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Isolato F, parte 2: case costruite sulle mura della strada delle Conce

(via Roma, a ovest di via Barcellona)

numeri catastali da 2230 a 2258

le case qui costruite furono abbattute negli ultimi decenni del XIX secolo insieme alle mura a cui erano attigue; le ipotesi di attribuzione dei loro proprietari sono basate su pochi documenti, rese difficoltose dalle loro piccole dimensioni, in particolare di quelle coi numeri compresi fra 2236 e 2249; erano per lo più adibite a conce, cioè botteghe di conceria, da cui deriva l’antico nome di questa parte dell’attuale via Roma.

E' compresa in questo gruppo anche la casa 2258, costruita di fianco alla Porta di Sant'Agostino. 

E’ di grande interesse la delibera comunale del 14 dicembre 1863 (messa a disposizione dal ricercatore Vincenzo Spiga) con la quale venne stabilito di allargare la via delle Conce mediante la demolizione della cortina muraria e delle casette che le erano addossate, dall’estremità ovest (casa 2267 addossata al Bastione di Sant’Agostino) fino alla casa di Emanuele Casapietra (2231) sulla Piazza del Molo, in concomitanza con altre demolizioni nella estremità orientale della strada San Francesco. Si veda la trascrizione della delibera nel capitolo “Varie – approfondimenti”.

 

2230 e 2231        vedi 2229

 

2232     

Era una piccola bottega, utilizzata dal fabbro mastro Antonio Costa; se ne ha notizia da un atto notarile del febbraio 1798 relativo alla casa Mandis 2634, sull’altro lato della piazza del Molo, all’inizio della strada delle Conce.

In data 10.09.1800 i guardiani dell’Arciconfraternita del Sepolcro concessero in enfiteusi al mastro fabbro Francesco Costa la casa che serviva da officina a suo padre mastro Antonio Costa; si trattava di una casa terrena nella piazza del Molo, sita di fronte alla casa del negoziante Salvatore Melis (2633); confinava da un lato con una casa del notaio Joseph Serra (2233), dall’altro lato con casa dei padri Mercedari (2231), di spalle con la muraglia; Francesco Costa avrebbe pagato all’Arciconfraternita 15 scudi annui.

Il mastro Francesco costa morì nel gennaio 1806; la sua vedova Caterina Tola sub-affittò la bottega, con tutta la sua attrezzatura, al fabbro Nicolò Castangia per una cifra davvero esosa: 50 scudi annui, anche se la somma comprendeva sia la locazione della bottega, sia l’utilizzo degli attrezzi; il contratto fu fatto per 3 anni, a partire dal febbraio 1806, ma non durò così a lungo: i guardiani della Arciconfraternita riuscirono forse a invalidare il contratto firmato col defunto Costa, e il 06.10.1807 concessero l’enfiteusi al conciatore Pasquale Boi e a suo nipote Nicolò Castangia, per 15 scudi annui e per la durata delle loro vite. 

A metà ‘800 la casa 2232 apparteneva ancora all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2233 e 2234       

Un atto del 1789, relativo alla casa Melis (2633), cita una bottega di proprietà dei coniugi notaio Giuseppe Serra Carta e Anna Maria Porcu, sita davanti alla casa Melis; la bottega del Serra è identificata con l’unità 2233; in un documento del Regio Demanio del 1795, fra le concessioni enfiteutiche, è riportata la richiesta dei coniugi Serra Porcu per avere un “piccolo sito vacuo nella strada coperta della cortina del Molo e di San Agostino”, contiguo a due botteghe che i coniugi già possedevano sulla muraglia del molo per una concessione di diversi anni prima; il “sito vacuo” aveva la dimensione di poco meno di 3 metri quadri, e sarebbe stato unito a una delle botteghe; queste si possono identificare con le unità 2233 e 2234.

L’atto notarile del 1800, con cui Francesco Costa ottenne in enfiteusi la bottega 2232, riporta l’informazione che al lato di quest’ultima c’era una bottega del notaio Giuseppe Serra.

Nel fascicolo di una causa civile del 1827 è riportato un atto notarile del 1822, relativo alla casa 2633, frontale all’unità catastale 2233: questa risultava appartenere a Francesco Arthemalle, e poi a una sua figlia della quale non viene specificato il nome di battesimo; l’Arthemalle l’aveva acquistata da Emanuele Serra Porcu, figlio dei coniugi notaio Giuseppe Serra Carta e Anna Porcu, con atto del 12.06.1821.

