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Isolato V: Siciliane/ Monserrato/San Francesco/ Pagatore

(via Sardegna-Consiglio Regionale, via Lepanto, via Roma, via Arquer-Consiglio Regionale)

numeri catastali da 2541 a 2557

questo isolato, così come i due precedenti, è interamente occupato dal palazzo del Consiglio Regionale; la via Sardegna, già strada delle Siciliane, ora passa sotto il palazzo e continua oltre la via Porcile. Le prime demolizioni degli edifici che vi esistevano sono precedenti ai bombardamenti del 1943: infatti già dagli anni ’30 del ‘900 le case di questo isolato furono abbattute per fare spazio alla sede della Banca d’Italia, il cui progetto fu presto abbandonato.

 

2541

Nell’atto notarile del 12.12.1788, inventario dei beni del defunto notaio Agostino Paderi, la casa dove abitava il notaio, unità catastale 2527, aveva davanti, dalla parte della strada dei Siciliani, la casa 2541; era una proprietà del Gremio dei Santelmari, cioè il gremio dei marinai e pescatori detto di Sant’Elmo o di Sant’Erasmo.

Il donativo del Gremio, rintracciato all’Archivio di Stato (SS II 1326), datato 22.06.1799, comprende una casa nella strada del Pagatore, composta da un sòttano e da un primo piano con 2 stanze e l’alcova, affittata per lire 92 e 10 soldi.

La casa è citata anche in atti notarili del novembre 1808, relativi alla casa 2517, e in atto del 24.07.1813, relativo alla vendita della casa 2518: entrambe avevano davanti la strada “dietro il convento di S.Francesco”, cioè la strada delle Siciliane, e una casa della chiesa di S.Elmo (2541).

Dopo il 1850, nel Sommarione dei Fabbricati, la casa 2541 risulta ancora di proprietà del Gremio dei Santelmari. 

 

2542 

L’unico documento che cita questa unità immobiliari è il fascicolo di una causa civile rintracciato all’Archivio Comunale (vol. 230, VIII); si tratta di una lite, iniziata il 24.10.1799, relativa a una casa del convento dei Padri Mercedari, identificata con l’unità 2551 nella calle Del Vechio; la lite riguarda alcune finestre che alcuni vicini avevano aperto nelle loro case, e che si affacciavano, senza averne avuto il permesso, sul cortile dell’unità 2551; i proprietari delle case confinanti erano il Capitolo Cagliaritano, le Monache Cappuccine, i Padri Agostiniani, e Rosa Puddu; le loro proprietà non sono di facile identificazione, poiché nella causa non vengono specificate le posizioni rispettive; grazie ad altri documenti sono state attribuite al Capitolo le case 2552 e 2557, a Rosa Puddu la casa 2555, ai Padri Agostiniani la casa 2556; escludendo altre case confinanti, di cui si conoscono i proprietari, la casa delle Monache dovrebbe corrispondere all’unità 2542; una conferma a questa ipotesi viene dai registri catastali di metà ‘800: l’unità 2542 risulta appartenere ancora alla Sagristia delle Monache Cappuccine.

 

2543

Nel 1797 questa casa era di proprietà dei padri Mercedari: l’informazione arriva da un atto notarile del 28.01.1797 relativo alla casa confinante 2544, sita nella strada is Varas o Fadas.

