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Isolato U1: scalinata e piazzale S.Eulalia/contrada S.Eulalia/Gesus/discesa dietro S.Eulalia

(scalinata e piazzale di Sant’Eulalia, via Sant’Eulalia, via Cavour, via Concezione)

numeri catastali da 2892 a 2911

il fronte sulla via Cavour è rimasto piuttosto integro, con alcune case che sono state riunite e presentano una facciata comune. Sono state riedificate le case sula via Sant’Eulalia, unità 2907 e 2908, è sparita la piccola unità 2909, così come la casa 2892 sulla via Concezione.

 

2892, 2893, 2894, 2895                   

Queste 4 unità catastali appartenevano al Capitolo Cagliaritano e venivano chiamate case “Conta” (o Contu, Conte), probabilmente dal nome di un precedente proprietario; da notare che nella mappa catastale ottocentesca le case 2892, 2893 e 2894 appaiono esageratamente grandi, di conseguenza le loro affrontazioni non sono corrette: in altre mappe successive, l’unità 2894 è molto più stretta, anche le case 2895 e 2896 si trovano davanti alla casa 2591, e altre case dello stesso isolato risentono dello spostamento.

Nell’atto del 1789, col quale venne assegnata all’asta la casa 2887, quest’ultima aveva davanti una casa del Capitolo (2893); il dato è confermato in atto del 1792, anch’esso relativo alla casa 2887, e anche nell’atto del 1797 con cui i coniugi Porcu Alciator cedettero l’intera casa 2887, che aveva davanti le case del Capitolo (2892 e 2893).

In altri 2 atti del novembre 1797 è scritto che la casa Pinna 2591, sulla strada Gesus, aveva di fronte una casa del Capitolo (2894); e in 2 atti del 1798 relativi alla casa 2896, posseduta dal convento dei Padri Mercedari, la casa di lato (2895), era anch’essa di proprietà del Capitolo.

Il donativo del Capitolo Cagliaritano, datato 15.08.1807, comprende il gruppo di case dette “Conte” (o Conta): si trattava di 4 case con piano terreno e primo piano, ed una casa con piano terreno e 2 piani alti, site nella strada Gesus; avevano davanti la casa di Luigi Zibetto (ex casa Pinna, 2591), di lato la casa di Efisio Usai (2896), dietro alcune case della chiesa di Sant’Eulalia (in quell’area senza numero catastale a cui potrebbe attribuirsi il numero 2911, e nella quale tuttora vi sono delle case basse, con l’entrata sul lato della chiesa), e dall’altro lato una casa delle monache di Santa Chiara (ex casa Porcu, 2887);.

Quanto specificato nella denuncia per il donativo trova riscontro in un atto notarile del 04.01.1811, col quale il Capitolo concesse in enfiteusi perpetua le due case Conta 2893 e 2894 al genovese Giovanni Stagno, fabbricante di “fidei” (spaghetti, vermicelli); Giovanni Stagno aveva chiesto una sola casa, che gli fu concessa col patto che si addossasse anche la casa attigua e che costruisse un altro piano; la prima casa si apriva nella strada Gesus, all’angolo con la salita di Sant’Eulalia, aveva un magazzino terreno e il primo piano con due sale e due alcove; la seconda casa stava dietro la precedente, con facciata sulla salita di Sant’Eulalia chiamata anche s’arrughixedda, o su Carreloni (vicolo) di S.Eulalia, aveva anch’essa una magazzino al piano terreno e il primo piano con due sale e due alcove; nella prima c’era anche la cisterna per l’acqua piovana, che raccoglieva anche l’acqua proveniente dai tetti della seconda casa; fu pattuito il canone enfiteutico annuo di scudi 81.

Con atto notarile del 22.04.1813 “l’Ill.mo Capitolo e la molto R.da Comunità della Santa Primaziale Chiesa Cagliaritana” concessero in enfiteusi perpetua al genovese fabbricante di pasta Giuseppe Caravetto (o Corvetto), e ai suoi discendenti, una casa Conte (o Conta),composta da un piano terreno ed un piano e mezzo superiore”, confinante con la casa del notaio Efisio Usai Todde (2896) e con la casa del Capitolo già concessa al fabbricante di pasta Giovanni Stagno (2894); si tratta in questo casa della casa 2895, sulla strada Gesus.

Il “fabbricante di pasta” Giovanni Battista Stagno (-1848) proveniva da Bogliasco, comune a pochi chilometri da Genova; coniugato in Cagliari nel 1799 con Teresa Gianella di Portofino, ebbe molti figli, fra cui Giovanni, che si sposò nel 1840 con Maria Anna Corvetto (o Cavaretto), figlia di Giuseppe e di Anastasia Maxia.

Il “fabbricante di pasta” Giuseppe Caravetto (o Cavaretto, o Corvetto) (-1850), proveniva egli pure da Bogliasco (ma con agganci familiari Siciliani); la sua genealogia è resa complicata dalle trasformazioni del suo cognome, che sembra probabile si sia consolidato in Corvetto, attualmente esistente nel Cagliaritano; dovrebbe essersi sposato 3 volte: la prima moglie era Rosa Carneglia (-1806), vedova di Antonio Basso, la seconda Anastasia Maxia Marceddu, la terza Vincenza Gessa.

Nel donativo del Capitolo Cagliaritano del 1813 venne specificato che 2 case “Conte” erano state date in enfiteusi ai “panatari” (Giovanni Battista) Stagno nel 1811, e a Giuseppe Corvetto nello stesso 1813.

Dopo il 1850, dai dati del Sommarione dei Fabbricati, le case 2892, 2893, 2894 (probabilmente ricostruite, infatti da quattro case se ne ricavarono tre), appartenevano ancora al Capitolo Cagliaritano; la casa 2895 apparteneva invece a Vincenza Gessa vedova Corvetto.

