Usare il tasto sinistro del mouse per aprire la mappa al posto della pagina attuale;

usare il tasto destro del mouse per aprire la mappa in un'altra scheda o in un'altra finestra, senza chiudere la pagina attualmente aperta.

Isolato Q1: Monserrato/vico S.Eulalia/Pagatore/Fortino

(via Lepanto, via dei Pisani, via Arquer, via Porcile)

numeri catastali da 2838 a 2853

l’isolato presenta molte modifiche rispetto al passato: tutte le case della metà inferiore sono state riedificate.

 

2838     

Era il sito dove sorgeva anticamente la chiesa della Vergine del Monserrato, da cui prese il nome sia il bastione del Monserrato o dei Morti (dove sorse poi l’hotel La scala di ferro), sia la discesa del Monserrato, (o strada dei Preti, o di Fray Luis Grech, o Del Vechio, oggi via Lepanto).

Vi sorse poi un ospedae militare; alcuni documenti del Regio Demanio (Acquisti stabili, volume 162, fascicolo 3), forniscono interessanti informazioni sugli edifici costruiti in questa area, precedentemente all’ospedale: in data 22.04.1733 venne effettuato l’estimo della Chiesa e dell’Ospizio della Vergine Santissima di Monserrato, custodita dal reverendo padre fra Giuseppe Bouer, religioso Benedettino; fra le altre cose, i mastri muratori e falegnami eseguirono la stima all’interno della chiesa dell’altare maggiore con balaustra e immagine della Vergine Santissima di Monserrato, e della piccola cappella di Santa Geltrude; nell’ospizio, al primo piano vi erano una scala, otto camere, la cucina, un grande balcone davanti alle camere, 3 cisterne; al piano superiore vi erano 2 camere, al piano terra 6 camere, compresa la sacrestia; fu poi stimato un magazzino grande con una camera contigua; al di sotto di detto magazzino vi erano 4 camere con un cortile, e al di dietro della chiesa una casa composta da una sala e una camera, e sotto e di lato alla casa altri due magazzini; davanti alla chiesa via era una grande piazza; i muratori stimarono il tutto per lire 7163.3.6, e i mastri falegnami per lire 3391.10, in totale lire 10554, soldi 13, denari 6.

In data 14.11.1750 i padri Benedettini vendettero all’Intendenza Generale la chiesa del Monserrato e la grande casa dell’ospizio con i suoi magazzini; nelle immediate vicinanze, dalla parte della strada del Pagatore e della discesa del Monserrato, vi era il nuovo convento dei padri Osservanti (unità catastale 2807), davanti vi era la piazza della stessa chiesa del Monserrato, cioè lo slargo davanti al bastione; l’ospizio era laterale alla chiesa, vicino alle mura di Gesus, ed in quel periodo era utilizzato dalle madri Cappuccine.

Negli anni successivi, al posto della chiesa e dell’ospizio, sorse l’Ospedale dei Soldati (Ospedale di S.Rosalia, o Nosocomio), trasformato nel 1837 in caserma di S.Rosalia dei Cacciatori Franchi, chiamata a metà ‘800 Caserma Vittorio Boyl; la targa che è posta attualmente di fianco all’ingresso riferisce che l’edficio è utilizzato come Foresteria del Comando Militare della Sardegna.

 

2839     

E' probabile che questa unità catastale fosse parte integrante dell’unità 2838: in un atto notarile del 1811, relativo alla casa 2840, è scritto che quest’ultima confinava da un lato con lo “spedale delle regie truppe”,

Nei dati catastali di metà ‘800 non è stato trovato nessuna informazione, come del resto per la stessa unità 2838.

 

2840     

Nel suo donativo del 1807, l’Arciconfraternita del Sepolcro dichiarò una casa composta da un “sòttano” e un piano di 5 stanze, sita nella strada del Pagatore, di lato all’Ospedale dei Soldati (2838 e 2839) e a casa distrutta dell’azienda ex-gesuitica (2841), di fronte a casa del Monastero di Santa Chiara (2809).