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 04.05.1810, la Comunità Mercedaria, rappresentata dal Padre Fra Antonio Maria Sistu, cedette in enfiteusi perpetua alla vedova Maria Bianca una casa nella strada delle Fate; la locataria è da identificare con Bianca Vasalo (o Vassallo), il cui nome viene citato per intero in un documento successivo; la casa, composta dal piano terreno e uno superiore, si identifica con il numero catastale 2543 grazie ai confini specificati: “per d’avanti detta strada framezzo col magazzino della Comunità di Sant’Eulalia (2514), per dietro con casa della medesima Comunità Mercedaria (2551), da un lato con casa del Gremio dei Muratori (2544), dall’altro lato con casa del Gremio Santelmari (2541 o 2542)”. La vedova era già affittuaria della stessa casa che fu in quest’occasione valutata per lire 1217 e soldi 10, come da relazione del Capo Mastro Francesco Usai del 15 febbraio; venne concesso il diritto di “abitarla, affittarla e usufruttuarla, ma non venderla, né permutarla senza il permesso della Comunità, e (l’enfiteuta) pagherà il canone (annuo) di scudi 30 (lire 75), e si obbliga a edificare un altro piano entro anni due, e di tenerla ben raccomodata, e nel caso la vendesse o permutasse col permesso della Comunità, pagherà il laudemio ossia la quinquagesima parte dell’estimo, e non potra cederla a mani morte”; si presentò come garante il Panataro genovese Giuseppe Sessego, dimorante nella Marina.

Nella loro denuncia per il donativo del 1812 i Padri Mercedari dichiararorno di ricevere le pensioni enfiteutiche per due case della strada is Fadas: 75 lire da Bianca Vasalo, 80 lire da Emanuele Busu; le uniche proprietà dei Padri Mercedari in quella strada sono state individuate nelle case 2517 e 2543; inoltre da un atto notarile del luglio 1813 si sa che la casa Busu era l’unità 2517, per cui si conferma l’attribuzione a Bianca Vassallo dell’enfiteusi dell’unità 2543.

La donna non potè però mantenere l’enfiteusi: non riuscì infatti a rispettare l’obbligo di costruire un altro piano per cui fu costretta a restituire la casa alla comunità Mercedaria che, in data 06.08.1812, la concesse in enfiteusi per 34 scudi annui, cioè 85 lire, al mastro calafato Efisio Monteleone; anche quest’ultimo aveva l'obbligo di costruire un nuovo piano entro 2 anni.

Nel Sommarione dei Fabbricati risulta che ancora dopo il 1850 appartenesse ai Padri Mercedari di Bonaria.

 

2544

Era la casa Denegri; in un atto del 1769 relativo alle case Cavassa (parte delle unità 2513 e 2514) vendute alla comunità di S.Eulalia, sull’altro lato della strada del Pagatore o di is Fadas vi erano le case di Agostino Humana (2545) e di Marcantonio Denegri (2544).

L’ipotesi è confermata da un atto del gennaio 1797: Francesca Denegri vedova di Giovanni Battista Isola aveva avuto in dote la casa della strada is Fadas nel dicembre 1770, al momeno del suo matrimonio; era stata la madre Maria Chiara Pisano a destinarle la casa, in qualità di amministratrice dei beni del suo defunto marito, il falegname Marcantonio Denegri, morto nel giugno 1765; nel 1797 la vedova Denegri Isola vendette al Gremio dei Muratori la casa di 2 piani e sòttano sita nella Marina e strada detta de is Fadas (o is Varas), limitrofa da una parte a casa del convento delle Monache di S.Chiara (2545), d’altra parte a casa del convento dei Padri Mercedari (2543), alle spalle a casa dei Padri dell’Annunziata (2548), davanti a casa della comunità di Sant’Eulalia 2514, strada in mezzo.

Il mastro Francesco Porcu, nella sua veste di maggiorale del Gremio dei muratori, presentò la dichiarazione per il donativo il 23.06.1799 e denunciò una casa nella calle detta de las Faras, abitazione di patron Matteo Lavagna (recte Alagna); la casa aveva il piano terreno e due piani, ognuno composto da una sala, l’alcova e una piccola cucina.

La proprietà del Gremio è confermata da atto notarile del 04.05.1810, relativo alla confinante 2543.

Ancora dopo il 1850 la casa 2544 apparteneva al Gremio dei muratori.

 

2545 e 2546       

Dall’atto del 1769 appena citato, relativo alla vendita delle case Cavassa (2513 e 2514), si è identificata la casa 2545 come quella di don Agostino Humana, defunto nel 1774.

