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Isolato A2: S.Teresa/Barcellona/ viottolo fra Barcellona e S.Eulalia/S.Eulalia

(piazza Dettori, via Barcellona, via Sicilia, via Sant’Eulalia)

numeri catastali da 2948 a 2958

Le modifiche più evidenti subite da quest’isolato riguardano la casa 2948, che è stata privata della parte più sporgente sulla piazza; inoltre le case dalla 2955 alla 2958 sono scomparse, sostituite in parte da edifici recenti; da ricordare il crollo del 1943 dell’Archivio notarile, che trovava posto nella casa 2958, al posto della quale ora c’è un parcheggio.

 

2948     

Negli atti già citati del 1792, del 1799 e del 1800, relativi alla casa 2937, vi sono riferimenti alla casa 2948: vi si legge che detta casa 2937 confinava davanti, “calle por medio” con la casa Liberti e con una casa della “hermandad d’Itria” che prima era della defunta vedova Maddalena Cordilla; la casa Liberti era l’unità 2949, la casa Cordiglia, poi Itria, era l’unità 2948; la vedova Maddalena Cordiglia è da identificarsi con Maddalena Belleudi, vedova di Simone Cordiglia, morta nel 1775.

Altre notizie su questa casa si hanno dal donativo presentato il 22.06.1799 dall’Oratorio della Beata Vergine d’Itria, dove è denunciata una casa sita nella strada Barcellona, nelle vicinanze della chiesa di Santa Teresa, composta da 3 piani alti e 2 botteghe; ogni piano aveva 2 stanze, un gabinetto, una cucina; i 3 piani erano affittati al sig. Francesco Baille, console toscano, mentre le botteghe erano affittate una a Speranza Melis (coniugata con Francesco Meloni), l’altra a Salvatore Palomba.

Una conferma sull’abitazione di Francesco Baille si ha dall’elenco dei “maioli” presenti a Cagliari nel 1808, dal quale risulta che il Baille, abitante nella strada di Barcellona, ospitava nella sua casa Nicolò Cau di Ortueri, definito “poco rispettoso”.

Dopo il 1850 la casa 2948 apparteneva ancora all’Oratorio della Beata Vergine d’Itria.

 

2949

Era la casa del violinista Antonio Liberti, poi dei figli, fra cui il più noto era il dottore in diritto e professore di digesto dell’università di Cagliari Luigi Liberti. Oltre che dagli atti già menzionati del 1792, del 1799, e del 1800, relativi alla casa 2937, le stesse informazioni risultano anche da atti del 1797 e del 1798 e del 1807, relativi alla casa 2950;

Nel suo donativo senza data (probabilmente del 1799) il prof. Luigi Liberti (1752-1838) dichiarò, per sé e per le sue sorelle Maria Giuseppa (1757-1833) e Anna (1759-1806), di possedere la casa di abitazione nella strada del Portico di Santa Rosalia (2801/2804) ed un’altra casa sita nella strada Barcellona, di fronte alla casa di Marcantonio Battilana; la casa Liberti era composta da 2 piani alti di 5 stanze e 2 botteghe, una delle quali aveva una stanza dietro; detta casa era affittata in tutto per scudi 80.

In data 28.09.1801, con atto del notaio Aru, venne effettuata la divisione dei beni, lasciati dai defunti coniugi Antonio Liberti e Cecilia Matti, fra i loro figli Luigi, Anna e Giuseppa; il 05.09.1796 era stato compilato l’inventario di entrambe le eredità, e ognuno dei figli avrebbe dovuto avere beni per 5883 lire, 8 soldi, 5 denari e 2 terzi di denaro.

Antonio Liberti era morto il 01.01.1785, e da quella data le sue figlie erano vissute col loro fratello germano, avvocato e professore Luigi Liberti; vivevano dell’eredità dei loro genitori e dei guadagni del fratello; si decise di dividere l’eredità perché Anna si era sposata nel 1797 col notaio Pasquale Saunei e voleva avere la sua dote, e anche Giuseppa, nubile, voleva avere la sua parte separata dal fratello, il quale “era sposato e aveva successione”.

La casa sulla strada Barcellona fu avvalorata dai periti in scudi 1329 e soldi 25, cioè lire 3323 e soldi 15; insieme ad altri beni mobili (crediti, censi e denaro) fu destinata a Giuseppa Liberti, mentre le porzioni ereditarie di Luigi e di Anna comprendevano la grande casa sulla strada di Santa Rosalia.

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 17.02.1808, Giuseppa Liberti si accordò col mastro muratore Francesco Usai per effettuare lavori di ristrutturazione e per costruire un nuovo piano nella sua casa della contrada Barcellona; i lavori sarebbero dovuti terminare in 3 mesi, con la spesa di lire 1200; di queste, 800 furono pagate in data 11.07.1808, a lavori eseguiti. In atto del 04.05.1810 la casa è ancora definita proprietà degli eredi Liberti, abitata dal signor Rocco Degioannis.

Dopo il 1850 la casa 2949 apparteneva alle Monache Cappuccine.

 

2950     

Era la casa del protomedico Michele Ignazio Cordiglia, figlio di Simone Cordiglia e Maddalena Belleudi (proprietaria della casa 2948); aveva un diritto sulla casa il cappuccino Fra Bernardino (al secolo Pietro Giuseppe Giacinto Cordiglia, nato nel 1725), fratello di Michele Ignazio; nel 1796, alla morte di quest’ultimo, la casa fu ereditata dalla moglie Chiara Frau e dai figli, cioè il notaio Antonio Andrea, Francesca, Maria Annica e Maria Angela. Anche Fra Bernardino cedette la sua porzione di casa, valutata 300 scudi, ai figli di Michele Ignazio, mantenendone l’usufrutto.

Con atti notarili del marzo 1797, il notaio Antonio Andrea Cordiglia, che dal 1795 era debitore della sorella Maria Angela per 305 scudi, le cedette la sua parte di casa, compresa la frazione lasciatagli dallo zio Fra Bernardino; la casa, che aveva la facciata principale sulla strada di Barcellona e il retro sulla strada di Sant’Eulalia, confinava da una parte con la casa del dottor Luis Liberti (2949) e dall’altra con la casa del l’avvocato Bonaventura Cossu Madau (2951). Antonio Andrea morì nello stesso anno 1797.

Il 26.04.1798 Francesca Cordiglia, moglie di don Giuseppe Saenz di Basan (o Bajan, o Bazano) baccelliere in ambe le leggi, cedette (in enfiteusi) per 449 scudi, 9 reali, 4 soldi e 6 denari, col consenso del marito, la sua porzione di casa ai negozianti Giuseppe e Rocco Steria, padre e figlio; la casa era composta da 3 piani, l’aveva acquistata nel 1756 la sua nonna paterna Maddalena Belleudi Cordiglia che, nel suo testamento del 19.03.1775, la lasciò al figlio Michele Cordiglia con l’obbligo di dare 15 scudi annui all’altro suo figlio Fra Bernardino Cordiglia, Cappuccino (vale a dire il capitale di 300 scudi con interessi al 5%); la somma di scudi 1400, caricata sulla casa, era di pertinenza di un figlio di Michele e Chiara Frau, il Canonico Giuseppe Mariano Cordiglia, che morì però nel 1789 e i suoi beni spettarono ai suoi genitori, allora viventi.