Con atto notarile del 14.10.1811 l’Arciconfraternita concesse in enfiteusi la casa allo scarparo Giuseppe Contu, con il canone annuo di scudi 30; era composta da un primo piano e il sottano, ed era attigua da un lato e per le spalle allo spedale delle regie truppe(2838 e 2839), sull’altro lato a una casa di mastro Sebastiano Puddu, già dell’azienda ex-gesuitica (2841), davanti a una casa del monastero di S.Chiara (2809).

Senza averne certezza, lo scarparo Giuseppe Contu potrebbe identificarsi con il marito di una Ignazia Scano; le loro figlie Maria, Francesca, Paola, si sposarono rispettivamente con Giovanni Loi, Emanuele Castegliano, Emanuele Fadda, fra il 1820 e il 1829.

Dopo il 1850 la casa 2840 apparteneva nuovamente all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2841     

Era suddivisa in 2 unità distinte, accorpate a metà ‘800 in un’unica proprietà: permangono dei dubbi, legati anche alla imprecisione delle mappe, sia per le dimensioni reali di questa unità catastale, sia per le “affrontazioni” con le case sull’altro lato della via.

Parte prima: nel suo donativo del 26.06.1799, Pasquale Guiso, domiciliato in Villanova, dichiarò di possedere (in enfiteusi) una casa in contrada de su Pagadori, ereditata dal suocero, il chirurgo Vincenzo Piras, composta da 2 stanze terrene affittate a scudi 12, un primo piano di 3 stanze con cucina e terrazzo, un secondo piano con 3 stanze e cucina; i piani alti erano inabitabili; pagava una pensione annua all’azienda ex-gesuitica; si tratterebbe in questo caso della parte alta della casa 2841.

Come già scritto nel precedente paragrafo, con atto notarile del 14.10.1811 la casa 2840 fu ceduta in enfiteusi allo scarparo Giuseppe Contu; essa confinava da una parte e alle spalle con l’ospedale delle regie truppe (2838 e 2839), e dall’altra parte con una casa dell’Azienda ex-gesuitica (2841/a), posseduta in quell’anno dal mastro Sebastiano Puddu (che evidentemente l’aveva in concessione enfiteutica); se l’interpretazione è giusta, la concessione enfiteutica fatta a Vincenzo Piras, ed ereditata dalla figlia Rosa Caterina Piras e da suo marito Pasquale Guiso, ebbe termine fra il 1799 e il 1811 e la casa 2841/a fu assegnata, prima dell’ottobre 1811, a Sebastiano Puddu.

Parte seconda: fra i documenti del Regio Demanio (Asc), si legge che una casa situata nella strada del Pagatore e spettante alla Azienda ex gesuitica[1], fu stimata dal regio misuratore Gerolamo Massei e il 30.11.1793 fu assegnata per lire 2700 al notaio Gio Agostino Ligas; quest’ultimo agiva per conto del reverendo Giambattista Degregori beneficiato di S.Eulalia; prima della definitiva assegnazione, il sacerdote Degregori morì, e la casa fu perciò assegnata il 29.09.1798 alla sorella ed unica erede, Maddalena Degregori, coniugata col caffettiere Nicola Scano; lo Scano trascurò di far redigere l’atto e, alla sua morte, la casa fu sottratta alla vedova, che si trovava in uno stato di estrema povertà “per sostenere la numerosa famiglia composta da 6 figli fra maschi e femmine, quasi tutti minori”; la vedova fu privata della casa il 22.06.1799.

