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Isolato X: Siciliane/discesa San Francesco/San Francesco/Monserrato

(via Sardegna, via Concezione, via Roma, via Lepanto)

numeri catastali da 2558 a 2569

Le modifiche più importanti intervenute in questo isolato sono dovute alla sostituzione delle case sull’attuale via Roma (unità 2561, 2562, 2563, 2564) con i palazzi Fercia-Pisano, Vascellari-Beretta e Puxeddu costruiti fra il 1932-1951; al posto delle case 2568 e 2569, all’angolo fra la via Sardegna e la via Lepanto, vi è un alto edificio post-bellico, mentre le piccole unità 2558 e 2559 risultano unite a formare un’unica casa.

 

2558     

Da un atto notarile dell’agosto 1800, relativo alla confinante casa 2568, sembrerebbe che la casa 2558 fosse una proprietà di don Giuseppe Rapallo; non è stata trovata nessun’altra conferma a questa attribuzione, e il Rapallo nel suo donativo non dichiarò di avere proprietà nella strada del Monserrato; inoltre, nella denuncia per il donativo del 1807 presentata dall’amministratore dei Legati Pii, è compresa la casa 2559, che aveva ai lati una casa della Comunità di Sant’Eulalia (2560) e una casa dei padri Minimi di San Francesco di Paola, identificata appunto con l’unità 2558.

In due atti notarili del 1803, relativi alla casa 2569, la casa confinante 2558, composta da un sottano e un piano alto, risulta appartenere per metà (il piano terra) ai padri Paolini, l’altra metà (il primo piano) ai fratelli Podda Bianquera, cioè al dottore in diritto Diego, al reverendo beneficiato Mauro, e ad Anna e Maria Francescaquesti ultimi, insieme ai loro parenti fratelli Pani Bianquera, erano stati proprietari anche della casa confinante 2569; il più piccolo dei fratelli Pani Bianquera, ancora minore nel 1803, si chiamava Giovanni Battista, e si presume che sia il medesimo Battista Pani che risulta abitasse la casa 2558 nel 1824, come si legge da una causa, iniziata quell’anno, relativa alla casa 2569; non si sa a che titolo Battista Pani abitasse la casa; è possibile che ne fosse proprietario, a seguito di uno scambio con i cugini Podda Bianquera; la proprietà delle due case 2558 e 2569 era probabilmente in precedenza del comune nonno materno Bianquera.

Dopo il 1850 risultano due proprietari: il muratore Cosimo Crobu, figlio del fu Francesco, e il Convento dei padri Minimi di San Francesco; quest’ultima informazione, tratta come di consueto dal Sommarione dei Fabbricati, conferma quanto scritto nel citato donativo del 1807; si può ipotizzare che la proprietà del Crobu fosse quella che in precedenza era di Battista Pani Bianquera.

E’ decisamente dubbia l’attribuzione del 1800 a Giuseppe Rapallo; quest’ultimo possedeva invece la casa 2561, sulla strada San Francesco; non si può escludere che l’atto notarile del 1800 si riferisse a questa casa, che non confina assolutamente con l’unità 2568, ma che potrebbe aver costituito un punto di riferimento valido perché più importante rispetto alle altre case più vicine; c’è anche da notare che in quell’atto non è riportato il proprietario della casa 2569, laterale alla 2568, il cui nome viene lasciato platealmente in bianco, a dimostrare una scarsa conoscenza dei confini della casa 2568, oggetto dell’atto notarile.

 

2559     

Da un atto notarile del 30.01.1799, relativo alla casa 2560, risulta che la casa 2559 appartenesse al Capitolo Cagliaritano; quest’informazione non contraddice quanto riporta il donativo (1807?) dei Legati Pii, le cui proprietà possono essere ricondotte al Capitolo, anche se soggette a una amministrazione particolare; nella denuncia per il donativo dei Legati Pii è compresa una casa proveniente dal “legato Dedoni”, dichiarata nella strada dei Siciliani, ma in realtà identificata con la casa 2559 nella strada del Monserrato, composta da un piano terra di una sola stanza, e due piani alti con una sala e un’alcova per piano, e una cucina al secondo; valutata lire 1875, fruttava lire 120, e confinava davanti con casa dei Mercedari (2551), ai lati con case di Sant’Eulalia (2560) e dei padri Minimi (2558).

Dopo il 1850 la casa apparteneva alla Congregazione di Carità di Cagliari.

 

2560     

Un primo riferimento a questa unità catastale è in atto notarile del 10.03.1792, relativo alla casa 2565: questa confinava alle spalle, oltre che con la casa Viale 2563, anche con la casa del defunto dottor Antonio Floris (o Flores), la quale potrebbe corrispondere all’unità 2560; c’è una conferma a questa attribuzione in un atto del giugno 1796 relativo alla casa 2562; c’è però da dire che l’ipotesi è resa incerta dal fatto che i confini posteriori delle case dell’isolato non sono per nulla chiari, a volte contraddittori; qualche anno dopo la casa apparteneva al ricco commerciante Pasquale Ponsiglione; questi, con atto notarile del 30.01.1799, la cedette alla Comunità di Sant’Eulalia in cambio di un’altra casa, anch’essa  nella Marina: la comunità cedette al Ponsiglioni la casa 2706 posta nella strada de las Tagliolas, o meglio nella piazza della Fontana Nuova; il Ponsiglioni cedette alla Comunità la casa di 3 piani (compreso il terreno) numero 2560, posta nella strada dei Siciliani o (più esattamente) di Fra Luis Grech[1]; aveva davanti una casa dei padri Mercedari (2551), di spalle la casa del fu notaio Alonzo Palomas (2562), ai lati le case Rapallo (2561) e del Capitolo (2559); era stata valutata in 3437 lire, 19 soldi, 22 denari.

Come si è detto nel precedente paragrafo questa casa fu citata nel donativo dei Legati Pii, in quanto laterale alla casa 2559; come al solito non è possibile identificarla dal donativo privo di dettagli della Comunità di Sant’Eulalia, nel quale erano comprese ben 12 case nella strada del Monserrato, due delle quali chiamate di Ponsillon, di cui una formata da un magazzino al piano basso e uno al primo piano, l’altra formata dal piano terra e due piani di 6 stanze: ques’ultima sembra adattarsi alle caratteristiche della casa scambiata col negoziante Ponsiglioni.

Nell’inventario dei beni del fu Giuseppe Rapallo, datato 02.03.1812, è compresa la casa 2561, sulla strada di San Francesco del Molo, dietro la quale via era una casa di proprietà della Comunità di Sant’Eulalia, cioè l’unità 2560. La stessa informazione è data da un atto dell’anno successivo, relativo alla casa ex Rapallo, poi Porcile, numero 2561.

Dalla causa civile del 1824, già citata per la casa 2558, risulta che la casa 2560 appartenesse in quell’anno ancora alla Comunità di Sant’Eulalia; il proprietario non era cambiato nei dati catastali successivi al 1850. 