Questi i confini specificati: da un lato la casa dell’avvocato Bonaventura Cossu Madao (2951), dall’altro la casa degli eredi del musico Antonio Liberti (2949), davanti la casa del negoziante Marco Antonio Battilana (2937), e dietro la casa del negoziante Francesco Novaro (2969).

Con atto notarile di stessa data (26.04.1798), anche Chiara Frau vedova di Michele Cordiglia e le figlie Angela e Annica cedettero in enfiteusi le porzioni di casa a esse spettanti a Giuseppe e Rocco Steria, col canone annuo di scudi 127 e mezzo.

In data 08.05.1798 Chiara Frau (morta nel 1802) fece testamento col notaio Antioco Contini; vennero nominate eredi le figlie Angela, Francesca, Marianna, i figli di Francesca e i figli del defunto Antonio Andrea; Chiara Frau dispose che venissero fatte celebrare delle messe nella chiesa di Sant’Eulalia dal figlio fra Michele (al secolo Giuseppe Simone Narciso Raimondo Cordiglia); venne specificato nel testamento che sulla casa della strada Barcellona, concessa in enfiteusi agli Steria, erano rimasti di sua proprietà scudi 233, reali 3, soldi 1, denari 4, eredità del figlio Canonico e dottore Giuseppe Mariano Cordiglia, morto nel 1789; non è la sola proprietà che i Cordiglia vantavano ancora sulla casa 2750: nell’aprile 1799 Marianna (Annica) Cordiglia cedette alla sorella Angela per scudi 75 i suoi diritti spettanti sul capitale di 300 scudi gravanti sulla casa, il cui usufrutto spettava “per il suo vivente” a Fra Bernardino Cordiglia di lei zio.

I negozianti Steria ebbero però grossi problemi economici: si sa che nel gennaio 1798 Teresa Schivo, moglie di Giuseppe Steria, dovette utilizzare la dote e i suoi beni personali, derivanti dalle eredità lasciatele dal padre Ignazio Schivo e dal fratello Rafaele Schivo, per far fronte ai debiti del marito; il contratto di enfiteusi con Giuseppe e Rocco Steria fu perciò interrotto e gli eredi Cordiglia rientrarono in pieno possesso della casa.

Con atto del notaio Giovanni Antonio Pirisi del 27.04.1804, donna Francesca Cordiglia cedette all’avvocato Michele Floris la porzione di casa che essa possedeva in comunione con le sue sorelle Anna e Angela Cordiglia, con i confini già specificati; il prezzo fu fissato in 125 scudi; donna Francesca aveva ovviamente l’assistenza del marito don Pepico Bazan ed il permesso del giudice competente, ottenuto il giorno prima. 

Con atto notarile del 18.06.1807, l’avvocato Michele Floris vendette al negoziante Francesco Onnis la porzione di casa in contrada Barcellona che aveva acquistato il 27.04.1804 da donna Francesca Cordiglia.

E’ plausibile che Francesco Onnis in poco tempo sia entrato in possesso di tutta la casa (è probabile che le due sorelle Anna e Angela Cordiglia gli concessero inizialmente la sola enfiteusi): egli, con atto del notaio Carlo Franchino Amugà del 14.07.1808, consegnò lire 370, soldi 3 e denari 10 al muratore Francesco Usai per alcuni lavori eseguiti nella sua casa fra le strade di Barcellona e Santa Teresa (come spesso veniva chiamata la discesa di Sant’Eulalia, continuazione della discesa di Santa Teresa), casa che prima apparteneva agli eredi Cordiglia; non si trattava di grandi lavori, come si può indovinare dall’esiguità della cifra, più che altro alcune sistemazioni interne ed esterne, fra queste l’aggiunta di due "poggiuoli" in ferro sulla facciata.

Con atto del notaio Gioachino Efisio Aru del 04.05.1810, le nubili sorelle Angela e Marianna Cordiglia cedettero al negoziante Francesco Onnis il “dominio diretto” della casa. Secondo le necessità del tempo le due donne, non essendo sposate, avevano avuto l’autorizzazione della Reale Cancelleria per effettuare la vendita; vengono ripercorsi gli ultimi fatti: insieme alla madre Chiara Frau le due sorelle avevano ceduto l’enfiteusi ai negozianti Steria in data 26.04.1798, col canone di 127 scudi e mezzo; dopo il fallimento degli Steria esse, con sentenza del 13.01.1804, rientrarono in possesso dell’immobile, con i miglioramenti fatti dagli enfiteuti; dopo la morte della madre la sua porzione fu ereditata dalla loro sorella Francesca moglie di don Giuseppe Basano, e la sua piccola parte fu venduta all’avvocato collegiato Michele Floris per scudi 125 con atto 27.04.1804; il Floris la vendette con atto del 18.06.1807 al negoziante Francesco Onnis per lo stesso prezzo; pertanto le due sorelle si accordarono con l’Onnis che avrebbe loro pagato la pensione vitalizia di scudi 160 a partire dal 01.09.1809, in cambio del dominio della casa; dopo la morte di una delle due sorelle la pensione sarebbe scesa a 130 scudi, fino alla morte della seconda; Francesco Onnis si sarebbe fatto carico anche della pensione di 15 scudi annui da pagare all’Oratorio di Santa Caterina Martire per la proprietà sulla casa di scudi 300; l’atto fu firmato da Onnis, non dalle due sorelle, “per non saper scrivere”.

Con atto del notaio Efisio Ferdiani del 17.09.1810, il negoziante Francesco Onnis si liberò del carico di 300 scudi di proprietà della chiesa dei Santi Giorgio e Caterina; il censo era stato acceso il 16.09.1793 da Michele Cordiglia, con atto del notaio Giovanni Onnis (fratello del negoziante Francesco).

Con atto del notaio Simone Frontello Salis del 01.07.1812, Francesco Onnis si liberò di un altro onere che vincolava la casa: arrivò infatti la sentenza del tribunale che sistemò un debito che il negoziante Rocco Steria aveva verso il negoziante genovese Andrea Compiano, per cui quest’ultimo, con decreto del 05.06.1812 reso effettivo il 25 giugno, fu immesso nella proprietà dei miglioramenti fatti dallo Steria sulla casa 2950; il Compiano si era però impegnato col negoziante Onnis (con atto del notaio Franchino Amugà del 30.07.1807) a vendergli i suoi diritti su questi miglioramenti, appena ne avesse ottenuto il possesso; Onnis pagò quindi scudi 599, reali 4, soldi 1 e denari 8.

Dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, la casa 2950 risulta di proprietà del negoziante Gerolamo Onnis (1805-), figlio del fu Francesco (1767-1843) e di Raimonda Aleson (o Alesani).