Dall’estimo del Massei del 23.11.1793 si legge che la casa assegnata al Degregori, identificata con la parte bassa dell’unità 2841, era situata nella Marina, strada del Pagatore, in prospettiva a una casa di S.Eulalia (2811), in attiguità alla casa di Vincenzo Piras (2841 parte prima) e dall’altra parte a un’altra casa dell’Azienda ex gesuitica (2842); di spalle aveva il cortile, che si affacciava sulla strada del Fortino; era composta da una entrata nel piano terreno, retrocamera e camerone; 5 camere nel piano superiore, e 4 camere ed una cucina nell’ultimo piano; nel cortile si trovava una piccola cucina; vi aveva abitato il notaio Francesco Ventagliò, ma nel 1793 era inabitabile per i danni sofferti per gli attacchi dell’armata francese.

Maddalena Degregori non si era però rassegnata del tutto: in data 12.10.1807 riusci a farsi riconoscere e rimborsare le spese, affrontate da lei e dal marito defunto, per il miglioramento della casa che, come si è detto, nel 1793 era in precarie condizioni; con atto del notaio Francesco Antonio Cica del 29.09.1809 le furono pagate lire 62 e soldi 10 da Giuseppe Maria Serra, amministratore della Regia Azienda ex Gesuitica; si trattava dell’ultima rata per il pagamento di lire 375 che l’Azienda le pagò in 3 anni.

Da quanto scritto nell’inventario dei beni del negoziante Agostino Ravagli (proprietario della casa 2842), compilato nel 1817 e rintracciato nel fascicolo di una causa relativa alla sua eredità, sembra possibile che, dopo il 1799, la casa assegnata ai De Gregori sia stata abbattuta, e al suo posto dovrebbe essere rimasto un giardino, acquisito dal muratore Sebastiano Puddu, già enfiteuta della parte alta della stessa unità 2841.

Dopo il 1850 tutta l’unità 2841 apparteneva al colonnello cavaliere Antonio Musso (1787-1865), figlio di don Ignazio Musso e di Marianna Arthemalle. In una casa di via del Fortino, presumibilmente l’unità catastale 2841, morì nel 1868 a 36 anni la nubile Anna Musso, figlia di Antonio e di Carolina Scarpinati; nel 1872 vi morì Carolina Scarpinati (secondo l’anagrafe a 68 anni, ma potrebbe essere nata nel 1799), vedova del colonnello Musso e figlia del consigliere di corte d’appello Antonio Scarpinati e di Francesca Rosa Doneddu (figlia del notaio Raimondo, proprietario di diverse case all’inizio del secolo); con l’indirizzo via Darsena (la strada che scendeva alla darsena) vi morì nel 1881 a 38 anni il giudice Eugenio Musso, altro figlio di Antonio, e con l’indirizzo via Porcile vi morì a 81 anni nel 1912 l’altro figlio avvocato Raffaele Musso.


[1] la casa proveniva dai beni della disciolta Compagnia di Gesù, acquisiti dal Demanio; fu indicata come casa numero 10, fra quelle dell’Azienda ex-gesuitica

 

2842                    

La prima citazione rintracciata proviene da un documento dell’archivio di S.Eulalia, databile 1762: si legge che una casa della Comunità, nella strada del Pagatore, identificata con l’unità 2812, aveva davanti una casa appartenente alla “Compania de Gesu”, che dovrebbe quindi corrispondere all’unità 2842.

In un documento del Regio Demanio si legge che il 08.05.1792 si procedette alla vendita della casa n. 11, proveniente dai beni della disciolta Compagnia di Gesù, sita nella strada del Pagatore, avvalorata in lire 1301 e 10 soldi, e assegnata per 1312 lire a Gemiliano (Milano) Melis, camallo e scaricatore di vino del gremio di San Cristoforo; la casa, identificata con l’unità 2842, era attigua a quella già acquisita da Giuseppe Bragioni (2843) che avrebbe dovuto lasciare al Melis la parte non costruita, alle spalle di entrambe le case.

Già dal 08.03.1789 la casa era stata stimata dal solito regio misuratore generale, Girolamo Massei; era in prospettiva a magazzino di S.Eulalia (2812), ed in attiguità da entrambe le parti a case della medesima Azienda (2841/2 e 2843), composta da una camera terrena, una sala, l’alcova, e una cucina nel piano superiore; nel luglio 1792 la casa era abitata dagli eredi di Antonio Pisà.