La proprietà Arthemalle potrebbe corrispondere a quella di cui riferisce una carta del Regio Demanio (concessioni enfiteutiche), datata 13.08.1840, nella quale risulta che Paola Arthemalle insieme a una sorella (Giovanna), possedesse alcune casupole nella strada delle Conce.

L’ipotesi che si propone è quindi che la proprietà dei coniugi Serra Porcu, poi Arthemalle, comprendesse sia l’unità 2233, sia l’unità 2234: infatti a metà ‘800, mentre la casa 2233 apparteneva al negoziante di Ischia Francesco Garzia (Ischia 1815-Cagliari 1883), la casa 2234 apparteneva a Giovanna Arthemalle, suora della Purissima.

Francesco Arthemalle era probabilmente l’ultimo figlio di Paolo Maurizio Arthemalle e di Maria Anna Pinna; nato nel 1777, si sposò una prima volta nel 1798 con Antonia Gueri; dalla seconda moglie Efisia Delrio nacque Paola nel 1802 e Giovanna nel 1805.

Per quel che riguarda il citato Francesco Garzia, egli abitava con la moglie Rita Carta ed una numerosa famiglia nella piazza della Fontana Nuova; a fine secolo XIX i suoi figli Emanuele e Giovanni Garzia Carta fecero costruire il palazzo Garzia nella via Roma, nell’isolato compreso fra le vie Napoli e Barcellona, esattamente di fronte alla bottega 2233.

 

2235     

E’ da identificare con la “concia” del “mestre adobadorLuis Porcu; una prima citazione si ha nel donativo dell’Azienda ex-gesuitica, del 03.11.1799, nel quale è scritto che l’Azienda incassava da mastro Luigi Porcu l’interesse per la concia, sita nella strada dei Conciatori.

Una seconda citazione, più dettagliata, si ha in atto notarile del 05.09.1800, relativo a una casa del defunto Joseph Ramon Manca, casa che si trovava “al primo ingresso della calle delle Conce, davanti a casa del m.o Joseph Giuita, detta calle mediante” e confinava da un lato con una casa degli eredi Scarpinati (eredi di Anna e Antonio), dall’altro lato con casa del mastro Luis Porcu, di spalle con le Reali Muraglie; la casa del Manca è identificata con l’unità numero 2236, di fronte appunto alla casa Giuitta 2266, la casa Scarpinati con l’unità 2237, la casa Porcu con l’unità 2235.

All’inizio del 1808 la proprietà è però da attribuire al conciatore Francesco Manca: infatti con atto notarile del 25 gennaio la casetta 2236 venne venduta allo stesso Francesco Manca che era già proprietario della confinante 2235.

Dopo il 1850, dai dati catastali, questa casa risulta appartenere in enfiteusi a Felice Thorel (1827-1918), e veniva utilizzata come stalla.

 

2236 e 2247

Il 23.04.1797 il mastro conciatore Joseph Ramon Manca, costretto a letto da “infermità corporale” nella sua casa di calle di Moras, dettò il suo testamento al notaio di Villanova Lucifero Caboni; chiese di essere sepolto in S.Rosalia, nominò curatore dei suoi beni il fratello mastro Antonio Diego Manca, pure lui conciatore; nominò eredi la madre vedova Josepha Machis, il fratello Antonio Diego Manca, e i figli dei defunti fratelli Miguel, Joseph e Agostina Manca; possedeva due case nella calle de las Adoberias (strada delle Conce), e voleva che la rendita che se ne ricavava si utilizzasse per celebrare in perpetuo delle messe, ad arbitrio del curatore; le case sono identificate con le unità catastali 2236 e 2247.

La casa 2247 era probabilmente la stessa che aveva avuto in concessione dal Demanio il mastro Antonio Fais, e dopo la sua morte (nel 1780) fu ereditata dalla nipote Giuseppa Satta; non si conosce la data del passaggio di proprietà al Manca.