 

2951     

Diversi atti notarili, già citati per la casa 2950, forniscono l’informazione che la casa 2951 apparteneva al commendatore e avvocato Bonaventura Cossu Madao. In realtà la casa apparteneva al patrimonio di sua moglie, Maria Francesca Cossu Mallas (o Maglias), che l’aveva portata in dote come da capitoli matrimoniali del 10.11.1770; il 26.04.1797 venne valutata scudi 1000, aveva l’ingresso nella strada Barcellona, confinava da una parte con casa degli eredi Cordiglia (2950), dall’altra con casa delle nobili sorelle Madao (2952), ed era affittata in quell’anno al negoziante Rocco Steria, per 60 scudi l’anno (lo stesso che insieme al padre, l’anno successivo, acquisì in enfiteusi la confinante casa Cordiglia); era stata riedificata di recente, a seguito dei danni subiti durante l’attacco della flotta francese del gennaio 1793; con atto notarile del 07.12.1797 Maria Francesca Cossu Mallas, figlia dei defunti Agustin Angel Cossu Racis e della dama donna Vissenta Mallas Cao, cedette le sue proprietà al marito che voleva costituire una commenda con il titolo di San Pietro a favore dell’unico loro figlio, Pietro Cossu Cossu, e ne aveva ottenuto il permesso dal re.

Nel donativo presentato il 22.06.1799, Bonaventura Cossu Madao dichiarò di possedere una casa nella strada Barcellona, composta da 2 piani con 5 stanze in tutto e una bottega, affittata per scudi 60 annui.

Vi sono poi diversi atti del 1801 e del 1802 relativi alla confinante casa 2952 che citano la casa 2951, sempre di proprietà del Cossu Madao, e l’atto già citato del 18.06.1807, relativo alla casa 2950, che conferma quanto già detto. 

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 13.05.1807 il negoziante Domenico Dodero (del vivente Giambattista, di nazione Genovese) ebbe la casa in enfiteusi perpetua dall’avvocato don Bonaventura Cossu Madao, con un canone annuo di scudi 55; era sua intenzione fare diversi modifiche, per cui in data 06.08.1807 incaricò i mastri muratori Francesco Murru e Francesco Schirru e i mastri falegnami Michele Degioannis ed Efisio Congiu di avvalorare l’immobile per quantificare meglio i futuri miglioramenti. La casa aveva la facciata principale e una bottega nella strada di Barcellona, e sul retro (cioè nella strada di Sant’Eulalia, chiamata in questo casa strada di Santa Teresa) aveva una piccola entrata che portava ad un piano con due stanze piccole e un mezzo piano dove era la cucina; fu valutata in totale lire 1499 e 10 soldi.

I lavori furono sicuramente eseguiti, tanto che fu danneggiata la confinante casa Castegliano (2952); a seguito di una sentenza per una causa presso la Reale Udienza, il muratore Murru fu condannato ad eseguire a sue spese diverse opere nella casa Castegliano, secondo un accordo col proprietario firmato il 09.09.1809.

Un atto notarile del 06.03.1812, relativo alla casa confinante 2952, riferisce che la casa confinante apparteneva al commendator Bonaventura Cossu Madao, in enfiteusi alla “ragione di negozio” Gio Batta Dodero e figli, commercianti genovesi.

Bonaventura Cossu Madao era nato a Busachi nel 1735, figlio di Antonio Francesco Cossu e della nobil donna Francesca Madau; era avvocato, commendatore e cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro, aveva sposato in prime nozze Paola Rolando, in seconde Francesca Cossu Mallas; morì a Cagliari nel 1820; Pietro Cossu Cossu, l’unico suo figlio ed erede, cavaliere e dottore in leggi, si sposò nel 1795 con donna Raimonda Viale; rimasto vedovo si risposò nel 1814 con la nobile Battistina Carroz di Alghero; divenne conte di Sant’Elena nel 1823[1], morì nel 1846.

Dopo il 1850 la casa 2951 apparteneva al negoziante Domenico Dodero; potrebbe essere il medesimo che stipulò il contratto di enfiteusi nel 1807.

 


[1] Francesco Floris e Sergio Serra, Storia della nobiltà in Sardegna

 

2952     

Il primo riferimento che si ha di questa casa è l’atto del dicembre 1797 relativo alla casa Cossu Madao (2951), già citato: apparteneva allora alle “nobili sorelle Madao” (Madau, Medao, Medau) di cui s’ignora l’esatta parentela, che sembra probabile, col commedantor Cossu Madao; una delle sorelle Madao era Francesca (omonima della madre di Bonaventura Cossu Madao), morta nel 1799; un’altra potrebbe essere Giovanna, morta in Castello nel 1796, una terza sorella doveva essere Giuseppa, morta nel 1789, vedova di don Ignazio Ledà.

Nel donativo (del 1799?) dei nobili fratelli Antonio, canonico Raffaele, Maria Giuseppa, suor Isabella e Rita Ledà è dichiarata una casa nella strada Barcellona composta da 7 stanze in tutto, fra grandi e piccole, affittata per scudi 70 annui; non vi sono elementi che possano far capire quale sia la casa Ledà, ma che si tratti della stessa casa delle sorelle Madao è chiaro dai documenti che seguono.

Alcuni atti notarili del 1801 e del 1802 riferiscono che la casa apparteneva alla fu donna Francesca Madau, morta senza testamento nel 1799; l’eredità della defunta nobildonna era amministrata dall’avvocato don Antioco Giuseppe Angioy, per conto degli eredi fratelli e sorelle Ledà (dei quali la Madau era una zia, sorella della loro madre Giuseppa Madau sposata con don Ignazio Ledà), e fu concessa in affitto per 6 anni all’inizio del 1801 al negoziante Giuseppe Castegliano e a suo fratello mastro muratore Vincenzo Castegliano; l’affitto era di scudi 100 ogni mezza annata, con le riparazioni a carico degli affittuari; i confinanti erano l’avvocato Cossu Madao da una parte, il negoziante Francesco Fodret (Vodret) dall’altra. 

In data 11.04.1801 i fratelli Castegliano pagarono 230 lire e 14 soldi ai mastri Francesco Murtas muratore e Giuseppe Espetto falegname per le riparazioni fatte sulla casa.

Il 19.09.1801 il canonico don Raffaele Ledà vendette la sua porzione di proprietà a Giuseppe Castigliano; in quell’occasione la casa, composta da 2 piani alti e una bottega, era stata fatta valutare dal misuratore generale Gerolamo Massei, e la porzione di don Raffaele Ledà fu venduta per 350 scudi.

Lo stesso fece il 15.03.1802 il cavalier don Antonio Ledà di Ittiri, fratello del canonico Raffaele, Luogotenente Colonnello nelle Regie Truppe di S.M.; nell’atto é specificato che la casa era stata nuovamente valutata dal mastro muratore Sebastiano Puddu e dal mastro falegname Angelo Cardu, e la porzione di don Antonio venne venduta per 350 scudi allo stesso Giuseppe Castigliano, miglior offerente.