In documento del Regio Demanio, databile 1797, il negoziante Agostino Ravagli, che aveva offerto la “fidanza”, cioè la copertura economica per Gemiliano Melis, essendo morto il Melis si dichiarò disposto ad acquistare la casa degli ex-Gesuiti nella strada del Pagatore, per lire 1312, secondo gli accordi già presi; il Ravagli pagò servendosi di 3000 scudi che aveva avuto a censo dalle monache sorelle Carnicer, con ipoteca di altri suoi beni.

Nel frattempo non si era riusciti a far cedere la parte di cortile a Giuseppe Bragioni, che aveva la casa 2843; i problemi si risolsero nel 1794, perché il Bragioni, in quanto piemontese, era dovuto partire dal regno, dopo l’insurrezione popolare del 28 aprile (Sa die de sa Sardigna), per cui non c’erano più ostacoli per la divisione del cortile.

Un atto notarile del 10.11.1797, relativo ai censi chiesti dal Ravagli, riporta le le seguenti informazioni: la casa ex-gesuitica assegnata al Melis e poi al Ravagli si trovava in calle del Pagador, ultimamemte era stata abitata dal defunto musico Antonio Pisà e poi dai suoi eredi, e confinava da una parte con altra casa (2841/2) della azienda ex-gesuitica assegnata al reverendo Juan Degregori, e posseduta da sua sorella Maddalena Degregori, dall’altro lato con casa della stessa azienda (2843), comprata dal “Sobrestante” Bragion, davanti con casa dell’eredità del defunto reverendo Mantelli (casa di S.Eulalia, 2812), per le spalle con i cortili delle case citate Degregori e Bragion.

Il negoziante Agostino Ravagli, nel suo donativo (databile 1806) denunciò ben 4 case nella strada del Pagatore, due delle quali composte da un piano terreno e un primo piano, entrambe affittate: non ci fornisce altri dettagli utili per la identificazione, ma una di queste ultime due case dovrebbe essere l’unità 2842.

Nel donativo del 13.08.1807 dell’Arciconfraternita del Sepolcro venne dichiarata una casa nella contrada del Pagatore confinante con casa di S.Eulalia e con casa del Capitolo, davanti a casa di Agostino Ravagli: con l’aiuto dei dati catastali di metà ‘800, si potrebbe identificare la casa del Sepolcro nella 2813, la casa di S.Eulalia sarebbe la 2812, la casa del Capitolo la 2814, la casa del Ravagli l’unità 2842.

Dal fascicolo della causa del 1818, più volte citata, relativa all’eredità di Agostino Ravagli, si legge che fra i tanti beni posseduti da Ravagli c’era una casa acquistata dalla azienda ex gesuitica, con piano terreno e superiore, confinante davanti, strada Pagatore mediante, con magazzeni che erano del fu Pasquale Ponzelloni, e poi di S. Eulalia (2812); da un lato confinava con il giardino del muratore Sebastiano Puddu (2841/2), d’altro lato e alle spalle con proprietà dei coniugi Antonio Cavassa e donna Antioca Marramaldo (2843); fu stimata nel maggio 1817 per £ 1204; il “sòttano” era affittato al pescatore Salvatore Atzeni, il piano superiore a Maria Congiu e a suo marito Efisio Frau.

Come si legge fra i dati del Sommarione dei Fabbricati, l’unità catastale 2842 apparteneva a metà ‘800 al Conservatorio delle figlie della Provvidenza.

 

2843, 2844

Nel paragrafo precedente si è già detto che la casa 2843 era appartenuta, come le unità catastale 2841 e 2842, alla azienda ex-gesuitica, ed era stata assegnata già prima del 08.05.1792 al funzionario piemontese Giuseppe Bragioni; la casa aveva un cortile che si estendeva anche dietro la casa confinante 2842, assegnata a Gemiliano Melis e poi al Ravagli, e il Bragioni si rifiutava di cederlo, tutto o in parte, a quella casa; egli però dovette abbandonare Cagliari in seguito all’insurrezione popolare del 1794.

