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Isolato U: Gesus/Monserrato/Siciliane/Pagatore

(via Cavour, via Lepanto, via Sardegna-Consiglio Regionale, via Arquer-Consiglio Regionale)

numeri catastali da 2525 a 2540

questo isolato, così come il precedente ed il successivo, è interamente occupato dal palazzo del Consiglio Regionale; la via Sardegna, già strada delle Siciliane, ora passa sotto il palazzo e continua oltre la via Porcile. Le prime demolizioni degli edifici che vi esistevano sono precedenti ai bombardamenti del 1943: infatti già dagli anni ’30 del ‘900 le case di questo isolato furono abbattute per fare spazio alla sede della Banca d’Italia, il cui progetto fu presto abbandonato. 

 

2525

In data 08.08.1751 lo “scrivente” Carlo Martini della Marina comprò la casa 2540, che aveva la facciata principale sulla strada del Pagatore, e che confinava di lato con una casa (2525) che prima era di Battista e di Maria Sogus, e in quell’anno apparteneva a Francesco Marramaldo [1].

In un atto notarile del 26.08.1784 la stessa casa, di proprietà del cavaliere Matteo Marramaldo, figlio di Francesco, venne fatta stimare da due mastri muratori e due mastri falegnami; venne valutata per 442 scudi, e la sua identificazione è piuttosto certa dai confini specificati: di fianco la casa del notaio Carlo Martini (2540), dall’altro lato una casa di Sant’Eulalia (2526), davanti una casa Doneddu (2521). In data 30.08.1784 la casa venne venduta per 440 scudi al negoziante Giuseppe Tocco Mallus; aveva un cortile, un balcone, un basso, un pozzo; al primo piano aveva una sala, l’alcova, e sopra un mezzo piano con la cucina.

In un atto di 11 anni più tardi, del maggio 1795, la situazione è del tutto cambiata: la casa 2540 apparteneva al chirurgo Giuseppe Racca, e la casa 2525 era del Regio Comito (nostromo, o anche sorvegliante dei forzati, arguzino) Antonio Sanna.

In data 26.06.1799, Antonio Bigliano (o Brigliano), “Arguzino maggiore dei Regi Ergastoli” (sorvegliante dei forzati) presentò il suo donativo: dichiarò di possedere una casa in contrada di Gesù, composta dal piano terreno con 2 stanze, affittato per scudi 18, e il piano superiore con 3 stanze; il donativo venne firmato da Antonio Vincenzo Farina e da Tommaso Melano, in quanto il Bigliano era “illetterato”.

Apparentemente Antonio Bigliano non ha niente a che fare con Antonio Sanna e con l’unità immobiliare 2525; però, oltre al medesimo nome di battesimo, i due condividevano la medesima e non certo frequente professione; di Antonio Sanna non si sa nulla, di Antonio Bigliano si sa che era sposato con Giovanna Maria Murtas di Abbasanta, con la quale ebbe diversi figli fra cui Giuseppa, forse la maggiore, sposata nel 1794, e altri figli più piccoli, l’ultimo dei quali nato nel 1798; è ovvia l’ipotesi che Antonio Sanna e Antonio Bigliano fossero la stessa persona.

Con atto notarile del 06.10.1801, venne firmato un contratto fra Antonio Villany e i mastri muratori Gaetano Manias e Rocco Puxeddu; questi ultimi accettarono 500 scudi per riedificare la casa Villany, identificata con l’unità 2525; in questo atto la strada del Pagatore è chiamata insolitamente “calle di Sterbinas ossia di Monserrat”; i confini con le altre case sono però chiari: la casa Villani aveva da un lato la casa del defunto Carlo Martini (2540), ora Racca; sull’altro lato c’era una casa di Sant’Eulalia (2526), davanti una casa Doneddu (2521); Antonio Villani e Antonio Bigliano erano la stessa persona [2]; infatti, con atto notarile del 22.01.1806 venne consegnato al Notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai il testamento nuncupativo di Antonio Villani, fatto nella casa dove viveva; “la carissima moglie” Giovanna Maria Murtas fu nominata usufruttuaria di tutti i beni e tutrice e curatrice dei figli avuti insieme, chiamati Francesco, Vittorio, Teresa, Effisio e Raimondo Villani Murtas, nominati eredi universali in uguale porzione, mentre l’altra figlia Giuseppa Villani Murtas, “per essere stata una figlia disubbidiente”, fu nominata erede della sola parte legittima, da cui si doveva sottrarre quanto già ricevuto quando si maritò con Antonio Corrias (oltre 300 scudi).

Lo stesso notaio, il 26.02.1806, si occupò di compilare l’inventario dei beni del fu Antonio Villani; Il notaio si recò prima nella casa dove vivevano “i giugali” Corrias Villani, nella Ripa di Gesus (fuori Marina), per la notifica, in modo che la figlia col marito potessero assistere all’inventario; si recò poi alla casa dove era morto il Villani e dove viveva la vedova con gli altri figli, nella strada di Starlinas (variante dell’insolito modo di indicare quel tratto della strada del Pagatore); fra gli immobili di proprietà vennero inserite in inventario due piccole case del quartiere di Villanova, entrambe nella strada di Incrastu (attuale via Garibaldi, oltre il Portico Romero), valutate rispettivamente scudi 356 e reali 4, scudi 516 e reali 9; e poi la casa di abitazione della strada delle Sterline, composta di 3 piani compreso il terreno, munita di cisterna; nel piano terreno c’era un ampio sottano, un’alcova e la cucina; in entrambi i piani alti una sala, un’alcova, due piccole stanze e una cucina, con due poggioli in ferro in ogni piano; nell’ultimo un terrazzo; i confini confermano la posizione della casa: dai lati la casa Racca (2540) e una casa di Sant’Eulalia (2526), di spalle una casa del Carmine (2529), davanti una casa del notaio Doneddu (2521); fu valutata scudi 1581 e reali 4.

Fu inoltre inventariato anche l’atto di acquisto della casa stessa, datato 24.02.1791.

Con atto notarile del 02.12.1807, Giovanna Maria Murtas vedova di Antonio Villani, e i suoi figli, vendettero al negoziante Paolo Coiana la casa di due piani superiori e sottano, nella Marina e strada delle Sterline, detta anche strada di Frai Luis Grec e del Pagatore; la vedova era proprietaria di metà casa, acquistata “costante matrimonio”, e l’altra metà era dei figli: i maggiori Giuseppa, Francesco, Vittorio, e i minori Teresa ed Efisio, dei quali ultimi la vedova era curatrice. Francesco e Vittorio non erano presenti in quanto si trovavano “in terra ferma”, cioè fuori dalla Sardegna. La casa aveva 4 stanze in ogni piano, i poggiuoli in ferro, la terrazza, una cisterna e il pozzo; i confini erano i medesimi specificati nel 1801, in questo caso venne aggiunto che di spalle confinava con una casa (2529) di proprietà dello stesso compratore Coiana.

Oltre alla confusione sul cognome del proprietario è da notare quella (non insolità, ma in questo caso eccezionale) sui nomi delle strade che vengono indicate nei diversi documenti: nel 1799 strada Gesus, nel 1801 Strada Sterbinas ossia del Monserrato, nel 1806 strada delle Sterline, nel 1807 strada delle Sterline ossia di Frai Luis Grec, o del Pagatore; l’unico decisamente corretto è strada del Pagatore: infatti la strada Gesus era la perpendicolare, corrispondente alla attuale via Cavour; “strada del Monserrato” veniva utilizzato per lo più per l’attuale via Lepanto, ed era usato saltuariamente per la strada del Pagatore (attuale via Arquer) e per quella del Fortino (via Porcile), in quanto tutte discese che partivano dal bastione del Monserrato, o dall’antica chiesa del Monserrato, lì posta; la strada Frai Luis Grec indicava solitamente la stessa via Lepanto e non la via Arquer, mentre il nome strada Sterbinas o delle Sterline, è stato trovato solamente nei citati atti relativi alla casa 2525, coincide quindi con una piccola parte della strada del Pagatore.