Negli anni successivi non vi sono conferme a questa attribuzione, ed è possibile che l’Humana abbia ceduto la casa; sembra di poter identificare le unità catastali 2545 e 2546 come quelle due case contigue che nel novembre 1775 furono lasciate dal canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus alla sua pronipote Pepica Gherzi, convittora nel convento di Santa Chiara; erano due case di diverse dimensioni, che il canonico lasciava alla nipote come dote se si fosse sposata; se invece avesse scelto di diventare monaca, come poi fece, avrebbe avuto 500 scudi da suo fratello Domenico Gherzi, erede universale del canonico, e avrebbe dovuto tenere i frutti della casa piccola (30 scudi annui) come palafreno [1] mentre la casa più grande sarebbe andata a Domenico; dopo la morte della suora anche la casa piccola sarebbe toccata al fratello Domenico o ai suoi eredi; le cose andarono diversamente, in quanto Domenico sparì intorno al 1784, e non si seppe mai più niente di lui; anni più tardi fu dichiarato morto dal tribunale e, non avendo discendenti, i suoi numerosi beni restarono tutti alla sorella suora, gestiti dal convento di Santa Chiara.

Nell’atto del gennaio 1797 con cui la vedova Denegri vende la sua casa 2544, l’unità 2545 apparteneva al convento di Santa Chiara.

Le monache di Santa Chiara nel loro donativo (senza data) dichiararono 2 case nella strada del Pagatore e 3 case nella strada de las Fadas; le due strade in parte coincidono, cioè i due toponimi sono usati per indicare gli stessi tratti di strada: è più probabile che le case 2545 e 2546, insieme alla casa 2515, siano quelle indicate nella strada di las Fadas, mentre quelle della strada del Pagatore erano le case 2809 e 2817.

Nel Sommarione dei Fabbricati, quindi dopo il 1850, le case 2545, 2546, e anche la 2515, erano di proprietà dello stesso Convento, indicate ancora come situate nella strada de is Vadas, amministrate da suor Teresa Crobu. 



[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti.

 

2547

La notizia più antica rintracciata su questa casa proviene da una causa civile iniziata nel 1824, relativa alla eredità del fu Domenico Aubermit; nel fascicolo della causa è inserito un atto del 1781 dove è scritto che la casa Aubermit, identificata da questo e da altri documenti con l’unità 2200, aveva davanti la casa del mastro calzolaio Juan Gaviano, sull’altro lato della strada di San Francesco di Paola, cioè appunto la casa 2547; non si hanno molte notizie sul Gaviano e sulla sua famiglia: si tratta però con tutta probabilità di quel mastro coniugato con Margherita Giuita, la cui figlia Anna si sposò nel 1778 con Domenico Mandis; il Gaviano, rimasto vedovo, si risposò con Maddalena Carta; la figlia era erede del padre e della “madrasta” (matrigna) nel 1796.

Le notizie appena riportate sono confermate da un atto del maggio 1810, relativo alla casa Castellano 2548, che cita fra i confinanti Domenico Mandis, e da atto del dicembre 1811, relativo alla casa 2199, che aveva davanti, sull’altro lato della strada San Francesco, la casa della moglie di mastro Domenico Mandis.

Dopo il 1850 la casa 2547 apparteneva a Rosa Montorbio vedova Tanca; Il cognome è incerto: nei registri dei cimiteri di Cagliari risulta che il 18.10.1881 morì alla Marina l’ottantenne genovese Rosa Montabio; nei registri dell’anagrafe cagliaritana risulta che quel giorno morì al numero 57 di via del Pagatore, Rosa Montobio vedova di Giovanni Tanca, sarta. E’ possibile che la donna sia morta esattamente nella casa 2547, con facciate sulla via San Francesco e sulla via del Pagatore. Attualmente non sembra esistere in Italia nessuno dei tre cognomi citati; il cognome Montobio era però presente nel secolo XIX nel genovese, e attualmente è presente in Liguria e altrove il cognome Montobbio.

 

2548

Il primo documento che cita con chiarezza questa casa è l’atto notarile del 08.01.1797 relativo alla vendita della casa Denegri 2544, che aveva alle spalle la casa 2548, appartenente in quell’anno ai padri dell’Annunziata.

