono assegnati ad Emanuela anche due piani che si affacciavano sulla strada Sant’Eulalia, al di sopra del magazzino assegnato ad Ambrogio; la parte di Emanuela fu valutata complessivamente lire 4964, soldi 10 denari 4; nel computo non entrarono le parti in comune: il vano scale dall’entrata fino alla lanterna sul tetto, il pozzo e il “comodo”; non è specificato da dove fossero accessibili gli ultimi due; probabilmente entrambi dal vano scale. 

Nella casa della via Barcellona, proprietà di Emanuela Martini, visse non si sa per quanto tempo, e forse vi morì, don Francisco Xavier Zapata nativo “de la Isla de la Vana en America” (sic); figlio di don Ignazio Zapata, coniugato con donna Joachina Gasco y Puello, fece testamento col notaio Lucifero Cabony il 26.07.1804, mentre era alloggiato in questa casa; nominò la moglie curatrice e tutrice del figlio “pupillo” don Ignacio Clemente Lorenco Zapata y Gasco y Puello; fra i testimoni vi erano il dottore “en artes y medicina” Sebastiano Perra, il “poticarioAntonio Altea (figlio di Emanuela Martini), e Giuseppe Martini Vice Console di Sua Maestà Cattolica.

Con atto notarile del 26.05.1811, vennero firmati i “capitoli matrimoniali” di Agnesa Martini e del suo futuro sposo Angelo Puddu; Agnesa era figlia di Ambrogio (di Giovanni Battista) e delle defunta Rosa Manca; Ambrogio concesse in dote alla figlia i diritti sulla casa che possedeva nella contrada di Santa Rosalia, e le assegnò la metà della casa (2917) posta fra le strade di Barcellona e Sant’Eulalia, la cui altra metà apparteneva a sua sorella Emanuela.

In quel periodo un locale al piano terra della casa di Emanuela Martini, nella strada Barcellona, era affittato al negoziante di Ginevra Antonio Melly, ed era gestito dal cagliaritano Antonio Urbano; era una bottega di merci varie, che il 16.01.1812 venne interamente ceduta dal Mellì all’Urbano.

Emanuela Martini scrisse il suo testamento il 14.11.1811, morì fra il 1815 e il 1816: il curatore della sua eredità era il secondo marito, dottor Pietro Fenu, gli eredi erano i figli Antonio, Fedele, ed Efisia Altea; al marito lasciò l’usufrutto della casa di abitazione nella strada di Santa Rosalia, mentre alla figlia Efisia lasciò un piccolo appartamento di un piano nella casa 2917 in contrada S. Eulalia, dove abitava in affitto Giovanna Zambella.

In una causa civile del 1819 si fa riferimento alla situazione ereditaria, case e debiti, di Fedele, Antonio ed Efisia Altea, e viene ricordata la casa in contrada Barcellona, già venduta al negoziante Giomaria Tedde. 

Fra i dati del catasto successivo al 1850 la casa 2917 risulta appartenere a Giovanni Tedde; non si hanno notizie certe su questa famiglia; Giovanni potrebbe forse identificarsi con un negoziante coniugato con Teresa Piga, dalla quale nacquero Francesca (1815?-1909) e Carlo (1819?-1893).

 

 

2918 e 2919       

L’unità catastale 2919 negli ultimi decenni del XVIII secolo era divisa in 3 case diverse: la prima era quella con facciata sulla strada Barcellona, la seconda era la parte nord con facciata sulla strada di Sant’Eulalia, la terza era la parte all’angolo fra la strada di Sant’Eulalia e la strada Gesus; la casa 2918 nel corso degli anni, ha condiviso gli stessi proprietari con le parti prima e seconda della casa 2919, per cui si è preferito considerare insieme le due unità catastali.