Dalla causa Ravagli del 1818, come già spiegato nel precedente paragrafo, la casa 2843 dovrebbe essere stata assegnata ai coniugi Antonio Cavassa e Antioca Marramaldo: il fatto che la proprietà di questi ultimi fosse laterale e anche posteriore rispetto alla casa Ravagli farebbe pensare che la proprietà loro assegnata comprendesse ancora il cortile al quale il Bragioni non voleva rinunciare.

Non è escluso che la casa Bragioni, di cui non sono state rintracciate notizie dirette, e di cui non si conoscono le dimensioni, potesse comprendere entrambe le unità 2843 e 2844.

A favore di quest’ultima ipotesi c’è il fatto che non sono state rintracciate notizie sulla casa 2844, a parte che dopo il 1850 entrambe le case 2843 e 2844 appartenevano al negoziante di Ischia Antonio Pugliese (1815?-1877), che vi aveva impiantato una “tintoria per berrette”.

 

2845     

Vi abitavano le sorelle Odella, di cui si conosce solo il nome di una, Elisabetta (o anche Isabella, spesso usato in alternativa); in atti notarili del maggio e del settembre 1797 la casa 2845 è detta la casa delle sorelle Odella (figlie di Francesco Odella e di Maria Clara Martin), sita di fronte alla casa Montagnano, poi della Comunità di San Giacomo (2815).

Elisabetta Odella si era sposata nel 1747 col dottore in diritto e cavaliere Pasquale Lay; rimasta vedova dopo pochi anni, si risposò con don Antonio Alesani, defunto nel 1757.

Con atto del 19.11.1806 del notaio Giovanni Coccoi, fra Giuseppe Odella Religioso Sacerdote dell’ordine della Mercede, scrisse il suo testamento; la sorella carissima Elisabetta Odella vedova Lai fu nominata erede della porzione di casa che il religioso possedeva nella contrada del Pagatore, proveniente dalla eredità materna; eredi di tutti i rimanenti beni furono nominati la stessa sorella e i di lei nipoti, don Luigi e donna Marietta Lai. Il testamento fu scritto e consegnato al notaio nella stessa casa della strada del Pagatore, abitata da donna Elisabetta Lai Odella.

In data 27.04.1811 venne pubblicato il testamento della appena defunta donna Elisabetta Odella, vedova di don Antonio Alesani; era stato scritto il 30.05.1806 dal notaio Pasquale Lucca, che nel 1811 era però già morto e non lo aveva ancora pubblicato; fu delegato perciò il notaio Giovanni Maria Dettori, che si recò nella casa della Marina di Maddalena Sciacca Castigliano, vedova del notaio Lucca, per ritirare il testamento sigillato[1].

La defunta lascò a suo fratello, il frate mercedario Giuseppe Odella, l’usufrutto della sua casa di abitazione, nella strada del Pagatore; furono nominati eredi universali i pronipoti Marietta e Luigi Lay, figli di don Antonio Lay, nipote del primo marito della testataria; gli eredi, alla morte di Giuseppe Odella, avrebbero avuto la piena proprietà della casa della defunta.

Dopo soli 3 giorni, con atto notarile del 30 aprile, il frate Giuseppe Odella cedette per tre anni l’usufrutto del “Palazzo” della strada del Pagatore, avuto dalla defunta Elisabetta, alla nipote donna Marietta Lai, per le sue nozze con l’avvocato Raffaele Cotza di Guasila.

Un atto notarile del 11.10.1811 conferma che gli eredi di donna Elisabetta Odella erano i suoi pronipoti fratelli Lai, cioè donna Marianna Lai, coniugata con l’avvocato Raffaele Cotza, e “l’impubero” don Luigi Lai, cavaliere; con quell’atto notarile, Marianna e Luigi Lai (figli del defunto don Antonio Lay) cedettero un censo di 200 scudi proveniente dall’eredità Odella, per far fronte ad alcuni debiti, fra cui 90 scudi verso il frate mercedario Domenico Cocco che aveva anticipato dal suo per i funerali della defunta Odella.