Sono stati rintracciati altri documenti, privi di dettagli utili all’identificazione esatta delle casa, relativi a una proprietà della Casa di Probacion delle scuole Pie dell’Annunziata, nella strada di San Francesco del Molo:

1)       il primo documento, in ordine cronologico, è un atto notarile del 22.02.1798 con cui il mastro platero Antonio Ignazio Puddu restituì 2 case contigue, poste in quella strada, ai padri dell’Annunziata che in data 30.06.1794 gliele avevano concesse in enfiteusi; poiché il Puddu non aveva pagato il canone annuo di 57 scudi e mezzo, il 30.06 1796 fu citato in giudizio e infine costretto a liberare le case;

2)       il secondo documento è il fascicolo di una causa civile del febbraio 1799: il procuratore del noviziato delle Scuole Pie chiedeva che il mastro muratore Vincenzo Castellano pagasse il canone di 57 scudi e mezzo, scaduto il 15.01.1799, per la casa concessa in enfiteusi, situata nella strada di San Francesco del Molo;

3)       vi è poi il donativo (non datato, probabilmente del 1799) dei padri dell’Annunziata, nel quale venne dichiarata una casa nella strada di San Francesco concessa in enfiteusi a Vincenzo Castellano per lire 143 e 15 soldi, cioè esattamente 57 scudi e mezzo;

4)       con atto notarile del 19.03.1805, Giovanni Sitzia di Iglesias e domiciliato a Cagliari, concesse in affitto un “Bigliardo” pronto all’uso, con tutta l’attrezzatura disponibile e il mobilio necessario, sistemato nel piano superiore della casa della contrada di San Francesco di Paola di proprietà del muratore Vincenzo Castegliano, al parrucchiere sassarese Alberto Dais; Castegliano aveva affittato la casa a Sitzia per impiantarvi il biliardo, e Sitzia subaffittò la casa cedendo l’attività; Castegliano diede la sua disponibilità per costruire a sue spese due stanze separate entro il mese di giugno; Sitiza avrebbe continuato a pagare l’affitto annuo di scudi 36 per 3 anni, mentre Dais avrebe pagato scudi 10 al mese, per un affitto che sarebbe potuto durare due anni, col patto che, volendo ritirarsi, avrebbe avvertito anticipatamente, rinnovando l’impegno ogni 3 mesi; pagò quindi subito 30 scudi per 3 mesi anticipati.

Informazioni più precise sono fornite da un atto del notaio Ignazio Marras del 22.05.1810: si tratta della donazione tra vivi, ob Piam Causam, della proprietà enfiteutica d’una casa grande (o meglio due case unite) sita nel Quartiere della Marina e strada di San Francesco di Paola, giurato dai coniugi negoziante Vincenzo Castegliano (1748-1824) e Maria Giuseppa Giuitta (-1826), in favore della Comunità di San Giacomo di Villanova; i coniugi, dimoranti in Villanova, donarono le due case che, con atto del notaio Catte del 15.01.1798, avevano acquistato in enfiteusi dai Padri Scolopi del noviziato della Ss.ma Annunziata di Stampace; sono specificati i confinanti: da una parte la casa Monteleone (2549), dall’altra la casa Mandis (2547), davanti la casa Mazzuzi (2201), alle spalle le proprietà dei Padri Mercedari (2543 e 2551); i coniugi ne avrebbero conservato l’usufrutto; dopo la loro morte i Padri di San Giacomo avrebbero dovuto pagare ai Padri Scolopi il canone enfiteutico di lire 143 e 15 soldi. Si impegnarono inoltre a celebrare ogni anno, per il rispettivo giorno di decesso dei coniugi donatori, una messa di “Anniversario doppio” in un altare privilegiato della Parrocchia, con le campane funebri, e diverse altre messe.

Una ulteriore testimonianza sulla proprietà di Vincenzo Castellano è stata rintracciata in un atto notarile del 16.12.1811: egli alcuni anni prima aveva affittato due stanze della sua casa di abitazione, nella strada di San Francesco di Paola, a Giovanni Sitzia di Iglesias, che vi teneva un “bigliardo”; in quell’occasione il “bigliardo” venne venduto per 200 scudi al cagliaritano Efisio Gabba, con estimo fatto dal “bigliardiere” Antonio Musanti.