 

2896     

Nel 1798 apparteneva al Convento dei Mercedari; era detta “casa di Aurenty”, e venne periziata il 21 luglio di quell’anno dal mastro muratore Francesco Usay e dal mastro falegname Pasquale Marteddu, su richiesta dello stesso Convento e del negoziante Antonio Giordano; fu valutata in lire 1989 e 6 soldi; in data 11.08.1798, dal momento che il negoziante Giordano non risultò più interessato, venne concessa in enfiteusi al notaio Efisio Usai Todde, abitante nel quartiere di Stampace.

Nella denuncia per il donativo del 1807, presentata dal Capitolo Cagliaritano, il notaio Efisio Usai è citato come confinante della case Conte (2895 ecc..).

Nel loro donativo del 1812 i Padri Mercedari dichiararono di ricevere dal notaio Pietro (recte Efisio) Usai un canone di 92 lire e soldi 10 per una casa nella strada del Gesù.

Infine, il notaio Efisio Usai Todde è citato in atto notarile del 1813, in quanto proprietario della casa confinante all’unità 2895, concessa in enfiteusi in quell’anno.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora al Convento dei Mercedari.

 

2897     

Nel 1792, da un atto relativo alle case Murgia Melis (sull’altro lato della strada Gesus), risulta che la casa 2897 appartenesse al Boticario Miguel Tuveri, e così risulta anche dagli atti del 1798 relativi alla casa 2896 dei Padri Mercedari.

Lo speziale Michele Tuveri morì nel 1798, la sua erede era l’unica figlia Speranza che nel 1783 aveva sposato il nobile don Carlo Paglietti.

Nel suo donativo del 1799 Speranza Tuveri dichiarò una casa in contrada Gesus, con magazzeno a pianterreno e 2 piani con 6 camere in tutto, affittata per scudi 77;

Nel donativo del 1799, don Saturnino Cadello dichiarò di ricevere una pensione per un censo gravante su una casa in contrada Gesus del fu Michele Tuveri;

In alcuni atti del 1800, relativi alla casa Murgia Melis, sita davanti alla casa 2897, questa è detta “casa del quondam dr in diritto Juan Rollando, oggi posseduta dagli eredi del quondam Miguel Tuvery”;

Nel 1840, nell’inventario dei beni di donna Speranza Paglietti nata Tuveri, compare una casa in contrada Gesus composta da 2 piani e una bottega.

Speranza Tuveri morì ottantenne nel 1847; dopo il 1850 la casa 2897 apparteneva a suo nipote don Carlo Paglietti (1828-1893), figlio di don Raffaele Paglietti (1794-1838, figlio di Speranza Tuveri) e di Elisabetta Nossardi.

 

2898 e 2899       

Sono le case “Raccis” del Capitolo Cagliaritano; la casa 2899 è citata in 4 atti notarili relativi alla casa Basso (2900), di cui tre del 1797, uno del 1806; è citata anche in un atto del 1800, relativo alla casa 2588 sull’altro lato della strada Gesus.

La casa 2898 è citata in atto del 26.05.1800 relativo alla casa Murgia Melis 2589.

Il Capitolo Cagliaritano nel suo donativo del 1807 dichiarò le due case Raccis, site in contrada Gesus, la prima con piano terra e 2 piani, ognuno con 5 stanze; la seconda con piano terra e 2 piani, ognuno con 4 stanze.
Dopo il 1850 entrambe le case appartenevano ancora al Capitolo Cagliaritano.

 

2900     

In atto notarile del 16.12.1791, relativo alla casa Pugnaire (2901), la casa 2900 è indicata come casa della “defunta Donna Maria Chamar e oggi del Sepolcro”.

Nel marzo 1797 la “Hermandad del Sepulcro” cedette la casa, in enfiteusi perpetua per 41 scudi annui, al mastro Salvatore Satta; la casa era posta nella strada di Gesus, di fronte alla strada trasversale che conduceva dalla strada di Jesus alla strada del Molo, e confinava di spalle al cimitero di S.Eulalia, da un lato con casa del Capitolo (2899) e dall’altro con casa di Antonio Pugnaire (2901).

Nel maggio dello stesso anno il mastro sarto Salvatore Satta cedette la casa al "panataro" piemontese Antonio Bassu (Basso), che già vi abitava, e che si accordò col mastro muratore Joseph Antonio Putzolu per riedificare la casa, rifacendo la facciata di entrambi i piani, con una porta finestra in ognuno.

Antonio Basso morì poco tempo dopo, lasciando la vedova Rosa Carneglia, nativa di Sestri; questa si risposò nei primi giorni di maggio del 1801 con Giuseppe Corvetto; in un atto del 18.10.1802, relativo alla casa Pugnaire 2901, è scritto che detta casa confinava di lato con la casa di Rosina Carneglia moglie del "panataro" Joseph Curvet (Corvetto).

Il 16.09.1801 Rosa Carneglia, ancora in giovane età ma in precarie condizioni di salute, dettò il suo testamento al notaio di Villanova Lucifero Caboni; dichiarò di essere proprietaria di metà della casa dove abitava nella strada Gesus, che lei e il suo precedente marito avevano acquistato da Salvatore Satta nel 1797, e per la quale si pagavano 41 scudi annui all’Arciconfraternita del Sepolcro; lasciò dei legati al marito Corvetto, e nominò eredi i 5 figli avuti con Antonio Basso: Giovanni, Domitilla, Giuseppe, Efisia, Antonia, fratelli e sorelle Basso Carneglia, i quali erano già proprietari dell’altra metà della casa, ereditata dal padre; indicò per loro tutore suo fratello Luigi Carneglia.