[1] come si è visto non è l’unico caso in cui il tratto più basso dell’attuale via Lepanto è chiamato strada dei Siciliani, trascurando l’altro nome “Monserrato”, più usato per la parte alta della discesa  

 

2561

Il primo documento rintracciato che cita questa casa è una concessione demaniale del 1789 relativa alle case 2202, 2203 e 2204, sulle mura della strada di San Francesco: quelle case avevano davanti, sull’altro lato della via, una casa dei padri Minimi (2550) e una casa di proprietà del negoziante Giuseppe Rapallo (2561); il dato è confermato da altra concessione demaniale del 1791, relativa alla casa 2205.

Con atto del 04.05.1792 Giuseppe Rapallo firmò la donazione di 26000 scudi a don Raffaele Porcile, garantendogli tale somma sulle case che il Rapallo possedeva nella strada della Costa (2391) e nella strada di San Francesco del Molo (2561) e su altri beni; la casa 2561 confinava con la casa degli eredi del notaio Alonzo Palomas (2562) e con casa di padri Minimi (2550), sull’altro lato della strada dei Siciliani.

Nell’atto del giugno 1796 relativo alla casa 2562, la casa 2561 è detta di don Giuseppe Rapallo[1].prima appartenente al nobile Sebastiano Sifola (o Zifola, Scifola, Cifola)[2], e poi a monsieur Miguel Angel Odoz.

In ordine di tempo c’è poi il donativo del 1799 dello stesso cavalier Giuseppe Rapallo, che si limitò a dichiarare la casa nella strada San Francesco di Paola, composta da una bottega e 3 piani di 30 stanze in tutto, affittata per lire 750 annue, e non fornì nessuna indicazione sui proprietari vicini.

In questa casa, proprietà di don Giuseppe Rapallo, nel 1804 abitava il notaio Michele Corrias (presumibilmente in affitto); egli vi ricevette dei coniugi suoi clienti, che gli consegnarono il loro testamento.

Al secondo piano vi abitava in affitto il Capitano delle Regie Armate Giuseppe Humana, figlio di Francesco e di Rosalia Gaibisso; egli vi morì il giorno 09.11.1806; il notaio Raimondo Piras, a cui il defunto aveva consegnato il testamento già dal 13.03.1805, si recò il giorno stesso nell’abitazione, riconobbe il cadavere, aprì e lesse il testamento: esecutore era il fratello del defunto, reverendo Pasquale Humana beneficiato di S.Eulalia a cui spettarono dei candelabri di argento; erede universale era la sorella Maria Antonia, vedova di Giuseppe Pinna di Filippo.

Nel marzo 1812 la casa è citata nell’atto di inventario dei beni del defunto cavalier Rapallo: la sua morte avvenne la mattina del 20.11.1811, gli eredi erano i figli Giovanni, Vittorio e Beatrice, e la loro madre donna Anna Rapallo nata Porcile; fra i beni compresi nell’inventario c’era una casa di 3 piani alti e piano terreno, situata in contrada del Molo “limitrofa davanti a casa di Vincenzo Carboni (recte Crobu) strada frammezzo (2202), dietro con casa di S.Eulalia (2560)”.

Dopo la morte del cavalier Rapallo ci furono delle contese sui suoi beni fra gli eredi e il conte Raffaele Porcile, a cui il Rapallo con l’atto già citato del 1792 aveva fatto una cospicua donazione: in quel periodo Giuseppe Rapallo era celibe; nel 1801, in tarda età, si sposò con una nipote del conte Raffaele, Anna Porcile (1785-1848), da cui ebbe tre figli; la donazione venne quindi contestata dagli eredi, ma convalidata con sentenza definitiva del tribunale il 23.04.1812, e il conte Porcile fu immesso in possesso della casa sulla strada di San Francesco in data 20.02.1813; con atto del 16.08.1813 il conte Raffaele Porcile cedette agli eredi Malliano un censo di lire 2500, e rendita annua di lire 125, caricato sulla casa donatagli da don Giuseppe Rapallo, composta da piano terreno e 3 piani alti; i confini specificati in questo atto sono i seguenti: davanti la casa di Vincenzo Carboni (recte Crobu), unità 2202, dietro una casa di S.Eulalia (2560), da un lato la casa del medico Salvatore Lepori (2562), sull’altro lato una casa dei padri Paolotti (2550).

Un ulteriore citazione della casa è stata rintracciata in un documento del Regio Demanio[3] del 07.04.1845, relativo alla casa 2202, sita davanti alla casa Porcile 2561.

Dopo il 1850 il proprietario era invece il negoziante Giovanni Cocco.



[1] Il negoziante Giuseppe Rapallo ebbe il titolo di cavaliere nel 1793

[2] Don Sebastiano Sifola (o Cifola), coniugato con donna Teresa Lay, ebbe figli alla Marina fra il 1713 e il 1722 (http://www.araldicasardegna.org/)

[3] ASC, Regio Demanio Affari diversi, vol 215 carta 49

 

2562     

Nella concessione demaniale rilasciata per le unità catastali 2206 e 2207, in data 11.02.1786, la casa davanti a queste, sull’altro lato della strada San Francesco del Molo, era quella del defunto Alonzo Palomas, abitata dal dottor Lepori: si tratta della casa col numero 2562; il notaio Alonso Palomas era già morto da diversi anni, e sua moglie Francesca Crobu morì vedova nel 1777; una loro figlia, Orosia, nata a Villacidro e morta a Cagliari nel 1803, aveva sposato nel 1739 il medico Antonio Michele Lepori, di famiglia originaria di Ghilarza, morto nel 1780; il loro figlio Salvatore (1744-1825), medico come il padre, aveva sposato nel 1779 Barbara Reynaldi, ed era probabilmente lui a vivere nel 1786 nella casa che era stata del nonno materno.

Nell’atto del maggio 1792 con cui Giuseppe Rapallo firmò la donazione a Raffaele Porcile (si veda la casa 2561), vengono citati come proprietari della casa 2562 gli eredi del defunto notaio Alonzo Palomas.

Con atto notarile del 29.06.1796, Eorosia (sic) Palomas vedova del medico Antonio Lepory, ricevette dal Gremio dei bottai 400 scudi che le avrebbero permesseo di “accomodar la sua casa di abitazione” sita nella strada di san Francesco di Paola, ereditata dal padre notaio Alonzo Palomas. Il padre era morto senza testamento ne 1774, e il 24.02.1794 era stata fatta la divisione ereditaria fra Eorosia (o Orosia) e i figli della sua defunta sorella Marica Palomas, cioè i fratelli Ramon, Rita e la suora Francesca (monaca in Santa Lucia), figli del defunto “boticario”, cioè speziale Manuel Fundoni. A Eorosia spettarono i due piani alti. Nell’atto del 1796 è specificato che si trattava della stessa casa che il notaio Palomas aveva acquistato il 27.01.1749 dall’Arciconfraternita del Monte di Pietà, onerandosi di un censo di 800 scudi; l’Arciconfraternita l’aveva comprata il 07.08.1706 (o 1716, il dato è poco leggibile) da Luisa Dessy, vedova di Marty Marongiu.