In un documento rintracciato nell’archivio di Santa Eulalia del 1819, relativo alla casa 2846, l’unità 2845 risulta della defunta donna Elisabetta Odella (Lay), poi di donna Marianna Lay vedova Cotza, di lei nipote.

Fra le poche notizie genealogiche conosciute su questa famiglia, si sa che donna Marianna Lai si risposò il 17.02.1822 con Antonio Valle, figlio del negoziante Pasquale Valle e di Teresa Gastaldi; si è a conoscenza di due figli, Pasquale e Antonio Valle, il primo nato nel 1818 e legittimato nel 1822 col matrimonio, il secondo nato nel 1823.

Dopo il 1850 la casa 2845 apparteneva al negoziante Francesco Brouquier (1797-1872), figlio del negoziante marsigliese Angelo Brouquier. 



[1] Si sa che il notaio Pasquale Luca nel 1799 abitava nella casa 2846, confinante con la casa Odella 2845

 

2846 e 2849        

In atto notarile del 20.09.1778, la casa Marramaldo 2816 confina davanti, sull’altro lato dalle strada Pagatore, con la casa di Bardilio Odella, identificata con l’unità 2846; in un documento del Regio Demanio del 1792 è riportata l’assegnazione di una casa del vacante Patrimonio ex-gesuitico (2847), confinante da una parte con la casa del fu marchese di Sedilo (2848), dall’altra con la casa che era di Bardilio Odella e poi della vedova Fais (2846), ed alle spalle con il cortile della casa Fais (2849). 

In atti del novembre e del dicembre 1797 la casa 2846 è detta “casa del fu Bardirio Odella e oggi di Santa Lucia, ossia dell’eredità di Antonio Fais”.

Non sono stati rintracciati dati genealogici e familiari per Bardilio Odella: non sembra però una coincidenza che anche la casa 2845 appartenesse a una famiglia Odella, cognome non comune nella Marina di fine ‘700; è quindi plausibile che Bardilio fosse un parente stretto dei proprietari della casa confinante[1].

Non si conoscono la data e le circostanze per cui il mastro conciatore Antonio Fais divenne proprietario della casa 2846; morto nel 1780 senza figli, era proprietario di un gran numero di immobili; lasciò dei legati ad alcuni nipoti, l’usufrutto alla sua vedova Maria Grazia Funedda (morta il 30.01.1791), e la maggior parte dei suoi immobili all’Arciconfraternita di Santa Lucia.

Nel donativo del 1799 l’Arciconfraternita dichiarò di possedere diverse casa provenienti dall’eredità Fais, una delle quali nella strada del Pagatore; purtroppo non fornisce alcuna indicazione per l’esatta identificazione.

Un atto notarile relativo alla casa 2847, del settembre 1799, ci conferma i confini descritti nel 1792: è specificato che la casa che era di Bardilio Odella e poi di Fais (2846 e 2849), apparteneva nel 1799 alla chiesa di S.Lucia.

Da un atto del dicembre 1799 si apprende che il testamento del mastro conciatore Antonio Fais fu pubblicato il 25.01.1780, subito dopo la sua morte, e fra i beni lasciati all’Arciconfraternita vi era tutta la casa in calle del Pagador col suo giardino, abitata nel 1799 dal notaio Pasquale Lucca (o Luca); la casa aveva di spalle la muraglia, con la strada (del Fortino) in mezzo, era gravata da una proprietà censuale di 500 lire con pensione annua di 25 lire, che si pagavano al monastero di Santa Chiara[2].