Il testamento fu pubblicato nello stesso anno 1801, ma Rosina Carneglia morì negli ultimi giorni di aprile del 1806[1]; in data 15.06.1806 il notaio Lucifero Caboni diede inizio alla complilazione dell’inventario dei suoi beni, su richiesta dell’esecutore testamentario, il fratello pittore Luigi Carneglia, e del marito Giuseppe Corvetto (-1817); questi agiva anche come tutore e curatore del figlio “pupilloFrancesco Corvetta Carneglia (nato probabilmente dopo la stesura del testamento, nel quale non è nominato). Il notaio Caboni si recò pertanto nella casa dove cessò di vivere Rosa Carneglia, nel sobborgo della Marina e contrada di Gesù (2900).

Fra le carte inventariate compaiono l’atto notarile del 02.03.1797 col quale l’Arciconfraternita del Sepolcro concesse in enfiteusi al mastro Salvatore Satta una casa nella contrada Gesus, con un canone annuo di scudi 41; è compreso inoltre l’atto notarile del 9 marzo successivo col quale Salvatore Satta cedette l’enfiteusi al Panettiere Antonio Basso; la casa fu valutata dai periti (il mastro muratore Francesco Usai e il mastro falegname Antonio Pinna Marcia) in scudi 823, reali 1, soldi 1, denari 8; tutta l’eredità, detratti alcuni debiti, fu stimata scudi 2171, reali 7, soldi 3, soldi 6.

Dal vecchio catasto risulta che la casa 2900 dopo il 1850 appartenesse a Francesco Corvetto; da un dato aggiunto nel 1859 risulta appartenere al panettiere Efisio Corvetto; senza averne la certezza sembra plausibile che Francesco fosse il figlio del panettiere Giuseppe Corvetto e di Rosa Carneglia; Efisio dovrebbe essere un altro figlio di Giuseppe e della sua seconda moglie Anastasia Maxia, nato intorno al 1819 e morto nel 1877.

 


[1] la si identifica con una Rosa Cavareta (recte Corvetto) Carnella, morta alla Marina; Giuseppe Corvetto era dal 1801 il suo terzo marito: si era sposata una prima volta con Antonio Fera, una seconda nel 1789 con Antonio Basso. Era nativa di Sestri Levante, figlia di Giovanni Battista Carneglia e di Bianca Maria Salina (o Salini), abitava sin da bambina a Cagliari. Il cognome Cavareta attribuitole nella registrazione di morte deriva dalla confusione e somiglianza fra il cognome Corvetto, del suo terzo marito, e il cognome Cavaretta che portava la moglie di suo fratello Luigi Carneglia.

 2901

Era la casa del negoziante di origine francese Antonio Pugnaire (1721-1806), il quale in data 16.12.1791 la ipotecò per pagare dei debiti; era una casa alta, con 2 sottani, cortile alle spalle, sita in calle di Jesus o dei Cavalieri, aveva davanti una casa che era in precedenza del canonico Marras e poi dei fratelli Gastaldi (2615), e la discesa che porta al convento di San Francesco di Paola (attuale via dei Mille); di spalle aveva il cimitero della chiesa di S.Eulalia, da un lato una casa del convento di Bonaria (2902), dall’altro lato la casa che era della defunta donna Maria Chamar e poi del Sepolcro (2900); il Pugnaire l’aveva ereditata da suo fratello Paolo Pugnaire che l’aveva acquistata da Maria Josepha Maxia il 27.01.1752.

E’ indicata come casa Pugnaire negli atti del 1797 relativi alla casa 2900, e in atti dello stesso anno e del 1798 relativi alla casa 2902; in quest’ultimi 2 casi il proprietario è chiamato “Monsieur Pugnaire”.

Nel 1799, nel suo donativo, il canonico Salvatore Demurtas dichiarò di ricevere da Antonio Pugnaire una pensione di 20 scudi per un censo di scudi 400, gravante sulla sua casa alla Marina.

Con atto del 18.10.1802 la casa che era di Antonio Pugnaire, sequestrata per i suoi debiti il 19.10.1802, venne assegnata in pubblica asta al negoziante Pasquale Gorlero (o Gorleo), che aveva presentato la migliore offerta di lire 1900.
Il dato è confermato da un atto del 1806, relativo alla casa 2900, e da atti di febbraio e di maggio 1807, relativi alla casa 2902, confinante di lato con la casa Gorlero, ex-Pugnaire.
 

Dopo il 1850 risulta appartenere al Regio impiegato Nicolò Gorlero, nato nel 1813, figlio di Pasquale.

 

2902     

Era già dal 1779 una proprietà dei padri Mercedari del convento di Bonaria: lo si legge nel fascicolo della causa sull’eredità Gorsiglia, a proposito della confinante casa 2903; anche nell’atto del 1791, citato per la casa 2901, l’unità 2902 è indicata come casa del convento di Bonaria; con atto notarile del 30.08.1797 i padri Mercedari la fecero stimare dal mastro muratore Vicente Castellano e dal mastro falegname Pasquale Marteddu; si trovava nella strada di Porta Jesus, aveva a un lato la casa che era del fu Console Gorzilla (2903), sull’altro lato la casa Pugnaire (2901), davanti la casa che era del fu Francesco Laurero e poi dei fratelli Gastaldi (2615), e alle spalle la stessa casa Gorzilla (che evidentemente aveva un cortile ampio che si estendeva dietro la casa 2902). 

Veniva chiamata “casa di Montalich”; era composta da un “sóttano” diviso in due stanze e una piccola cucina, il pozzo accessibile anche dal primo piano, due piani alti; venne valutata in totale 656 scudi, 5 reali, 2 soldi, 6 denari; la stima venne eseguita in accordo col "panataro" Pasquale Pelufo, che evidentemente era interessato all’acquisto, ma l’affare non andò in porto; il 25.08.1798 i Padri Mercedari la cedettero in enfiteusi, col canone di 30 scudi annui, al chirurgo Effis Guisu.