In data 04.08.1800 Antonio Diego Manca, in qualità di curatore testamentario per il fratello Joseph Ramon, cedette al fabbro Francesco Costa una delle casucce della strada delle Conce, e in particolare gli vendette in enfiteusi, col canone annuo di 10 scudi, quella casa (2236) situata all’inizio della strada, venendo dalla piazza del Molo, davanti alla casa del bottaio mastro Joseph Giuitta (2266).

Il 5 settembre dello stesso anno Antonio Diego Manca, per rispettare la volontà del fratello defunto, cedette gratuitamente la proprietà delle due casette all’Arciconfraternita del Sepolcro, che avrebbe avuto i frutti provenienti dalle due case (dalla casa 2236, dal fabbro Costa, 10 scudi); con quanto incassato sarebbero state celebrate nella chiesa un certo numero di messe in suffragio dell’anima del fratello.

Il mastro “herrero” Francesco Costa morì nel gennaio 1806; lasciò la vedova Caterina Tola, figlia del mastro conciatore Anastasio, e i figli minori Efisio e Giuseppe Costa; con atto del notaio Giovanni Battista Azuni del 25.01.1808 la vedova Costa cedette al muratore Francesco Manca la piccola casa 2236 all’ingresso della strada delle Conce detta is Tobarias (cioè de is Adobarias); era stata accordata in enfiteusi perpetua al fu suo marito dal conciatore Antonio Didaco Manca, curatore testamentario del di lui fratello Giuseppe Raimondo Manca; il prezzo pattuito fu di 68 scudi, di cui 60 erano già stati spesi dal Manca in riparazioni, solo 8 furono pagati alla vedova; la casa andava in rovina dopo la morte del Costa e la vedova aveva fatto eseguire dei lavori da Francesco Manca; per la cessione dell’enfiteusi fu necessaria l’approvazione dell’Arciconfraternita del Sepolcro, che ne aveva la proprietà e intascava 10 scudi annui di canone enfiteutico.

Francesco Manca probabilmente utilizzava la casa già diversi mesi prima della data riportata nell’atto notarile: infatti, dalla denuncia del 1807 per il donativo del dottor Francesco Fanti, la cui moglie possedeva la casa 2237, risulta che la casa 2236 appartenesse o fosse utilizzata dal muratore Francesco Manca; questi era probabilmente figlio del defunto Giuseppe Manca, fratello di Giuseppe Raimondo e di Antonio Diego. 

A metà ‘800 risulta che la casa 2236 appartenesse all’Arciconfraternita del Sepolcro, mentre la casa 2247 apparteneva all’Ospedale civile.

 

2237, 2242, 2243, 2244, 2245       

Il giorno 03.09.1797 morì il negoziante Antonio Scarpinati, celibe e senza testamento; il 12 di settembre il notaio Raimondo Piras si recò nella casa di abitazione del defunto, nella strada della Costa, e principiò la stesura dell’atto di inventario dei suoi beni, mobili e immobili; gli eredi erano sua sorella “dama” Annica Scarpinati, moglie del cavalier Antonio Muxiga, e il nipote avvocato Antonio Scarpinati, figlio del fu Efisio fratello dell’appena defunto Antonio; oltre alla casa nella strada della Costa, e di metà di un’altra casa nella stessa strada, Antonio Scarpinati possedeva “5 casette nella strada degli Acconciatori, sotto le arcate della Cortina fra il bastione del molo e quello di S.Agostino, una separata, le altre di seguito confinanti”; tutte insieme stimate £ 753 e soldi 8.

Il 23.01.1798 venne firmata la divisione dei beni fra i due eredi: dopo aver diviso l’argenteria e i mobili, si stabilì che l’avvocato Scarpinati avrebbe avuto la casa grande nella Costa, e due casette nelle Conce, valutate dal misuratore Massei in totale scudi 1448, reali 2, denari 2; la dama Annica Scarpinati avrebbe avuto le altre 3 casette delle Conce e la metà della casa piccola della Costa (l’altra metà apparteneva ai Padri Minimi di S.Francesco) per un totale di scudi 500, reali 5, denari 9, avendo diritto a un compenso da parte del nipote per scudi 947, reali 6, soldi 4, denari 5; il defunto gestiva una bottega di merci degli eredi Rapallo: delle merci di sua pertinenza si sarebbe fatto un inventario a parte, insieme a don Giuseppe Rapallo, curatore dei nipoti eredi di don Francesco Rapallo;

Le 2 casette assegnate all’avvocato Scarpinati (identificate con le unità catastali 2244 e 2245), tra il Bastione del Molo e quello di Sant’Agostino, erano confinanti l’una con l’altra, confinavano da un lato con le altre due casette della medesima eredità (2242 e 2243), dall’altro lato con un’arcata vuota (2246, poi assegnata a Francesco Costa), dietro alla Regia Muraglia, davanti con case dei mastri conciatori Battista Boi (2270) e Luigi Porcu (2271), strada in mezzo.