Con atto notarile del 10.05.1768, rintracciato fra le carte del “Archivio Ballero” (ASC), venne venduta la casa 2920 al piemontese Joseph Racca; aveva la facciata principale sulla strada di Barcellona e aveva alle spalle la casa del notaio Juan Pichi che prima era del fu Francisco Sillai Vitta (unità 2919/c all’angolo fra le strade S.Eulalia e Gesus); di lato aveva una casa dei Padri della compagnia di Gesù, strada di Gesus in mezzo (2622), dall’altro lato aveva la casa di Joseph Antonio Mazuci boticario, casa che prima era del nobile don Antiogo Ruxoto e prima ancora del fu Joseph Bonetto (unità 2919/a, sulla strada Barcellona).

Queste attribuzioni sono confermate da un documento del 1782 inserito in una causa civile del 1800: la causa riguarda la proprietà 2923 del negoziante Lorenzo Laxè Artemalle, casa che apparteneva fino al 30.06.1769 della Comunità dei Padri Domenicani, e che confinava davanti con casa del chirurgo Giuseppe Racca (2920), e con casa del boticario Giuseppe Antonio Mazzuzzi (2919/a), mediante la strada di Barcellona.

Nel giugno del 1793 morì nella sua abitazione, nella strada S.Domenico in Villanova, il notaio Gio Francesco Pichi, istituendo erede universale la sua anima e quella della fu sua consorte, la dama Maria Giuseppa Pirella (-1742); i curatori dell’eredità ed esecutori testamentari erano il reverendo Gio Bartolomeo Solanas e il notaio Francesco Maria Medda Pani; fra i suoi beni è compresa la casa della strada S.Eulalia (2919/c), descritta come segue: “una casa grande di 2 piani e piano terreno nella Marina e contrada della porta maggiore di Sant’Eulalia, che fa cantonata con la contrada di Gesus verso cui tiene l’entrata ai piani superiori, e confina con la casa dell’eredità del fu cavaliere Bardilio Durante (2623), detta strada frammezzo, per dietro a casa posseduta dal chirurgo monsieur Racca che dà alla contrada di Barcellona (2920), e per la suddetta contrada di S.Eulalia confina di fronte con casa del Gremio di Sant’Elmo (2906), ed a un lato a casa del parrucchiere Ignazio Cillonis (unità 2919/b, sulla strada S.Eulalia); la qual casa è valutata lire 3659”. Fra gli abiti del notaio Picci vengono inventariati anche 2 vestiti da Giurato della città, descritti minuziosamente, in quanto il defunto copriva tale incarico al momento della morte, e una spada d’argento.

Il Peluquero (parrucchiere) Ignacio Sellonis (o Cillonis), vendette la sua casa 2919/b per 825 scudi al negoziante Pasquale Gorlero con atto notarile del 24.12.1796; la casa si componeva di un “sòttano” e due (piani) alti con un piccolo mezzo solaio nell’ultimo piano che serviva da cucina, con cisterna e pozzo; si trovava nella strada della Porta maggiore di S.Eulalia, e confinava di lato (2918) e di spalle (2919/a) con casa che era in precedenza del fu poticario Joseph Antonio Mazzuzi e poi dello stesso compratore Gorlero; dall’altro lato confinava con casa dell’eredità del defunto notaio Juan Francesco Pichi (2919/c), e davanti con casa del Gremio dei Marinai di San Elmo (2906); era la stessa casa che il Sellonis aveva ereditato dai suoi genitori Antonio Joseph Sellonis e Juanna Maria Sacheddu (testamento di quest’ultima del 18.01.1787 a rogito del notaio Nicola Murroni) che l’avevano acquistata durante il matrimonio: il “sòttano” e l’ultimo piano erano del fu sarto Ignazio Melis, da cui i coniugi Sellonis comprarono con atto del 04.06.1767 per 255 scudi (con 200 scudi a censo in potere del Canonico don Manuel Carnicer), e l’altra parte di casa, cioè il primo piano, la comprarono dai padri Mercedari di Bonaria con atto del 04.11.1769.