Il chirurgo Efisio Guiso, (Guisu, Ghiso, Ghisu) presentò in data 23.06.1799 la denuncia per il donativo, e dichiarò di possedere una casa in enfiteusi nella strada Jesus della Marina, comprata dai Mercedari, composta da un piano terreno con una stanza e una cucina, e due piani alti, ognuno con 2 sale, una stanza e la cucina; probabilmente era in quell’anno in ristrutturazione, poiché il Guiso dice che “una volta terminata” avrebbe potuto rendere scudi 40 annui; era comunque la sua abitazione; il Guiso possedeva una casa anche in Villanova; di lui si sa che era ancora in vita nel 1813, quando, nella sua bottega della strada di S’Arrughixedda (Villanova, via Sulis), ebbe modo di curare due donne, ferite da alcuni colpi di sciabola.

Era ancora in enfiteusi al Guiso nel 1807: in atto del 16 febbraio di quell’anno, i Padri Mercedari e il chirurgo Efisio Ghiso fecero stimare la casa dal pubblico misuratore Francsco Ari, dal muratore Francesco Usai, e dal falegname Pasquale Marteddu; fu valutata in lire 2862, soldi 13, denari 4, somma molto superiore alla stima risalente al 1797 di 656 scudi, equivalenti a 1640 lire. La valutazione della casa era propedeutica a una rinuncia da parte di Efisio Ghiso: con atto del notaio Serra del 27.04.1807, Maria Ferrari, per conto del marito Efisio Ghiso, firmò l’atto di cessione dell’enfiteusi.

Con atto notarile del 09.05.1807 il reverendo padre Fra Giuseppe Maria Odella, commendatore della Comunità Mercedaria, concesse la casa in enfiteusi, per 50 scudi annui, a Giuseppe Zicavo “Pilotto nelle regie Galere Sarde dell’isola della Maddalena e dimorante in questa città”. 

In atto del 13.08.1810, relativo alla casa Gastaldi 2615, questa confinava dalla parte della strada Gesus con la casa Gorsiglia (2903), e con casa di Antonio Raggio (2902). Non si conosce la data del passaggio al Raggio, che potrebbe essere subentrato al Zicavo come enfiteuta; Antonio Raggio dovrebbe essere lo stesso negoziante genovese che ebbe in enfiteusi la casa 2550 nel 1811.

Dopo il 1850 la casa era ancora una proprietà del convento dei Mercedari.

 

2903     

In data 21.12.1788 morì Estevan Gorsilla console di Roma (o Gorzilla, o Gorsiglia, o meglio Corsiglia, quest’ultimo cognome ancora ben presente nella riviera di levante della Liguria); il 13.01.1789 venne compilato l’inventario dei suoi beni su richiesta del negoziante Effis Luis Moy, curatore di suo figlio minore Estevan Moy Gorsilla, erede universale del defunto; venne eseguito l’estimo di due case di proprietà del Gorsilla, una nella strada Mores valutata lire 3688.13.6 (numero catastale 2262), l’altra nella strada Gesus, valutata lire 6507 soldi 14 denari 7; quest’ultima era la casa di abitazione, aveva il giardino, un magazzino di fianco all’entrata e altri 2 che avevano l’ingresso dal retro, sulla piazza di Sant’Eulalia; i 3 magazzini, stimati separatamente dalla casa, vennero valutati in lire 3286.18.6; dall’inventario non è possibile identificare queste proprietà, ma da altri documenti si sa che la casa del Gorsilla nella strada Gesus corrispondeva all’unità catastale 2903: in un atto del 1794, relativo alla casa 2907, è scritto che quest’ultima casa confinava di spalle con un magazzino che era del console Gorsilla; questo confine non è evidente nella mappa di metà ‘800, ma lo è nelle mappe catastali novecentesche, nelle quali la casa 2903 risulta arrivare sino alla scalinata di Sant’Eulalia, posteriormente alle case 2907 e 2908; in atti del 1797 e del 1798, relativi alla casa del convento di Bonaria (2902), si cita come confinante la casa del defunto Gorzilla, senza specificare chi fosse il nuovo proprietario.

Il ligure Stefano Gorsiglia, console pontificio di Roma, vedovo di Maria Anna Buscaglia, nel 1784 fece testamento e nominò erede universale suo nipote Stefano Moy Gorsilla, figlio della defunta figlia Francesca; eredi solo per la parte legittima erano la figlia Raimonda coniugata con Pietro Satta e il nipote don Francesco Armerin, figlio della defunta figlia Caterina. 

Già da 1778 era in corso una lite presso il Tribunale (ASC, R.U. P54 Busta 1566, fascicolo 15046) per l’eredità di Anna Buscalla (o Buscaglia); Stefano Gorsiglia era stato citato in giudizio da sua figlia Raimonda col marito Pedro Satta, i quali agivano anche in nome di altri eredi di Anna Buscaglia, morta senza testamento nel febbraio 1770; Raimonda Gorsiglia affermava che il padre, quando si sposò con Anna Buscaglia, le fece donazione per dote di 1000 scudi (come da atto del 17.06.1747 del notaio Sida). Anna Buscaglia aveva lasciato 4 figlie, a ognuna delle quali spettavano 200 scudi in eredità; la figlia Raffaela morì nel 1772 senza discendenza e la sua quota doveva essere divisa fra gli altri eredi; Raimonda, che si era sposata il 29.06.1774, chiedeva che venissero calcolati gli interessi a partire dalla data di morte della madre.