In atto notarile del 23.04.1808, relativo alla casa Racca 2540, questa aveva alle spalle la casa del negoziante Paolo Coiana (2529) e quella che prima era dei figli ed eredi del fu Capo Gomito (in altro punto Capo Arguzino) Antonio Briliani, con una ennesima variazione sul cognome.

Con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai, del 20.04.1809, il negoziante Paolo Cojana vendette la casa al Patron Pietro Defacio (o Defazio): si trattava di “una casa grande composta da 2 piani superiori con i poggioli in ferro ed il piano terreno, con cisterna e pozzo d’acqua, situata nella Marina e strada del Pagatore, ossia di Frai Luis Grech”; i confini sono quelli già specificati: dirimpetto con la casa Doneddu (2521), da un lato con casa della Comunità di S.Eulalia (2526), dall’altro con la casa Racca (2540), di spalle con una casa che era del Carmine e poi dello stesso venditore Coiana; fu venduta per scudi 1539 soldi 9 e denari 6, come era stata valutata dai periti; Coiana aveva già ricevuto recentemente la somma e Defacio abitava la casa sin dal momento in cui aveva pagato.

Su Pietro Defacio non si hanno molte informazioni: padrone navale, figlio di Vincenzo e di Antonia Lussu, era coniugato in prime nozze con Francesca Ritano, nel 1838 in seconde nozze con la vedova Giovanna Marini.

Dal Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2525 (in questo caso localizzata nella strada is Vadas!) risulta una proprietà dei fratelli Battistina, Filippo (1823?-1873), e Raffaela Zairo, figli del fu Luigi e di Antonia Cao.



[1] probabilmente ai suoi eredi, perché il Marramaldo era morto probabilmente nel 1750

[2] lo stesso dicasi per Antonio Sanna: quest’ultimo cognome potrebbe essere quello materno, usato con poca precisione nell’atto del maggio 1795 

 

2526

Era una proprietà della Comunità di Sant’Eulalia; i primi atti rintracciati che la citano sono quelli del 1784, relativi alla casa 2525; è citata poi in atto del del dicembre 1788, inventario dei beni del defunto notaio Agostino Paderi, la cui casa 2527 confinava di lato con una casa di Sant’Eulalia (2526); è citata inoltre nell’atto del marzo 1792 col quale venne venduta la casa 2519 e ipotecata la casa Alagna 2520, che aveva davanti una casa di Sant’Eulalia (2526); la stessa informazione è data dagli atti relativi alla stessa casa 2520, del novembre 1801, del gennaio 1802 e del luglio 1811. Nell’ottobre 1801, nel febbraio 1806, nel dicembre 1807 e nell’aprile 1809 è citata negli atti ricordati nel precedente paragrafo, relativi alla casa 2525, laterale alla casa 2526 di Sant’Eulalia.

A metà ‘800 apparteneva ancora alla Comunità di Sant’Eulalia.

   

2527     

Con atto del 12.12.1788 venne redatto l’inventario dei beni del defunto notaio Agostino Paderi; fra gli immobili di sua proprietà vi era la casa di abitazione con entrata nella strada del Pagatore, all’angolo con la strada dei Siciliani, composta da piano terra e 3 piani alti e identificata con l’unità catastale 2527; aveva davanti, sull’altro lato della strada del Pagatore, le case 2519 dei padri di sant’Agostino e 2520 di Matteo Alagna; alle spalle aveva una casa della chiesa di S.Anna (2528), di lato una casa del Gremio dei Santelmari (2541), dall’altro lato una casa di S.Eulalia (2526); il notaio Paderi, morto senza discendenti diretti, aveva ereditato alcuni beni da suo padre Giacinto e da suo fratello avvocato Priamo; della sua eredità beneficiò in parte la sorella Giuseppa coniugata col notaio Angelo Porcu; per volontà del defunto l’eredità rimase sotto l’amministrazione del negoziante Carlo Dessì, che “non doveva renderne conto a nessuno”; dopo la morte del Dessì l’amministrazione dell’eredità sarebbe passata alla Comunità di Sant’Eulalia.

La proprietà della casa 2527 da parte dell’eredità Paderi è confermata in diversi atti notarili, fra cui quelli relativi alla casa 2519 del giugno 1789, marzo 1792, novembre 1797, luglio 1801, giugno 1802; è menzionata nell’atto di vendita del giugno 1797 della casa 2518, dove viene definita “casa del quondam segretario Giacinto Paderi”, padre di Agostino; citata nell’atto di vendita della casa Alagna 2520, del novembre 1800.

In data 19.06.1799 il negoziante Carlo Dessy presentò la dichiarazione per il donativo per conto dell’eredità del notaio Agostino Padery, in qualità di esecutore testamentario; è compresa una casa in contrada Mores, una nella contrada San Bernardo di Stampace, e la casa 2527 della contrada “Is Sicilianas o Vadas”, di 3 piani alti e piano terreno, 13 stanze in tutto, affittata per scudi 57 annui.

Nella sua denuncia per il donativo del 13.08.1807, il conte Michele Ciarella scrisse che la sua casa 2519 (metà casa) aveva davanti la casa del fu avvocato Priamo Paderi, fratello del fu notaio Agostino; è probabile quindi che la casa 2527, già del segretario Giacinto Paderi (-1773), sia stata ereditata dal figlio Priamo (-1778) che la lasciò alla sua morte al fratello Agostino (-1788).

Da un documento rintracciato nell’Archivio di Sant’Eulalia, e datato 21.03.1808, si legge che il mastro muratore Francesco Murru aveva ricevuto la somma di 251 scudi, 6 reali, e un soldo, dal negoziante Carlo Dessì, in qualità di amministratore dei beni del fu notaio Agostino Paderi, per la riparazione di due case: una nella contrada di San Bernardo, l’altra nella strada dei Siciliani, dove abitava lo stesso Dessì.

Carlo Dessì morì nella casa della strada dei Siciliani, numero catastale 2527, il 14.12.1809; il 18.01.1810, su richiesta dai suoi eredi, venne redatto l’inventario dei suoi beni e dei beni della eredità Paderi che egli ancora amministrava; gli eredi erano i suoi fratelli Sacerdote Michele, notaio Andrea, negoziante Domenico, ed Efisio Dessì, e il nipote Efisio Cadello figlio di Salvatore e della defunta Giusta Dessì, sorella di Carlo; gli eredi si divisero i beni personali del defunto, la cui stima, detratte le spese del funerale, per i periti, il notaio e la serva, era di lire 4951 e soldi 3; i beni della eredità Paderi, comprendente 3 case e diversi censi, per un totale di lire 17640, furono consegnati in data 15.03.1810 ai ricevitori nominati dalla Comunità di S.Eulalia.

Fra i documenti inseriti nell’inventario, è presente un atto notarile del 22.04.1762, col quale il marchese di San Carlo don Giacomo Borro vendette al segretario Giacinto Paderi, per lire 500, una casa molto rovinata fra le strade Monserrato e Saline; fra le proprietà dell’eredità, l’unica casa a cui quella potrebbe corrispondere è l’unità 2527, se si ammette che la strada delle Siciliane venisse chiamata delle Saline (come risulta da diverse fonti), e se si ammette che la strada del Pagatore venisse chiamata strada di Monserrato (e anche questo è più che possibile).