Le 3 casette della Dama Scarpinati corrispondevano alle unità catastali 2242, 2243 e 2237; le prime due, confinanti tra loro, avevano da un lato le due casette dell’avvocato Scarpinati (2244 e 2245), dall’altro lato un’arcata vuota (2241, assegnata nel 1800 a Francesco Costa insieme alla 2246), dietro la Regia Muraglia, davanti le case della confraternita di S.Erasmo (2268) e del conciatore Anastasio Tola (2267), strada in mezzo; l’altra casetta separata (2237) confinava da un lato con casa della fu Giuseppa Manis (recte Giuseppa Machis, madre di Giuseppe Raimondo Manca, casa 2236), dall’altro lato con casa della fu Francesca Uda (2238), di dietro con la Muraglia, avanti con casa degli eredi del fu bottaio Giuseppe Giuita (2266).

Non molto tempo dopo, il 09.10.1800, il cavalier Antonio Muxiga, nativo di Sassari e domiciliato in Stampace, chiese al notaio Pasquale Manunza di dare inizio all’inventario dei beni della defunta moglie Annica Scarpinati, che aveva lasciato il suo testamento del 22.08.1800; il marito era solo usufruttuario dei beni della defunta, mentre l’erede era l’unica figlia Juannica Muxiga, coniugata col medico Francesco Fanti. Nell’inventario sono ben specificati i beni ereditati dal fratello Antonio Scarpinati, cioè una metà casa nella strada della Costa e 3 casette nella strada delle Conce; una delle casa nelle Conce (2237) confinava da un lato con casa di mastro Antonio Diego Manca (2236), per l’altro lato con casa di Annica Rodella (nipote ed erede di Francesca Uda, casa 2238), ed era composta da una piccola stanza e da un piccolo sòttano per un valore di £ 263.10.

Le altre due case delle Conce (2242 e 2243), di simile dimensione, confinavano da un lato con casa del fabbro Francisco Costa (2241), dall’altro con case del dottore in diritto Antonio Scarpinati (2244 e 2245), valutate ciascuna lire 250.

In data 14.08.1807 il medico Francesco Fanti presentò il suo donativo, e dichiarò di possedere (in realtà erano beni della moglie) una mezza casa nella strada della Costa (2421) e tre arcate nella strada delle Conce; erano 3 case piccolissime, con piano terreno e piano alto, e valevano secondo il denunciante ognuna 67 scudi e mezzo, cioè lire 168 e 10 soldi, molto meno di quanto erano state valutate qualche anno prima.

Una carta del 06.07.1841, rintracciata fra i documenti del Regio Demanio (Asc) riferisce su un provvedimento di “sospensione del sequestro dei fitti delle case del medico Francesco Fanti, per le pensioni non pagate sulle casupole della strada delle concie”.

A metà ‘800 la casa 2237 e le due case 2242 e 2243 appartenevano ai fratelli Fanti, figli del medico Francesco e di Giovanna Musciga: Salvatore, Vincenzo, Antonia (1806-1877), Marianna (1810-1877), Angela, Raffaela (1815-1902) e Isabella; le due case che erano state dell’avvocato Antonio Scarpinati, numeri 2244 e 2245, appartenevano al negoziante di Santa Margherita Ligure Agostino Vignolo (1805?-1886), figlio del fu Domenico.

 

2238

Il 27.07.1797 venne aperto e pubblicato il testamento della defunta Francesca Uda Modica; il testamento era stato scritto il 03.04.1791 nella sua casa della Marina (non identificata); la defunta stabilì che l’usufruttuaria dei sui beni, in particolare di una casa nel borgo di San Bernardo e di una casa nella strada delle Conce, fosse la nipote Annica Rodella; alla sua morte l’usufrutto sarebbe passato a suo fratello reverendo Bartolomeo Rodella, e dopo la morte di quest’ultimo l’intera proprietà sarebbe passata all’altro nipote, Francesco Antonio Uda, ed ai suoi discendenti; degli altri beni era erede universale la stessa Annica Rodella.