In atto notarile del 16 aprile 1801 è scritto che Antonio Fais, nel suo ultimo testamento, ordinò che si fondassero sui suoi beni due benefici ecclesiastici, da amministrare nella chiesa di Santa Eulalia; l’Arciconfraternita di Santa Lucia entrò in possesso dei beni del Fais come erede, ma i suoi guardiani non si curarono per diversi anni di fondare i benefici; furono perciò chiamati dall’arcivescovo di Cagliari, e furono costretti a cedere alcune proprietà alla comunità di Santa Eulalia; con atto del notaio Giovanni Pisà del 16.12.1799 cedettero 5 case, e fra queste la casa con giardino che abitava il notaio Pasquale Lucca, sita nella calle del Pagador.

In data 28.04.1804 la Comunita di Sant’Eulalia pagò 512 lire e 10 soldi per estinguere un censo caricato sulla casa del fu Bardilio Odella; il censo era stato una proprietà del fu dottore Giuseppe Carro, venduto dai suoi eredi alla suora Marianna Piras del monastero di Santa Chiara, e lasciato dalla suora (probabilmente alla sua morte) allo stesso monastero. Per cui il dottor reverendo beneficiato Giuseppe Vulpe, a nome della Comunità di Sant’Eulalia, consegnò detta somma alla suora Maria Francesca Tarragona, abbadessa del convento di Santa Chiara. 

In un documento del 21.08.1804, proveniente dall’archivio di Sant’Eulalia, è scritto che la Comunità pagò lire 1024, soldi 4 e denari 7, ai mastri Michele Mannai muratore e Ignazio Serra legnaiolo, per riparazioni necessarie nella casa detta d'Odella nella strada del Pagatore, e in altre due case nella Marina, tutte provenienti dal beneficio del mastro conciatore Antonio Fais.

In un documento del 21.08.1804, proveniente dall’archivio di Sant’Eulalia (rintracciato anche in Archivio di stato, fra gli atti notarili del mese di agosto 1804), è scritto che la Comunità pagò lire 1024, soldi 4 e denari 7, ai mastri Michele Mannai muratore e Ignazio Serra legnaiolo, per riparazioni necessarie nella casa detta di Odella nella strada del Pagatore e in altre due case nella Marina, tutte provenienti dal beneficio del mastro conciatore Antonio Fais.

In altro documento dell’archivio di Sant’Eulalia del 06.02.1819 si legge che il reverendo beneficiato Efisio Castagna (1782-1833) voleva acquistare a titolo d'enfiteusi, con l’intenzione di trasformarlo in un giardino, il cortile (2849 e parte dell’unità 2846) attiguo alla casa Fais (2846) della contrada del Pagadore; chiese che l’enfiteusi avesse validità per quattro vite, cioè per la sua, dei suoi genitori Nicolò Castagna (-1823) e Giovanna Cossu, e di sua sorella Giuseppa Castagna (1790 -); il cortile, concesso col canone annuo di lire 30, confinava per d'avanti con case del "Guardamagazziniere" Michele Masala (2475), contrada del Fortino in mezzo, alle spalle con casa degli eredi del defunto giudice don Giuseppe Pes (2847), da un lato con casa che era del Capitolo Cagliaritano e poi del signor Efisio Uda direttore del Regio Stanco (2850), dall'altro lato con casa della defunta donna Elisabetta Odella, poi di donna Maria Lai vedova Cotza (2845).

Il Castagna aveva già in affitto il cortile per scudi 8 annui, aveva già speso per riparare i muri ed elevarli, e aveva accomodato e ingrandito la cisterna.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2846 appartenesse ancora alla Comunità di Sant’Eulalia, mentre l’unità 2849 apparteneva a Josias Pernis (1796?-1895); vi è qualche dubbio sull’esattezza di quest’ultima informazione, in quanto le proprietà che vengono attribuite al Pernis, numero 2849 e la vicina casa 2853, vengono situate nella strada di San Francesco anziché nella strada del Fortino, per cui è possibile che i numeri siano errati; d’altra parte, non risultando altri proprietari né per l’unità 2849, né per la 2853, e non essendovi case nella strada di San Francesco per le quali non sia stato specificato il proprietario, è possibile che l’errore del Sommarione riguardi la strada e non il numero catastale. 