Nel Sommarione dei Fabbricati, successivo al 1850, la casa 2527 della contrada dei Siciliani è ancora assegnata al Legato Paderi; da segnalare un errore del Sommarione, in quanto il numero catastale riportato non è 2527 ma 3527, numero non esistente e comunque non presente nella Marina.

 

2528     

La casa 2528 è citata nei seguenti documenti:

1) l’inventario dei beni del notaio Paderi, del dicembre 1788, nel quale è scritto che la casa 2527 del defunto notaio aveva alle spalle una casa della Comunità di Sant’Anna (2528);

2) l’atto di vendita del 15.09.1804 della casa 2529, la quale di lato aveva una casa della Comunità di Sant’Anna;

3) il donativo della Comunità di Sant’Anna, senza data e probabilmente del 1807: comprende una casa nella strada delle Siciliane, col piano terreno e due piani alti di una stanza ciascuno, confinante con la casa del fu notaio Agostino Paderi (2527) e con la casa del negoziante Paolo Cojana (2529);

4) il donativo del Capitolo Cagliaritano, del 15.08.1807, nel quale è scritto che una casa del Capitolo nella strada dei Siciliani, identificata con l’unità 2557, aveva davanti una casa di Sant’Anna (2528). 

Dopo il 1850 la casa 2528 era ancora una proprietà della Comunità di Sant’Anna.

 

2529

In atto notarile del 12.10.1797, relativo alla casa 2539 della strada Gesus, risulta che questa casa avesse alle spalle una casa del Convento dei Padri Carmeliti e una casa della Comunità di Sant’Eulalia: quest’ultima è stata identificata con l’unità 2530, perciò, per esclusione, la casa dei Carmeliti doveva essere la casa 2529; questa ipotesi si basa sui confini evidenti in una mappa della Marina del primo ‘900[1], mentre è meno evidente dall’osservazione della mappa di metà ‘800, dove le case 2838 e 2839 sono di dimensioni veramente ridotte e non confinano né con la casa 2529 né con la casa 2530. Si è già riferito della poca esattezza riscontrata in quella mappa, in particolare per la parte interna e i cortili delle case. Le differenze fra le due carte potrebbero essere dovute al fatto che le parti posteriori, adibite a cortile, delle unità 2538 e 2539, furono accorpate alla unità 2540 che, nella mappa catastale di metà ‘800, si estendeva dietro le prime due.

Le informazioni dell’atto notarile appena citato sono confermate da un atto del notaio Nicola Antonio Catte del 15.09.1804, col quale i padri Carmelitani vendettero la casa al negoziante Paolo Cojana per 1400 scudi e 5 soldi; era chiamata “casa Ricardo”, dal nome di un precedente proprietario, e il convento la possedeva da tempo “immemore”; era formata dal piano terreno e due piani alti, e ogni piano aveva due sale, due stanze e la cucina; c’erano la cisterna, il pozzo, e il “comodo”; alle spalle aveva la casa Racca (2540) e una casa del Capitolo (2539), con un “cielo scoperto” in mezzo vale a dire con un cortile, forse di nessuno; ai lati aveva una casa della Comunità di Sant’Anna (2528) e una casa della comunità di Sant’Eulalia (2530); fu venduta anche perché il convento aveva un debito verso il compratore di lire 1626, soldi 18 e denari 3, per un prestito fatto il 01.02.1799 che si doveva saldare entro 5 anni; era stata valutata dai mastri muratori Pasquale Martis e Joachin Marras e dal mastro falegname Juan Porcu per la stessa cifra per cui fu venduta al Cojana. Era affittata a Giovanni Monteleone e ai fratelli Giovanni e Vincenzo Adamo; quest’ultimo, falegname di 65 anni, testimoniò che apparteneva al convento dei Padri Carmelitani da più di 40 anni.

Dal donativo non datato della Comunità di Sant’Anna, citato nel precedente paragrafo, risulta che la casa 2529 appartenesse al negoziante di origine siciliana Paolo Cojana; è stato rintracciata anche la denuncia per il donativo dello stesso Cojana, anch’essa non datata: fra le sue proprietà non è compresa nessuna casa in questa strada, per cui si ipotizza che il donativo Cojana possa essere del 1799, mentre il donativo di Sant’Anna dovrebbe essere del 1807.

Quanto detto trova conferma in due atti notarili del 02.12.1807 e del 20.04.1809, relativi alla casa 2525: questa aveva alle spalle una casa che era appartenuta in precedenza al convento del Carmine, e che in quegli anni apparteneva al negoziante Paolo Cojana.

Quest’ultimo risulta ancora proprietario della casa in atto del 23.08.1808, relativo alla unità 2538, e in atti relativi all’unità 2539, datati 01.06.1810 e 28.10.1813. 

Dopo il 1850 la casa 2529 apparteneva in enfiteusi al barone Salvatore Rossi (1775-1856). 



[1] ci si riferisce a una rielaborazione grafica di una mappa conservata nell’Archivio comunale, pubblicata nel volume sul quartiere La Marina delle Edizioni Silvana

 

 

2530     

Da un atto notarile del 08.04.1768, relativo alla casa 2538 sulla strada Gesus, risulta che la casa alle spalle, identificata con quella di numero 2530, appartenesse alla Comunità di Sant’Eulalia; il dato è confermato da atti notarili del 1793, del 1797, del 1806, del 1810 e del 1811 tutti relativi alla casa 2539/a.

Da qui si evince che i confini fra queste proprietà erano diversi da quelli che figurano nella pianta catastale di metà ‘800: le unità 2538 e 2539 erano molto più profonde, occupando l’area che in pianta è assegnata alla unità 2540.

Nel donativo del 1799 della Comunità di Sant’Eulalia sono presenti 2 case nella strada delle Siciliane: la casa Canu composta da 2 piani, con 4 stanze più il sòttano, e una delle case Mantelli composta da 2 piani di 2 stanze e il sòttano; date le dimensioni sembra più probabile che l’unità 2530 si possa identificare con la casa Canu; si è già detto che il donativo di Sant’Eulalia è assolutamente privo di informazioni sui proprietari delle case confinanti: gli unici dati che permettono di identificare la casa indicata sono la strada e il nome dell’antico proprietario, che in molti casi era un “pio benefattore” che, alla sua morte, aveva lasciato il bene alla chiesa.

L’atto del 1804 con cui venne venduta la casa confinante 2529 conferma l’attribuzione della casa 2530 alla comunità di Sant’Eulalia.

Vi è inoltre conferma sia da un atto notarile del 1807, relativo alla casa 2534, sia dalla denuncia per il donativo del 1807 della chiesa di San Giorgio e Santa Caterina dei Genovesi, dove è scritto che lateralmente a un immobile della chiesa, identificato con l’unità 2531, vi era una casa della Comunità di S.Eulalia. 

Dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, risulta che appartenesse ancora alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2531, 2532, 2533          

Su queste case non sono stati raccolti dati certi e sufficienti, è possibile però formulare alcune ipotesi: sono di aiuto, in prima battuta, i dati del Sommarione dei Fabbricati, dove è riportato che dopo il 1850 la casa 2531 apparteneva alla chiesa di San Giorgio e Santa Caterina dei Genovesi, la casa 2532 alla chiesa di Sant’Anna, la casa 2533 al convento dei padri minimi di San Francesco.

Il motivo per cui non sono stati rintracciati documenti relativi a questo gruppo di case potrebbe essere proprio il fatto che appartenevano a comunità religiose, le quali conservavano i loro immobili per molti anni o decenni, ben più a lungo (in media) di un privato, privandoci quindi degli atti notarili di compravendita.