Con atto notarile del 07.01.1812 Efisio Gabba si accordò col fratello Bernardo Gabba per la gestione del “Bigliardo”, con tutti i suoi accessori e attrezzi vari; le stanze occupate dal biliardo, nella strada San Francesco del Molo, erano attrezzate con bottiglie, piatti, posate, graticola e spiedi, terraglie, caffettiere e tazzine, sedie e tavolini, mazzi di carte e tarocchi; vi erano due letti con coperte e materassi; Efisio consegnò a Bernardo 20 scudi, e Bernardo promise di consegnare al fratello un terzo dei guadagni, dedotte le spese.

Dopo il 1850 la casa 2548 apparteneva alla Comunità di San Giacomo.  

 

2549     

Era una proprietà dei padri Mercedari di Bonaria; se ne trova notizia in un atto notarile del 1805 relativo a una casa situata sulle mura del molo: in quest’atto è scritto che questa casa, identificata con l’unità catastale 2201, era stata acquistata il 14.05.1791 e in quella data aveva davanti una proprietà dei padri Mercedari (2549).

In una causa civile del 05.09.1799, il mastro calafato Efisio Monteleone affermò di “essere molestato” da Pasquale Maria Cicalò, procuratore del convento dei padri Mercedari; Cicalò insisteva perché Monteleone lasciasse libero un magazzino nella strada di San Francesco del Molo che aveva avuto in affitto dal convento e dove conservava alcune partite di vino; il convento in data 22.07.1799 aveva affittato tutta la casa al negoziante siciliano Francesco Flores, nonostante il magazzino fosse già affittato al Monteleone.

La proprietà dei Mercedari era chiamata casa Brancifort, composta da due piani alti e dal magazzino; non vi sono altri elementi per identificarla ma, fra le tante proprietà del convento dei Mercedari, la casa 2549 era l’unica nella strada di San Francesco.

Efisio Monteleoni evidentemente vinse la causa, tanto che riuscì a tenersi il magazzino e ad avere tutta la casa 2549 con canone enfiteutico; infatti, nell’elenco dei maioli del 1808 risulta che nella casa di Efisio Monteleone, nella strada di San Francesco, vivesse il “maiolo” Francesco Pau di Samassi; inoltre in atto notarile del 13.07.1811, relativo alla casa 2550, la casa confinante era dei Mercedari, in enfiteusi a Efisio Monteleone; ulteriore conferma arriva dal donativo dei padri Mercedari, del 30.01.1812, nel quale venne dichiarata la proprietà di una casa nella strada di San Francesco del Molo per la quale Efisio Montaleoni (sic) pagava un canone di lire 212 e soldi 10.

Un documento del Regio Demanio (ASC) del 16.09.1823 riporta la vendita della casa 2201, che ancora in quell’anno aveva davanti una casa dei padri Mercedari.

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati, dopo il 1850 la casa 2549 era ancora di proprietà del Convento dei padri Mercedari.

 

2550

Apparteneva ai padri Minimi di San Francesco; la prima citazione proviene da una concessione demaniale del 27.10.1789 rilasciata per l’unità catastale 2202, sulle mura della strada del Molo, che aveva davanti una casa dei padri Minimi.

In atto notarile del 04.05.1792 relativo alla casa Rapallo 2561, questa aveva di lato, attraverso la strada, una casa dei Padri Minimi (2550).

Con atto notarile del 13.07.1811 i Padri Minimi del convento di San Francesco concessero in enfiteusi al negoziante genovese Antonio Raggio la “casa alta de dos sostres y sotanos o sean almasines, aposentos y sisterna”, nella strada di S.Francesco di Paola, vicina al fortino; la casa aveva il portone principale nella traversa, chiamata nel documento strada de Fadas, e davanti c’era la casa Rapallo 2561; di lato e alle spalle confinava con due case dei Padri Mercedari (2549 e 2551); l’enfiteusi fu accordata per tutta la vita di Antonio Raggio, per quella di suo figlio Agostino e per quella del figlio (che probabilmente ancora doveva nascere) di Agostino; il canone concordato fu di 190 scudi annui.

