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Isolato R1: vico S.Eulalia/Pagatore/Gesus/Fortino

(via dei Pisani, via Arquer, via Cavour, via Porcile)

numeri catastali da 2854 a 2865

l’isolato è notevolmente modificato a causa della presenza del parcheggio limitrofo al palazzo del Consiglio Regionale: hanno tenuto la struttura originale solo le case della parte più alta, sulla via dei Pisani, e quelle sul lato di via Porcile.

 

 

2854     
Nella causa iniziata nel 1818 relativa all’eredità del negoziante Agostino Ravagli, la casa 2854 è citata più volte: il Ravagli era infatti proprietario della casa 2867, che faceva parte della proprietà Del Vechio: nel fascicolo della causa è riportato un atto notarile del 1753 con cui Teresa Del Vechio ottenne un prestito dalla comunità di Sant’Eulalia, con ipoteca della casa sulla strada del Pagatore; in quell’atto la casa di fronte 2854 apparteneva a Juan Bauptista  Fignon ed era in precedenza di Antonio Sequi; in altro atto del 14.11.1797, anche questo inserito nella causa Ravagli, relativo anch’esso alla casa 2867, la casa 2854 apparteneva invece al notaio e negoziante Luigi Usai Ricci. Nel 1817, dopo la morte del Ravagli, la casa 2854 apparteneva agli eredi di Luigi Usai.

Nel donativo del 1799 del Monastero di Santa Lucia vengono citati i coniugi Luigi Usai e Isabella Tatti per una pensione che pagavano annualmente al Monastero; non è specificata né la posizione né i confinanti, ma è plausibile che si tratti della stessa casa, l’unica che risulta fosse di proprietà dei coniugi Usai Tatti.

Altre conferme si hanno da un atto del novembre 1799, col quale il Monastero della Purissima Concezione vendette la casa 2855, confinante dal lato di libeccio con la casa del negoziante Luigi Usai Ricci; le stesse informazioni sono fornite da 2 atti del febbraio e del maggio 1802, sempre relativi alla casa 2855; ancora nel 1817, da una causa relativa alla frontale casa Ravagli (1867 e limitrofe) apparteneva agli eredi Usai Ricci.

Luigi Usai Ricci morì il 03.04.1811; il 01.05.1811 venne fatto l’inventario dei suoi beni, richiesto dalla vedova Isabella (o Elisabetta) Tatti, maritata alla sardesca, e quindi proprietaria della metà dei beni acquisiti durante il matrimonio; l’atto d’inventario venne compilato dal notaio Gioachino Mariano Moreno, alla presenza di tutti figli del defunto: Raffaele maggiore d’anni 25, Francesco di anni 24, Giuseppa di anni 21, Teresa di anni 17. L’eredità fu calcolata in lire 9027.8.11, delle quali, tolte le ipoteche, i debiti, e le ultime spese (funerale e altro) per lire 2625.10.9, restarono lire 6401, soldi 18, denari 2; dell’eredità faceva parte la casa d’abitazione, composta da 2 piani alti e il terreno, situata nella strada del Pagatore, i cui confini, riportati nell’inventario, confermano l’identificazione della casa con l’unità 2854; fu avvalorata in tutto lire 4575.5.5, ma era gravata da un censo di proprietà di scudi 300 e pensione annua di scudi 15, di proprietà del barone di Villaperuccio, ed un altro censo di scudi 600 e pensione annua di scudi 30, proprietà del monastero di Santa Lucia: si tratta dello stesso censo prima citato, riportato nel donativo del Monastero.

Un documento databile 1790, di cui si riferisce più in dettaglio per la casa 2856, porta a ipotizzare che la casa 2854 appartenesse in precedenza al notaio Juan Maria Tatti, padre di Isabella Tatti, il quale era probabilmente proprietario anche della parte retrostante, forse un cortile che arrivava fino alla strada del Fortino, metà dell’unità 2856; in altro atto notarile del 1804, relativo ad un censo caricato sulla casa 2865, è scritto che la casa del notaio Juan Maria Tatti (morto in realtà dal 1795) era in precedenza di tale Eusebio Cossu.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al Monastero di Santa Lucia, creditrice nel 1811 del notaio Usai. 

 

2855

Nell’atto di inventario dei beni del defunto Domenico Marramaldo, datato 20.09.1778, la sua proprietà 2853 confinava a mezzogiorno, strada in mezzo, con una casa del Monastero della Purissima, identificata con l’unità 2855; nell’atto notarile del 14.11.1797 con cui Agostino Ravagli (ancora lui!) ottenne un prestito dalle monache sorelle Carnicer e, per garantirne la restituzione, ipotecò i suoi beni, è citato anche il giardino ex-Marramaldo che Ravagli possedeva nella strada del Fortino (2853), confinante “callejon mediante a casa y corral del Monastero dela Purissima”; il callejon (vicolo) era l’ultima parte di quella strada, senza un nome preciso, che dalla chiesa di S.Eulalia portava alla muraglia, attualmente via dei Pisani; la casa 2855, di proprietà del Monastero della Purissima Concezione, occupava tutto quel tratto del “Callejon” fra le strade del Fortino e del Pagatore e comprendeva anche un cortile.

Il 30.11.1799 le monache della Purissima Concezione cedettero la casa al mastro muratore Antonio Giuseppe Zedda, dimorante in Villanova, per il prezzo di 750 scudi e annuale frutto compensativo di 37 scudi e reali 5 (con pagamento della somma in un’unica soluzione, dopo 15 anni); era una gran casa con l’ingresso nella strada del Pagatore, ridotta in rovina e inabitabile, che avrebbe richiesto (secondo la stima del regio misuratore Gerolamo Massei) “300 scudi per riaddobbarla senza aumentazione di camere, e 1200 scudi per ristorarla di pianta e accrescerla”; era una casa angolare con cortile alle spalle, che aveva una facciata sulla contrada del Pagatore, e il cortile sulla contrada che dall’ospedale di Monserrato conduceva alla porta Gesus (cioè la strada del Fortino, attuale via Porcile), e confinava per davanti, cioè per maestrale, strada del Pagatore per mezzo, con casa del reverendo Alberto Franchino (casa 2866); per le spalle verso scirocco, mediante la discesa della porta Gesus, confinava con case nuove “non compite” dell’arcivescovo di Cagliari don Didaco Gregorio Cadello (2478 e unità senza numero); da un lato, per libeccio, con case del negoziante Luigi Usai Ricci (2854); altro lato verso Grecale, cantonata per mezzo, con casa della chiesa di S.Eulalia (2852) e con il giardino del negoziante Agostino Ravalli (2853).