Con atto del 20.07.1802 anche le sorelle Ledà donna Maria Giuseppa, la vedova donna Maria Rita, e sor Isabella del Monastero della Purissima Concezione, cedettero le loro 3 quote al Castegliano; ottennero in tutto 1200 scudi, che vennero affidati a don Antioco Giuseppe Angioy, marito di donna Maria Giuseppa Ledà, il quale li avrebbe investiti nell’acquisto di una casa nel quartiere del Castello.

Giuseppe Castegliano, dopo l’acquisto della casa, si trovò a corto di soldi per “continuare le sue negoziazioni”; il 15.08.1802 ottenne 700 scudi a censo, con pensione annua di scudi 35, dal signor Carlo Dessì, che agiva in qualità di esecutore testamentario del fu notaio Agostino Paderi; Castegliano perciò “ipoteca la sua casa (2952) di 2 piani e bottega nel sobborgo della Marina e regione denominata di Barcellona, confinante davanti con casa del sac. Domenico Pittaluga (2939) strada mediante, da un lato con casa del negoziante Francesco Vodret (2953), d’altra parte con casa del comm. Bonaventura Cossu Madao (2951), dietro con casa della fu Giuseppa Belgrano (2968), casa comprata dai nobili fratelli Ledà che la ereditarono dalla zia la fu donna Francesca Madao.” 

Con atto del notaio Giovanni Agostino Ligas del 30.08.1809 il Castegliano ottenne altri 300 scudi da Carlo Dessì, provenienti anche in questo caso dall’eredità Paderi; fu pattuito l’interesse al 5%; sarebbero serviti per riedificare la casa grande a due piani nella strada di Barcellona, che fu quindi onerata di una nuova ipoteca. 

In data 09.09.1809 si accordò col muratore Francesco Murru per la riedificazione e ammodernamento della casa; il Murru era però obbligato a fare a sue spese diverse opere a causa dei danni da lui cagionati nel corso dei lavori eseguiti nella vicina casa Dodero (come da sentenza per una lite presso la Reale Udienza); fra i lavori da eseguire c’era il rifacimento completo della facciata sulla strada di Barcellona e suo innalzamento e allineamento con la facciata della casa Dodero, con due porte al piano terreno e due finestre per ognuno dei due piani alti, con i balconi in ferro; anche la facciata sulla strada di Sant’Eulalia doveva essere innalzata; inoltre c’era il rifacimento totale del tetto, con le cappe dei camini, e diversi lavori all’interno sui muri, archi e travi. Probabilmente nel corso di questi lavori l’accesso principale della casa fu spostato sulla strada di Sant’Eulalia.

Con atto notarile del 06.03.1812 i coniugi Giuseppe Castegliano e Maria Floris vendettero la casa 2952 al mercante Rocco Degioannis; era una casa composta da 2 piani alti e bottega, sita fra le strade Barcellona e Sant’Eulalia, vendutagli dai fratelli Ledà fra il 1801 e il 1802; i coniugi Castegliano “..si provvedettero di quella abitazione per occuparsi di un negozio di merci da palmo e peso, che non è riuscito giovevole e non idoneo al sostentamento d’una numerosa famiglia della quale sono gravati, e non possono soffrire il peso di cui è gravata la casa, cioè 50 scudi sul capitale di scudi 1000, in favore della eredità del fu Agostino Paderi….. Con la vendita potrebbero pagare i creditori e impiegare quanto resta nel negozio di vino da essi già sperimentato”.

Fu venduta per 3800 scudi, più di quello per cui fu valutata dal regio misuratore Pasquale Piu; Rocco Degioannis giudicò l’affare comunque conveniente, in quanto era ben situata, e molto comoda per “lo smaltimento delle merci del negozio”.

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 10.06.1812 Degioannis consegnò 1000 scudi ai coniugi Castegliano e Floris, residuo del debito che ancora aveva per l’acquisto del 6 marzo precedente.

Altro documento che è possibile citare, che fornisce notizie della casa 2952, è l’inventario dei beni del defunto negoziante Francesco Vodret, iniziato il 18.02.1813: la casa 2953, di proprietà del Vodret, confinava di lato con una casa (2952) che aveva comprato Rocco Degiuannis dal patron Giuseppe Castegliano.

Rocco Degioannis (1773-1836), figlio del mastro falegname Francesco, era negoziante e parrucchiere; sposatosi nel 1795 con Maria Gianquinto ebbe numerosi figli tra cui il sacerdote Francesco (1803-1890) e Giovanni Battista (1821-1883), noto giurista e professore di diritto nelle università di Cagliari, di Pavia e di Pisa, a cui la città di Cagliari ha intitolato una strada [1].

Dopo il 1850, risulta dall’antico catasto che la casa appartenesse al sacerdote beneficiato Francesco Degioannis figlio di Rocco.

Un’altra figlia di Rocco Degioannis, Rita (Cagliari 1817 - Roma 1899), sposò nel 1844 il sassarese Antonio Castoldi Solinas; fra gli altri figli da loro nacque Alberto Castoldi (Cagliari 1848-Roma 1922), ingegnere, matematico, politico e commendatore, dal 1877 direttore generale dell’importante complesso delle Miniere di Montevecchio, genero dal 1875 di Giovanni Antonio Sanna (Sassari 1819-Roma 1875), padrone delle stesse miniere. 

Da informazioni raccolte da varie pubblicazioni (fra cui “L’uomo di Montevecchio” di Paolo Fadda), si sa che Alberto Castoldi nacque in una casa della contrada di Sant’Eulalia e la famiglia di Giovanni Antonio Sanna visse a Cagliari in via Sant’Eulalia, fra il 1851 e il 1856, in una casa di proprietà della famiglia Castoldi (con la quale esisteva un buon rapporto di amicizia): è confermato che nella casa 2952 nacquero nel 1848 Alberto Castoldi, nel 1852 Zelì (Eulalia) Sanna, figlia di Giovanni Antonio Sanna, la quale nel 1875 sposò lo stesso Castoldi; da un atto notarile del 1919 (Conservatoria) viene chiarito che la casa era stata proprietà di Rita Degioannis, sorella del sacerdote Francesco, e nel 1899, alla morte di Rita, venne ereditata dai figli; per rinuncia da parte della figlia Maria Castoldi e per cessione da parte di Giulia e di Giuseppe Castoldi, divenne una proprietà esclusiva dell’ingegner Alberto Castoldi; con atto del notaio Giuseppe Sulis egli la cedette nel 1919 al ragionier Massimo Costa (Cagliari 1857-Roma 1934), capo contabile alle miniere di Montevecchio; alla sua morte (testamento di Massimo Costa, da Conservatoria) venne ereditata dalle figlie nubili Amelia, Giulia e Nella Costa con usufrutto della sua vedova Matilde Murroni (Cagliari 1863- Roma 1954). 

Nel 1919 la casa era ancora gravata da due censi: uno di proprietà della comunità di Sant’Anna, l’altro della comunità di Sant’Eulalia; entrambi provenivano da un legato pio del notaio Agostino Paderi , defunto nel 1788 (a cui nell’atto notarile del 1919 viene attribuito per errore il titolo di nobile anziché di notaio).