Tenendo sempre presenti i dati del Sommarione dei Fabbricati, l’unità 2531 potrebbe quindi identificarsi con una casa situata nelle contrada dei Siciliani dichiarata nel donativo del 1807 dalla Chiesa dei Santi Gorgio e Caterina dei nazionali genovesi: aveva due piani e il sòttano, 3 stanze in tutto, affittata per lire 85, e confinava da un lato con una casa della Comunità di Sant'Anna (2532), dall’altro lato con una casa di Sant'Eulalia (2530), dietro con una casa del convento dei padri Minimi (2533), davanti con la casa del notaio Pietro Santino (2553).

Nel donativo della Comunità di Sant’Anna, senza data, è compresa una casa (identificabile con la casa 2532) nella strada delle Siciliane, col piano terreno che formava due abitazioni di una sola stanza, due piani alti di 4 stanze e cucina in ognuno, confinante da un lato con una casa della chiesa di Santa Caterina (2531), dall’altro con casa dei padri Paolini (2533), sul davanti con casa del notaio Santino (2553). Per questa casa sono state rintracciate due citazioni in atti notarili del 1801 e del 1812, relativi alla casa Santino 2553, che aveva di fronte appunto la casa di Sant’Anna 2532; un’ulteriore conferma viene da un atto del dicembre 1809, relativo alla casa 2572, secondo cui la Comunità di Sant’Anna era proprietaria della casa sul lato di levante, appunto la 2532.

La casa 2533 dovrebbe quindi corrispondere a una casa dei padri Minimi di San Francesco, per i quali non è presente la denuncia per il donativo; oltre al dato del Sommarione dei fabbricati, gli unici riferimenti sono quindi quelli dei donativi (del 1807?) relativi alle case vicine 2531 e 2532, e quello ugualmente del 1807 rintracciato in un atto notarile relativo alla casa 2534, laterale a proprietà dei padri Paolini, cioè del convento di San Francesco di Paola; in quest’ultimo documento è scritto che in precedenza la casa apparteneva a tale Angela Zedda, della quale non si hanno informazioni anagrafiche.

 

2534

Nel donativo (senza data, con tutta probabilità del 1807) del Collegio di San Giuseppe è compresa una casa nella strada di is Faras (o Fadas); questo toponimo non è associato a una sola strada, ma a una piccola zona: indicava il più delle volte parte delle strada del Pagatore, all’angolo con la strada delle Siciliane, o la stessa strada delle Siciliane, fra la strada del Pagatore e quella del Monserrato; in questo caso sembra che indicasse invece il tratto della strada del Monserrato nei pressi della strada delle Siciliane; la casa in questione è identificabile con l’unità 2534; i padri Scolopi, nel loro donativo, aggiunsero qualche particolare: era una casa terrena di una sola stanza, confinante da una parte con la casa degli eredi di Antonio Denegri (casa 2535), dall’altra parte con la casa dei religiosi Paolotti, cioè i padri minimi di San Francesco di Paola (casa 2533), alla spalle con una casa di Sant’Eulalia (2530), di fronte con una casa della chiesa di Santa Caterina (2571); la casa in precedenza era stata ceduta al patron Nino Giangrasso, che pagava interessi per 10 scudi annui, pagati poi dal procuratore Giovanni Lucca (è un errore, si tratta di Pasquale Lucca o Luca, genero del Giangrasso); il Collegio ne aveva rivendicato la proprietà, ed era rientrato nel pieno possesso della casa trovandola “quasi distrutta, senza tetto né porta”.

Quest’ultima notizia è confermata da atti notarili del 1807, relativi alla casa 2571, nei quali è scritto che davanti vi era una casa distrutta del collegio delle Scuole Pie.

Un atto notarile del 23.07.1807 chiarisce la situazione: il 22.02.1783 il Patron Nino Giangrasso (-1805) aveva comprato dal Collegio di San Giuseppe per 200 scudi la casa terrena nella strada di las Fadas, col patto di pagare la somma entro 10 anni oltre a 10 scudi annui di frutti compensativi; con atto del 24.04.1790 il Giangrasso la cedette al notaio Pasquale Lucca (-1807), suo genero, ma nè GiangrassoLucca pagarono mai i 200 scudi; nel 1807 i loro eredi dovevano pagare i 200 scudi e circa 400 lire di interessi. Con l’atto del 23.07.1807 le sorelle Josepha, Priama, e Sicilia (Cecilia) Lucca Castilliano figlie del fu notaio Pasquale Lucca, assistite in quanto minori di 25 anni dalla madre Maddalena Castilliano vedova Lucca, e le sorelle Rita e Geronima Lucca Giangrasso, figlie del primo matrimonio dello stesso notaio Lucca (con Clara Giangrasso figlia di Nino, defunta nel 1779), firmarono la retrocessione e rinuncia della casa, che fu riacquisita dal Collegio.

In data 20.04.1809 il reverendo Luigi Emanuele Dela Vallee di Santa Maria, in nome del collegio delle Scuole Pie di San Giuseppe, firmò un contratto col mastro muratore Francesco Manca per riedificare con la spesa di 800 scudi la casa sita nella strada della Fada o di Monserrato, la medesima che era stata ceduta per un periodo al patron Nino Giangrasso e poi al notaio Pasquale Lucca, i quali ne avevano lasciato in piedi le sole “muraglie”. A lavori ultimati, con atto del notaio Demetrio Satta del 25.07.1809, il muratore Francesco Manca rilasciò ricevuta degli 800 scudi consegnatigli dal reverendo Dela Vallè.

I padri Scolopi di San Giuseppe ne erano ancora i proprietari dopo il 1850, come è riportato nel “Sommarione dei Fabbricati".

 

2535

La casa 2535 apparteneva al mastro Antonio Denegri: è citata in atti del 04.03.1792 e del 01.08.1798, relativi alla casa confinante 2536; è inoltre citata nella dichiarazione (senza data, probabilmente del 1807) del donativo dei padri Scolopi (proprietari della casa 2534) che la descrissero come la casa degli eredi di Antonio Denegri; quest’ultimo probabilmente la possedeva in enfiteusi; è anche citata in due atti del marzo e maggio 1807, relativi alla casa 2571 frontale sia alla casa Denegri sia a casa dei Padri Scolopi (2534).

Esiste qualche dubbio sull’identità del mastro Antonio Denegri, a causa di omonimie; l’ipotesi più probabile è che si possa identificare col mastro coniugato con Maria Chiara Deidda; i coniugi Denegri/Deidda ebbero una figlia, Anna Eulalia, battezzata in Sant’Eulalia nel 1761, e un figlio, Salvatore, che si sposò nel 1794 nella chiesa di San Giacomo con Raffaela Usai, i cui figli nacquero nel quartiere di Villanova.

Un atto notarile del 08.04.1807 fornisce notizie sui molti beni che il dottor Francesco Angelo Dessì (intorno al 1674) aveva lasciato in eredità all’Ospedale di Sant’Antonio, dei quali con quell’atto si fece inventario: fra questi vi erano due case nel sobborgo della Marina, una nella strada Moras (2944), l’altra nella strada dei Siciliani (in realtà nella traversa, cioè la strada di Frai Luis Grech), identificata con l’unità 2535, e confinante da una parte con casa dei Gesuiti, dall’altra con casa di Nicolò Murru (2536); il riferimento alla casa dei Gesuiti, in altro documento del 23.07.1807 coincidente con la casa Denegri, fa pensare che anticamente l’unità 2535 fosse suddivisa in due piccole case, di cui la parte a nord dell’Ospedale e prima del Dessì, la parte a sud dei Gesuiti,

Queste ultime informazioni confermano l’attibuzione a Denegri riferita in precedenza: infatti nell’atto del 08.04.1807 è specificato che la casa era abitata da Maria Chiara Deidda (vedova di Antonio Denegri), che pagava il fitto (o il canone enfitetutico?) di scudi 15, cioè lire 37.10; era una piccola casa composta dal piano terra e il solaio, con una sola camera in ciascuno.