In atto notarile del 23.02.1802 è riportato l’estimo della stessa casa “a 2 piani tavolati” eseguito, su richiesta del Monastero della Purissima Concezione e del mastro muratore Antonio Giuseppe Zedda, dai mastri muratori Antonio Contini e Agostino Squinardi, e dai mastri falegnami Girolamo Degioannis e Antonio Fadda, tutti di Cagliari; la casa era di proprietà del Zedda; i muratori avvalorano la parte di loro competenza in £ 2609.19.2, i falegnami £ 1075, in totale £ 3684, soldi 19, denari 2.

Con altro atto notarile del 05.05.1802, la casa venne ceduta dal Zedda al Monastero della Purissima per 1409 scudi, 8 soldi e 6 denari (cioè 3522 lire, 13 soldi, 6 denari); i confini specificati in entrambi gli atti del 1802 sono identici a quelli già indicati nel 1799.

Un atto notarile del 24.08.1807, relativo alla casa 2866, sull’altro lato della strada del Pagatore, fa riferimento alla casa 2855 come “casa del Monastero della Purissima Concezione, che prima era del Convento di S.Chiara”; questa informazione è curiosa, sembra più plausibile e corretta riportata al contrario: infatti, in atti del 17.08.1811 e del 08.11.1811, relativi alla casa 2477 sull’altro lato della discesa, la casa davanti è detta del Monastero di Santa Chiara; un’altra informazione poco chiara è quanto riporta l’atto di inventario dei beni del defunto Luigi Usai Ricci, anch’esso del 1811: la sua casa 2854 confinava da una parte con la casa Doneddu (2865), dall’altra con una casa “delle orfanelle”; si può pensare che il Monastero (Santa Chiara o Purissima?) avesse messo a disposizione delle orfane la sua proprietà, gestita dalle monache.

I dubbi non sono finiti: nell’inventario dei beni del defunto Agostino Ravagli, fatto il 06.05.1817, le case del Ravagli site nella strada del Fortino, dove era il giardino denominato del console inglese (2853), confinavano con la casa (2855) di proprietà del Monastero della Purissima, che possedeva la stessa casa anche dopo il 1850, come risulta dal Sommarione dei Fabbricati.

La conclusione è quindi incerta e vi sono due ipotesi: la prima è che il Monastero di Santa Chiara abbia utilizzato la casa per alcuni anni, concessa in affitto o in enfiteusi dal Monastero della Purissima, il quale quindi non cedette mai la proprietà dell’immobile, fino a metà ‘800; la seconda è che effettivamente il Monastero di Santa Chiara possedesse l’immobile più anticamente, e che solo a fine ‘700 la proprietà sia passata al Monastero della Purissima; in questo caso, nei due atti notarili del 1811 relativi alla casa 2877 sono riportate delle notizie non aggiornate, anzi vecchie di almeno 14 anni, visto che la proprietà di Santa Chiara dovrebbe essere antecedente al 14.11.1797, quando risultava già del Monastero della Purissima [1]. 



[1] Il fatto che negli atti notarili venissero riportate delle informazioni ormai superate, sui proprietari delle case vicine a quella oggetto dell’atto, non è una cosa insolita; la prassi era copiare dagli atti precedenti, a volte antecedenti di parecchi anni, e non sempre si teneva conto dei passaggi di proprietà intervenuti nel frattempo

 

2856 e 2865

Col suo testamento del 1775 il canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus lasciò al nipote Giovanni Domenico Gherzi diversi beni e, fra questi, un magazzino nella calle che conduceva, “per la parte della muraglia”, alla Porta Gesus; nell’elenco (databile 1790) dei beni di proprietà dell’assente Giovanni Domenico Gherzi (scomparso misteriosamente dal 1784), lasciatigli dallo zio canonico Fulgheri Gallus, è compreso un magazzino situato nella calle che conduceva alla porta Gesus, che aveva davanti la casa del dottor Thomas Paradiso (2480), alle spalle la casa dello stesso canonico Fulgheri (2865), da un lato la casa di donna M. Antonia Lay (2857), dall’altro lato la casa del notaio Juan Maria Tatti (che potrebbe corrispondere alla parte alta della stessa unità 2856).

Non si ha certezza piena di questi confini in quanto i documenti relativi a queste case e a quelle vicine sono assai poco precisi; l’ipotesi più probabile è appunto che l’unità 2856, piuttosto grande, fosse formata in precedenza da due proprietà distinte, di cui la parte sud era del canonico Fulgheri Gallus, mentre la parte più a nord, forse adibita a cortile, apparteneva al notaio Tatti poi alla figlia Isabella e a suo marito Luigi Usai Ricci, proprietari della retrostante 2854.

C’e’ un altro documento che fornisce informazioni sulla casa 2856: un atto notarile del 04.09.1790 col quale il Patron Joseph Gambazzu, proprietario della casa 2480 (quindi successivamente ai coniugi Paradiso Martin) sita nell’appendice della Marina “en la bajada de la muralla dela puerta de Gesus” (cioè la strada del Fortino), ipotecò la sua casa che confinava davanti, strada mediante, con la casa (2856) del sacerdote Antonio Stoquino beneficiato di S.Anna: il sacerdote Antonio Ignazio Stoquino non era proprietario, ma procuratore incaricato dell’amministrazione dei beni di suor Pepica Gherzi, monaca di Santa Chiara, sorella ed erede di Giovanni Domenico Gherzi, ed erede dei beni del canonico Fulgheri Gallus. 