Non è stato rintracciata la denuncia per il donativo dei padri Minimi; la casa 2550 è però citata nel donativo del 1812 dei padri Mercedari, la cui casa 2551 era confinante di lato con la casa dei padri Minimi.

Altre citazioni di questa casa e dei suoi proprietari (chiamati Padri Minimi, Padri Paoloti, padri del convento di San Francesco di Paola, ecc.) sono state rintracciate in un documento del Regio Demanio del 1812, relativo alla cessione della casa 2202, ed in un atto del 1813, relativo alla casa Rapallo-Porcile numero 2561.

Dopo il 1850 la proprietà della casa era ancora del convento dei padri Minimi di San Francesco.

 

2551

Era una casa dei padri Mecedari di Bonaria; è citata in atto notarile del 30.01.1799 col quale fu ceduta la casa 2560, esattamente di fronte alla casa dei Mercedari, nella strada di Fra Luis Grech (o di Monserrato, o del Vechio, chiamata a volte anche strada dei Siciliani); è probabilmente la stessa casa della calle Delvechio che fu oggetto di una causa civile, iniziata il 24.10.1799, fra i padri Mercedari e i proprietari delle case vicine, le cui finestre si affacciavano sul cortile o sul tetto della casa 2551.

E’ citata in atto del maggio 1810 relativo alla casa 2543, e in atto del luglio 1811, relativo alla casa 2550; inoltre, nel donativo del 30.01.1812 dei padri Mercedari, è dichiarata una casa nella strada del Monserrato, identificata con l’unità 2551, situata davanti alla casa 2560 di Sant’Eulalia, confinante ai lati con le case dei padri Minimi (2550) e del Capitolo (2552), e alle spalle con un’altra casa degli stessi Mercedari (2543).

Dopo il 1850 la proprietà della casa era ancora del convento dei padri Mercedari di Bonaria.

 

2552     

In un atto notarile del 1801 relativo alla casa 2553, questa confinava di lato con una casa del Capitolo, identificata con l’unità 2552; nel 1807 il Capitolo Cagliaritano presentò la denuncia per il donativo e dichiarò la proprietà di una casa chiamata casa Grasso nella strada dei Siciliani ossia strada is Fadas (a rigor di logica sarebbe nella strada di Monserrato, ma i nomi di queste strade non seguono i criteri attuali); era composta da piano terra e due piani alti, ciascuno con 2 stanze; questi i confini: di fronte una casa della Causa Pia (2559), di lato la casa del notaio Santino (2553), sull’altro lato una casa dei padri Mercedari (2551), di spalle una casa della parrocchiale di Sant’Eulalia (2554).
Anche dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2552 fosse di proprietà del Capitolo Cagliariano.

 

2553

Con atto del 30.03.1801 venne deliberata l’assegnazione per 951 scudi di una casa nella strada de “Cicilianas”, identificata con l’unità 2553, a favore del notaio Piero Santino; la casa era stata sequestrata al patron Nino Giangrasso su richiesta del Capitolo Cagliaritano, aveva piano terra e due piani alti, ed era stata messa all’asta il 17.09.1799 per la proprietà censuale di 450 scudi del Capitolo a cui il Giangrasso non pagava le pensioni annue; di lato aveva una casa del Capitolo (2552), sull’altro lato e di spalle una casa della Comunità di Sant’Eulalia (2554), sul davanti la casa del mastro Antonio Pani (2569) e sull’altro fronte una casa della comunità di Sant’Anna (2532); dovrebbe essere la medesima casa che il patron Nino Giangrasso dichiarò nella sua denuncia per il donativo, non datata ma presumibilmente del 1799: era una casa nella contrada delle Siciliane con 2 sòttani e due piani alti; il Giangrasso abitava i piani alti e uno dei sòttani, avrebbe potuto ricavarne in tutto 53 scudi, mentre l’altro sòttano era affittato per 12 scudi annui; venivano pagati 22 scudi (22 e mezzo?) al Capitolo Cagliaritano.