Riassumendo: la casa 2918 e la casa 2919/a erano almeno fino al 1782 dello speziale Giuseppe Antonio Mazzuzzi, ma nel 1796 erano già di Pasquale Gorlero; quest’ultimo nel 1796 acquistò anche la casa 2919/b dal parrucchiere Sellonis, che l’aveva ereditata; la casa 2919/c era del notaio Picci (o Pichi) e prima di lui era di Francesco Sillai Vitta, e dopo la morte del notaio Picci fu amministrata dai curatori della sua eredità.

L’inventario dei beni del defunto Juan Bauptista  Martin, proprietario della casa 2917, iniziato il 16.12.1796, ci conferma che la casa 2919/a e la casa 2918 appartenevano a Pasquale Gorlero.

Queste case non passarono di proprietà direttamente da Giuseppe Antonio Mazzuzzi a Pasquale Gorlero: in un atto notarile del 10.05.1799 si fa riferimento al fatto che l’avvocato Pasquale Sanna Mameli, in data 10.12.1794, aveva ricevuto la qualifica di capo dei creditori di Michele Gianone, e nel 1799 aveva potuto pagare alcuni creditori con quanto proveniva dall’esazione della casa grande situata fra la strada di Barcellona e la strada di S.Eulalia, ceduta da Gianone ai creditori e venduta dal Sanna Mameli al negoziante Pasquale Gorlero: quest’ultimo nel 1799 aveva probabilmente pagato una rata o saldato il suo debito per l’acquisto della casa.

Che si trattasse esattamente della stessa casa lo dimostra un altro atto notarile del 12.08.1799, relativo alla casa 2923 (parte alta); quest’ultima attraverso la strada di Barcellona confinava con casa Martini (2917), e con casa del negoziante Pasquale Corlero, che prima apparteneva al fu Gio Batta Gianone, padre di Michele.

In data 19.02.1790 il notaio Nicolò Murroni pubblicò il testamento del defunto piemontese Juan Batta Gianone, i cui curatori testamentari erano la moglie Francisca Spanu (o Spaner) e il figlio Miguel Gianone; gli eredi erano la moglie e 5 figli: le nubili Rita e Annica, Antonia coniugata con Andrea Oddone, Juanica coniugata con Effis Azzory, e il figlio Miguel che avrebbe avuto in eredità la bottega nella strada di Barcellona; il testamento era stato scritto e consegnato al notaio nella casa di abitazione del Gianone nella strada di Barcellona e S.Eulalia.

Il negoziante Pasquale Gorlero presentò il suo donativo (senza data, ma è presumibile che sia del 1799): possedeva una casa fra le strada di Barcellona e di Sant’Eulalia; i primi 2 piani si affacciavano in entrambe le strade, mentre il terzo piano aveva un piccolo terrazzo, e la facciata era sulla strada Barcellona; poi vi era una bottega (sulla strada di Barcellona?) e un piccolo magazzino sulla strada di Sant’Eulalia; questa casa era abitata dalla famiglia del denunciante; inoltre Gorlero possedeva un’altra casa vicina alla precedente, di 2 piani: il primo piano era affittato ad Antonio Feragut, il secondo a Gio Batta Marchinetti, mentre il piano terra era utilizzato dal proprietario; la proprietà dichiarata da Pasquale Gorlero è identificabile con la parte I e la parte II (a e b) dell’unità 2919 e con la casa 2918, provenienti dai Gianone e da Sellonis, senza poter dire con certezza se la casa affittata possa corrispondere all’unità 2918 o all’unità 2919/b.