Dall’inventario dei beni del defunto Domenico Marramaldo, del 20.09.1778, risulta che la casa 2865, posta di fronte alla casa Marramaldo 2868, fosse appartenuta al già defunto canonico Gallus; dall’inventario dei beni di Giovanni Domenico Gherzi, del 1790, risulta che la casa 2865 facesse parte dei beni del suo defunto zio canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus (chiamato spesso semplicemente canonico Gallus); è stata trovata una conferma a questa attribuzione: due atti di ottobre e novembre 1803, relativi alla confinante casa 2864, indicano la casa 2865 come appartenente alla “monaca Gherzi” alla quale, dopo la scomparsa e morte presunta del fratello Gian Domenico, erano arrivati i beni dello zio canonico Gallus.

Però dalla causa civile relativa all’eredità di Agostino Ravagli risulta che nel 1797 la casa 2865 appartenesse al segretario e notaio Raimondo Doneddu; quest’ultima informazione è confermata da un atto notarile del novembre 1797, anche questo relativo alle proprietà del Ravagli, e nel donativo del 1799 il notaio Doneddu dichiarò fra le sue proprietà una casa nella contrada del Pagatore, con un “sòttano” e 2 piani, affittata per scudi 50; non c’è certezza che quest’ultima proprietà si possa identificare con la casa 2865, perché Doneddu non specificò i confini, e possedeva diverse case nelle vicinanze, compresa la sua abitazione.

Nell’inventario Usai Ricci del 1811, è scritto che la casa Usai 2854 confinava da una parte con la casa Doneddu e delle Monache di Santa Chiara: una spiegazione a questa doppia attribuzione è che il Doneddu l’avesse acquistata (o avuta in enfiteusi) dall’erede del canonico Fulgheri Gallus, cioè suor Pepica Gherzi monaca di Santa Chiara, i cui beni erano amministrati dal convento.

Nella già citata causa Ravagli, risulta che nel 1817 la casa appartenesse agli eredi del fu segretario Raimondo Doneddu, morto proprio in quell’anno.

Una ipotesi che può spiegare questi dati contraddittori è che anche l’unità catastale 2865 fosse formata in passato da due case distinte, sicuramente piuttosto strette: una da attribuire al canonico Gallus e poi a sua nipote suor Giuseppa Gherzi, l’altra al notaio Doneddu; anche in questo modo non tutto è chiaro: infatti con atto del notaio Giovanni Luigi Todde del 21.04.1804 la monaca Guerzi ebbe un prestito di scudi 150 dalla consorella Raffaela Busu; le occorrevano i contanti per effettuare dei lavori in un piano della sua casa della calle del Pagador; da una parte la casa della monaca confinava con la proprietà del notaio Juan Maria Tatty (2854) dall’altra parte confinava con altra casa dell’eredità del canonico Fulguery Gallus; escludendo che quest’ultima possa essere l’unità 2864, attribuita ad altri, vale l’ipotesi che l’unità 2865 fosse composta da due case distinte, ma non si spiegano i riferimenti al notaio Doneddu di qualche anno prima; occorre dire però che nell’atto del 1804 il notaio Todde riportò i confini con dei proprietari decisamente antichi, contribuendo così ad aumentare le incertezze; per esempio indicò il notaio Juan Maria Tatti, morto nel 1795, come proprietario della casa 2854. In particolare è specificato che la casa della monaca Guerzi (o Gherzi) era in passato dei coniugi nobili Don Joseph Rosso e Donna Francesca Cadello e quest’ultima, dopo la morte del marito, la vendette il 27.03.1767 al mastro muratore Gaetano Nocco; il Nocco e sua moglie Rosa Loy la vendettero al canonico Fulgueri Gallus in data 06.08.1768; l’altra casa dell’eredità Fulguery Gallus era invece in precedenza del reverendo (Juan?) Maria Delussu [1]; nell’atto è anche confermato che la proprietà Guerzi arrivava sul retro alla strada del Fortino, comprendendo quindi l’area 2856, forse col cortile e un magazzino.

Dopo il 1850 l’unità 2856 risulta appartenere interamente all’Arciconfraternita del Sepolcro, mentre tutta l’unità 2865 apparteneva ad Antonia Zibetto (1793-1863), vedova dell’avvocato Antonio Doneddu (1781-1841) figlio di Raimondo.

 



[1] Nell’atto del 1804 non è riportato per esteso il nome di questo sacerdote, chiamato solamente M.a Delussu; si ha notizie di un reverendo Juan Maria Delussu morto alla Marina il 07.10.1742.

 

2857     

Con atto notarile del 1789 il negoziante Francesco Canaparo e e sua moglie Maria Rosa Tolesano, coniugi piemontesi, ipotecarono la loro casa sita nella discesa della Porta di Jesus, confinante davanti con casa che era del fu dottore in diritto e cavaliere Agustin Lay, in quell’anno dei suoi eredi; la casa, anzi le case dei coniugi Canaparo e Tolesano erano le unità 2481 e 2482, identificate meglio in altri documenti, e la casa degli eredi del cavalier Agostino Lay era quindi l’unità 2857.

In altro atto notarile del 09.09.1791, anch’esso relativo alle casa Canaparo Tolesano, è scritto che la casa sul davanti apparteneva gli eredi del fu dottore e cavaliere Antonio Lay Brunengo (ma il nome è impreciso, dovrebbe trattarsi di Agostino Lay Brunengo).

Un’altra conferma arriva da un atto notarile del 11.11.1798, col quale Don Pedro Vivaldi Zatrillas, Marchese di Trivigno e Pasqua, vendette la sua casa (2483) al negoziante Bernardo Cojana; la casa aveva la porta principale sulla strada del Fortino e aveva davanti, strada mediante, la casa dell’erede del cavalier Lay.