Vi sono conferme di questa proprietà negli atti già citati del 1798 e 1800 relativi alla casa Scarpinati 2237; la proprietà Rodella è confermata anche nel donativo del 1807 del dottor Fanti, che dichiarò che la sua casa (numero 2237) confinava verso ponente con un’arcata appartenente alla signora Anna Rodella; è stato rintracciato anche il donativo del sacerdote Bartolomeo Rodella, purtroppo senza data, dove egli dichiarò una “casuccia sotto una arcata della muraglia”, nella strada delle Conce, affittata a lire 20 annue, e per cui pagava lire 3 annue al Regio Patrimonio, evidentemente per l’antica concessione in enfiteusi perpetua. Non si conoscono le date di morte di Anna e Bartolomeo Rodella, la prima nata nel 1739, il secondo nel 1742; Anna fece redigere un suo testamento al notaio Raimondo Piras il 25.08.1809; in quel momento abitava in una casa della strada Moras, non identificata; dal testamento si sa che in quella data era già morto il fratello sacerdote Bartolomeo e che, a parte certi lasciti in mobili al fratello Luigi e in vestiti e altri oggetti alla serva Annica Mannai, tutti i beni residui sarebbero dovuti essere venduti e il ricavato arebbe stato utilizzato per messe per la sua stessa anima, a discrezione del curatore testamentario, cioè il suo confessore Girolamo Onnis, beneficiato di S.Eulalia; la donna era legata alla parrocchia, faceva parte della Congregazione del Santissimo Sacramento, nella cui cappella funeraria chiese di essere sepolta, all’interno della chiesa di Sant’Eulalia.

In ogni caso Anna Rodella era solo una usufruttuaria della casetta della strada delle Conce, destinata nel testamento del 1797 della zia Francesca Uda all’altro nipote Francesco Antonio Uda, di cui non si hanno altre notizie.

A metà ‘800 la casa 2238 apparteneva al falegname Francesco Addis (1803-1890).

 

2239 e 2240       

In data 28.01.1804 il mastro muratore Francesco Manca chiese in concessione dal demanio tre archi di muraglia nella strada delle Concie, tra il bastione di S. Elmo e quello di S. Agostino, attigui ad altro arco ultimamente concesso a mastro Francesco Costa; a questa richiesta non seguirà immediatamente la concessione, per motivi che non si conoscono, nonostante la perizia con parere positivo fatta in quell’anno dal perito marchese Boyl; diverso tempo dopo, il 03.06.1810, fu fatta un’altra perizia dal misuratore Piu, ma, per la perdita delle carte, si arrivò alla concessione solo nel 1812; gli archi del Manca confinavano da una parte con arcata concessa a Francesco Costa, dall’altra parte con un’arcata ancora “vacante”. Non è del tutto chiaro quali siano le arcate del Manca; dal momento che una casa di Francesco Costa è stata identificata con la casa 2241, e che non è stato possibile attribuire nessun altro proprietario alle case 2239 e 2240, si ipotizza che le arcate concesse al Manca, e l’arcata vacante, possano corrispondere appunto alle unità catastali 2239 e 2240.

Inoltre non è del tutto chiaro lo svolgersi dei fatti: infatti nel 1806, alla morte del proprietario della casetta 2241, la casa confinante 2240 risultava già del mastro muratore Francesco Manca: c’è quindi la conferma sulla proprietà, ma non tornano le date: forse fu fatta una prima concessione già dal 1806, formalizzata però diversi anni dopo. 

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati la casa 2239 apparteneva al notaio Raimondo Fadda, la casa 2240 apparteneva alla Arciconfraternita di Santa Lucia.