[1] Le targhe della strada a lui dedicata riportano (o riportavano) la dicitura “via Gianquinto Degioannis”, come se il cognome materno Gianquinto fosse il nome proprio: l’esatto suo nome era invece “Giovanni Battista Degioannis Gianquinto

 

2953     

Il primo riferimento che si ha di questa casa è del 1801, dagli atti già citati relativi alla casa 2952: la casa laterale a quest’ultima, numero catastale 2953, apparteneva al negoziante Francesco Vodret (Casale Monferrato 1731- Cagliari 1813); la stessa informazione viene ripetuta in altri atti del 1802 e del 1812, relativi anche questi alla casa 2952, e in atti del 1811 e 1812, relativi alle case 2940 e 2954.

Il 16.02.1813 morì Francesco Vodret; il notaio Rocco Congiu il giorno 19 dello stesso mese diede principio alla compilazione del lungo inventario dei suoi beni, su richiesta della vedova Grazia Isola e del curatore ed esecutore testamentario reverendo Ignazio Vodret, beneficiato di S.Eulalia, figlio del defunto e di Grazia Isola; vennero chiamati, per la compilazione dell’inventario, gli altri figli e le figlie con i rispettivi mariti: il negoziante Gregorio Vodret e la sorella Angela Vodret, il negoziante Giacomo Angelo Federici con Anna Vodret, il negoziante Salvatore Rossi (poi barone) con Grazia Vodret, il negoziante Nicola Dugoni con Giuseppa Vodret, il negoziante Efisio Sciaccarame con Maria Vodret, ed infine il notaio Giuseppe Cossu, segretario Regio Patrimoniale, in qualità di padre della suora Maria Grazia Cossu Vodret monaca professa di S. Caterina[1].

Alla carta 204 dell’inventario[2] venne inclusa “una casa grande nella strada di Barcellona, 3 piani alti e terreno per uso bottega”, confinante da un lato con la casa Degioannis ex Castegliano (2952), dall’altro lato con la casa Isola (2954); la casa fu valutata lire 8144. L’inventario venne ultimato il 10.07.1813, davanti ai testimoni Giovanni Crobu e Sisinnio Pigheddu.

Dopo il 1850 la casa apparteneva a un non identificato Serci, rettore di Villagreca. 



[1] Maria Grazia Cossu Vodret era figlia del notaio Giuseppe Cossu e della defunta Maria Antonia Vodret, figlia di Francesco Vodret e della sua prima moglie Maria Clara Porru

[2] ASC, atti notarili insinuati di Cagliari Città, volume 1790 del settembre 1813, carte 124/221

 

2954     

Nell’inventario datato 08.01.1796 dei beni del canonico Giuseppe Benedetto Isola, morto nel dicembre del 1795, venne descritta la sua casa nella strada di Barcellona identificata con l’unità 2955, confinante da un lato con casa del fratello Juannico Isola (2954).

Il negoziante Giovanni Battista (o Juannico) Isola, coniugato nel 1770 con Francesca Denegri, morì il 12.05.1796; lasciò i suoi beni ai giovani figli, cioè Maria Anna (1774-1811), Giuseppe (1777-1860), Caterina (1779-1855), Agostino (1781-1815).

Nel donativo del 20.06.1799, i fratelli Marianna, Giuseppe, Caterina e Agostino Isola (figli di Giovanni Isola), denunciarono una casa, loro abitazione, sita nella strada di Barcellona, composta da 3 stanze grandi e 4 piccole, compresa la cucina, ed una bottega sulla facciata posteriore, nella strada di Santa Teresa[1]; se affittata avrebbe potuto rendere scudi 100 annui; si pagava una pansione di scudi 82 per un censo di scudi 1640 al 5% alla Causa Pia dell’eredità Gaya; il canonico Giovanni Antonio Marini, in qualità di amministratore dei Legati Pii, in data 23.11.1799 dichiarò di riscuotere dagli eredi del fu Giovanni Isola una pensione di lire 205 (scudi 82) su un censo gravante su una casa della strada Barcellona, censo proveniente dai legati del fu don Francesco Gaya. 

Con atto del notaio Effisio (sic) Piras Meloni, del 05.05.1806, i fratelli Notajo Giuseppe, Negoziante Agostino, Maria Anna e Caterina Isola, incaricarono il Mastro Muratore Francesco Usai, il Mastro Falegname Giovanni Perra e il Mastro Ferraro Vincenzo Mura di stimare la loro casa piccola (2954); fu stabilito il valore di lire 5487 e soldi 10

L’eredità Isola restò indivisa fino al 1811: con atto notarile del 30.11.1811 fu fatta la divisione fra la vedova Francesca Isola nata Denegri e i suoi figli il baccelliere e notaio Giuseppe coniugato con Maria Anna Liqueri, Agostino coniugato con Clara Atzori, e Caterina Isola coniugata col vedovo Giovanni Pau Braxa, negoziante e sarto; in quell’anno era morta la primogenita Marianna; nel documento è specificato che il fu Bernardo Isola, suocero e nonno dei precedenti, col suo testamento del 18.08.1753 aveva lasciato 2 case fra le contrade Barcellona e S.Eulalia; la più grande al figlio maggiore Benedetto, e la più piccola all’altro figlio Gio Batta; i due fratelli Isola si nominarono eredi a vicenda, col vincolo che le case sarebbero rimaste alla loro discendenza.

I 4 eredi Isola erano entrati in possesso anche della casa grande, che era di Benedetto, solo nell’ottobre 1799, dopo una lite giudiziaria con le altre figlie del fu Bernardo Isola, che ritenevano di avere diritti sulla casa di Benedetto.

Nella divisione del novembre 1811 si assegnò ad Agostino Isola tutta la casa piccola, unità catastale 2954, valutata lire 5487 e 10 soldi.

In data 13.05.1812 Agostino Isola, con atto notarile del notaio Lucifero Caboni, vendette la casa al negoziante Salvatore Rossi, figlio del negoziante Francesco Antonio

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora al barone Salvatore Rossi (1775-1856). 



[1] per strada di Santa Teresa, in questo caso, si intende la sua continuazione, cioè la strada di Sant’Eulalia

 

2955     

Il 10.12.1795 fu pubblicato il testamento del defunto canonico della primaziale Joseph Benito Isola, e il giorno 8 di gennaio del 1796 venne dato inizio alla compilazione dell’inventario dell’eredità, su richiesta della madre Francesca Mounier, vedova di Bernardo Isola; fra i beni del defunto vi era anche una casa sulla strada di Barcellona, identificata con l’unità 2955, composta da tre piani e una bottega ed un altro mezzo piano; venne valutata £ 5605, soldi 1, denari 8, confinava davanti con la casa Allemand (2941), di spalle con la casa Belgrano (2968), di lato con la casa Arthemalle (2956) e dall’altro lato con la casa del fratello del defunto, Juannico Isola (2954).