Con atto del notaio Gioachino Carro del 25.06.1808 il cavalier Giuseppe Rapallo ricevette dal negoziante Pasquale Gorlero la somma di 1020 scudi, 8 reali e 10 cagliaresi, a pagamento parziale di un censo (e alcuni arretrati sulle pensioni annue) di cui si era caricato il negoziante Gio Batta Gianone il 29.12.1786, con ipoteca sulla casa di contrada Barcellona, posseduta in quel momento da Gorlero; nell’atto è specificato che in data 23.11.1786 l’immobile era stato assegnata da una delibera della Reale Udienza al causidico Gio Andrea Frau, e questi l’aveva ceduta a Gianone il 15.12.1786; non è riportato chi fosse il proprietario precedente, al quale la casa era stata sequestrata, ma è più che probabile che fosse l’ormai defunto Joseph Antonio Mazzuzi; nel corso del mese di settembre il Gorlero versò al cavalier Rapallo altri 700 scudi, oltre a 23 scudi e spiccioli per alcuni mesi di pensione scaduta; con atto del 27.01.1809 il censo fu totalmente pagato con 840 scudi che Gorlero pagò a Rapallo.

In data 04.08.1807 il reverendo Bartolomeo Solanas presentò il donativo per conto dell’eredità dello zio, il fu notaio Gio Francesco Picci, e denunciò la casa (2919/c) della Marina sulla strada Gesus, all’angolo con la strada di Sant’Eulalia, confinante dalla parte di quest’ultima strada con le case Gorlero (2919/b) e con casa di Francesco Marturano (2906), e dalla parte della strada Gesus con casa di Ursula Racca (2920) e con casa di donna Maria Anna Durante, strada Gesus mediante (2623); la casa era affittata per scudi 80, si pagava una pensione di scudi 35 alle monache di Santa Caterina da Siena; era composta da 3 camere al piano terreno e 4 camere in ciascuno dei 2 piani superiori. Il reverendo Solanas era privo di vista per cui fece sottoscrivere la denuncia da due testi, i notai Baldirio Usai ed Efisio Luigi Usai Cossu.

In atto notarile del 25.04.1808, relativo alla casa Racca 2920, questa confinava per le spalle con casa del reverendo Solanas, beneficiato della parrocchia di S.Giacomo.

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 24.08.1810 venne eliminato un censo di proprietà di lire 100 caricato sulla casa: era stato acceso da Francesco Sillai Vita nel 1680, e si pagavano ancora 6 lire di pensione annua alla Comunità Mercedaria; il reverendo Pasquale Maria Prende (?), nuovo amministratore dell’eredità Picci, consegno ai padri Mercedari 112 lire e 10 soldi, cioè capitale e pensioni scadute.

Non si conosce la data di morte del reverendo Solanas; in due atti notarili del dicembre 1810, relativi alla vicina casa 2623, la casa 2919 sulla strada Gesus è detta proprietà della Comunita di San Giacomo; quest’ultima potrebbe aver continuato l’amministrazione dell’eredità Picci dopo la morte del sacerdote o dopo il suo ritiro, data la sua età e infermità.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2918 e tutta la casa 2919, compresa la casa Picci, risultano di proprietà del regio impiegato Nicolò Gorlero nato nel 1813, figlio di Pasquale e della sua terza moglie Giuseppa Lucca, sposati nel 1807.

 

2920     

Con atto notarile del 10.05.1768, rintracciato fra le carte del “Archivio Ballero” (ASC), si ratificò la cessione in pubblica asta della casa del fu mercante genovese Lazzaro Linaro al chirurgo maggiore dei dragoni Joseph Racca, di nazione piemontese (casa 2920); era una casa nella strada di Barcellona, che nell’atto ha questi confini: davanti con casa che era del defunto dottore e giudice don Joseph Buso, e oggi dei padri Domenicani, calle di Barcellona in mezzo (casa 2923, parte bassa); di spalle con casa del notaio Juan Pichi che prima era del fu Francisco Sillai Vitta (2919, parte III); di lato con casa dei Padri della compagnia di Gesù e prima era del fu Pedro Juan Sequi, strada di Gesus in mezzo (2622); dall’altro lato con casa di Joseph Antonio Mazuci boticario, che prima era del nobile don Antiogo Ruxoto e prima ancora del fu Joseph Bonetto (2919 parte I); un documento del 1782 relativo alla casa Arthemalle (unità 2923, parte alta), detta casa confinava davanti, sulla strada Barcellona, con casa che era del defunto Lazaro Linaro e poi del chirurgo Giuseppe Racca (2920), e a casa del boticario Giuseppe Antonio Mazzuzzi (2919 parte I).