Non si hanno molte notizie sulla famiglia Lay Brunengo: il cavalier Agostino Lay era figlio di Giuseppe Antonio Lay, segretario e cavaliere, e di Giovanna Brunengo; era coniugato dal 1759 con Vittoria Belgrano; morì nel 1775, e risulta che avesse due figlie, Giovanna Maria e Raffaela, nate nel 1762 e 1765; la figlia Giovanna Maria si sposò col notaio di Sinnai Luigi Michele Cappai. Una parente, forse una sorella di don Agostino, proprietaria anch’essa della casa 2857, dovrebbe essere donna Maria Antonia Lay, di cui riferisce il documento databile 1790, citato per la casa 2856.

Il notaio Luigi Michele Cappai in data 22.06.1799 presentò il donativo per le proprietà della moglie, la dama Giovannica Lai, e dichiarò una casa sulla strada Gesus, nelle vicinanze di Porta Gesus, con piano terreno e due piani alti, il primo composto da 2 sale, una stanza, una alcova, e una stanza piccola, il secondo composto da una stanza piccola e la cucina; dichiarò inoltre una casa piccola a fianco della precedente, con finestra e l’entrata sulla strada del bastione di Gesus, quindi sulla strada del Fortino, composta da un piccolo basso con un cortile quadrato di 5 passi, con una cisterna, ed un primo piano con saletta e alcova; le case rendevano 44 scudi annui, e se ne pagavano 20 di pensione a don Giovanni Battista Ghirisi.

E’ molto probabile che le 2 case siano state in seguito riedificate e trasformate in un unico edificio, corrispondente appunto alla unità 2857.

Nel donativo del 1807 di donna Anna Maria Guirisi (figlia di don Giovanni Battista, morto nel 1802), presentato dal marito don Bachisio Mearza che amministrava i beni della moglie e delle sorelle, si dichiarò una proprietà censuaria di scudi 700 (recte 400) e rendita di scudi 20 nella casa detta “di Brunengo” nella contrada Gesus della Marina nelle immediate vicinanze della Muraglia.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ai figli del negoziante francese Angelo Brouquier (-1807), cioè in parte al negoziante Francesco (1797-1872), in parte a sua sorella Raimonda Brouquier (1790-1872) vedova di Giuseppe Poma, con i suoi figli Angelo, Gaetano (1812?-1869), Marianna e Francesca (1830-1917) Poma. In una casa al numero 31 della via Darsena morì nel 1897 Emanuele Cambilargiu, marito di Francesca Poma; in una casa al numero 21 della via Porcile morì nel 1917 la stessa Francesca Poma vedova Cambilargiu; è plausibile che in entrambi i casi ci si riferisca al numero catastale 2857.

 

2858     

L’unico riferimento rintracciato per questa casa è nel donativo del 13.08.1807 di donna Anna Maria Guirisi, di cui si è parlato per la precedente unità catastale: la casa Brunengo dalla quale le sorelle Guirisi ricavavano una pensione annua di 20 scudi, identificata con l’unità 2857, affrontava la Muraglia, la casa del canonico Gallus, e case di S.Eulalia; i confini sono vaghi, non permettono una grande sicurezza: il riferimento alla Muraglia, cioè le mura della strada del Fortino, è inesatto in quanto addossate alle mura vi erano in quell’anno le case 2481,2482,2483; forse si tratta di un riferimento antico, precedente alla costruzione di quelle case, rimbalzato da un documento all’altro, forse condizionato dalla minore importanza di quelle case, probabilmente più basse o più modeste della casa 2857; la casa del canonico Gallus (Giovanni Battista Fulgheri Gallus) era quella alle spalle, numero 2856, e le case di S.Eulalia dovrebbero quindi corrispondere alle unità catastali 2858, di fianco alla casa Brunengo, e 2524, di fronte.

La casa 2858 potrebbe identificarsi con una delle 3 case che la Comunità denunciò nella strada Gesus, cioè le case “Mamona”, “Rubbì” e “Solanas”; dopo il 1850 risultava ancora appartenere alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2859     

Dovrebbe corrispondere a una casa del Gremio di Sant’Elmo, inserita in un elenco (del 22.06.1799) dei beni del Gremio di Sant’Erasmo (o Sant’Elmo), comprendente 2 case nella strada Gesus: è un documento della Segreteria di Stato (ASC, Segreteria di stato, serie II, 1326, 28), dove non è inclusa nessun’altra informazione che possa consentire l’identificazione delle 2 case, ma dopo il 1850, dai dati catastali, sappiamo che la casa 2859 era proprio del Gremio dei Santelmari.

 

2860     

Da atti notarili del 1798, relativi alla vendita della casa 2861, risulta che la casa laterale 2860 appartenesse al notaio e segretario della Reale Udienza Raimondo Doneddu (-1817); egli la dichiarò nella sua denuncia per il donativo del 1799: aveva davanti la casa degli eredi di Gio Stefano Massa, identificata con l’unità 2523, sull’altro lato della strada Gesus; la casa Doneddu era composta da 2 sòttani e due piani alti, il primo piano era abitato da un figlio del notaio Doneddu, mentre il secondo piano era affittato per scudi 32; il piano terra si sarebbe potuto affittare per scudi 20, ma un ripostiglio era usato dal proprietario.

E’ da valutare meglio l’informazione riportata in atti di ottobre e novembre 1803, relativi alla casa 2864, che indicano tale dr. Passiu (l’avvocato Raffaele?) come proprietario o abitante della casa 2860; è possibile che Passiu fosse un prorietario precedente rispetto a Doneddu, oppure solo un inquilino. D’altra parte la proprietà del Doneddu è confermata da atto del 29.11.1809 con cui Doneddu acquistò la casa 2861/a, proprio per unirla alla sua casa 2860.