 

2241 e 2246       

Erano le case costruite dal mastro ferraro Francesco Costa, che ebbe in concessione enfiteutica due arcate sulle mura della strada delle Conce il 25.08.1800, pagando “l’introggio” di lire 52 e 10 soldi e il canone annuo di lire 5 e 5 soldi. Non erano contigue, l’arcata numero 2246 stava fra l’arcata concessa al fu mastro Antonio Fais (2247) ed una di Antonio Scarpinati (2245), l’arcata numero 2241 stava fra un’altra arcata di Scarpinati (2242) ed un’arcata non ancora assegnata (l’arcata 2240, assegnata a Francesco Manca diversi anni più tardi).

Francesco Costa è citato come proprietario della casa 2241 negli atti del 1800 e del 1801 relativi alla eredità di Anna Scarpinati, mentre nel 1797, alla morte del negoziante Antonio Scarpinati, le arcate 2241 e 2246 risultavano ancora  “non assegnate”.

Il mastro “herrero” Francesco Costa morì “ab intestato”, cioè senza aver fatto testamento, nel gennaio 1806, nella sua casa della strada Moras (2260); lasciò la vedova Caterina Tola, figlia del mastro conciatore Anastasio, e i figli minori Efisio e Giuseppe Costa; il 4 febbraio fu compilato l’inventario dei suoi beni, metà dei quali erano di proprietà della vedova. Furono inventariati beni mobili per lire 677 e soldi 9, oltre agli immobili, cioè la casa di abitazione e due casette sulle mura della strada de is Adoberias, cioè delle Conce, entrambe valutate 351 lire ognuna.

Dal donativo del medico Francesco Fanti, del 14.08.1807, si legge che le case del Fanti 2242 e 2243 confinavano a levante con un’arcata (2241) degli eredi del fabbro Francesco Costa.

Il 13.11.1828 lo scarparo Efisio Costa, figlio di Francesco, vendette le due casette alla ditta Domenico e Agostino Vignolo, padre e figlio, per lire 120. Agostino Vignolo (S.Margherita Ligure, 1805?-Cagliari 1886) dopo il 1850 risultava ancora proprietario di entrambe le case, insieme a quelle con numero catastale 2244 e 2245 acquisite, forse direttamente, dall’avvocato Scarpinati. 

 

2242, 2243, 2244, 2245                   vedi 2237

 

2246      vedi 2241                            

 

2247      vedi 2236                            

 

2248, 2249          

In data 19.10.1779 vennero concessi in enfiteusi perpetua “2 siti vacui sotto 2 archi nella regia muraglia nella foritficazione di san Agostino e contrada dei conciatori a favore di Francesco Capai di questa città, mediante l’entrata di scudi 5 e l’annuo canone di scudi 4”; erano contigui agli 8 siti concessi a Michele Ciarella, e si permise al Cappai di fabbricare una piccola abitazione, “per sollievo della sua povera famiglia, per potersi ricoverare assieme ai suoi figli e moglie”. Dal momento che si ipotizza che Michele Ciarella avesse avuto in concessione esattamente 3 giorni prima le arcate corrispondenti ai numeri fra il 2250 e il 2253, le arcate concesse al Cappai dovrebbero essere immediatamente precedenti, quindi l’unità catastale 2249 e forse anche l’unità 2248, visto che sulla mappa entrambe sono disegnate di ridottissime dimensioni; non si hanno altre notizie sul Cappai, e sulla casa (o case) che potrebbe aver costruito, e non si sa fino a quando conservò la sua proprietà.

Il 05.05.1801 venne pubblicato il testamento del conciatore Pasquale Boi Piras (ancora vivo nell’ottobre 1811), fratello del conciatore Battista Boi (proprietario della casa 2234); era sposato con Maria Antonia Melis, da cui non aveva avuto figli; abitava nella strada di Sant’Agostino, aveva un’altra casa nelle vicinanze dove teneva bottega e magazzino, e due casette aderenti alle mura della strada delle Conce. Una di queste potrebbe essere l’unità catastale 2257, l’altra l’unità 2248, dal momento che si trovava di fronte a una casa dell’Annunziata (2279), e confinava da una parte con una casa del conciatore Antonio Raimondo Manca (2247); sull’altro lato confinava con il “Regio magazzino della Casamatta”, che dovrebbe corrispondere quindi all’unità 2249. Le casette del Boi erano le stesse da lui dichiarate nel donativo del 24.06.1799, con piano terra e primo piano, una stanzina per piano, ne ricavava in tutto scudi 16 e paga scudi 8 all’erario. Il Boi lasciò l’usufrutto delle due casette alla nipote Rosa Boi figlia del fratello Andrea, e stabilì che dopo la morte della nipote sarebbero dovute essere vendute per impiegare il ricavato per celebrare delle messe.