Da atto notarile del 13.02.1802 risulta infatti che parte della casa 2562 (cioè mezzanelli, magazzino terreno e 2 piccoli sotterranei) era stata ereditata da Marica Palomas coniugata con lo speziale Emanuele Fundoni, e dalla donna era passata ai figli: Francesca Fundoni monaca di Santa Lucia, Raimondo Fundoni speziale, e Rita Fundoni; Rita morì senza testamento, lasciando unici proprietari il fratello e la sorella; Raimondo, residente nel 1802 a Barumini, godette della parte di casa e dei beni paterni come se fosse l’unico erede, fino a quando, nel 1802, si raggiunse un accordo fra fratello e sorella Fundoni per cui la porzione della casa nella strada di San Francesco e altri beni materni restarono a suor Francesca, mentre Raimondo tenne la spezieria e i beni ereditati dal padre. Francesca si dovette accollare anche la pensione di 16 scudi da pagare all’ex gesuita reverendo Francesco Tocco, per un censo che gravava sulla casa, alla quale si aggiunse una pensione di 10 scudi su un capitale di 200 scudi da pagare a Raimondo. La casa confinava con le proprietà Rapallo (2561), Viale (2563), e Coiana (2565).

In data 27.03.1804 il medico Salvatore Lepori, figlio della defunta Orosia Palomas (-1803), firmò un censo di 550 scudi, onerati sulla casa, per conto proprio e per conto dei fratelli Agostino e Vigilia (o Virgilia) Lepori e della cugina suor Francesca Fundoni; la proprietà del censo era del Monastero di Santa Lucia.

Nel donativo del Gremio dei Bottai, del 12.08.1807, venne dichiarato il capitale di lire 1000 (cioè 400 scudi) del quale nel giugno 1796 si era onerata la fu Orosia Palomas sulla casa nel piazzale di San Francesco di Paola, ora dei suoi figli ed eredi, cioè il medico Salvatore Lepori (1744-1825) e Agostino Lepori (1753-1815), per scudi 24 annui.

Altri riferimenti alla casa 2562 sono stati rintracciati in atto notarile del 17.08.1811 ed in altro atto del 16.08.1813: i due atti riguardano rispettivamente la casa 2207, sulle mura del Molo, e la casa 2561; in entrambi i documenti la casa 2562 è quella del medico Salvatore Lepori, e nel primo atto viene citato anche il fu Alonso Palomas, antico proprietario.

Dopo il 1850 risulta che  appartenesse in parte al monastero di Santa Lucia, e in parte a don Francesco Rapallo tesoriere del monte di riscatto.

 

2563     

Data la forma a elle è intuibile che questa unità catastale fosse formata in passato da due distinte case; il primo riferimento rintracciato è in un atto notarile del 1792, con cui il negoziante Paolo Cojana ipotecò le sue case nella discesa della chiesa di San Francesco, di fronte alla facciata laterale della chiesa stessa; con qualche dubbio le case del Cojana sono state identificate con l’unità 2565 e la parte più bassa dell’unità 2566, che confinavano da una parte con la casa Fais (parte alta dell’unità 2566), e dall’altro con la casa del fu notaio Francesco Pau (o Cau?)[1], che prima era del notaio Vicente Perra (2563, parte sulla discesa); di spalle confinavano con la casa Tiragallo Floris (2567) e Viale (2563, parte sulla strada San Francesco); anche in questo caso i confini posteriori non sono certo chiari, anche per l’inesattezza (o per le differenze intervenute) della mappa catastale di metà ‘800; infatti fra i confinanti non è citata la proprietà della casa 2560, ed è invece citata la proprietà Viale, come se il cortile di quest’ultima casa fosse più lungo di quanto appare in mappa, tanto da separare la casa 2565 dalla 2560.

In atto notarile del giugno 1796, relativo alla casa 2562, è specificato che sul lato destro (guardando dalla casa verso l’esterno) c’era la casa degli eredi Viale, ma più anticamente (nel 1749) il proprietario era il notaio Vicente Perra, che quindi possedeva tutta l’unità 2563.

Con atto notarile del 23.12.1797 venne eseguita la divisione dei beni del defunto don Francesco Maria Viale (suo testamento pubblicato il 28.01.1796) fra la vedova donna Pasquala Denegri e i suoi figli, il dottor Giuseppe Angelo, il reverendo Pasquale, il dottor Giovanni Battista, Rosa, e Raimonda fratelli e sorelle Viale; Raimonda era assistita dal marito dottore don Pietro Cossu Cossu, mentre l’altra figlia Barbara, coniugata col cavaliere e giudice don Giuseppe Cossu, era assente dal Regno e aveva avuto già la sua parte con la dote.

Fra i tanti beni del defunto, alla figlia Rosa toccò la casa nella strada di San Francesco di Paola detta casa Cau (o Pau? casa 2563), che aveva due facciate, una sulla strada di San Francesco, di fronte alla cortina del molo, e l’altra nella stradicciola dirimpetto al laterale della chiesa; confinava da un lato con casa del notaio Alonzo Paloma (2562), dall’altro con la casa di Donna Barbara Busetti (2564); la casa, valutata lire 5350 soldi 17 e denari 6, aveva il piano terreno con un magazzino e una camera dalla parte della stradicciola, il piano superiore con sala, camera, 2 alcove, andito, cucina; ultimo piano con 2 camere, alcova, cucina. Da queste informazioni si desume che il defunto Viale aveva acquisito l’intera unità 2563, senza poter indicare la data dell’acquisto.

La casa Viale è citata nell’atto del febbraio 1802 relativo alla casa Palomas 2562, a essa laterale.

In data 06.11.1814 don Giovanni Viale (forse erede della sorella Rosa?) la vendette al negoziante Paolo Cojana, già proprietario delle due case laterali 2565 e 2566/a; Cojana s’impegnò a pagare 3200 scudi in 8 anni, con l’obbligo di pagare il frutto compensativo di scudi 160 annui; fino al 1817 i pagamenti furono regolari, eseguiti prima dal Cojana (morto nel 1816), poi dai suoi eredi; quando gli eredi Cojana smisero di pagare don Giovanni Viale si rivolse al tribunale che condannò la vedova di Paolo Cojana, Maria Michela Saccumannu, con figli e figlie sopravissuti e i nipoti, al pagamento degli arretrati.

La causa non era ancora terminata nel 1842, quando il conte don Giambattista Viale ancora cercava di recuperare dei crediti dagli eredi Cojana; in particolare si riferisce che nella casa avevano abitato Maria Michela Saccumannu (morta nel 1828), con i figli Raffaele, Filippa, Priama, e le nipoti Girolama e Paola Cojana figlie di Salvatore (figlio di Paolo) e poi Priama Cojana, figlia di Paolo, col marito avvocato Francesco Garau.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che la casa 2563 facesse parte del Legato Rapallo.