Non si conosce la data di morte della vedova Deidda Denegri, ma è plausibile che sia deceduta entro il 1808; infatti, con atto del notaio Nicolò Martini del 10.01.1809, i Padri Ospedalieri concessero in enfiteusi una casa di loro proprietà (identificata dai confini con l’untà catastale 2535), proveniente dall’eredità Dessì, situata nella strada di Monserrato “ossia di Fraj Luis Grech”, al mastro muratore Francesco Manca; era composta dal piano terreno e uno superiore, e il Manca si impegnò a costruire un altro piano entro 3 anni e ad occuparsi a sue spese delle riparazioni necessarie; era stata stimata dal muratore Francesco Usai e dal falegname Salvatore Murru in lire 728, soldi 11 e denari 5, e fu stabilito il canone annuo di 50 lire; con atto notarile del 14.01.1811 Francesco Manca rinunciò però all’enfiteusi, probabilmente senza aver costruito il secondo piano.

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati, dopo il 1850 apparteneva ancora all’Ospedale civile. 

 

2536

Apparteneva al negoziante Giuseppe Tocco Mallus detto Tacada”; dopo la sua morte, in data 04.03.1792, si eseguì l’inventario dei suoi beni su richiesta della moglie Serafina Ajana; fra le case di proprietà del defunto ve n’era una nella strada di Fra Luis Grec, confinante da una parte con casa di donna Barbara Toufani (2537), dall’altra con casa del mastro Antonio Denegri (2535); era una casa grande composta di 3 piani compreso il terreno, poggioli in ferro e cisterna, stimata lire 1250. 

Un atto notarile del 01.08.1798, anch’esso relativo ai beni del defunto Tocco Mallus, conferma i confini della casa; i suoi eredi erano la moglie e il figlio nato postumo, Giuseppe Tocco Ajana, il quale però morì all’inizio del 1798; Serafina Ajana si era intanto risposata col negoziante Nicola Murru.

In atto notarile del 1807, relativo alla casa 2535, la casa 2536 viene infatti detta “casa di Nicolò Murru”.

In atto notarile del 10.01.1809, relativo alla confinante casa 2535, è indicata come casa degli eredi di Giuseppe Canada (con alterazione del soprannome Tacada).

Da atto notarile datato 14.01.1811, come il precedente relativo alla casa 2535, la casa 2536 è ancora descritta come appartenente agli eredi di Giuseppe Tacada, ma l’informazione sembra ormai superata: infatti in altro atto notarile del 25.09.1809, relativo alla casa 2537, è scritto che la casa confinante apparteneva alla Parrocchiale Chiesa di S.Eulalia, e in precedenza era di Giuseppe Tocco Mallus.

A metà ‘800 apparteneva ancora alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2537     

Il primo riferimento rintracciato per questa casa è del 1768: un atto notarile di quell’anno, relativo alla casa 2538, riferisce che la confinante 2537 era appartenuta all’ormai defunta Caterina Delvechio; nell’atto non è specificato chi fosse il nuovo proprietario.

Nel 1792, da un atto relativo alla casa 2536, l’unità 2537 risulta appartenere a donna Barbara Toufani, coniugata con Agostino Marramaldo, ma non risulta chiaro il passaggio di proprietà dalla precedente proprietaria.

Negli anni successivi sembra di poter attribuire questa casa ad Antioca Cavassa Marramaldo; nella sua denuncia per il donativo, datata 23.06.1799, Antioca Cavassa dichiarò di possedere due case nella strada Gesus e discesa di Fra Luis Grech, una di due piani con una stanza in ognuno, affittata per 30 scudi, l’altra simile affittata per 24 scudi; non vi sono particolari sufficienti per identificare le due case, che potrebbero corrispondere all’unità 2537, divisa in due abitazioni distinte; una conferma arriva dalla denuncia del Capitolo Cagliaritano, che nel 1807 dichiarò la casa Cartaros, identificata con l’unità 2538: quest’ultima aveva di lato una casa di Orsola Racca (2539/A), e sull’altro lato una casa (2537) di donna Cocca Toufani, cioè donna Antioca Marramaldo Toufani coniugata con Antonio Cavassa.

Ancora nel giugno 1808, da atto relativo alla casa 2874, ci si riferisce alla casa 2537 come appartenente a donna Cocca Marramaldo, mentre in atto del luglio 1808, relativo alla casa 2580, è scritto che la casa 2537 apparteneva prima agli eredi Marramaldo, poi al patron Antonio Argiu (o Angius).

Con atto del notaio Sisinnio Antonio Vacca, del 25.09.1809, Maria Antioca Marramaldo, col consenso del marito Antonio Cavassa, vendette una sua casa situata all’angolo fra la strada Gesus e la strada Fra Luis Grec (detta anche “de is Varas”), al Patron Antonio Angius. Il prezzo pattuito fu di 600 scudi sardi che sarebbero stati pagati in 10 anni, o tutti in una volta allo scadere, o con rate non stabilite ma non inferiori a 200 scudi; nel frattempo il compratore avrebbe pagato il frutto compensativo al 5% allo scadere di ogni anno.

Da quanto si è detto sembra che il passaggio di proprietà, almeno per accordi verbali, risalisse all’anno precedente: infatti per poter effettuare la vendita la proprietaria aveva dovuto chiedere il permesso alla Regia Vicaria, e l’aveva ottenuto con decreto del 2 aprile 1808; risulta che l’affitto ricavato fino a quel momento fosse di 32 scudi, che sembrano corrispondere a quei 30 scudi dichiarati nel 1799, ma per una sola parte.

La casa è ben identificata con l’unità catastale 2537 grazie ai confinanti: da un lato una proprietà della Comunità di Sant’Eulalia precedentemente di Giuseppe Tocco Mallus (2536), dall’altro lato la proprietà di Raimondo Vacca (2538), sul davanti e sull’altro lato della strada Gesus la proprietà di Pietro Gianquinto precedentemente del Convento dei padri Mercedari (2874), ancora davanti ma sull’altro lato della strada Fra Luis Grec la proprietà degli eredi del Giudice Don Francesco Cadello (2580).

Nell’atto del 1809 è specificato che Maria Antioca Marramaldo l’aveva ereditata dalla madre contessa di Nureci Donna Barbara Touffani, grazie al testamento pubblicato il 30.06.1795, quest’ultima l’aveva avuta per accordo notarile del 06.12.1784 con gli stessi suoi figli, ai quali era pervenuta dall’eredità del loro genitore Agostino Marramaldo, il quale l’aveva comprata dalla Dama Teresa Delvecio (sorella di Caterina) il 18.12.1759, con atto del notaio Giuseppe Antonio Rolando.

Era libera da ogni vincolo, Angius dovette promettere di conservarla in buono stato per non ledere gli interessi della venditrice, in quanto quest’ultima avrebbe avuto il diritto di rientrare in possesso della casa, in caso di inadempienza contrattuale.

A metà ‘800 risulta che appartenesse al negoziante Giuseppe Pisano; quest’ultimo potrebbe essere un figlio di Antonio Pisano e di Raffaela Angius, lei figlia di Francesco Antonio Angius e di Efisia Cardu.

 

2538     

Anticamente non era così piccola come appare sulla mappa di metà ‘800; lunga e stretta, arrivava fino alle unità catastali poste sull’altro lato dell’isolato.