Il calcolo nen era semplicissimo: secondo il procuratore del console Gorsilla, dalla dote di lire 2500 lire (cioè scudi 1000) andavano sottratte le spese per le cure della malattia di Anna Buscaglia, durata 2 anni, e le spese funerarie, in tutto lire 473 e soldi 10; e anche le spese per il funerale della figlia Raffaela, per altre lire 40.

In qualche modo Raimonda ebbe ragione: a partire dal 1779, sulla casa di abitazione del console (casa 2903) furono caricate lire 375 (con interessi al 6%), spettanza di Raimonda.

Nel fascicolo della causa è anche chiarito che la casa, con i suoi magazzini e giardino, era stata comprata da Stefano Gorsilla il 24.08.1761 da Juan Murru, il quale ne era entrato in possesso nel 1755; il Gorsilla l’aveva riedificata spendendoci oltre 1230 scudi.

Quando nel 1789 venne eseguito l’inventario dei beni del defunto Stefano Gorsilla presenziò Efisio Moy, in qualità di curatore ed esecutore testamentario e per conto del figlio quindicenne Stefano Moy; presenziò anche Raimonda Gorsilla assistita da suo marito Pedro Satta, mentre Francesco Armerin Gorsilla, studente circa ventenne, non partecipò, e neppure suo padre don Francesco Armerin Bonench, Guardia Reale del Porto.

Nel 1793 morì a 24 anni don Francesco Armerin Gorsilla: fece testamento col notaio Nicola Murroni il 21 luglio, e il 23 il testamento fu aperto, dopo la sua morte. Nel testamento si fa riferimento ad una causa contro Efisio Moy; questi si era impadronito di tutta l’eredità Gorsilla, e il defunto da tempo contava di incassare una certa somma che destinò al padre, allo zio Venceslao Armerin, alla zia Trofimena Armerin e alla nonna Teresa Bonench.

Nel 1806 fece testamento Francesco Armerin Bonench: si fa riferimento ad una sentenza del tribunale della Reale Udienza, secondo cui al figlio defunto spettarono lire 600 caricate sulla casa Gorsilla della strada Gesus; la somma fu destinata interamente a sua sorella Trofimena Armerin, essendo nel frattempo deceduti sia il fratello Venceslao, sia la madre Teresa Bonench.

Da alcuni altri documenti si sa che i beni immobili dell’eredità Gorsiglia erano stati sequestrati per debiti (si veda quanto scritto per la casa 2262); in atto del 16.02.1807, relativo alla casa Ghisu 2902, questa confinava di lato e alle spalle con la casa che era stata del fu Stefano Gorsilla, console di Roma, poi dell’Erario Regio. Nell’atto del 1810 riguardante la casa Gastaldi 2615, è scritto che detta casa confinava dalla parte della strada Gesus, strada mediante, con casa e magazzino che erano del fu sig. console di Roma Stefano Gorsiglia (2903), sotto sequestro da parte del Regio patrimonio; il sequestro della casa ex-Gorsiglia doveva risalire a diversi anni prima: in un atto di ottobre 1802, relativo alla casa 2901, questa aveva alle spalle un cortile appartenente alla “Regia Azienda”; potrebbe essere un riferimento al cortile della proprietà Gorsilla che aveva davvero una notevole dimensione.

In atti del 24.12.1812 e del 18.11.1813, anche questi relativi alla casa Gastaldi, è scritto che la parte sulla strada Gesus confinava con “casa e magazzino che era del fu console di Roma Stefano Gorsiglia e ora del neg. Francesco Antonio Rossi, strada framezzo”. Il Rossi venne citato come proprietario della casa anche nel donativo dei Padri Mercedari, proprietari della casa confinante 2904, datato 30.01.1812. 

Dopo il 1850 la casa 2903 apparteneva al negoziante Lorenzo Rossi (1813-1886), figlio del barone Salvatore, figlio quest’ultimo del negoziante calabrese Francesco Antonio Rossi; Lorenzo Rossi era proprietario anche di parte dell’unità catastale 2910, dove erano situati i magazzini e il cortile della casa 2903.

 

2904     

Come la casa 2902, era già dal 1779 una proprietà dei padri Mercedari del convento di Bonaria: lo si legge nel fascicolo della causa sull’eredità Gorsiglia, a proposito della confinante casa 2903.

Nel suo donativo (senza data, forse del 1799), il frate Mercedario Francesco Cicalò (Sicalò, Zicalò) denunciò la sua casa nella strada di Gesus, composta da un “sòttano” e 2 piani alti, da cui avrebbe potuto ricavare scudi 65 annui se affittata, e per la quale pagava un canone enfiteutico di scudi 22 annui al convento dei Padri Mercedari, ai quali la casa sarebbe tornata dopo la sua morte.

Nel loro donativo del 1812, i Padri Mercedari di Bonaria dichiararono di possedere una casa nella contrada Gesus, che fino all’anno prima era abitata e posseduta (in enfiteusi) dal fu reverendo Padre Zicalò; era composta da un magazzino terreno e 2 piani ognuno con una stanza e una cucina, e confinava da una parte con una casa del negoziante Francesco Rossi (2903), dall’altra parte con una casa della Collegiata di S.Eulalia (2905), di spalle a casa del fu dottor Alziator (2907), e davanti con una casa della Confraternita d’Itria (2621), strada Reale (cioè la strada Gesus, via Cavour) in mezzo.

Dopo il 1850 apparteneva ancora al Convento dei Padri Mercedari.

 

2905     

In atto del 04.06.1807, relativo alla casa 2620, la casa di fronte a questa, cioè l’unità catastale 2905, è indicata appartenente alla Comunità di S.Eulalia; il dato è confermato da quanto è scritto in atti del 1807 e del 1809 relativi alla casa 2906, confinante per parte di Levante a casa della Comunità di Sant’Eulalia. E’ confermato anche dal donativo del 1812 dei Padri Mercedari, che scrissero che la loro casa 2904 confinava da una parte con una casa della Collegiata di S.Eulalia. Potrebbe identificarsi con una delle 3 case che la Comunità denunciò nella strada Gesus, cioè le case “Mamona”, “Rubbì” e “Solanas”.