 



[1] Un notaio Pau era in attività nel 1760

 

2564     

Nella concessione enfiteutica del terreno corrispondente alle unità catastali 2206 e 2207, datata 11.02.1786, è scritto che detto terreno era situato davanti alla casa Palomas 2562, sino all’angolo con la casa della signora Barbara Busetti (o Bozzetti), quest’ultima identificata con l’unità 2564.

Dall’atto di divisione dell’eredità Viale, del 23.12.1797, la casa Viale 2563 confina da una parte con la casa Palomas 2562, dall’altra con la casa di donna Barbara Busetti, numero 2564.

Nella sua denuncia per il donativo del 20.06.1799, don Giovanni Antonio Delrio dichiarò (per conto della moglie donna Barbara Bozzetti) una casa nella strada di San Francesco di Paola, composta da 10 camere, di cui una parte era affittata per scudi 39 annui, e se l’affittata tutta ne avrebbe potuo ricavare scudi 80; veniva pagata al monastero di Santa Lucia la pensione per un censo di 1000 scudi.

Nella sua denuncia per il donativo del 27.12.1806, donna Barbara Bozzetti dichiarò di possedere una casa nella strada di San Francesco di Paola composta da piano terra e due piani alti, affittata per scudi 119 annui, di cui venivano pagati 50 scudi annui al monastero di Santa Lucia per un censo che vi era caricato.

Nell’atto del 17.08.1811, con cui venne venduta la casa 2207, sulle mura della strada San Francesco, è ancora citata la casa di donna Barbara Busetti, numero 2564, in quanto si trovava davanti alla casa venduta.

I coniugi Delrio Bozzetti si sposarono a Cagliari nel 1768; lui era un avvocato originario di Sindia, lei di famiglia genovese, ma suo nonno materno era un Lopes, spagnolo di Alicante. Ebbero figli battezzati in Sant’Eulalia fra il 1769 e il 1782; donna Barbara Bozzetti morì nel 1816, don Giovanni Antonio Delrio morì nel 1820. 

Senza averne certezza, non si esclude che la casa 2564 sia la stessa che Maria Lucia Marras, vedova di Gregorio Lopes, lasciò alla figlia Maria Antonia Lopes col suo testamento del 11.11.1742, specificando che era la sua abitazione, ed era situata “en la Marina y placa del Molo”, formata da “altos y bassos”; Maria Antonia Lopes, nata nel 1718, sposò nel 1748 Marco Antonio Buseti (o Bozzetti); da loro nacque Barbara, che nel 1768 sposò don Giovanni Antonio Delrio.

Infine, da una causa civile del 1825, relativa all’eredità del panataro genovese Giuseppe Sesselego, è inserito l’inventario di certi beni del defunto, custoditi in un magazzino al piano terra della casa di don Gaetano Mearza, attiguo alla chiesa della comunità Minima, “viottolo fra mezzo”; data la posizione sembra plausibile che ci si possa riferire alla casa 2564 ex Busetti.

Dopo il 1850 questa casa apparteneva al negoziante Stefano Simonetti del fu Giovanni; non si hanno su di lui notizie anagrafiche, a parte che la sua vedova, Eulalia Sessego (o Sesselego), morì a 62 anni il 14.02.1867, in una casa della via La Costa; da notare che la donna era figlia di Antonio, fratello del panettiere Giuseppe Sesselego, prima nominato.

 

2565 e 2566/a   

Con atto notarile del 12.03.1792 il negoziante Paolo Cojana ipotecò alcune sue proprietà per garantire il pagamento di una casa in Stampace che voleva acquistare; fra i beni ipotecati vi era una casa nella Marina, nella “calle de la bajada dela iglesia de S.Francisco de Paula”, corrispondente in questo caso all’attuale via Concezione; la casa, identificata con l’unità catastale 2565, aveva davanti la parete laterale della chiesa (2593), da un lato confinava con la casa del fu notaio Francesco Pau che prima era del fu Vicente Perra (2563/b), dall’altro lato con una casa dello stesso Cojana (parte dell’unità 2566/a), un tempo del monastero di Santa Chiara, di spalle con casa degli eredi di Giovanni Battista Viale (2563/a) e con la casa del defunto dottor Antonio Floris (2560?); Cojana l’aveva comprata il 03.02.1779 dalle sorelle Orosia e Maria Luisa Palomas, figlie di quell’Alonzo Palomas già proprietario della casa 2562. Paolo Cojana ipotecò anche la casa contigua (2566/a), nella stessa strada, davanti anch’essa alla parete della chiesa, confinante con la casa Fais (2566/b), con la precedente casa del Cojana (2565), di spalle con la casa del negoziante Estevan Tiragallo Floris (2567); l’aveva acquistata con atto notarile del 04.02.1780 dal monastero di Santa Chiara.

La proprietà Cojana è citata negli atti notarili del novembre 1797 e di aprile 1798, relativi alla proprietà Tiragallo 2567, che confinava di lato con la casa 2566/a, e sul retro con la casa 2565.

Il Cojana nella denuncia per il donativo (1799?) dichiarò di possedere una casa “alla parte sinistra del convento dei Padri Minimi”, per uso della sua famiglia; era formata da un magazzino piccolo dove conservava vino, e una stanza terrena usata come bottega per il vino; al primo piano una sala, un’alcova, due stanze, una cucina e una stanzina; al II piano 2 sale, 2 alcove, 2 stanze e una stanzina piccola; tutta la casa avrebbe potuto rendere, se affittata, scudi 58. Non fornisce altri dettagli sui confinanti, ma da quanto riferisce, la casa protrebbe identificarsi con entrambe le case acquistate nel 1779 e 1780, unite in una sola abitazione.

Due atti notarili del dicembre 1799 e del gennaio 1801, relativi entrambi alla casa Fais (2566/b) citano la confinante proprietà Cojana 2566/a; un atto del 13.07.1801 riguarda invece sia la casa del Cojana 2566/a e la confinante casa Fais 2566/b: il Cojana aveva aperto da diversi anni una piccola finestra nella sua casa, che si affacciava sulla lanterna della casa laterale (ex-casa Fais, poi di Sant’Eulalia); la comunità di Sant’Eulalia cercò in tutti i modi di far chiudere la finestra, citando il Cojana in tribunale; nel luglio 1801 si giunse a un accordo, per cui il Cojana garantì di non ingrandire la finestra, di non aprirne altre e di chiuderla a richiesta della Comunità.

La casa 2565 è citata invece in atto del febbraio 1802, relativo alla casa Palomas 2562, che confinava sul retro con la parte posteriore della casa Cojana.