Vi fu una lite ereditaria, per questa proprietà, fra i fratelli Isola figli del defunto mercante Juanico (-1796), e le zie Grazia e Maddalena Isola, sorelle del padre, sposate rispettivamente con i negozianti Francesco Vodret e Agostino Agnese; nel dicembre 1797 una sentenza della Reale Udienza aggiudicò la casa ai “fratelli minori Isola”, e un’altra sentenza dell’ottobre del 1799 confermò la precedente; con atto notarile del settembre 1800 i fratelli Isola indennizzarono tale Sisinnio Lepori di Serramanna che aveva concesso loro una “fianca” indispensabile per terminare la causa contro le zie. La casa confinava “con quella dove abitano i minori (2954), d’altro lato con casa del mercante Agostino Arthemalle (2956), di spalle con casa della vedova Giuseppa Navarro (2968), e davanti con casa del neg.te Luis (o Eligio) Alemand (2941), cammino pubblico mediante”. 

Con atto del notaio Effisio (sic) Piras Meloni, del 05.05.1806, i fratelli Notajo Giuseppe, Negoziante Agostino, Maria Anna e Caterina Isola, incaricarono il Mastro Muratore Francesco Usai, il Mastro Falegname Giovanni Perra e il Mastro Ferraro Vincenzo Mura di stimare la loro casa grande (2955); fu stabilito il valore di lire 8440, soldi 13, denari 4.

L’atto di divisione dell’eredità Isola del 30.11.1811, citato per la casa 2954, chiarisce che entrambe le case 2954 e 2955 erano in precedenza del mercante Bernardo Isola, padre di Joseph Benito e di Juannico; col suo testamento del 18.08.1753 egli aveva lasciato le 2 case ai figli maschi Benedetto e Gio Batta; i due fratelli Isola si nominarono eredi a vicenda, col vincolo che le case sarebbero rimaste alla loro discendenza; sulle case Isola, o forse solo sulla casa grande lasciata a Benedetto, vi era caricato un censo: nel testamento del dicembre 1767 di Jaime Arthemalle, egli lasciò al figlio Agostino, insieme alla casa (2956) anche la proprietà di un censo di “setisientos escudos q tengo cargados sobra la casa del quondam Bernardo Isola y hoi me corresponden la pencion su muyer, y los hijos...”; esisteva una stretta parentela fra gli Isola e gli Arthemalle: la vedova di Bernardo Isola, la francese Francesca Mounier, era figlia di Maddalena Brunet, con tutta probabilità parente stretta di Teresa Brunet, moglie di Jayme Arthemalle; inoltre la stessa Francesca Mounier aveva sposato nel 1740 Francesco Arthemalle fratello di Jayme; rimasta vedova nel 1743, l’anno successivo aveva sposato Bernardo Isola.

Con la divisione dell’eredità Isola del 30.11.1811, come già detto in precedenza, si assegnò ad Agostino Isola tutta la casa piccola 2954, mentre si assegnò a Caterina la bottega e il I piano (ossia mezzanello) e metà dell’ingresso della casa grande 2955, per un totale di £ 4072 e 6 soldi; al notaio Giuseppe si assegnò l’altra metà dell’ingresso e il II e il III piano e le due stanzine “a mezzo tetto” ed il terrazzo della stessa casa grande 2955, per £ 4368 soldi 7 e denari 4. 

E’ probabile che la divisione del 1811 abbia solamente confermato un utilizzo già consolidato da alcuni anni; nella casa 2955, abitata dal notaio Giuseppe Isola, morì il 01.09.1808 il reverendo Efisio Antonio Usai, beneficiato della chiesa di Sant’Anna; egli aveva scritto il suo testamento il 21.03.1797, ed abitava da tempo nella casa Isola fra le strade di Barcellona e Sant’Eulalia; in quest’ultima strada c’era l’ingresso che portava alle stanze abitate dal sacerdote il quale era in stretta amicizia con la famiglia Isola: Francesca Denegri, madre del notaio Giuseppe Isola, era una sua “comadre”; il suo testamento fu aperto il giorno 2 settembre dal notaio Francesco Demontis, chiamato nella casa dal notaio Isola; fra i diversi legati il reverendo Usai lasciò tutti i mobili delle stanze dove viveva a Marianna Isola, sorella di Giuseppe.

Vi sono altri documenti che confermano la proprietà Isola della casa 2955: atti notarili del 1801, 1802 e 1810, relativi alle case confinanti, e il donativo Arthemalle del 1807; inoltre l’atto notarile del maggio 1812, vendita della casa 2954, ed infine due atti a rogito del notaio Giuseppe Isola, del novembre 1812 e del gennaio 1813, compilati nella casa di abitazione e di proprietà dello stesso notaio, nella strada Barcellona, sicuramente la stessa casa 2955 i cui piani alti gli erano stati assegnati nel 1811.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora allo stesso notaio Giuseppe Isola, diventato segretario della Reale Udienza e della Corte d’Appello, defunto ultra-ottantenne nel 1860.

 

2956

Da un atto del 20.12.1678, rintracciato fra i documenti dell’Archivio Ballero, sembra di poter identificare questa casa con quella del negoziante di Laigueglia (SV) Juan Bauptista Preve; l’ipotesi non è confermata da altri documenti, resta pertanto tale; la casa Preve era forse soltanto una parte della grande unità catastale 2956, che derivava dalla fusione di 3 case confinanti.

Fra gli atti insinuati di Cagliari, nel volume di dicembre del 1767, è contenuto il testamento del mercante Jaime Arthemalle, pubblicato dal notaio Bartolomeo Bausà; abitava nel quartiere La Marina, nella strada di Barcellona, i suoi eredi erano i 3 figli Agustin, Mauricio e Laxe Arthemalle; la casa grande dove abitava, per sua precisa volontà, spettò al figlio Agostino:Item lego iure legati a dho mi hijo primogenito Llamado Agustin Arthemalle toda la casa grande q vienen a ser tres en una donde yo presentemente vivo con toda mi familia, y nel Appendicio dela Marina y calle dicha de Barcelona, junto con todos los muebles de casa q se hallan hoi en a quella, y........... la dejo a dho mi hijo Agustin en contemplacion de ser el major de todos, y haver trabajado mas de catorze años en mi tienda, y en todos los negocios q yo he tenido, y presentemente tengo, con todo zelo...”.

Sono stati rintracciati due donativi presentati da Agostino Arthemalle: il primo è datato 23.06.1799, e vi è compresa la casa della strada Barcellona, composta da 3 magazzini e 3 piani alti, di cui il primo e il secondo formati da 7 stanze ognuno, il terzo da 4 stanze “di poco uso” e terrazzi; poteva essere affittata per scudi 500 annui; Arthemalle dichiarò di pagare dei censi a don Giuseppe D’Aroyos (censo che prima apparteneva a don Antioco Cappai), alla marchesa D’Albis Zapata e ai padri Agostiniani. Nel donativo del 15.08.1807 Agostino Arthemalle dichiarò di possedere la stessa casa della strada Barcellona, dove abitava, formata sulla strada Barcellona da piano terreno e 3 piani, mentre sulla strada di Sant’Eulalia da un piano terreno e solo 2 piani alti; al piano terreno vi erano 3 botteghe “che tirano da una parte all’altra”, al primo piano vi erano 7 stanze, al secondo 10, al terzo 5 stanze e 4 terrazzi da una parte e dall’altra; la casa confinava con quella della vedova Francesca Isola (2955), e dall’altra parte con la casa del conte Polini (2957); fu valutata 12000 scudi, avrebbe reso, se affittata, 400 scudi annui.