Dopo il 1850 apparteneva ancora alla Comunità di S.Eulalia.

 

2906

Nell’inventario dei beni dell’eredità del fu notaio Gio Francesco Picci, datato 11.07.1793, fra le proprietà lasciate dal notaio è inclusa la casa 2919, che aveva davanti, sull’altro lato della strada di Sant’Eulalia, una casa appartenente al Gremio di Sant’Elmo (2906); il dato è confermato da un atto del gennaio 1794, relativo alla casa 2907, confinante di lato con una casa dei Santelmari.

Ci sono ulteriori conferme in atti del 23.11.1796 e del 24.12.1796, relativi anch’essi alla casa 2919, confinante davanti con casa del “Gremio dei Marinai di San Elmo”.

Dovrebbe corrispondere alla casa citata in un elenco di proprietà del Gremio di Sant’Erasmo[1], datato 22.06.1799, composta da due piani alti di 3 stanze ognuno e il piano terreno.

Nel donativo dei beni dell’eredità del notaio Picci, presentato il 04.08.1807 dal curatore dell’eredità, la sua casa 2919 sulla strada Gesus confinava attraverso la strada di Sant’Eulalia con una casa di Francesco Marturano; non si sa se quest’ultimo l’aveva acquisita in enfiteusi dal Gremio, oppure l’aveva solo in affitto; il Marturano non tenne a lungo la casa: infatti con atto notarile del 28.09.1807 i maggiorali del Gremio di Sant’Elmo concessero in enfiteusi la casa, ben identificata grazie ai nomi dei proprietari confinanti, al negoziante Francesco Urbano, col patto che spendesse almeno 400 scudi per migliorarla; pochi giorni prima era stata valutata dal Regio Misuratore Pasquale Piu in lire 2314, soldi 9 e denari 11, e fu concessa in enfiteusi col canone annuo di scudi 50.

Dopo poco più d’un anno, con atto del notaio Francesco Angelo Randachu del 26.11.1808, il negoziante Francesco Urbano ottenne la cessazione del contratto di enfiteusi in cambio dell’acquisto completo della casa; fu stabilito il prezzo di scudi sardi 925, sette reali, 4 soldi e 11 denari, cioè la stima che era stata fatta al momento dell’enfiteusi; presenziarono alla stesura dell’atto i maggiorali del Gremio, Girolamo Capiciola e Andrea Barragu e il clavario Francesco Demichelis.

I guardiani del Gremio avrebbero investito la somma ricavata nell’acquisto di una casa che voleva vendere il negoziante Giuseppe Maria Pintor nella strada di Sant’Agostino, forse corrispondente al numero catastale 2669; avrebbero pagato subito solo un terzo del prezzo pattuito, il rimanente in due anni, senza interessi.

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 04.09.1809, Francesco Urbano ricevette 1000 scudi dal negoziante Salvatore Rossi; per garantirne la restituzione e il pagamento degli interessi al 6%, ipotecò la casa di sua proprietà nella strada Gesus; nell’atto è scritto che aveva necessità di quella somma per migliorare la situazione dei suoi affari, in particolare per ricreare un buon fondo merci nella sua bottega, fondo che aveva dovuto ridurre a causa delle spese affrontate di recente per l’acquisto della casa.

E’ probabile che la casa 2906 sia la stessa citata in una causa civile del 1813, proprietà del negoziante Francesco Urbano, il quale aveva affittato il terzo piano a tale Francesco Rossi, per scudi 28 annui; è plausibile che Francesco Urbano avesse costruito un altro piano, secondo gli accordi presi col Gremio nel 1807.

Dopo il 1850 apparteneva però nuovamente al Gremio dei Santelmari. 



[1] ASC, Segreteria di Stato, serie II, 1326; il nome Sant’Erasmo e Sant’Elmo erano equivalenti 

 

2907     

Con atto notarile del 17.01.1794, il dr Carlo Maria Carta Sotgiu e il negoziante Eligio Allemand, rispettivamente prefetto e assistente della Congregazione del Santissimo Sacramento, concessero in enfiteusi al dottor Pedro Alciator (1735-1811) una casa sita nella strada di Sant’Eulalia; la casa, identificata con l’unità catastale 2907, confinava per davanti con la casa del negoziante Gian Battista Martini (2917), di spalle con casa e magazzino che era del fu console di Roma Estevan Gorzilla (2903), da un lato con casa della medesima Congregazione (2908), e dall’altro lato con casa dei Santelmari (2906); la casa era affittata a Joseph Bazan per 40 scudi annui, e il dottor Alciator, che pagò 800 scudi, avrebbe avuto a disposizione i piani alti e la cisterna, con l’obbligo di dare una cantara di acqua agli abitanti del “sòttano”.

Pochi mesi dopo iniziò una lite giudiziaria fra il il dottore in medicina Pedro Alciator e Joseph Saenz de Basan in quanto quest’ultimo non liberava la casa e Alciator era perciò costretto a pagare l’affitto della casa che abitava in Castello e un’altra casa nella Marina dove abitava in precedenza e dove aveva dei mobili in deposito.

La proprietà Alciator è confermata da altro atto del dicembre 1796, relativo alla casa Martini 2917: davanti a essa, oltre la strada Barcellona, vi era appunto una casa che era in precedenza della Congregazione del Santissimo e poi del dottore in arti e medicina Pedro Alciator.