Con atto notarile del 08.04.1768 il mastro carpentiere Giovanni Battista De Juannis acquistò (in enfiteusi) dal Seminario Tridentino una casa nel sobborgo della Marina e strada di Jesus, identificata con l’unità 2538; aveva davanti la casa 2874 dei padri “Mercenari” (così erano spesso chiamati i padri Mercedari), di spalle una casa di Sant’Eulalia (2530), di lato una casa che era della defunta Caterina Delvechio (2537) e sull’altro lato una casa del marchese di Villarios (2539/A); la stessa casa 2538 apparteneva molti anni prima a Caterina Delvechio e alle sue figlie Teresa e Margherita Delvechio (Bonench Delvechio), che l’avevano ceduta nel 1723 al Seminario; nel 1768 fu valutata 217 scudi e De Juannis l’acquistò per soli 200 scudi, da consegnare in seguito, e per i quali avrebbe pagato la pensione di 10 scudi annui; aveva il piano basso e un piano alto con alcune camere.

Non si sa per quanto tempo il mastro carpentiere (defunto al 1782) o suoi familiari ne ebbero l’enfiteusi; nel 1793, da un atto notarile del mese di novembre, relativo alla casa 2539/A, la casa 2538 risulta ancora appartenere al Seminario Tridentino, che ne aveva conservato la proprietà; nel 1797 e nel 1806, da altri atti relativi ancora alla casa 2539/A, è invece indicata come casa del Capitolo.

In data 15.08.1807 il Capitolo presentò la denuncia per il donativo, e incluse fra i suoi beni le due case Cartaros, identificate con le unità catastali 2538 e 2539/B; la prima era composta dal piano terra e un piano alto con sole due stanze, aveva davanti una casa dei padri Mercedari (2874), di lato una casa di donna Cocca Tuffani (2537), dall’altro lato una casa di Orsola Racca (2539/A); una postilla aggiunta nel donativo del 1807 riporta che in data 23.08.1808 la casa era stata ceduta in enfiteusi a Raimondo Vacca; infatti, con atto del notaio Gio Batta Azuni di quella data, il Capitolo concesse l’enfiteusi della casa Cartaros (o Cartarus) a Raimondo Vacca; era composta da una stanza terrena e un piano superiore con una sala, l’alcova ed una stanza, infine un “soffietto” adibito a cucina (forse una stanza sul tetto). Vacca avrebbe pagato il canone annuo di 20 scudi; entro 2 anni avrebbe dovuto elevare un piano e formare una cisterna, con la spesa di almeno 200 scudi. Se non avesse pagato il canone per 2 anni il contratto sarebbe stato annullato, e avrebbe dovuto pagare il doppio per i canoni arretrati; volendo lasciare la casa avrebbe dovuto dare un preavviso di 2 mesi e pagare il laudemio pari alla tredicesima parte del prezzo di vendita.

Il dato è confermato da atti notarili del 1809 e del 1813, relativi uno alla casa 2537, l’altro alla casa 2539/A, e risulta in entrambi che il possessore della casa 2538 fosse il signor Raimondo Vacca.

Le informazioni appena fornite sembrano non avere continuità fra loro; manca in effetti il passaggio di proprietà dal Seminario, o dai De Joannis, al Capitolo; c’è però un dato importante: il carpentiere De Joannis era noto anche come Cartaros, così come i suoi familiari; lo si deduce da un atto del 1778, relativo alla casa 2713, e da un atto del 1798, relativo alla casa 2354: i carpentieri fratelli Degioannis (Giovanni Battista, Francesco e Gemiliano), proprietari delle due case citate, vengono indicati anche come fratelli Cartaros; questa informazione ci permette di confermare che le case Cartaros del Capitolo, sia l’unità catastale 2538, sia l’unità 2539/B, appartenessero in precedenza ai De Joannis.

A metà ‘800 la casa 2538 risulta appartenere ancora al Capitolo. 

 

2539/a                 

Come l’unità catastale 2538, anticamente non era così piccola come appare sulla mappa di metà ‘800; lunga e stretta, arrivava fino alle unità catastali poste sull’altro lato dell’isolato.

Dall’atto notarile dell’aprile 1768, citato per la casa 2536 e 2537, risulta che la parte sinistra della casa 2539 fosse appartenuta anni prima al marchese di Villarios.

Con atto notarile del 20.11.1793 le sorelle Agostina e Pasquala Melachu ottennero in prestito 140 scudi dal negoziante Carlo Dessy, curatore dell’eredità del notaio Agostino Paderi; le due sorelle erano già debitrici del notaio Paderi di 360 scudi avuti nel luglio del 1778; nel 1793 avevano la necessità di riparare la loro casa, danneggiata dalla guerra coi Francesi, e volevano farlo prima dell’arrivo delle piogge; per garantire la restituzione del prestito ipotecarono la casa stessa, situata nella strada di Jesus, che avevano comprata nel dicembre 1774 per 435 scudi dal mastro muratore Antonio Giuseppe Cedda, il quale l’aveva acquistata per 270 scudi da donna Maria Grazia Amat y Masones marchesa d’Albis nel mese di ottobre 1773; la marchesa l’aveva avuta in dono nell’agosto 1760 dai suoi genitori don Francesco Amat y Tola e donna Maria Caterina Masones, marchesi di Villarios e conti di Bonorva.

La casa Villarios/Cedda/Melachu corrisponde all’unità catastale 2539/a, confinante sul davanti con la casa degli eredi del rettore Salvatore Ximenes (2873), da un lato con una casa del Seminario Tridentino (2538), dall’altro lato con casa del Padri di S.Giovanni di Dio (2539/b), di spalle con casa di S.Eulalia (2530); da queste informazioni, e dal confronto con altre mappe catastali, si suppone che la casa Melachu fosse ben più profonda di quel che sembra dalla inesatta pianta di metà ‘800: arrivava a confinare con la retrostante casa 2530, probabilmente attraverso i cortili.

Con atto notarile del 12.10.1797 le sorelle Melachu vendettero la loro casa per 827 scudi reali 8 soldi 3 danari 4 a Ursula Racca coniugata Corda; era composta da un camerone terreno, una sala, l’alcova e un piccolo camerino nel piano superiore, e all’ultimo piano una sala, l’alcova e una piccola cucina; aveva la cisterna e il pozzo, e fu stimata £ 2007, soldi 3, denari 4, (cioè scudi 802 reali 8 soldi 3 denari 4), dal misuratore regio Gerolamo Massei.

I vicini del 1797 differivano alquanto da quelli dell’atto del 1793, nel quale furono forse riportati i proprietari confinanti citati nell’atto di acquisto del 1774: nel 1797 la casa risulta confinare ai due lati con case del Capitolo (le case Cartaros 2538 e 2539/b), davanti con una casa del Monastero delle Cappuccine (2873), di spalle aveva la stessa casa di Sant’Eulalia indicata in precedenza (2530), e fu anche indicata, sempre di spalle, una casa dei padri Carmeliti (2529); identici confini vennero specificati in un atto notarile del dicembre 1806 col quale Orsola Racca vedova Corda ipotecò alcune sue proprietà, fra cui la casa 2539/a, per garantire la restituzione di un prestito ottenuto dalle monache della Purissima.

Nella denuncia per il donativo del 23.06.1799 la vedova Orsola Racca dichiarò due case nella strada Gesus, una di 17 stanze (2540), l’altra di 6 stanze; quest’ultima corrisponde all’unità 2539/a, e la vedova Racca dichiarò di abitare un piano (probabilmente il terreno) di entrambe le case, evidentemente unite al di dietro della casa 2539/b; nella casa 2539/a gli altri 2 piani erano affittati per scudi 30.