Non si hanno conferme su queste informazioni; si propone comunque quest’ipotesi, pur sapendo che le informazioni fornite dai documenti rintracciati non sono sufficienti; un elemento di incertezza riguarda sicuramente la contiguità effettiva fra le diverse case: quando negli atti di concessione enfiteutica si riportano le case confinanti, non si teneva conto molto spesso degli spazi ancora vacanti, per cui le indicazioni risultano fuorvianti.

Non si ha aiuto dal Sommarione dei Fabbricati, dal quale si sa che dopo il 1850 la casa 2248 apparteneva all’Ospedale civile, mentre la casa 2249 apparteneva all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2250, 2251, 2252, 2253,  

In data 16.10.1779 vennero concesse al negoziante (poi conte) Michele Ciarella, in enfiteusi perpetua, 8 arcate nella parte interna della regia muraglia nella fortificazione di San Agostino, “mediante l’introggio di scudi 20 e l’annuo canone di scudi 16”; si trovavano nella contrada dei Conciatori, confinanti con 4 archi concessi il 21 agosto dello stesso anno a Francesco Murroni; dal momento che gli archi concessi a Francesco Murroni sono stati identificato con i numeri fra il 2254 e il 2257, le arcate concesse al Ciarella dovrebbero essere le 8 precedenti; in realtà le case che compaiono nella mappa del quartiere, corrispondenti ai numeri 2250 e 2253 appaiono molto più grandi delle altre, probabilmente originate dalla unione di 3 case distinte, per cui si propone l’ipotesi che le 8 arcate assegnate al Ciarella corrispondano soltanto alle 4 case con numeri catastali fra il 2250 e il 2253.

Michele Ciarella sicuramente cedette le case negli anni successivi, visto che nel suo donativo del 1799 non cita nessuna proprietà nella strada delle Conce; purtroppo non è stato rintracciato nessun documento che fornisca informazioni a riguardo, e non si hanno notizie sui proprietari successivi.

Anche nel Sommarione dei Fabbricati sono assenti i riferimenti a queste case: il fatto porta a ipotizzare che le case siano state riacquisite dal Demanio per qualche utilizzo civile o militare.

 

2254, 2255, 2256, 2257         

Il 21.08.1779 vennero concesse in enfiteusi perpetua al signor Francesco Murroni4 archi nella regia muraglia incominciando dalla porta di S.Agostino extra muros tendendo verso quella del molo, mediante l’introggio di scudi 5, e scudi 2 per ogni anno (e per ogni casa)”; essendo le prime 4 case partendo dal lato di ponente si possono identificare con le case 2254, 2255, 2256, 2257; neanche un mese dopo, il 17 di settembre, Francesco Murroni cedette al notaio Alessandro Alciator la concessione appena avuta; dai dati genealogici a disposizione (con un margine di dubbio dovuto a eventuali omonimie), risulta che il Murroni e l’Alciator fossero cognati: Francesco Murroni era figlio del notaio Nicola e di Giulia Moyrano, nato nel 1753; Alessandro Alciator era figlio di Giacomo e di Maria Anna Manna, e si era sposato nel 1782 con Giuseppa Murroni, sorella di Francesco.

In data 29.06.1789 il notaio Francesco Manconi compilò l’atto di vendita di 4 piccole case, “le prime che si trovano nella strada de is concias incominciando dalla banda della porta di San Agostino extra muros tendendo verso il molo”; chi vendeva era mastro Antonio Costa, chi comprava Vincenzo Crobu; il Costa le aveva acquistate il 04.03.1784 dal parrucchiere Giuseppe Regis; non si sa se quest’ultimo le avesse acquistate direttamente dal notaio Alciator, ma sicuramente si tratta delle stesse casette, anche perché venne specificato nell’atto del 1789 che erano quelle stesse case cedute in enfiteusi dal Regio Patrimonio, il 21.08.1779, a Francesco Murroni.