Con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai del 24.05.1805 Paolo Coiana ipotecò la sua grande casa d’abitazione, sita nella strada laterale alla chiesa di San Francesco, composta da due piani alti e il piano terreno; dovette farlo per garantire al Monastero di Santa Chiara il “parafreno” per la figlia Antonica, che vi era monaca, e per la quale versava 50 scudi annui, provenienti da un’osteria che possedeva in Stampace. 

Un’informazione poco chiara si legge nel donativo del 14.08.1807 dei Legati Pii, la cui casa 2559 confinava alle spalle con casa di Salvatore Cojana (1776-); questi era figlio di Paolo, e la sua casa potrebbe identificarsi con la stessa casa 2565, ipotizzando però dei cortili ben diversi da quelli disegnati sulle piante disponibili; da notare che Paolo Coiana morì nel 1816, per cui risulta insolito il riferimento al figlio Salvatore, rendendo quindi il dato ancora meno sicuro; un’ipotesi è che Salvatore vivesse nella casa, ancora di proprietà del padre, un’ipotesi alternativa è che la casa indicata come quella di Salvatore Coiana fosse un’altra, forse la 2567 o parte di essa, in affitto dal Convento dei Padri Minimi che la possedeva in quell’anno.

Per gli anni successivi è da citare una causa civile iniziata nel 1824: le parti avverse erano i fratelli don Enrico e don Federico Garau, figli del senatore Raimondo Garau, contro i siciliani di Trapani Giuseppe e Antonio Durzu (ex D’Urso), padre e figlio; i Durzu, in difficoltà economiche, con scrittura privata del 02.05.1823 avevano ceduto a Raimondo Garau due case che possedevano nella Marina, una in contrada San Francesco e l’altra dei Siciliani, entrambe gravate da pesi a favore della chiesa di Santa Lucia; continuarono ad abitare in una delle case, per cui dovevano pagare il fitto di scudi 100 l’anno, e avevano diversi debiti nei confronti dei fratelli Garau; Giuseppe Durzu aveva comprato le due case dagli eredi Cojana; quella nella strada di San Francesco è identificata con le due unità 2565 e 2566/a, situate però esattamente non nella strada di San Francesco del Molo (attuale via Roma) ma nella discesa di San Francesco (attuale via Concezione), confinanti a tramontana e a levante con case della Comunità di Sant’Eulalia (2566/b e 2560), ancora a levante con altra casa degli eredi Cojana (2563, da loro acquistata nel 1814), a maestrale con la chiesa, strada in mezzo; la casa della strada dei Siciliani è identificata con l‘unità 2569. 

Infine, dal solito Sommarione dei Fabbricati, risulta che dopo il 1850 la casa 2565 appartenesse a Tommaso Serra, mentre la casa 2566, di cui la parte inferiore era un tempo dei Cojana, poi dei Durzu, e dopo dei Garau, apparteneva interamente alla comunità di Sant’Eulalia.

 

2566/b                 

Il primo riferimento rintracciato su questa casa, che corrisponde alla parte alta dell’unità 2566, all’angolo fra la strada delle Siciliane e la discesa di San Francesco, è l’atto notarile del 1792 con cui Paolo Coyana ipotecò le sue case 2565 e 2566/a; la casa confinante 2566/b viene definita proprietà degli eredi del mastro Antonio Fais.

In un atto del 16.12.1799 si fa riferimento al testamento del mastro conciatore Antonio Fais, del 25.01.1780, che aveva istituito due benefici presso la chiesa di Sant’Eulalia, uno a favore di Gregorio Medda Cossu, figlio del suo nipote notaio Francesco Medda Pany, e l’altro al figlio che avrebbe avuto la sua nipote Francesca Satta, che era incinta, cioè Efisio Carta Satta; inoltre istituì come erede universale l’Arciconfraternita di S.Lucia; quest’ultima ebbe quindi la proprietà di 5 case lasciate dal Fais, ma non si curò mai di pagare quanto doveva alla comunità di Sant’Eulalia per le due ipoteche; alla fine del 1799 sopraggiunse un accordo fra le comunità religiose, con intervento dell’arcivescovo, e le 5 case furono cedute alla comunità di Sant’Eulalia; fra queste c’era anche una casa nella strada delle Siciliane (2566/b), al lato della sacrestia del convento di S.Francesco di Paola (2592), che aveva davanti le case delle madri Cappuccine (2577) e del negoziante Antonio Melis (2576), alle spalle la casa di Paolo Coyana (2566/a e 2565), di lato la casa del poticario (speziale, farmacista) Thomas Buddioni (2567); in quell’anno era affittata al notaio Giuseppe Passio, che ci abitava.

Con atto notarile del 24.01.1801 la comunità di Sant’Eulalia, padrona ormai della casa, l’affittò per 6 anni, e per £ 175 annue, al notaio Francesco Frau Calvo; era una casa di due piani e piano terra, proveniente dalla eredità di Antonio Fais, di cui il Frau Calvo prese in locazione solo i piani alti, con l’esclusione quindi di due locali (sòtanos) al piano terra; questi i confini: da una parte il convento dei padri Minimi (2592), strada in mezzo, alle spalle la casa Cojana (2566/a e 2565), di fianco la casa degli eredi del fu Stefano Tiragallo (casa 2567, in realtà già venduta a Buddioni), davanti una casa delle monache Cappuccine (2577) e di Antonio Melis (2576).

Nel luglio del 1801 venne firmato un accordo, già ricordato nel precedente paragrafo, fra la chiesa di Sant’Eulalia e Palo Cojana, per una finestra del Cojana che si affacciava nella lanterna della casa di S.Eulalia.

In data 21.08.1804 i sacerdoti beneficiati Pasquale Matta e Gregorio Medda Cossu, per conto della Comunità di Sant’Eulalia, consegnarono la somma di lire 1024, soldi 4, denari 7, ai mastri Michele Mannai muratore e Ignazio Serra legnaiolo, per le riparazioni fatte in tre case appartenenti alla Comunità, tutte provenienti dal beneficio del mastro conciatore Antonio Fais; fra queste case vi era anche una casa nella strada dei Siciliani, da identificare con la casa 2566/b; la ricevuta di questo pagamento è stata rintracciata fra le carte dell’Archivio di Sant’Eulalia.

Un altro riferimento alla proprietà della Comunità è stato trovato in atto notarile del 03.04.1811, relativo alla casa 2576, sull’altro lato della strada dei Siciliani.

Infine è citata nella causa del 1824 fra i fratelli Garau e Giuseppe Durzu, in quanto confinante con la casa ex-Cojana 2566/a, e risultava ancora della comunità di Sant’Eulalia.

Dopo il 1850, come già detto, l’unità 2566 apparteneva interamene alla comunità di Sant’Eulalia.

 

2567

Un atto notarile del 1772, relativo alla casa 2575, riferisce che la frontale casa 2567 apparteneva agli eredi della defunta Clara Floris; senza poter identificare esattamente questa persona, la si suppone parente stretta (nonna o zia materna) del negoziante Stefano Tiragallo Floris (1722-1797), figlio di Giovanni Battista Tiragallo e di Maria Francesca Floris; non sembra un caso che una sorella di Stefano, morta bambina nel 1721, si chiamasse proprio Clara.