In data 10.09.1801 Arthemalle dovette ipotecare la casa per avere 800 scudi in prestito dal ex-gesuita Antonio Cao; i confini sono i medesimi specificati nel donativo; con atto notarile del 01.03.1803 venne accesa un’ulteriore ipoteca, per far fronte ad alcuni debiti verso l’eredità Ponsiglione. Ancora nel dicembre 1809, dal testamento di Anna Cao erede del gesuita (vedi casa 2940), risulta che sulla casa Arthemalle gravasse un peso di 600 scudi e pensione di scudi 30 annui.

Nella casa, ospite del nipote, abitava Maria Antonia Maglioni (o Mallona) [1], che in data 05.03.1806 fece compilare dal notaio Alessandro Alciator il suo testamento; per gratitudine nominò Agostino Arthemalle erede di certi suoi crediti e dei suoi mobili, dispiacendosi che “la mia nota decadenza mi abbia ridotta di non avere quasi nulla da testare”. La donna morì nel 1809, presumibilmente nella stessa casa 2956.

Il 29.03.1807 Agostino Arthemalle, nella sua casa di abitazione della contrada Barcellona, scrisse il suo testamento e lo consegnò al notaio Pasquale Angius; nominò eredi universali la seconda moglie Giuseppa Sevellin, i figli di primo letto avuti con Anna Matarana (Luigia, Giacomo, Batta, Marianna, Raimonda) e quelli di secondo letto (Andrea, Efisio, Antonio, Giuseppe e Luigi); le sue condizioni finanziarie non erano floride; scrisse nel testamento che negli ultimi tempi non aveva potuto pagare ai figli Giacomo, Battista, Andrea, Efisio ed Antonio i 2 reali al giorno che aveva loro promesso; nominò curatore dell’eredità e tutore del figlio “impubere” Luigi (nato nel 1794), e curatore del figlio Giuseppe (nato nel 1788), il presidente del tribunale don Vincenzo Cabras ed in sua mancanza il genero dello stesso Cabras, avvocato Bernardo Pintor. Si raccomandò perché i suoi eredi continuassero a far celebrare le feste di San Giuseppe e Sant’Anna nella sua cappella eretta nella chiesa di Sant’Eulalia, oltre al martedì di Pentecoste in onore di Sant’Anna.

In data 11.08.1808 dettò un altro testamento al notaio Venanzio Campus; lasciò alla “consorte carissima” Giuseppa Sevellin l’abitazione del primo piano della casa, con tutti i mobili; dopo la morte della donna tutto sarebbe stato diviso fra tutti i suoi figli, di primo e secondo matrimonio. Confermò la donazione fatta alla moglie il 16.02.1802, e dispose che gli interessi della figlia Marianna, “imbecille”, sarebbero stati seguiti dal Curatore degli altri suoi figli minori Giuseppe e Luigi, confermando l’incarico all’avvocato Vincenzo Cabras. Nella divisione ereditaria si sarebbe dovuto tener conto che alla figlia Luigia erano già stati dati 2000 scudi e a Raimonda 400.

In data 23.02.1810, a causa della recente morte dell’avvocato Cabras (21 dicembre 1809), fu aggiunto un codicillo: Arthemalle nominò curatore dei figli il “carissimo amico” negoziante Salvatore Melis[2]; dispose che la figlia Marianna, sempre a cura del Melis, venisse “collocata in un monastero stante la sua imbecillità”; se per mantenerla non fosse bastata la sua quota ereditaria, incaricò i suoi fratelli e sorelle germani Giacomo, Battista Luigia e Raimonda, di integrare dai loro beni.

Morì il 22.03.1810; nell’inventario dei suoi beni, pubblicato fra gli atti notarili del mese di settembre, è sempre presente la casa di abitazione dove rimase la vedova Giuseppa Sevellin, in contrada Barcellona, confinante “davanti, strada framezzo, con casa del console di Ragusa (Salvatore Palomba, casa 2929); alle spalle con casa della fu vedova Belgrano (2968), strada di S.Eulalia mediante; da una parte con casa del sig. conte don Gaetano Pollini (2957); d’altra parte con case del notaio Giuseppe e di più fratelli Isola (2954 e 2955)”.

Infine, in un documento del 1839 rintracciato nell’Antico Archivio Regio (Miscellanea, busta 221), è riportato il calcolo delle riparazioni da eseguirsi nella casa proveniente dal sequestro Arthemalle, venduta ai negozianti fratelli Marini.

Dopo il 1850 la casa 2956 apparteneva ai fratelli negozianti Efisio (1800?-1876) e Gerolamo Marini (1801?-1875), coniugati con le sorelle Anna e Fedela Marturano; da Gerolamo Marini e Fedela Marturano nacque il noto chimico Efisio (1835-1900) ricordato per la sua misteriosa formula sulla pietrificazione dei cadaveri; Gerolamo morì in una casa della via Sant’Eulalia il 13.11.1875 a 74 anni.

 



[1] Maria Antonia Maglioni era vedova di Giò Giacomo Goddò il quale era zio di Agostino Arthemalle, cioè fratello “uterino” della madre di quest’ultimo, Teresa Brunet; la madre di Gio Giacomo Goddò e di Teresa Brunet era Rosa Jagaluni che aveva sposato prima Giuseppe Brunet, poi Andrea Goddò. Sono noti 3 matrimoni di Maria Antonia Maglioni: il primo nel 1756 con Pietro Sotgiu; il secondo nel 1779 con Gio Giacomo Goddò; il terzo con un notaio Sequi.

[2] Salvatore Melis e Agostino Arthemalle erano consuoceri; infatti Agostino Melis, figlio di Salvatore Melis, aveva sposato Raimonda Arthemalle figlia di Agostino Arthemalle

 

 

2957     

Il primo documento citabile che riporta informazioni sulla casa 2957 è stato rintracciato nell’Archivio Ballero, datato 09.05.1793: riguarda la casa 2932 venduta da donna Isabella Lostia al negoziante Francesco Antonio Rossi; questa casa, con facciata principale e ingresso sulla strada Barcellona, aveva di fronte la casa che prima era del nobile don Antonio Maria Copola, posseduta al momento dell’atto dal negoziante Gaetano Polini.