Pietro Alciator, nel donativo del 22.06.1799, dichiarò la casa dove abitava, sita nella contrada S.Eulalia, composta da 6 stanze, da cui avrebbe potuto ricavare lire 100, se affittata.

Il testamento scritto il 20.05.1802 dai coniugi notaio Antonio Jorge Porcu e Rosa Alciator (probabilmente lontana parente del medico Pietro) aggiunge alcune notizie utili: dichiararono che nel corso del loro matrimonio avevano acquistato una casa, sita nella calle di Sant’Eulalia dalla parte della porta grande, che avevano venduto il 13.02.1785 alla Congregazione del Santissimo, e dove viveva nel 1802 il dottor Pedro Alciator.

Vi sono poi due atti notarili del 1807, rispettivamente di settembre e di ottobre, e relativi alle case 2916 e 2906, che citano il medico Alciator fra i proprietari delle case confinanti.

Il dottor Pietro Alciator morì senza discendenza il 12.08.1811; col suo testamento del 24.12.1806 nominò erede universale la sua anima, e nominò curatori ed esecutori testamentari la sorella Maria Antonia Alciator, coniugata con Giuseppe Cervini, il reverendo Mirello beneficiato di Sant’Eulalia, e l’avvocato Efisio Luigi Carro, marito di sua nipote Rita Fanari.

La casa 2907 dovrebbe essere la medesima dove morì Maria Antonia Alciator, sorella di Pietro; la donna consegnò al notaio Giovanni Pisà un primo testamento il 04.01.1812, nella casa dove abitava sita nella “calle a la qual se va de la puerta grande de la parroquial de S.Eulalia”; un suo successivo testamento, scritto il 30.06.1821, insinuato il giorno 11.08.1821 dal notaio Raimondo Lecca dopo la morte della donna, e rintracciato in una causa civile iniziata nel gennaio 1827, fu scritto nella sua casa di abitazione, situata nella strada Sant’Eulalia; vengono nominati come legatari: la sorella Raimonda e i suoi figli Gavino ed Antonio Pes; i nipoti Giulia e Giacomo Alciator, figli del defunto suo fratello notaio Alessandro; la nipote Rita Fanari, figlia della defunta sorella Caterina Alciator (1740-); erede universale di Maria Antonia fu sua sorella Raimonda, vedova del notaio Tomaso Pes; il nipote Antonio Pes era già morto quando ebbe inizio la causa (relativa ad alcuni censi di proprietà della defunta, gravanti sulla casa Mazzuzi della strada Barcellona), mentre l’altro nipoe Gavino Pes morì poco prima del 21 luglio 1828; l’erede Raimonda Alciator in quella data era ancora in vita, e risulta che abitasse nel quartiere Castello; non esistono nel testamento riferimenti precisi alla casa della strada Sant’Eulalia, è possibile che il contratto di enfiteusi si estinse con la morte di Maria Antonia.

Dopo il 1850 la casa 2907 apparteneva ancora alla Congregazione del Santissimo Sacramento, da cui il medico Alciator l’aveva avuta in enfiteusi.

 

2908     

Gli stessi documenti del 1794 che hanno fornito informazioni sulla casa 2907 ci permettono di sapere che anche la casa 2908 apparteneva alla Congregazione del Santissimo Sacramento; ma forse era della Congregazione solo una parte della casa 2908, quella confinante appunto con la casa 2907, e questa ipotesi è legata ad altri documenti del 1798 e del 1799: infatti il 01.02.1798 venne compilato l’inventario dei beni del defunto Joseph Sciaccaluga; fra gli immobili venne esplicitamente esclusa una casa sita nella Marina e “calle de Macarrones o sea dela puerta major de S.Eulalia” che Joseph Sciaccaluga aveva comprato dal reverendo canonico don Pasquale Manca per 200 scudi il 31.12.1786, ed è esclusa dall’inventario in quanto gli eredi Sciaccaluga avevano intenzione di lasciarla in suffragio dell’anima del defunto, e consegnarla alla congregazione del Santissimo e al sindacato della Marina.

Il 26.12.1798 Giuseppa e Anna Sciaccaluga, sorelle di Giuseppe, e Paola e Raimonda Sciaccaluga, sue nipoti (figlie del già defunto fratello Juan), cedettero la casa della strada di Sant’Eulalia alla Congregazione del Santissimo e al Sindacato della Marina; era la casa comprata da Joseph Sciaccaluga dal canonico Manca nel 1786, e questi l’aveva ereditata da suo nonno don Joseph Rosso e da suo fratello don Alberto Manca; con la metà della vendita le eredi Sciaccaluga coprirono la somma mancante dall’amministrazione della causa pia Roquetta (cioè la causa pia istituita dal fu Antiogo Roqueta per le donzelle della Marina da maritare), amministrazione tenuta dal fu Joseph Sciaccaluga per conto del Sindacato della Marina, e per questo si cedette parte della casa al Sindacato; l’altra metà la si cedette alla Congregazione del Santissimo.

La casa ceduta confinava per davanti con la casa che era del “boticario” Joseph Antonio Mazzuzzi (2916/2), da un lato con una casa che era già della Congregazione del Santissimo, da un lato con casa della azienda ex gesuitica (2909), e alle spalle con un cortile della comunità di Sant’Eulalia; da queste informazioni è chiaro che si sta parlando della casa 2908, ma vi sono contraddizioni con quanto dicono i citati atti del 1794 secondo i quali la casa del dottor Alciator (2907) confinava in quell’anno con una casa che era già della Congregazione; per cui si può ipotizzare che la casa 2908 fosse divisa almeno in due unità distinte, quella più in basso di proprietà della Congregazione del Santissimo Sacramento almeno dal 1794, quella più in alto di proprietà di Giuseppe Sciaccaluga dal 1786 e fino al 1798, poi ceduta in parte al Sindacato della Marina, e in parte alla Congregazione stessa.