In un documento rintracciato fra le carte del Regio Demanio, relativo a un acquisto di un territorio nella villa di Pirri fatto da Francesco Maria Tiragallo, figlio del negoziante Stefano Tiragallo Floris, è registrata la testimonianza datata 06.07.1792 del notaio Diego Gabba, che affermò “di conoscere bene il neg.te Stefano Tiragallo Floris, che è uomo piuttosto facoltoso e possiede diversi stabili in Cagliari ed in diverse ville: tra gli altri beni una casa situata in contrada dei Siciliani, contigua da una parte a casa del fu m.o Antonio Fais, da altra parte a casa del can.co Romagnino, dirimpetto a magazzino del sig. Tommaso Buddioni, è in buono stato e di comoda abitazione e ne ricava l’annuo fitto di scudi 142, ha valore di scudi 3000, ed è sottoposta a due Capitali censi, uno di scudi 600 a favore del sac. Pietro Garau, l’altro di scudi 200 a Caterina Floris”; la casa del Tiragallo Floris, che doveva dare garanzia per il figlio con i suoi beni, è identificata con l’unità catastale 2567; la casa Fais era l’unità 2566/b, la casa del canonico Romagnino era la numero 2568, il magazzino del Buddioni corrisponde all’unità 2575, sull’altro lato della strada dei Siciliani.

La proprietà di Stefano Tiragallo Floris è citata anche nell’atto del marzo 1792 con cui Paolo Cojana ipotecò i suo beni (case 2565 e 2566/a).

Il Tiragallo morì nel corso del 1797, e in data 23.11.1797 venne completato l’inventario dei suoi beni, richiesto dagli eredi o da chi li rappresentava: il figlio Francesco Maria Tiragallo; il dottore in diritto Francesco Maria Carbony Borras, in qualità di padre e legittimo amministratore di suo figlio, cioè il minore Ignazio Carbony, Sottotenente dei Granatieri nel Reggimento di Sardegna, figlio della defunta Teresa Tiragallo, prima moglie del Carbony Borras; il dottore in diritto Bernardo Pintor Sirigu, in qualità di procuratore di donna Anna Tiragallo Cabras, moglie dell’avvocato Vincenzo Cabras; il dottore in diritto Giovanni Maria Siotto Pintor, come procuratore di don Luigi Tiragallo, consigliere della Reale Udienza; Teresa, Anna, Luigi Tiragallo erano figli del defunto, al pari di Francesco Maria.

Stefano Tiragallo, morto senza lasciare testamento, abitava nella sua casa in Stampace, strada di Sant’Anna (attuale via Azuni), dove viveva col figlio Francesco Maria, la nuora Anna Pintor e il loro figlio Pasquale; era vedovo di Giovanna Maria Marfoddi, che aveva sposato nel 1744; possedeva tra gli altri beni una casa grande sita nella calle delle Saline o delle Siciliane, confinante da una parte con le case del negoziante Pablo Coiana (2566/a e 2565), dall’altra parte con casa degli eredi del quondam canonico Romanino (2568), davanti con una casa del boticario Thomas Buddiony (2575) calle mediante; la casa fu valutata £ 5533, soldi 16 denari 8, era stata comprata con atto del notaio Gabba il 17.03.1779 dalla vedova Caterina Floris.

Una citazione della casa Tiragallo è stata rintracciata in un atto del 10.02.1798, relativo alla casa Mandis 2573, che aveva davanti le case Romagnino (2568) e del fu Estevan Floris (recte Estevan Tiragallo Floris), numero 2567.

Con atto notarile del 18.04.1798 il negoziante Francesco Maria Tiragallo Marfoddi vendette la casa 2567 al negoziante Tommaso Buddioni, già proprietario del magazzino 2575 esattamente di fronte; nell’atto è specificato che Francesco Maria era l’unico erede del padre Stefano, avendo gli altri eredi rinunciato alle loro porzioni; la vendita era anche dovuta al fatto che il Buddioni aveva un credito di scudi 1150 col defunto Tiragallo Floris da diversi anni; i confini della casa sono i medesimi specificati negli ultimi atti, dove stranamente viene dimenticata la casa Fais, ora di Sant’Eulalia, che pure era confinante; si specifica che Francesco Maria Tiragallo l’aveva ereditata dal padre Stefano, il quale ne aveva comprato una porzione il 17.03.1779 da Caterina Floris vedova di Francesco Urru, e l’altra porzione l’aveva comprata dal notaio Giovanni Carboni a cui era stata aggiudicata al pubblico incanto il 20.07.1779, e che l’aveva subito ceduta al Tiragallo; era la stessa casa che aveva lasciato il fu Gerolamo Floris col suo testamento del 06.12.1731, a rogito del notaio Giovanni Battista Orrù Delussu. Sulla parte che era 20 anni prima di Caterina Floris esisteva ancora un carico a favore della vedova venditrice: inizialmente il carico era di 300 scudi per i quali il Tiragallo Floris pagava alla vedova 15 scudi annui; poi furono pagati 100 scudi, ne rimanevano ancora 200 che furono pagati alla vedova Floris dal negoziante Buddioni in data 27.04.1798, pochi giorni dopo aver comprato l’intera casa; in tutto questo manca la ricostruzione della famiglia Floris, senza dimenticare che il primo atto citato, del 1772, attribuisce la casa ad una già defunta Clara Floris.

Francesco Maria Tiragallo, al momento della vendita al Buddioni, aveva però tralasciato di menzionare un’ipoteca di 600 scudi di capitale e pensione di 30 scudi annui, di cui suo padre si era onerato il 30.07.1779 a favore della chiesa di di San Giorgio Vescovo; per far fronte a questo debito, in data 06.06.1804, egli vendette una casa in Stampace ed un piccolo magazzino a essa frontale, immobili situati nelle strade di Sant’Anna e di Sant’Efisio, acquistati da suo cognato dottore don Vincenzo Cabras, Presidente della Real Camera dei Conti, che si fece carico del censo di 600 scudi.

Nella sua denuncia (non datata) per il donativo Tommaso Buddioni dichiarò di possedere una casa di 3 piani compresi i bassi, di 19 stanze, affittata a scudi 130, per la quale pagava un censo ai padri Agostiniani; di fronte a questa possedeva un’altra casa in corso di fabbricazione, di 25 stanze che avrebbe potuto affittare per 130 scudi; la prima casa dovrebbe essere l’unità 2567, in quanto con atto notarile del 12.12.1800 la contessa Teresa Piccolomini nata Serralutzu aveva ceduto al convento degli Agostiniani un censo di lire 50 che gravava sulla casa del fu Estevan Tiragallo Floris, acquistata dal negoziante Thomas Buddioni; quella in corso di fabbricazione dovrebbe essere l’unità 2575, per i cui lavori il Buddioni si era accordato con un mastro muratore e un mastro carpentiere in data 14.08.1798.