L’atto di divisione dei beni del defunto don Francesco Maria Viale, datato 23.12.1797, fornisce un’informazione disorientante: la grande casa Viale sulla strada Barcellona, identificata con certezza con l’unità catastale 2958, aveva i seguenti confini:”dalla parte della strada Barcellona, detta strada mediante, con casa del dottore in diritto Bonaventura Cossu Madau (2936), e con casa degli eredi del fu Andrea Navoni (2934); da un lato con casa abitata dal negoziante Priamo (Primo) Lezzani, propria di S.Eulalia (2957), dall’altro lato al viottolo (callejon) di S.Eulalia, e di spalle alla piazza di detta Chiesa (scalinata)”. Un’ipotesi che si può proporre è che il notaio abbia riportato dei dati non aggiornati, e che dopo la morte di don Antonio Maria Copola nel 1772, la casa sia appartenuta alla comunità di S.Eulalia, dalla quale però, prima del maggio 1793, potrebbe averla acquisita Gaetano Polini[1]. Può non essere una coincidenza il fatto che Primo Lezzani, abitante della casa secondo l’inventario Viale, era con tutta probabilità un parente del conte Polini, in quanto quest’ultimo era figlio di Francesco Polini e Margherita Lezzani (i quali avevano un altro figlio chiamato Primo); essi provenivano da Mendrisio, nel Canton Ticino, così come lo stesso Primo Lezzani, coniugato con Angela Vodret.

Gli atti del settembre 1801 e del marzo 1803 con cui Agostino Arthemalle ipotecò la sua casa 2956 confermano che la confinante 2957 apparteneva al nobile don Gaetano Polini; la stessa conferma arriva dal donativo del 1807 dello stesso Arthemalle, mentre purtroppo non è stato trovato il donativo del conte Polini, che abitava nel 1808 proprio nella strada Barcellona, e ospitava nella sua casa il “maiolo” Francesco Piana di Bitti.

La proprietà Polini è confermata in un atto notarile del 1808, relativo alla casa Rossi 2932, nell’inventario dei beni del fu Agostino Arthemalle, del settembra 1810, e in altro atto notarile del marzo 1812, relativo alla casa 2967; in un documento dell’Archivio di Sant’Eulalia, relativo alla casa 2933 e datato 1836, si fa riferimento alla casa 2957 come quella del fu conte Polini.

Gaetano Polini (o Pollini), nato a Mendrisio (Canton Ticino) nel 1737, negoziante, ebbe la nobiltà nel 1797 e il titolo comitale nel 1801; morì nel 1820; i suoi discendenti si trasferirono fuori Sardegna.

Nei primi registri catastali, successivi al 1850, l’unità 2957 risulta appartenere in parte a donna Isabella Carboni vedova di Antonio Piccaluga, in parte, ed in enfiteusi, al barone Salvatore Rossi (1775-1856); una ulteriore registrazione del 1854 segnala il passaggio di proprietà da donna Isabella Carboni al negoziante Raffaele Franco. 



[1] In una recente tesi di laurea (Università degli studi di Cagliari, Dipartimento di Architettura, dottorato di ricerca di Marcello Schirru: Palazzi e dimore signorili nella Sardegna del XVIII secolo), è riportata l’informazione che i beni dell’eredità Copola furono destinati ad opere pie e di soccorso; la grande casa sita fra le strade di Barcellona e di Sant’Eulalia fu acquistata da Gaetano Polini il 18.09.1787 per lire 10583.16.6

 

2958     

L’atto del 01.10.1792, relativo alla vendita della casa 2912, riferisce che detta casa confinava tramite “el callejon” cioè il viottolo (attuale via Sicilia) con “casa che era in precedenza del fu don Francesco Giraldy, poi la possedette il fu Conte don Jayme Mussu (-1741 [1]), poi la Casa de Probacion della abolita Compagnia di Gesù, infine il nobile don Francesco Maria Viale”. Si tratta appunto della casa 2958, e se ne ha conferma anche da altri atti notarili del 1797 relativi alla stessa casa 2912 e alla casa 2936, sull’altro lato della strada di Barcellona; in quest’ultimo si fa riferimento agli eredi nobili fratelli Viale, in quanto nel frattempo era deceduto don Francesco Maria.

Infatti in data 23.12.1797 il notaio Andrea Pirisi compilò l’atto di divisione dei beni lasciati da don Francesco Maria Viale, fra la vedova donna Pasquala Denegri e i suoi figli, cioè don Giuseppe Angelo, il reverendo dottore don Pasquale (che abitava presso la Corte di Torino), il dottore don Giovanni Battista, donna Rosa, donna Raimonda coniugata col dottore in diritto don Pietro Cossu Cossu, donna Barbara coniugata col nobile don Giuseppe Cossu giudice della Reale Udienza, questi ultimi assenti dal regno. Il testamento era stato consegnato al notaio il 29.11.1790, ed era stato pubblicato dopo la morte di Francesco Maria Viale il 28.01.1796. I periti, chiamati a stimare il patrimonio, lo valutarono in lire £ 125162, soldi 15 denari 4, da cui si dovevano defalcare i diritti della vedova, cioè £ 363.2.5 per la “misa camera[2], e £ 10084 e soldi 14 per la sua proprietà diretta sulla casa della strada di Barcellona; il restante, 114714 lire e spiccioli, venne diviso fra gli eredi, cioè la stessa vedova e i figli, secondo le proporzioni espresse nel testamento: 1/3 più degli altri a Giuseppe Angelo, e 1/6 in più a Giovanni Battista; il tutto venne diviso in sei parti, con l’esclusione di donna Barbara che aveva preso già la sua parte con la dote. Alla vedova Pasquala Denegri spettarono in tutto £ 17648.9, comprendenti la porzione della casa nella strada Barcellona per lire 10203, soldi 7 denari 2, oltre ai suoi diritti sulla stessa casa per £ 10084.14; ne consegue che la casa (2958) spettò interamente alla vedova. Ai figli furoni destinati altri immobili nei quartieri della Marina, di Stampace e del borgo San Bernardo.

Un atto del 29.08.1798 relativo alla casa 2913 conferma che la casa 2958 “era del fu conte (Jaime) Musu (Mussu, Musso) e oggi degli eredi del fu don Francesco Maria Viale”; le stesse informazioni riportano altri atti notarili e documenti inseriti in una causa civile relativi alla casa 2912, il più recente dei quali è datato 19.02.1801.

Altre conferme arrivano da un atto del 13.04.1811, relativo alla casa 2933, e da atto del 31.05.1813, relativo alla casa 2914: in entrambi vengono nominati gli eredi di don Francesco Viale come proprietari della casa 2958.

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati, di metà ‘800, risulta che appartenesse ancora al conte Giovanni Viale (1767-1856).

In questo edificio aveva la sua sede, fino al 1943, l’Archivio Notarile: fu distrutto, insieme ai suoi documenti, durante i bombardamenti di quell’anno.

 



[1] In atto notarile del 1804, relativo alla casa 2913 sull’altro lato della via, questo tratto della attuale via Sicilia viene chiamato “stretta del conte Musu" in ricordo, dopo più di 60 anni, dell’antico proprietario della casa 2958

[2] Mezza camera, in riferimento ai diritti della vedova su tutto l’arredamento e attrezzature della camera matrimoniale