Le proprietà Racca sono anche citate nel donativo del 1807 del Capitolo, le cui case Cartaros (2538 e 2539/b) confinavano di lato e alle spalle con le case Racca.

Con atto notarile del 02.12.1806 la vedova Racca, a corto di contanti, ottenne 400 scudi a censo, con interessi al 6%, dal Monastero della Purissima; per garantire la restituzione della somma e il pagamento delle pensioni ipotecò 3 case di sua proprietà: la casa 2539/a, acquistata dalle sorelle Melachu, e le case 2871 e 2870, sull’altro lato della strada Gesus e sulla strada del Pagatore, provenienti dalla eredità Massei.

Con atto notarile del 01.06.1810 ottenne altri 200 scudi dall’eredità del fu Console di Genova Felice Ranucci, con nuova ipoteca delle stesse 3 case.

In data 14.10.1811 la vedova Orsola Racca, costretta a estinguere vari debiti e particolarmente quelli che aveva verso il genero don Pietro Lostia, e onerata dalle spese che aveva dovuto affrontare per una lite colla vedova del suo patrigno, Giuseppa Cadoni, ipotecò due case di sua proprietà, site nella strada Gesus e la strada del Pagatore: la casa donatale dal patrigno Girolamo Massei (2870), e la casa sull’altro lato della strada (2539/a), confinante per i due lati con case del Capitolo (2538 e 2539/b); la vedova ottenne 1150 lire dal reverendo Girolamo Onnis, amministratore dell’eredità del notaio Agostino Paderi.

Con atto notarile del 28.10.1813, Orsola Racca vendette per 800 scudi la casa ex Melachu al negoziante siciliano Giuseppe Cincottu; sulla casa gravava un censo di 200 scudi appartenente al genero don Pietro Lostia, vedovo di Caterina Corda Racca, ed un altro di 400 scudi del Monastero della Purissima; don Pietro Lostia aveva già citato in giudizio la suocera per riavere il capitale, pertanto si raggiunse un accordo con Giuseppe Cincottu che al momento dell’atto non versò contanti, ma si impegnò a pagare i creditori della venditrice, e a mettere a disposizione i rimanenti 200 scudi per i lavori di restauro necessari in altre proprietà della vedova.

Secondo gli accordi presi, Giuseppe Cincottu, con atto del 10.11.1813, versò all’abbadessa del Monastero della Purissima, suor Barbara Zatriglia, lire 1132 soldi 10 a saldo del debito contratto da Ursula Racca in data 02.12.1806.

Giuseppe Cincottu, già proprietario della casa confinante 2539/b, morì nel 1828.

 

2539/b                 

Le sue dimensioni erano anticamente maggiori di quelle che appaiono sulla mappa di metà ‘800, così come già scritto per le unità catastali 2538 e 2539/a.

La prima informazione su questa casa è del 08.08.1751, proviene da un atto notarile relativo alla casa 2540: quest’ultima aveva la facciata principale e l’ingresso nella strada del Pagatore, alle spalle aveva la casa che era del defunto Leonardo Obino, poi di suo figlio, identificabile con la parte destra della casa 2539; non si hanno conferme sulla proprietà Obino; alcuni atti notarili, di diversi decenni successivi, forniscono informazioni non collegabili con le precedenti e non coerenti: nell’ottobre 1792 la casa 2872, sull’altro lato della strada Gesus, aveva di fronte una casa dell’azienda ex-gesuitica; nel novembre 1793 la casa Melachu 2539/a confinava da una parte con casa del Seminario Tridentino (2538), dall’altro lato con casa del Padri di S.Giovanni di Dio (2539/b); nel maggio 1795 la casa Racca 2540 aveva di lato una casa del Capitolo Cagliaritano (2539/b); nell’ottobre 1797 la casa Melachu 2539/a confinava ai due lati con case del Capitolo (2538 e 2539/b); questi ultimi confini sono confermati da atto del dicembre 1806, relativo alla casa Racca, già Melachu; per cui, se le attribuzioni antecedenti il 1795 hanno bisogno di conferme, sembra assodato che dal 1795 in poi questa casa, così come la casa 2538, appartenesse al Capitolo Cagliaritano.

Infine, nella denuncia per il donativo del Capitolo Cagliaritano, datata 15.08.1807, sono incluse le due case Cartaros, identificate con le unità catastali 2538 e 2539/b[1]; la seconda era composta dal piano terra di una stanza e due piani alti di due stanze ciascuno, aveva ai lati e di spalle le case di Orsola Racca (2539/a e 2540); una postilla aggiunta nel donativo del 1807 riporta che il 30.09.1808 la casa era stata ceduta in enfiteusi al negoziante Cincottu, da identificare con Giuseppe Cincotta (-1828), lo stesso che nel 1813 acquistò da Ursula Racca l’altra parte dell’unità 2539, diventandone l’unico proprietario; Cincotta proveniva dal Regno di Napoli, più esattamente da Lipari, dove il cognome Cincotta è ancora uno dei più tipici; era arrivato a Cagliari intorno al 1788, aveva sposato nel 1801 Angela Defraia di famiglia d’origine napoletana, nel 1811 in seconde nozze Caterina Russu proveniente da Bonifacio; nel 1806 chiese di essere considerato alla stregua di un nativo sardo e “godere così dei privilegi dei quali gioiscono i veri naturali sardi ed essere in conseguenza sottoposto a tutti i doveri obblighi e servizi cui sono essi ritenuti”.

Nel Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 l’unità catastale 2539 appartenesse in parte al negoziante Lazzaro Ravenna (1796-1882), in parte al barone Salvatore Rossi (1775-1856), entrambi al numero civico 8 della strada Gesus. 



[1] per l’identificazione di Cartaros con De Joannis, si veda quanto detto per la casa 2538,

 

2540     

Anticamente doveva essere meno estesa di quanto appare nella mappa di metà ‘800: la parte retrostante le unità 2538 e 2539 è probabile che facesse parte di quelle due stesse unità catastali.

Con atto notarile del 08.08.1751 “Carlos Martin escrivente de la Marina” comprò da Maria Caterina Marras (col consenso e alla presenza del marito Francesco Soddu), tutta quella casa grande ensostrada de varios aposentos sita en dicho arrabal y calle dicha de Cavalleros; il prezzo pattuito fu di 2250 lire, delle quali lasciate a censo 1500 lire con pensione al 6% da pagare all’Arciconfraternita del SS Crocifisso della Orazione alias della morte (fondata nella chiesa del S.Sepolcro), con gli stessi accordi che aveva con l’Arciconfraternita il fu Juan Bauptista Marras (padre di Maria Caterina) e prima di lui il fu Antonio Gaspare Morteo, con ipoteca della casa; 250 lire erano di proprietà del convento degli Osservanti, le restanti 500 lire vennero consegnate a Maria Caterina Marras, che doveva pagare alcuni creditori del suo defunto padre; la casa acquistata da Carlo Martini aveva davanti una casa che era della nobile Francesca Marty, e poi di suo figlio il nobile don Joseph Rosso (2522), di spalle la casa che era del fu Leonardo Obino e poi di suo figlio (2539/b), da un lato la casa che era di Battista e Maria Sogus, e poi di Francesco Marramaldo (2525), dall’altro lato, strada in mezzo, le case del convento di Bonaria (2871) e di Ignazio Braxia (2872).