Altri riferimenti alla casa Buddioni 2567 sono negli atti del dicembre 1799 relativo alla casa Fais 2566/b, e nell’atto dell’agosto 1800 relativo alla casa 2568: il Buddioni è definito poticario cioè speziale (farmacista). Nell’atto di gennaio 1801, anch’esso relativo alla casa Fais, il Buddioni non è nominato: la casa 2567 è erroneamente indicata come degli eredi di Stefano Tiragallo.

Tommaso Buddioni, nativo di Tempio, morì anzianissimo (in particolare per quei tempi) il 05.01.1804, aveva circa 90 anni. Aveva consegnato un primo testamento sigillato al notaio Antonio Giuseppe Fois in data 26.11.1799, poi ne consegnò un secondo il 01.12.1803. 

Il 06.04.1804, subito dopo il suo decesso, il testamento (rintracciato nel fascicolo di una causa civile del 1807[1] venne aperto e pubblicato; non aveva figli, e nominò erede universale il convento dei padri Minimi di San Francesco di Paola, nella chiesa dei quali voleva essere sepolto; tutti i suoi mobili e oggetti della casa li lasciò ad Antonia Solinas, governante della sua casa (situata nella strada di San Francesco di Stampace), con esclusione dei denari, oggetti d’oro e d’argento, e i libri. Alla Solinas lasciò anche una abitazione per tutta la sua vita, e 40 scudi annui. Lasciò la sua spezieria al boticario Priamo Aragoni e a suo genero Giuseppe Pau, al quale lasciò anche i suoi libri; lasciò poi ai figli delle sue sorelle defunte Lucia e Maria 200 scudi e tutti i suoi beni ereditari in Gallura.

Al testamento si opposero i parenti più stretti, cioè il reverendo Giovanni Antonio Terzitta, il reverendo Lorenzo Spanu, e l’avvocato Antonio Azara per parte della moglie Giovanna Maria Spanu, tutti di Tempio.

Il defunto Buddioni era sicuramente un uomo più che benestante: con atto del notaio Gioachino Carro del 25.01.1804 fu eseguita la stima di tutti i suoi beni fra cui ben 8 immobili da lui posseduti: due nella strada dei Ferrai, in Stampace, uno nel borgo di San Bernardo, due nei pressi del convento di San Francesco di Stampace, uno nella strada dei Cavalieri del Castello e due nella strada dei Siciliani del sobborgo della Marina. 

La casa della Marina, posta fra la proprietà di Sant’Eulalia e quella degli eredi del canonico Romagnino, era composta da due patii, due piani alti e uno terreno; il piano terreno era formato da due stanze abitate dal patron Filippo Marzano e dal patron Salvatore Caddeo; i piani alti erano abitati da Pietro Gianquinto e Pietro Defassio; fu stimata dal mastro muratore Luigi Palmas, dal mastro falegname Vincenzo Adamu e dal mastro ferraro Giovanni Orrù, i quali stabilirono il suo valore in lire 5574 e soldi 15.

Da un’altra causa civile iniziata nel 1805, riguardante alcuni crediti della famiglia del medico Pietro Antonio Leo, risulta che nella casa di abitazione di Tommaso Buddioni (in Stampace) avesse vissuto per 2 anni e 6 mesi, come domestico, lo studente delle scuole inferiori Pantaleo Demas Mulas, di anni 19 e nativo di Dorgali; egli, interrogato come teste nella causa Leo, dichiarò che insieme al Buddioni vivevano gli speziali Priamo Aragoni e Giuseppe Pau, nella casa attigua a quella del medico Leo. Si sa che Pietro Antonio Leo viveva nella casa di suo suocero notaio Luigi Brundu, casa ancora esistente all’angolo fra l’attuale corso Vittorio Emanuele II e la via Sassari; l’abitazione di Tommaso Buddioni doveva essere la casa vicina, sulla strada dei Ferrai, attuale corso Vittorio Emanuele.

Dopo il 1850 la casa 2567 apparteneva ancora al Convento dei padri Minimi di San Francesco, così come l’altra casa del Buddioni numero 2575; evidentemente il tentativo dei parenti di annullare il testamento non ebbe successo. 



[1] ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 55 Busta 514 Fascicolo 6228

 

2568     

Nel documento che riporta la testimonianza del luglio 1792 sulle proprietà Tiragallo, citato nel precedente paragrafo, è scritto che la casa Tiragallo 2567 confinava con la casa del canonico Romagnino, cioè l’unità 2568; nell’atto notarile del 23.11.1797, anch’esso relativo alla casa 2567, la casa 2568 è detta degli eredi del defunto canonico, e la stessa informazione proviene dall’atto notarile del febbraio 1798 relativo alla casa Mandis 2573, sull’altro lato della strada delle Siciliane e da atto di aprile 1798, relativo ancora alla casa Tiragallo 2567.

Con atto notarile del 26.08.1800 i coniugi notaio Joseph Serri e Chiara Romagnino (residenti in Gesturi) fecero valutare una casa di loro proprietà in accordo col sarto Battista Solinas, interessato ad acquistarla; la casa, stimata per 225 scudi e identificata con l’unità catastale 2568, era situtata nella strada delle Siciliane, composta dal piano terreno e un piano alto; in ogni piano vi era una sala, un’alcova e una piccola cucina; aveva davanti quella di Bartolomeo Mandis (chiamato col suo soprannome “Sascafa”), e di lato la casa del boticario Thomas Buddioni (2567); i coniugi Serri Romagnino non conoscevano esattamente gli altri confinanti, tanto che il notaio, in quest’atto che è solo una valutazione e non una vendita, non precisò il proprietario dell’altra casa laterale 2569, lasciando lo spazio in bianco nel documento, e scrisse che la casa alle spalle era di don Giuseppe Rapallo, mentre risulta che fra la casa 2568 e la casa Rapallo (2561) ci fossero le due casette 2558 e 2559 e la casa 2560. Una spiegazione potrebbe essere che la casa Rapallo, costituisse un punto di riferimento valido in quanto di dimensioni maggiori delle altre e appartenente a persona molto nota; non è stato rintracciato l’atto di vendita successivo all’estimo, per verificare una maggior esattezza del notaio. La scarsa conoscenza dei coniugi Serri Romagnino sui proprietari confinanti può essere spiegata col fatto che essi vivevano in Gesturi, e che avevano ereditato la casa dallo zio canonico. Si tratta del canonico Lorenzo Romagnino, figlio di Giuseppe Romagnino maggiore[1] e di Isabella Lai; Giuseppe, il cui cognome originario era Ramognino, proveniva da Varazze come gli altri Ramognino/Romagnino arrivati a Cagliari nel corso del XVIII secolo; Lorenzo era nato nel 1721 e morì il 25.02.1794; lasciò i suoi beni a Chiara e Giuseppa Romagnino, figlie del fratello Gaetano, uniche nipoti sopravvissute di una famiglia, quella di Giuseppe maggiore, che era stata numerosa e che non risulta aver avuto discendenza in linea maschile. Chiara aveva sposato nel febbraio 1796 il notaio Giuseppe Serri, e Giuseppa aveva sposato nel marzo 1797 Pasquale Todde.