Con atto del 15.02.1799 i sindaci della Marina cedettero la loro parte di casa alla Congregazione del Santissimo: la parte venduta era composta da un patio e un piano alto, con i confini già specificati.

Un atto notarile del 1813, relativo alla casa 2914, conferma che in quell’anno la proprietà era ancora della Congregazione, così come risulta che lo fosse dopo il 1850, dai dati presenti nel “Sommarione dei Fabbricati”.

 

2909     

Gli atti del dicembre 1798 e febbraio 1799 relativi alla casa 2908 riferiscono che la casa laterale a quella di Sciaccaluga e poi della Congregazione del Santissimo apparteneva all’Azienda ex-gesuitica; per cui si identifica quest’ultima casa con la piccola unità catastale 2909, con qualche dubbio sulla sua reale dimensione, dal momento che sulla mappa di metà ‘800 appare veramente minuscola.

Dopo il 1850 l’unità 2909, così come le due precedenti, era della Congregazione del Santissimo Sacramento, circostanza che non permette di capire esattamente le suddivisioni e le attribuzioni di 60 anni prima.

 

2910     

Si è attribuito il numero catastale 2910 a quell’area che nella mappa di metà ‘800 non è numerata, alle spalle delle case dal numero 2900 al 2908; apparteneva in parte alla chiesa di Sant’Eulalia, e almeno in parte (verso est) era destinata al cimitero annesso alla chiesa; è definita cimitero nell’atto del 1791 relativo alla casa Pugnaire (2901), e negli atti del 1797 relativi alla casa 2900. Negli atti del 1798 e del 1799 relativi alla casa Sciaccaluga (2908), è scritto invece che alle spalle di questa casa si trovava un cortile di una casa di Sant’Eulalia: e potrebbe essere appunto una proprietà ad uso del cimitero che la Comunità denuncia nel suo donativo del 1799 nella strada di Sant’Eulalia, composta da tre sottani di una stanza ciascuno.

Altra parte di quest’area era però occupata da cortile, giardino e magazzino che appartenevano al console di Roma Stefano Gorsiglia: lo si deduce da diversi atti che citano la casa Gorsiglia (2903), a cui si rimanda.

Fra i dati catastali di metà ‘800 compaiono due proprietari: Lorenzo Rossi (1813-1886) figlio del barone Salvatore, proprietario anche della casa ex-Gorsiglia 2903, e donna Rita Corte vedova Randaccio; in quell’anno il cimitero non era più in uso e forse era stato già eliminato.

 

2911     

Così come per l’unità precedente anche il numero 2911 non compare nella mappa di metà ‘800, anche se è compreso fra i dati del Sommarione dei Fabbricati; lo si attribuisce all’area laterale alla chiesa di Sant’Eulalia, posteriore alle case con i numeri dal 2892 al 2901; è citata in due atti del 1798 relativi alla casa 2896, che aveva alle spalle “la Chiesa di Sant’Eulalia”; queste informazioni fanno pensare che almeno quella parte non fosse edificata; in un atto del febbraio 1801 relativo alla casa Urru Besoz 2888 si legge invece che detta casa (situata all’angolo fra le attuali vie dei Pisani e Concezione) aveva davanti la casa del causidico Antonio Joseph Porcu (2789), di spalle la casa del notaio Jorge Porcu (2887), da un lato la casa della eredità del fu Joseph Tocco Mallus (2889), e dall’altro alcune casucce di Sant’Eulaliacallejon de por medio”, cioè sull’altro lato del vicolo (attuale via Concezione); in parte quindi l’area 2911 era costruita.

Con atto del notaio Nicolò Martini del 11.02.1805 la Comunità di Sant’Eulalia e il il Reverendo dottore Francesco Angelo Aitelli, Presidente della stessa Comunità, si accordarono per permettere ad Aitelli di edificare col suo denaro una casa nella piazza della chiesa, costruendo un primo piano sopra la prima casa degli escolani (scolari) e sopra al magazzino attiguo, occupando due trabucchi (il trabucco lineare corrispondeva a 3 metri e 14 cm) davanti alla piccola porta della chiesa (la porta piccola della chiesa si apre esattamente sull’area 2911); Aitelli avrebbe avuto l’usufrutto per la sua vita, la proprietà sarebbe rimasta alla chiesa, e la casa era destinata a diventare l’abitazione del Presidente della Comunità. Dopo la morte di Aitelli, con i frutti di questa proprietà, sarebbero state celebrate in perpetuo due messe all’anno, una nel giorno dei defunti, l’altra nell’anniversario della morte dello stesso Aitelli.

Con atto notarile del 01.07.1805 il muratore Francesco Usai si impegnò col Reverendo Aitelli per la riedificazione e fabbricazione di tutte quelle case che la Comunità aveva concesse allo stesso reverendo Aitelli con atto del 11.02.1805. A conferma di quanto detto, in atto notarile del 22.04.1813, relativo alla casa 2895, questa confinava di spalle con la proprietà Aitelli, e con atto notarile del 15.09.1815 il “calderaro” Pasquale Caredda consegnò il suo testamento al notaio Giuseppe Isola, e la consegna venne effettuata in casa del curatore dell’eredità nominato dal Caredda, cioè il reverendo Angelo Francesco Aitelli presidente della Parrocchia di S.Eulalia, “casa sita entro il piazzale della porta piccola della chiesa”; inoltre, nei dati catastali di metà ‘800 vi sono 3 proprietari per l’unità catastale 2911: la congregazione del Santissimo, la Città di Cagliari, ed il dottore sacerdote beneficiato Efisio Casale Aitelli (1794-1860), figlio di Luigi Casale e di Maddalena Aitelli, sorella del reverendo Angelo Francesco (1761-1826).