Dopo il 1850 la casa 2860 apparteneva ad Antonia Zibetto (1793-1863), vedova dell’avvocato Antonio Doneddu (1781-1841) figlio di Raimondo.

 

2861

Per questa unità catastale i dati a disposizione sono resi confusi dall’intreccio di proprietà di diversi individui (Doneddu, Crobu, Marini, Scarpinati) in questa parte della strada Gesus.

Era divisa in tre piccole case: la prima parte, confinante con la casa 2860, fino al 1798 apparteneva a Caterina Gassia (o Grassia, o Cassia), vedova di Pasquale Marini, e ai suoi numerosi figli (Francesco, Nino, Grazia, Paulica, Vincenza, Giovanni Angelo, Ignazio[1], Efisio e Giovanna Marini Gassia), eredi dei beni di Paola Galupa e del suo secondo marito patron Francesco Giangrasso; i coniugi Giangrasso Galupa nominarono eredi la figlia (di primo letto?) di Paola Galupa, Caterina Gassia, e i nipoti Marini, col testamento del 03.10.1791; i beni lasciati consistevano in alcuni mobili, alcuni oggetti d’argento di poco valore, e una piccola casa nella strada Gesus, gravata da un censo di 200 scudi e pensione di 10 scudi annui da pagare ai Padri Osservanti di S.Rosalia.

Con atto notarile del 25.04.1798, la casa venne fatta stimare dai mastri muratori Francesco Porcu e Francesco Usai, e dai mastri falegnami Salvatore Murru e Ignazio Serra, su incarico della vedova Marini e del giudice e avvocato Antonio Scarpinati, il quale aveva intenzione di acquistarla; fu valutata per 721 scudi, 2 reali, 3 soldi, 8 denari; era composta da un sottano e due piani alti, munita di pozzo; è identificata con la prima parte dell’unità catastale 2861, aveva a un lato la casa del negoziante Vincenzo Crobu (2861, parte seconda), dall’altro lato e di spalle le case del notaio Raimondo Doneddu (2860), e davanti, sull’altro lato della strada, la casa della dama Giovanna Massa (2523).

Con atto notarile del 14.05.1798 la casa fu effettivamente venduta al giudice Scarpinati.

Non è stata rintracciata la denuncia per il donativo del dottor Antonio Scarpinati, il quale abitava nella strada Gesus ancora nel 1808, come si legge nella lista dei maioli presenti a Cagliari in quell’anno: vi è compreso tale Sisinnio Caria di Villacidro, ospite dell’avvocato Scarpinati in una casa della strada Gesus, che potrebbe identificarsi con la casa 2861; il giudice possedeva però un’altra casa sull’altro lato della strada, cioè la casa 2523, in precedenza appartenente alla citata donna Giovanna Massa; è più probabile che l’abitazione del giudice fosse la casa 2523, più consona alle sue condizioni economiche e sociali, mentre quella parte dell’unità 2861 acquistata dalla vedova Marini era davvero una piccola casa.

In atti notarili del 01.07.1809 e del 01.05.1813, relativi entrambi alla casa Crobu, risulta che questa parte dell’unità 2861 appartenesse ancora in quegli anni al giudice don Antonio Scarpinati.

In realtà, con atto del notaio Gioachino Efisio Aru del 29.11.1809, don Antonio Scarpinati (reggente dell’Ufficio Fiscale Regio Patrimoniale della città) vendette la casa al suocero notaio Raimondo Doneddu (segretario della Reale Udienza). Scarpinati in questo atto è detto “domiciliato nel Regio Castello”, mentre il Doneddu era domiciliato alla Marina; quest’ultimo aveva vantaggio all’acquisto perché voleva unire la piccola casa ad una sua proprietà (2860); i due si accordarono per l’importo che era stato pagato nel 1798, cioè quei 721 scudi, 2 reali, 3 soldi, e 8 denari, e Doneddu pagò in moneta corrente, tenendo conto che nel frattempo (in data 26.04.1799) Scarpinati aveva liberato la casa dal peso di 500 lire (cioè 200 scudi) la cui pensione veniva pagata alla sacrestia dei Padri Osservanti di Santa Rosalia, per cui la casa era libera da ogni carico e ipoteca.

La parte centrale dell’unità 2861 apparteneva invece a Isabella Mirabili (o Ammirabili) che, col suo testamento del 1769, la lasciò ai Padri Scolopi dell’Annunziata; per alcuni anni fu probabilmente ceduta in enfiteusi al notaio Pietro Murgia Melis, come risulta da atti del 1770 e del 1782, relativi alla parte terza della stessa unità 2861; i padri Scolopi rientrarono in pieno possesso della casa dopo il 1782, e nel 1786 la concessero in enfiteusi al negoziante Vincenzo Crobu, già proprietario dal 1782 della terza parte della stessa unità catastale 2861.

Il 12.09.1770 Francesco Franchino vendette la sua casa della strada Gesus al battelliere Pasquale Marini, genero dei coniugi Giangrasso-Galupa (proprietari della prima parte dell’unità 2861); la casa Franchino, identificata con la parte terza della unità 2861, confinava per davanti con casa che era in precedenza di don Joseph Rossu e poi del notaio Ramon Doneddu (casa 2522); di spalle con casa del fu Estevan Carta e poi di sua moglie Isabela Admirabile (2863) (la medesima proprietaria della seconda parte dell’unità 2861, citata sopra); di lato con casa del negoziante Gavino Pisano (2862), dall’altro lato con casa del notaio Perico Murgia Melis (2861, parte seconda); apparteneva in precedenza a Maria Angela Atzory, vedova di Antonio Zara, la quale l’aveva venduta a Francesco Franquino il 03.03.1752.