In due atti notarili del 1803, relativi alla casa 2569, la casa 2553, posta sull’altro lato della strada che scendeva alla strada del Molo, era quella che era stata del patron Nino Giangrasso, assegnata all’asta al notaio Pedro Santino.

La casa del notaio Santino è citata nel donativo del 1807 del Capitolo, in quanto confinante alla casa 2552; è citata nel donativo (non datato) della Comunità di Sant’Anna, in quanto frontale alla casa 2532; è anche citata nel donativo del 1807 della Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, cioè dell’Arciconfraternita dei Genovesi, in quanto frontale alla casa 2531 attribuita all’Arciconfraternita.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 05.10.1812, il notaio Pietro Santino (1753?-1821) (domiciliato nel quartiere di Villanova, notaio della Regia Vicaria), in accordo col negoziante Francesco Antonio Rossi, fece stimare l’immobile dal mastro muratore Francesco Porcu, dal mastro falegname Angelo Cardu e dal mastro ferraro Giovanni Orrù; la valutazione fu stabilita in lire 3892, soldi 9 e denari 4.

Tre giorni dopo, con altro atto del notaio Satta, fu effettuata la vendita dal Santino al Rossi, esattamente per la cifra indicata dai periti; il Rossi si caricò il censo di lire 1125 (450 scudi), proprietà del Capitolo, per il quale si pagava la pensione annua di lire 56,5, al 5%; del censo si erano onerati i coniugi Nino Giangrasso (-1805) e Rosa Sciacca (-1796) con atto notarile del 02.08.1774. Avevano smesso da tempo di pagare le pensioni, per cui la casa era stata messa all’asta su richiesta del Capitolo; anche il notaio Santino dall’agosto del 1807 non pagò più le pensioni, per cui, pendendo la minaccia da parte del Capitolo di rivolgersi al tribunale, preferì vendere.

A metà ‘800 la casa 2553 risulta di proprietà del barone Salvatore Rossi e delle sorelle Placida, Candida e Chiara Rossi (1831?-1907), figlie del fu Domenico, sotto tutela della madre Lucia Foltz; Domenico Rossi, che risulta già defunto nel 1834, era fratello del barone Salvatore, entrambi figli del negoziante Francesco Antonio Rossi; la 2553 potrebbe essere la casa che lo stesso Francesco Antonio Rossi aveva affittato ai coniugi chirurgo Maurizio Pibiri e Francesca Musu nel 1819, sita nella strada delle Saline, e di cui chiese il fitto per vie legali data l’insolvenza dei coniugi Pibiri.

In data 15.05.1896 parte di questa casa, esattamente il piano terreno e il secondo piano, al numero civico 52 della via Preti, fu sequestrata a Maria Chiara Rossi del fu Domenico, e assegnata in pubblica asta al signor Carlo Medici di Giovanni (1858?-1937) per lire 1969.10; la parte restante della casa (il primo piano e altro), era invece proprietà di donna Luigia Rossi (1798-1883) (o meglio dei suoi eredi), figlia del barone Salvatore.

 

2554     

Nell’atto del marzo 1801 con cui venne assegnata al notaio Santino la casa 2553, la casa 2554 risulta di proprietà della Comunità di Sant’Eulalia; la stessa informazione proviene dal donativo del 1807 del Capitolo Cagliaritano, dove è scritto che la casa Grasso (2552) aveva alle spalle una casa di S.Eulalia, unità catastale 2554.

Nel donativo della Comunità di Sant’Eulalia vi sono due case nella strada delle Siciliane, cioè la casa Canu composta da 2 piani con 4 stanze più il sòttano, e una delle case Mantelli composta da 2 piani di 2 stanze e il sòttano; date le dimensioni sembra più probabile che l’unità 2554 corrisponda alla casa Mantelli; come già detto altre volte, non vi sono altre indicazioni, in questo donativo, che permettano di identificare meglio la posizione delle case.