Nel suo donativo del 21.06.1799 Vincenzo Crobu dichiarò di possedere 3 piccole case adiacenti alla muraglia della strada delle Conce, composte da un basso e un piccolo primo piano, affittate a scudi 9 cadauna, e pagava “al Re” in tutto scudi 6 annui. Non si può sapere da queste informazioni quale casa, fra le 4 acquistate nel 1789, il Crobu avesse nel frattempo ceduta ad altri; nel suo testamento del 05.05.1801 il mastro conciatore Pasquale Boi Piras dichiarò di voler lasciare alla nipote Rosa Boi, figlia del fratello Andrea, due casette “ossia arcate” nella strada delle Conce, una delle quali era adiacente alle muraglie e ad altra casetta simile di Vincenzo Crobu, mentre l’altra è stata identificata, con qualche dubbio, con l’unità 2248; il Boi diede l’indicazione di venderle entrambe dopo la morte della nipote ed utilizzare il ricavato per celebrare delle messe. La casetta del Boi era sita di fronte “strada framezzo” alla sua officina e bottega 2279, per cui la casetta sulle mura potrebbe essere l’unità catastale 2257, l’ultima della strada, forse cedutagli direttamente da Vincenzo Crobu.

Infine il 01.08.1805 il negoziante Vincenzo Crobu ricevette £ 250 dal mastro fabbro Ignazio Calamida per il prezzo di “3 piccole casucce site nella strada delle Conce”, come da atto di vendita del 18.10.1802. Questa informazione è confermata da un atto notarile del 10 dicembre 1803: Ignazio Calamida in quella data acquisì in enfiteusi una casa nella strada di Sant’Agostino (num. 2672); per garantire il pagamento del canone, ipotecò 3 casette che possedeva nella strada delle Conce, identificabili con quelle comprate dal Crobu.

A chiudere il cerchio arrivano le informazioni rintracciate nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800, che ci informa che la casa 2254 apparteneva alla vedova Efisia Calamida, la casa 2255 apparteneva alla Arciconfraternita di Santa Lucia, la casa 2256 apparteneva all’Arciconfraternita del Sepolcro, la casa 2257 alla Congregazione del Santissimo Sacramento.

Efisia Calamida è facilmente identificabile con Efisia Piga, vedova di Ignazio Calamida; si può quindi ipotizzare che il Crobu cedette in un primo tempo la casa 2257, forse direttamente al Boi, e cedette nel 1802 al Calamida le altre 3 case, delle quali una soltanto rimase proprietà della sua vedova a metà ‘800.

 

2258     

Su questa piccola unità catastale, segnata sulla pianta alla sinistra della porta di Sant’Agostino, non è stata rintracciata alcuna notizia, né dai documenti degli anni vicini al 1800, né dai documenti e mappe catastali di metà secolo XIX; la vicinanza con la porta fa ipotizzare che fosse un locale utilizzato dalle guardie, di proprietà demaniale, e che tale sia restato anche a metà ‘800.

Un documento rintracciato fra le concessioni enfiteutiche del Regio Demanio ci fornisce informazioni su un edificio che non è contemplato in nessuna pianta della Marina, adiacente alle mura di Sant’Agostino, immediatamente al di sotto dell’unità 2258; il documento, datato 28.06.1773, è la “concessione enfiteutica di un sito esistente in vicinanza della regia muraglia accanto alla porta di S.Agostino nel sobborgo della Marina, in favore del mercante Francesco Dugone, mediante l’introggio di scudi 12 sardi e l’annuo canone perpetuo di uno scudo sardo”; fu fatta una perizia dal sottotenente ingegnere La Marchia, e venne dato il permesso di costruire una casa con le condizioni che “la fabbrica non deve essere appoggiata alla muraglia, e non potrà aprire nessun vano verso la muraglia stessa, né verso mezzogiorno, e regolando l’altezza verso settentrione in modo che sia un piede di minore altezza del contiguo muro di fortificazione; sito vacuo esistente lungo la muraglia dalla porta di San Agostino fino all’angolo per dove piega il cammino verso la contrada dei Conciatori”. Al documento è allegata la pianta, disegnata dal perito, nella quale è presente un’area sottostante l’unità 2258, fin quasi all’angolo con la strada delle Conce; non si sa se effettivamente la casa sia stata costruita oppure sia stata demolita prima che venisse tracciata la pianta di metà ‘800 che, come già detto, non la contempla.