I coniugi Pasquale Mariny “batelero” e Caterina Gassia, domiciliati alla Marina, che possedevano una casa composta da un “sòttano” e due piani alti nella strada Jesus della Marina, comprata per 300 scudi dal mercante Francesco Franquino (con un censo di 400 scudi a favore del Monastero di Santa Lucia, con 20 scudi di pensione annua), con atto notarile del 05.08.1782 vendettero per 715 scudi la casa (2861 parte terza, o sinistra) al negoziante Vincenzo Crobu, il medesimo che comprò 4 anni più tardi la parte seconda della stessa unità 2861.

Nel suo donativo del 1799 Vincenzo Crobu dichiarò fra i suoi beni due case in contrada Gesus, composte entrambe da un basso e due piani alti; da una ricavava 59 scudi, e pagava un canone enfiteutico ai padri Scolopi dell’Annunziata (per una proprietà di lire 1425), dall’altra ricavava 49 scudi di affitto e pagava un canone al Monastero di Santa Lucia (per una proprietà di lire 1000); si tratta appunto della seconda e della terza parte della casa 2861, acquistate dal Crobu nel 1786 e nel 1782.

Nella denuncia per il donativo della Casa di Probacion delle Scuole Pie (non datata, probabilmente del 1799), venne dichiarata una casa sita nella contrada Gesus, concessa in enfiteusi a Vincenzo Crobu, dalla quale si ricavavano lire 75 annue di pensione.

Anche il Monastero di Santa Lucia, nella sua denuncia per il donativo, del 1799, dichiarò di ricevere una pensione annua di 37 lire e 10 soldi (recte 57.10?) da Vincenzo Crobu.

Con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai del 02.03.1809, Vincenzo Crobu vendette le merci della sua bottega, sita nella sua casa della strada Gesus, ai coniugi Carlo Timon e Rosalia Scardaci; i coniugi erano già soci del Crobu, e gestivano la bottega di merci varie per la quale il Crobu aveva pagato il fondo di bottega per 400 scudi, mentre i coniugi Timon Scardaci mettevano il proprio lavoro; per avere una maggiore autonomia e un maggior guadagno, i coniugi chiesero al Crobu l’acquisto del fondo di bottega, ed egli acconsentì anche perché erano “compari di battesimo”; si fece così il nuovo inventario delle merci che risultò di lire 857 cioè scudi 342 e reali 8; i coniugi avrebbero pagato in 2 anni e 10 mesi, in rate mensili di 10 scudi, a parte l’ultima che sarebbe stata di scudi 12 e reali 8; il Crobu inoltre cedette in affitto, per 50 scudi annui, sia il sottano dove si trovava la bottega, sia il magazzino, situato nell’altra piccola casa di sua proprietà, sia il primo piano della casa stessa dove si trovava la bottega.

Nel frattempo in data 16.02.1809 era morta Gesuarda Usai, moglie di Vincenzo Crobu; oltre al marito gli eredi erano i 4 figli: Efisio e Francesco maggiori di 25 anni, Teresa minore di 22 anni e monaca professa nel Monastero di Santa Chiara in Stampace, e Maria Annica minore di 14 anni; il Crobu si interessò nei dovuti tempi per far eseguire l’inventario e si rivolse al notaio Gio Battista Cicalò Galisai; sorsero però dei problemi: il notaio fu arrestato (per motivi non noti) e non fu in grado di completare l’inventario; il Crobu si era già occupato di far eseguire le perizie su tutti gli immobili, ma l’inventario era appena abbozzato e inutilizzabile; dovette chiedere alla Reale Cancelleria il permesso di iniziare un nuovo inventario con altro notaio; il permesso gli fu accordato per due mesi a partire dal 19 giugno 1809; il notaio Venanzio Campus, quartese dimorante in Stampace, il primo luglio del 1809 avvisò i figli dei coniugi Crobu che alle 3 pomeridiane del 3 luglio avrebbe dato inizio all’inventario, invitandoli ad essere presenti; si recò quindi a casa di Efisio, che rispose che non sarebbe mancato; poi si recò al Monastero di Santa Chiara per avvisare suor Teresa; questa, alla presenza della Madre Badessa Raffaela Busu, rispose che non sarebbe stata presente, fidandosi completamente del padre; avvisò poi Francesco il quale rispose che avrebbe partecipato, e infine avvisò Maria Annica la quale rispose che non era necessaria la sua presenza, fidandosi del padre, curatore e amministratore della sua eredità.

Il 3 luglio Venanzio Campus si recò alla casa di abitazione dei Crobu, dove era morta Gesuarda Usai, nella strada di San Michele in Stampace (attuale via Azuni); dopo essersi occupato minuziosamente dei beni mobili presenti nella abitazione, secondo le abitudini del tempo, passò all’elenco dei beni immobili; fra questi c’erano due case attigue nel quartiere della Marina e strada di Gesù, con confini tali da poterle identificare con sicurezza con le due case 2861/b e 2861/c; si trattava di due case con ingresso in comune, composte entrambe dal pianterreno e due piani alti coi balconi di ferro, con pozzo e cisterna in comune; erano state avvalorate dal mastro muratore Giovanni Piu, dal mastro falegname Sisinnio Pes, e dal mastro ferraro Efisio Sanna; la più grande fu stimata per scudi 1203 e reali 5, la piccola per scudi 859 e reali 5.

Con atto notarile del 31.03.1813 Vincenzo Crobu, in accordo con i figli, procedette alla assegnazione dei beni spettanti per l’eredità materna, fino ad allora indivisa, ai figli grandi Efisio e Francesco; un’altra quota sarebbe andata a Marianna, ancora nubile e molto giovane; l’altra figlia suor Teresa non era interessata alla divisione in quanto tutelata dalla dote “parafernale” già assegnatale; al figlio Efisio vennero assegnate merci e attrezzature della bottega da vinaio dove egli già lavorava insieme al padre; vennero invece assegnate al figlio Francesco le due case attigue nella strada Gesus, con i medesimi confini già specificati nei precedenti documenti; il valore delle case era di scudi 1020, reali 9, un soldo e 10 denari (esclusi i censi caricati sulle case, per i quali si pagavano pensioni ai Padri Scolopi e al Monastero di Santa Lucia), somma che eccedeva di scudi 70 (e spiccioli) quanto spettava al figlio, che avrebbe dovuto quindi rimborsare il padre Vincenzo.