Ulteriori conferme si hanno da altri 3 atti del 1790, 1792 e 1793, relativi il primo alla casa 2622, che aveva appunto davanti, dalla parte della strada Gesus, la casa del Racca, il secondo alla casa Arthemalle 2923, che ugualmente aveva davanti la casa Racca, attraverso la strada Barcellona, il terzo alla casa Picci (2919 parte III) che aveva il fronte verso la strada Sant’Eulalia, e confinava sul retro con la casa Racca (2920).

Il 23 giugno 1799, Orsola Racca, erede di Giuseppe Racca, presentò il donativo dei suoi beni, e fra i suoi beni immobili dichiarò anche la casa della strada di Barcellona, composta da 20 stanze in tutto, e affittata a scudi 150. Ursula Racca non era in realtà la proprietaria ma l’usufruttuaria dei beni immobili lasciati dallo zio Giuseppe, fratello di suo padre Luigi: sulle case gravavano poi dei censi le cui pensioni erano godute dalle figlie di Ursula, cioè Caterina e Anna, coniugate rispettivamente con don Pietro Lostia e col cavaliere Giuseppe Massa.

In data 06.07.1799 il notaio Giuseppe Carro si recò in casa della signora Ursula Corda Racca per leggere il testamento del defunto Giuseppe Racca, scritto e consegnato al notaio il 30.12.1783 nella sua casa di abitazione nella strada di Barcellona. Il defunto, che era morto “da qualche tempo”, aveva nominato la nipote Orsola Racca erede universale dei beni mobili e usufruttuaria degli immobili; a Maria Caterina, Maria Anna, Francesco, Giuseppe, sorelle e fratelli Corda Racca, figli di Ursula, lasciò la proprietà in parti uguali di tutti gli immobili.

Nel 1809, in un atto relativo alla casa 2622, sita davanti alla casa 2920 sull’altro lato della strada Gesus, si cita la casa 2920 “del fu chirurgo Giuseppe Racca oggi posseduta dalla nipote vedova Orsola Corda Racca”.

Nell’atto del 28.10.1813 col quale Orsola Racca vendette la sua casa 2539/a, è riportato che la stessa Racca destinò 200 scudi provenienti da quella vendita per il restauro di alcune sue proprietà, fra cui la casa grande della strada Barcellona, il cui piano alto in quell’anno non era affittato, mentre in precedenza era stato affittato per 100 scudi al cavalier Viaris.

La proprietà Racca è ancora confermata da un atto del 1823, rintracciato nell’Archivio Ballero (ASC), anche questo relativo alla casa 2622; però in quella data Ursula Racca, vedova dell’avvocato Luigi Corda Floris, era già deceduta, ed era morta già dal 1802 la figlia Caterina Corda, moglie di don Pietro Lostia: questo risulta da una causa civile del 1822, lite fra Anna Maria Lostia, figlia di Caterina, coniugata con l’avvocato Salvatore Congiu, e suo padre don Pietro Lostia, a causa di alcuni beni ereditari, provenienti dai suoi nonni materni Corda Racca. 

Dopo il 1850 la casa 2920 apparteneva a Giovanna Sangiust, monaca della Purissima, che morì a 87 anni nel 1876, ed era figlia del conte Giuseppe Sanjust di San Lorenzo e di donna Chiara Vivaldi; non risultano parentele fra i Racca e i Sanjust, per cui è presumibile che la monaca abbia avuto modo di investire i suoi denari in un immobile che le garantisse una rendita.