Dopo il 1850 la casa 2554 era ancora di proprietà della chiesa di Sant’Eulalia.

 

2555

Dal fascicolo di una causa civile del 1799 (si veda per dettagli le unità 2551 o 2556), l’unità catastale 2555 si identifica con la casa di tale Rosa Puddu; una conferma arriva da due atti notarili del 1804, entrambi relativi alla casa 2556, nel quale è scritto che la casa confinante era appunto quella della vedova Rosa Puddu.

Da queste scarne informazioni non è possibile identificare meglio la proprietaria: vi sono infatti diverse omonime a cui è possibile attribuire la proprietà; le più probabili risultano essere una Rosa Puddu sposata con Ignazio Boy, e un’altra sposata con Antonio Porcu. 

Non vi sono altre conferme e dai registri catastali di metà ‘800 la casa 2555 risulta appartenere alla Comunità di Sant’Anna che 50 anni prima sembra non avesse proprietà in quei pressi.

 

2556

Il primo documento che cita questa unità catastale è il fascicolo, rintracciato nell’Archivio Comunale, di una causa civile iniziata nell’ottobre 1799: i padri Mercedari, proprietari della casa 2551, citarono i proprietari delle case vicine che avevano aperto alcune finestre che si affacciavano sulla loro casa o cortile; fra i proprietari citati vi erano le Monache Cappuccine, una certa Rosa Puddu, il Capitolo e i padri Agostiniani la cui casa potrebbe essere l’unità 2556;

Con atto del notaio Giovanni Agostino Ligas del 19.08.1804 venne compilato l’estimo della casa dei Padri Agostiniani, situata nella strada dei Siciliani, eseguito dal Capo Mastro Muratore Sebastiano Puddu, incaricato dagli stessi Padri e dal chirurgo Tiberio Ghisu di Tortolì, evidentemente interessato ad un contratto enfiteutico; i confini corrispondono a quelli individuati nel fascicolo della causa di cui si è appena riferito: di lato vi era la casa della vedova Rosa Puddu (2555), sull’altro lato la casa del Capitolo (2557), davanti una casa dei Padri Carmelitani (2529); fu valutata scudi 320 e 9 denari cioè lire 800 e 9 denari; si trattava di una casa di piccole dimensioni, con piano terreno e primo piano, che necessitava di “grandi riparazioni”; veniva chiamata casa Mirabili, come al solito dal nome di un antico proprietario; il 30 agosto dello stesso anno fu firmato il contratto di enfiteusi a favore di Tiberio Ghisu, che avrebbe pagato 15 scudi annui di canone e si impegnò a riparare la casa e renderla fruttifera.

Nel donativo dei padri Agostiniani (databile 1807) è compresa una casa nella strada delle Siciliane, formata da un basso e un piano alto con 2 camere, affittata per lire 47 e 10 soldi. 

L’attribuzione al Convento di Sant’Agostino è confermata dal cosiddetto “Sommarione dei Fabbricati” cioè il primo registro catastale di metà ‘800, dove è scritto appunto che la casa 2556 apparteneva in quegli anni ai padri Agostiniani.

 

2557     

Quanto detto per la casa 2556, a proposito della causa civile del 1799, vale anche per la casa 2557, identificata come una proprietà del Capitolo Cagliaritano. Nel 1807 gli amministratori del Capitolo, nella denuncia per il donativo dichiararono una casa nella strada dei Siciliani, identificabile con l’unità 2557; era detta casa Macis, composta da un piano terreno con 2 stanze e un piano alto con altre 2 stanze, confinante di lato con una casa della confraternita di Sant’Elmo (2541) e sull’altro lato con la casa 2556 dei padri Agostiniani, di spalle con la casa 2551 dei padri Mercedari e di fronte con la casa 2528 della comunità di Sant'Anna. 

Anche il Sommarione conferma questa ipotesi: dopo il 1850 la casa 2557 era ancora proprietà del Capitolo Cagliariano.