Un atto notarile del 22.01.1757, col quale i padri Mercedari del convento di Bonaria vendettero la casa 2871 a Gerolamo Massey, conferma che Carlo Martini era proprietario della casa 2540; ulteriori conferme vengono da atti del 07.01.1760, del 23.06.1762, e del 17.03.1768, anch’essi relativi alla casa 2871; altra conferma viene da un atto notarile del 26.08.1784, relativo alla casa confinante 2525: in questa occasione Carlo Martini, proprietario della casa 2540, viene chiamato “notaio”.

Nel 1795 la casa aveva cambiato proprietario: il Martini, nato nel 1708 e morto nel 1792, era figlio di Ambrogio, commerciante di Alassio, e fratello maggiore del più agiato negoziante Giovanni Battista (citato più volte per diverse proprietà nel quartiere), ed era uno “scrivente” come ci dice l’atto del 1751, forse un notaio come ci dice l’atto del 1784; nella registrazione di morte la parola “notaio” è leggibile ma cancellata.

In un atto del 09.05.1795 la casa 2540 era proprietà e abitazione del chirurgo e professore di chirurgia Giuseppe Racca; con questo documento egli fece donazione alla pronipote Caterina Corda Racca (che in quell’anno sposò il nobile don Pietro Lostia) della somma di lire 7107, soldi 3 e denari 6: di queste, parte furono date in contanti, e lire 5000 furono caricate sulla casa 2540, sita in contrada Gesus davanti alla casa del Regio ingegnere Girolamo Massey (casa 2871); di lato c’era la casa Doneddu 2522, strada delle Fate in mezzo, dall’altro lato una casa del Capitolo (2539/b), dietro la casa di Antonio Sanna (2525).

Un atto del 31.12.1796 relativo alla casa Massey 2871 conferma la proprietà Racca della casa 2540.

Giuseppe Racca morì poco tempo dopo: l’erede usufruttuaria era la nipote Ursula Racca (figlia del fratello Giovanni Luigi Racca chirurgo maggiore dei dragoni), maritata con l’avvocato Luigi Corda Floris; la donna presentò la denuncia per il donativo in data 23.06.1799, e dichiarò le case avute dallo zio Giuseppe: una in contrada Barcellona (2920), l’altra in contrada Gesus, cioè la casa 2540 di 17 stanze, mentre la casa 2539/a fu comprata dal lei stessa nel 1797. Ursula Racca abitava il piano terra di entrambe le case della strada Gesus, unite al di dietro della casa 2539/b; gli altri due piani della casa 2540 erano affittati per un totale di scudi 78. Sulla casa 2540 gravava un censo di scudi 2000, cioè lire 5000, che lo zio Giuseppe aveva lasciato alla nipote Caterina Corda Racca, figlia di Ursula.

Vi sono due atti del 1801 che citano la casa 2540: il primo è relativo alla casa Massey 2871, conferma che la casa 2540 era degli eredi del fu Giuseppe Racca, e chiarisce la parentela fra il Massey, regio misuratore, e i Racca: il Massei, rimasto vedovo nel 1757, aveva sposato in seconde nozze lo stesso anno Maria Francesca Godot, vedova di Luigi Racca, madre di Ursula; rimasto nuovamente vedovo, si risposò una terza volta, ma buona parte dei suoi beni furono ereditati dalla figliastra Ursula Racca.

Il secondo atto del 1801 che cita la casa 2540 è relativo alla casa 2525, e ci conferma che la casa laterale (2540) apparteneva in passato al defunto Carlos Marty (Martini), da cui l’aveva comprata il fu chirurgo Racca, ed era posseduta in quell’anno dalla nipote Ursula Racca.

Ulteriori conferme vengono da un atto del 1806 col quale Ursula Racca ipotecò alcune sue case, cioè la casa 2539/a comprata dalle sorelle Melacciu e le case 2870 e 2871 che appartenevano al patrigno (vitreco) Gerolamo Massey; la casa 2870 aveva davanti, strada Gesus in mezzo, l’altra casa grande della stessa Racca, numero 2540.

Nel donativo del 15.08.1807 del Capitolo Cagliaritano, la casa Cartaros del Capitolo, unità 2539/b, confinava da entrambe le parti e anche di spalle con le case Racca 2539/a e 2540.

Sono state rintracciate inoltre due cause civili che forniscono informazioni sulla casa 2540 e sulla famiglia Corda Racca: in data 18.07.1808 l’avvocato Giuseppe Corda Racca citò la madre Ursula Racca vedova Corda in quanto egli abitava in affitto in una casa che era però costretto ad abbandonare, e avrebbe voluto utilizzare una delle case che gli aveva lasciato il prozio Giuseppe Racca di cui però era usufruttuaria la madre; in particolare avrebbe voluto abitare in una casa all’angolo della strada Gesus, non lontana dalla porta omonima, dove abitava da più di 15 anni il Guardia Minore Giuseppe Martini; si tratta della casa 2540, un tempo proprietà di Carlo Martini; con tutta probabilità Giuseppe Martini era proprio figlio del già defunto Carlo e di Maria Antonia Orrù, nato nel 1744; il contratto di affitto, risalente al 1792, in coincidenza con la morte di Carlo e con la vendita della casa a Giuseppe Racca, fu rinnovato da Ursula nel 1802 per altri 10 anni; Ursula affermò che la casa affittata al Martini le rendeva 60 scudi all’anno, ma tutta la proprietà era gravata da un’ipoteca di 2000 scudi i cui frutti venivano pagati al genero don Pietro Lostia, vedovo della fu Caterina Corda figlia di Ursula Racca, e curatore della figlia Anna Maria Lostia Corda, minorenne; Ursula, che in quell’anno viveva nella casa della strada Barcellona con l’altra figlia Anna Corda, coniugata col cavalier Giuseppe Massa, disse che era suo diritto affittare la casa a chi e per quanto le pareva necessario, e che la casa non era comoda per il figlio che, per la sua professione, avrebbe dovuto cercarsi una casa in una zona più centrale; inoltre il figlio l’aveva sempre trattata malissimo, coinvolgendola in una lite fastidiosa, l’aveva ingiuriata e minacciata, e non intendeva dargli la casa, meno che mai quella che lui chiedeva, anche perché non ne avrebbe pagato l’affitto.

Non si sa quando sia morta Ursula Racca; l’ultimo documento che la cita è del 28.10.1813, quando la donna vendette l’altra sua casa 2539/a; in questo documento è riportato il fatto che alla vedova rimaneva l’usufrutto delle proprietà lasciatele dallo zio chirurgo Giuseppe Racca, cioè la casa 2920 nella strada Barcellona, e la casa 2540 nella strada Gesus; in quell’anno l’ormai anziana vedova viveva nel quartiere del Castello, probabilmente a casa della figlia Anna Corda Racca, moglie del cavalier Giuseppe Massa.

Un’altra causa civile del 1822 vede invece contrapposti donna Anna Maria Lostia e suo padre don Pietro Lostia; la Lostia era assistita da suo marito avvocato Salvatore Congiu, e la lite riguardava l’eredità dei nonni Luigi Corda Floris e Ursula Racca, di cui Anna Maria Lostia era beneficiaria attraverso la madre, la fu Caterina Corda Racca. Vi sono riferimenti chiari, nella causa, all’ipoteca di 2000 scudi che lo zio Giuseppe Racca aveva lasciato a Caterina Corda Racca, caricati sulla casa 2540, ancora di proprietà della famiglia. 

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2540 appartenesse ancora a donna Anna Maria Lostia coniugata Congiu; morì in una casa di via Gesus, probabilmente quella con numero catastale 2540, il 22.04.1874 all’età di 77 anni; nella (stessa?) casa al numero civico 33 della via Cavour morì novantatreenne il 25.09.1878 il suo vedovo Salvatore Congiu, avvocato nativo di Nuragus.