Con atto notarile del 01.05.1813, Francesco Crobu Usai, figlio di Vincenzo Crobu e della fu Gesualda Usai, vendette entrambe le case al negoziante Francesco Antonio Rossi; nell’atto è specificato che si trattava di due case attigue situate nella contrada Gesus, che Francesco Crobu aveva ricevuto nella divisione dei beni materni, a seguito del decesso di Gesualda Usai; le case erano state acquistate dai genitori, durante il loro matrimonio, e su una gravava un censo di scudi 400 e pensione 20 a favore del monastero di Santa Lucia, per il quale si erano obbligati i precedenti proprietari Pasquale Marini e Caterina Gassia; sull’altra si pagava un canone di 30 scudi al noviziato delle Scuole Pie, da cui i coniugi Crobu Usai avevano avuto la casa nel 1786; nel 1813, in occasione della vendita al Rossi, le due case furono avvalorate per lire 4221 e soldi 19, avevano entrambe 2 piani alti e una bottega.

Dopo il 1850 tutta l’unità 2861 (comprendente le due case Crobu e la casa Scarpinati/Doneddu) apparteneva al conte Francesco Mossa (1786-), presidente della Corte d’Appello, il quale nel 1806 aveva sposato Angela Rossi (1786-1833) figlia del negoziante Francesco Antonio, quindi sorella del barone Salvatore Rossi. 



[1] Nel 1804 Ignazio Marini fu catturato dai “Barbari Africani” e ridotto in schiavitù; sua moglie Caterina Pasca, intenzionata a partire per Algeri per trattare il suo rilascio, era in possesso di 200 scudi che “alcuni fedeli le elargirono per un tal effetto; non volendoli esporre a qualunque rischio o sinistro accidente potessero incorrere portandoli seco, ha stimato depositarli e affidarli alla di lei suocera Catterina Cassia” (ASC, atti notarili insinuati Cagliari, volume febbraio 1804, carta 583).

 

  

2862     

Vi sono 7 atti notarili, rintracciati nell’Archivio Ballero (ASC) che citano questa casa;

1) il primo è del 22.01.1757, e registra la vendita di una casa da parte dei Padri del convento di Bonaria al Misuratore Generale Gerolamo Massey; la casa comprata dal Massey era l’unità catastale 2871, confinante con la casa di Joseph Antonio Bruno, “calle del Pagator por medio”; la casa del Bruno è appunto la numero 2862.

2) il secondo atto, del 07.01.1760, conferma quanto detto sopra; si tratta della registrazione di una ipoteca sulla casa del Massey in calle di Gesus, davanti alla casa Bruno 2862.

3) il terzo atto, del 23.06.1762, è la registrazione di un’altra ipoteca sopra la stessa casa Massey, confinante “calle del Pagator en medio” con casa che era di Joseph Antonio Bruno e poi di Madama Lucia (o Luisa) Bonvilar.

4) nel quarto atto, del 17.03.1768, Joseph Racca chirurgo maggiore dei Dragoni, vendette i 2 censi di proprietà, con ipoteche sulla casa Massey, al monastero della Purissima Concezione, e confermò i confini con la casa Bruno poi Bonvilar;

5) il quinto atto è quello del 1770 già citato per la casa 2861, con il quale il negoziante Francesco Franquino vendette la sua casa a Pasquale Marini: in questa circostanza la casa 2862 risulta del “tendero” Gavino Pisano;

6) il sesto atto è quello del 1782, citato anch’esso per la casa 2861, col quale Pasquale Marini e la moglie Caterina Grassia cedettero la loro casa a Vincenzo Crobu, confermando il confine con la casa di Gavino Pisanu;

7) il settimo permette un collegamento certo fra i primi 4 atti, relativi alla casa Massey 2871, e i 2 successivi, relativi alla casa 2861: il 02.12.1806 Ursula Racca vedova Corda, erede del patrigno Gerolamo Massey, si obbligò di un censo verso il monastero della Purissima con ipoteca su 3 case che possedeva nella Marina; fra queste vi era la casa grande che aveva ereditato dal fu Girolamo Massey in strada Gesus, e che confinava mediante la strada del Pagatore con casa di Gavino Pisano (-1808).

Non si conosce nessun collegamento di parentela fra madama Bonvilar e Gavino Pisano, occorrerebbe rintracciare l’atto di vendita della casa Bonvilar a favore del Pisano, fra il 1768 e il 1770.

A questi atti dell’Archivio Ballero, peraltro sufficienti, si aggiungono i seguenti documenti:

1) un atto notarile del 31.12.1796 con cui Gerolamo Massey donò la sua casa 2871 alla figliastra Ursula Racca; è confermato il confine con la casa Pisano 2862;

2) il donativo del 23.06.1799 di Gavino Pisano, nel quale egli dichiarò una casa in contrada Jesus, dirimpetto a quella abitata dal segretario Doneddu (2522), composta da un piano terreno diviso in 2 camere, un primo piano abitato dal Pisano, con 3 stanze, e il secondo piano con 2 camere e la cucina, affittato per scudi 20; il Pisano pagava una pensione annua di scudi 25 al Capitolo, per un censo di scudi 500 e un’altra pensione annua di scudi 15 al Trinitario Padre Pisano, per un censo di scudi 250.

3) l’inventario dei beni lasciati dal defunto Misuratore Antonio Gerolamo Massey, fatto il 09.03.1801; venne stimata la casa di abitazione del defunto (2871), sita nella strada del Gesù, con 2 facciate, una sulla strada di Gesus, l’altra sulla strada del Pagatore davanti alla casa del confetturiere Gavino Pisano.