Come già detto non è stato rintracciato l’atto di vendita a Battista Solinas ma, in due atti notarili del 1803, relativi alla casa 2569, la casa 2568 viene detta “del quondam canonico Romanino, oggi del sarto Giovanni Battista Solinas”; potrebbe essere la stessa casa citata nel donativo del 1807 dei Padri Domenicani, i quali dichiararono di ricevere 15 lire annue per la pensione su un censo di 300 lire caricato su una casa della strada delle Saline, acquistata dal mastro Giovanni Solinas.

Dopo il 1850 apparteneva Francesco Delabona; si tratta di un notaio e procuratore nativo di Tempio, coniugato con Antonietta Solari; morì il 26.04.1878 all’età di 73 anni, in una casa della via Santa Margherita; fino al 1869 abitava nella Marina: in quell’anno morì in una casa della strada Mores, all’età di 7 anni, il figlio Luigi.

 


[1] Così indicato per non confonderlo col nipote omonimo Giuseppe, detto minore

 

2569     

Nell’atto del marzo 1801 con cui venne assegnata la casa 2553 al notaio Pietro Santino, una delle case davanti a questa era quella del mastro conciatore Antonio Pani, identificata con la casa 2569.

Con atto notarile del 14.05.1803 i mastri Antonio Guisu arbanil (muratore) e Salvador Marteddu carpintero (falegname) eseguirono un estimo su una casa della Marina: furono incaricati della perizia da fra Liberato Deidda, religioso osservante di Santa Rosolea (Rosalia) e procuratore generale dei Legati Pii del convento omonimo, unitamente ai fratelli Joseph Luis, la vedova Anna e Juan Baptista Pani Bianquera; i periti si trasferirono nella casa situata nella strada chiamata “de los Sicilianos” o “de las Salinas”, posseduta per metà dai fratelli Pani Bianquera, per metà dal convento. La metà del convento proveniva dalla donazione fatta un mese prima dai fratelli dottor Diego, reverendo Mauro, Anna e Maria Francesca Podda Bianquera, evidentemente parenti stretti dei fratelli Pani Bianquera. I confini specificati, che consentono di identificare questa casa con l’unità 2569, sono i seguenti: davanti c’era la casa del reverendo Francesco Angelo Sanna (2572); da un lato la casa che era stata del canonico Lorenzo Romanino, poi del sarto Giovanni Battista Solinas (2568); dall’altro lato la casa che un tempo era del Patron Nino Giangrasso, poi assegnata al notaio Pedro Santino (2553), quest’ultima sita nella discesa verso la strada del Molo; di spalle una casa il cui piano terreno, o sottano, era una proprietà dei Padri Paolini, il piano alto apparteneva ai già nominati fratelli Podda Bianquera (2558); si può ipotizzare che le case 2569 e 2558 fossero appartenute entrambe alla famiglia Bianquera (o Banchieri). I periti stimarono il valore della mezza casa per scudi 238. 

Il conciatore Antonio Pani, citato nel documento del 1801, aveva sposato Michela Bianquera intorno al 1760, ed era il padre dei fratelli Pani Bianquera sopra nominati.

Con atto notarile del 29.06.1803 fu confermata la vendita della casa, fatta dal "panataro" Joseph Luis, dal soldato del reggimento sardo Juan Batta e dalla vedova Anna, fratelli Bianquera figli del fu Antonio, al convento dei Padri Osservanti; essi, insieme ai loro cugini Podda Bianquera, avevano ereditato la casa dai loro nonni materni Francesco Giuseppe Bianquera e Maddalena Boi Delventri; la casa era composta dal piano terreno, o sottano, e un primo piano; vi era il carico di una proprietà censuale di 200 lire, con pensione annua di 12 lire, di pertinenza del Legato Pio delle messe del convento dei Padri Osservanti di Santa Maria de Jesus, trasferito al sito di Santa Rosalia, secondo l’atto di creazione del censo in data 21.05.1664, giurato dal pescatore napoletano Antonio Granano; quest’ultimo cedette la casa col suo censo ad Antonio Rainaldo il quale, con atto del 06.04.1672, vendette la casa ai coniugi Joseph Pisa e Angela Grossejo i quali, con atto del 11.06.1672, la vendettero al patron Francesco Delventri; alla sua morte passò alla figlia Miguela Delventri che la cedette a sua figlia Madalena Boy Delventri moglie del Patron Francesco Giuseppe Bianquera, secondo l’atto del 17.06.1731. Con la morte dei coniugi Bianquera e Boy, la casa fu ereditata dalle figlie Maria Rosa Bianquera Boi, madre dei fratelli Podda Bianquera, e Miguela Bianquera Boi madre dei fratelli Pani Bianquera.

Nel 1803 i cugini Podda Bianquera e Pani Bianquera dovevano pagare 32 pensioni di 12 lire ciascuna per il totale di 153 scudi e 6 reali; i fratelli Podda Bianquera cedettero la loro metà con atto del notaio Agostino Ligas del 15.04.1803, seguiti dai fratelli Pani Bianquera con atto del 29.06.1803. 

La Causa Pia del convento degli Osservanti diventò così proprietaria di un bene scomodo; infatti non poteva averne un guadagno immediato in quanto non era in stato abitabile, e mancava il denaro che occorreva per pagare i lavori necessari; venne perciò presa la decisione di venderla e investire il capitale ricavato in altra sicura ipoteca. Con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai, datato 10.11.1803 la casa venne venduta al negoziante Paolo Coiana per 180 scudi.

Infatti, dal fascicolo di una causa civile del 1824 risulta che fosse appartenuta alcuni anni prima al negoziante Paolo Cojana, i cui eredi l’avevano venduta al siciliano Giuseppe Durzu; era una casa situata nella strada delle Siciliane e confinante a tramontana e a levante con la strada reale (in questo caso la discesa di Monserrato, attuale via Lepanto), e a maestrale con casa di Luigi Solinas (2568); nel 1823 Giuseppe Durzu e suo figlio Antonio, in difficoltà finanziarie, la cedettero con scrittura privata al senatore Raimondo Garau unitamente a un’altra casa di loro proprietà e di identica provenienza; Giuseppe Durzu continuò ad abitare in una di quelle case per un fitto di scudi 100 annui, ma evidentemente non poté pagare, visto che i fratelli don Enrico e don Federico Garau, figli di don Raimondo (morto nel febbraio del 1824), si rivolsero al tribunale per riscuotere il loro credito.

Dopo il 1850 la casa 2569 apparteneva al convento dei frati Minimi di San Francesco.