4) un atto del 01.07.1809 nel quale, in riferimento ai confini delle case Crobu 2861, le case 2862 e 2863 sono dette di Vincenzo Pisano, figlio di Gavino.

5) un atto notarile del 14.10.1811, relativo alla casa Racca 2871, in cui si fa riferimento agli eredi di Gavino Pisano.

Gavino Pisano, negoziante proveniente da Mamoiada, morì nel 1808; in atto notarile del 1813, relativo alla casa 2861, la casa 2862 risulta appartenere ad Antonio Vincenzo Pisano (1767-), figlio di Gavino e di Caterina Maroto di Villacidro; da questi ultimi atti sembra che il Pisano possedesse anche la casa 2863, posteriore alla casa 2861.

Dopo il 1850 la casa 2862 apparteneva al Capitolo Cagliaritano, che nel 1808 era il maggiore creditore del fu Gavino Pisano.

 

2863     

Fra i pochi documenti rintracciati che forniscono notizie su questa unità catastale vi sono gli atti notarili già citati per la casa 2861, uno del 1770, l’altro del 1782: in entrambi risulta appartenere a Isabella Admirabile (o Mirabili), vedova di Estevan Carta, per i quali non si conosce nessun dato biografico e genealogico.

In atti di ottobre e novembre 1803, relativi alla casa 2864, quella con numero catastale 2863 è attribuita al negoziante di Mamoiada Gavino Pisano (-1808), già proprietario da molti anni della casa 2862; questa informazione trova conferma in atti notarile del 1809 e del 1813 relativi alla casa 2861, dove è scritto che dietro e di fianco a quest’ultima vi erano le proprietà di Antonio Vincenzo Pisano (1767-) del fu Gavino, i quali possedevano quindi sia la casa 2862 sia la 2863, una laterale e l’altra posteriore alla 2861.

Dopo il 1850 apparteneva al panettiere cagliaritano Giovanni Ferrea[1], morto nel 1893 a 68 anni di età nella sua abitazione della strada del Pagatore, presumibilmente la stessa 2863 di cui si parla. 



[1] Il padre di Giovanni Ferrea, pure lui Giovanni, figlio di Stefano, era nato a Bogliasco (Boggiasco in genovese); anch’egli panettiere, morì a Cagliari nel 1867 in una casa di via Gesus, vedovo di Francesca Stagno; quest’ultima era figlia del panettiere Giovanni Battista Stagno, pure lui  di Bogliasco, proprietario della casa confinante 2864 e della case 2893 e 2894, quest’ultima nella strada Gesus.

  

2864

Con atto notarile del 24.03.1759 il Misuratore Gerolamo Massey comprò la casa 2870 nella strada del Pagatore, posta alle spalle alla casa che già possedeva (2871) e confinante davanti con la casa della vedova Maria Ignacia Virdis (2864), strada del Pagatore in mezzo. Maria Ignazia Isabella Virdis era vedova di Efisio Dela Ruvera, col quale si era sposata nel 1734; le sue figlie Anna e Rosa Dela Ruvera sposarono rispettivamente i due fratelli notaio Pietro Murgia Melis (proprietario di diverse case nel quartiere) e Luigi Murgia Melis.

La casa 2864 è la stessa che indicò Rosa Dela Ruvera nel suo donativo del 01.07.1799: situata nella strada del Pagatore, composta dal primo piano e da un sottano di due stanze, vi era caricato un censo di scudi 250 di proprietà dei Padri Claustrali, ai quali venivano pagati gli interessi annui al 6%, cioè 15 scudi; era affittata per scudi 29 annui. La denuncia per il donativo fu presentata e firmata dal marito Luigi Murgia Melis; non si conosce la data di morte dei due coniugi, lei era nata nel 1739, lui nel 1728.

Con atto del notaio Pietro Santino del 20.10.1803, Giuseppa Carboni, vedova di Giuseppe Tommaso Murgia Melis, incaricò i periti muratori e falegnami di stimare la casa per conto dei suoi figli minori Maria Anna (di anni 19), Efisia (di anni 17), Giovanni (sotto i 12) e Pietro (di anni 7) Murgia Melis; Giuseppe Tommaso, morto nel 1800, era a sua volta figlio del notaio Pietro Murgia Melis, morto fra il 1797 e il 1799. La stima fu fatta in accordo col genovese Gio Batta Stagno, che era interessato all’acquisto.

Il 02.11.1803 la casa fu venduta a Gio Batta Stagno per 350 scudi, 13 scudi (e spiccioli) al di sotto della perizia; proveniva dall’eredità dello zio (prozio) Luigi Murgia Melis, fratello del nonno notaio Pietro Murgia Melis; era in stato rovinoso, non abitabile e gli eredi non avevano il capitale per rimetterla in sesto; inoltre era ancora gravata dal censo di 250 scudi dei padri Claustrali; Stagno pagò solo 100 scudi, si trattenne infatti i 250 scudi del censo.

Un atto del 24.12.1808 dello stesso notaio Santino conferma il cambio di proprietà; infatti in quella data i Padri Claustrali firmarono la ricevuta per il saldo del debito di scudi 250 di capitale e pochi interessi a favore del genovese Gio Battista Stagno; i Padri Claustrali avevano acquistato il censo dal reverendo Giuseppe Simbula di Napoli il 15.11.1785, ed era stata la vedova Maria Ignazia Virdis, con la figlia Rosa Della Ruvera, a caricarlo sulla casa in data 20.04.1775.

Da un atto del 01.06.1810, relativo alla frontale casa Racca 2870, l’unità 2864 risulta ancora del genovese Battista Stagno.

Giovanni Battista Stagno era un panettiere proveniente da Bogliasco; nato circa nel 1761, morto a Cagliari nel 1848, si sposò nel 1799 con Teresa Gianella (Gianello, Granello, Granella) di Portofino con la quale ebbe numerosi figli. 

Dopo il 1850 la casa 2864 apparteneva all’Arciconfraternita del Santo Sepolcro.

 

2865      vedi 2856