[1] il cognome Odella attualmente non risulta presente in Sardegna; lo si trova in Liguria, nelle provincie di Savona e Imperia, e nel Piemonte meridionale, ai confini con quelle provincie liguri.

[2] il riferimento alla “muraglia” è corretto: infatti quando il Fais scrisse il suo testamento non esistevano le case dell’unità 2475, costruite sulle mura, e ancora nel 1800 sicuramente non esisteva la parte più a sud di quell’unità, cioè la parte che si trova esattamente dietro la casa e il cortile Fais.

 

2847     

apparteneva all’Azienda ex-gesuitica; è citata nell’atto del 1778 relativo alla eredità Marramaldo, la cui casa 2816 aveva davanti la casa Odella 2846 e la casa dell’Azienda ex-gesuitica 2847; avvalorata nel 1787 dal misuratore regio Gerolamo Massei per lire 1169 e soldi 15, nel 1793 fu assegnata al mastro muratore Giuseppe Antonio Putzolu che aveva offerto lire 1172 e 10 soldi; era abitata da Gio Norvo, confinava davanti con casa degli eredi del fu Domenico Marramaldo (2816), per un lato con casa che era di Bardilio Odella e poi della vedova Fais (2846), per l’altro lato con casa del fu marchese di Sedilo (2848), per le spalle con la stessa casa Fais (o meglio col cortile 2849 annesso alla casa); era composta da 2 camere terrene, 3 camere al piano superiore, con una cucina ed un terrazzino.

Nella denuncia per il donativo, presentata il 03.11.1799 dall’Azienda ex-gesuitica, venne dichiarata anche una rendita su una casa della strada del Pagatore, pagata dal mastro Giuseppe Puzzolo; in realtà, in data 25.09.1799, il Putzolu aveva già firmato un compromesso di vendita della casa a favore di don Felice Cardia Pinna di Tortolì per 819 scudi (lire 2047 e 10 soldi) e il 02.01.1800 la vendita venne ratificata col pagamento di 200 scudi: la casa era stata migliorata e sopraelevata dal Putzolu, infatti comprendeva un “sòttano” diviso in due ambienti, 2 piani alti ognuno con 4 stanze, un terrazzo ed il pozzo; nell’indicare i confini venne specificato che la casa davanti, che era in precedenza degli eredi del fu Francesco Marramaldo, era stata acquisita da Agostino Ravagli, e la casa che era prima della vedova Fais apparteneva nel 1799 alla Chiesa di S.Lucia.

Anche nella causa Ravagli del 1818, più volte citata, si specifica che la casa di Agostino Ravagli (2816) confinava davanti con la casa di don Felice Cardia; quest’ultimo era probabilmente un figlio di don Antonio Cardia Selis e di donna Teresa Pinna, coniugi nel 1746; non si hanno a disposizione altri dati anagrafici.

In documento dell’Archivio di Sant’Eulalia del 1819 la stessa casa è invece indicata come appartenente al “fu Giudice della reale udienza don Giuseppe Pes (1764-1818), oggi dei suoi eredi”; non si sa se e quando don Giuseppe Pes abbia acquisito la casa che, se le ipotesi precedenti sono giuste, dal 1800 in poi apparteneva a don Felice Cardia; quanto viene specificato nella causa Ravagli del 1818 potrebbe essere quindi inesatto, cioè potrebbe essere stato riportato un vecchio proprietario.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al conte Pietro Pes (1799-1855), intendente generale, figlio di don Giuseppe.

 

2848     

Questa unità catastale faceva parte dei beni dell’eredità di don Giovanni Maria Solinas Manca, marchese di Sedilo, insieme all’ unità 2850 e ad altre; lo si deduce da documento del Regio Demanio del 1793, con cui venne assegnata la casa 2847 al mastro Giuseppe Antonio Putzolu, e dall’atto notarile del settembre 1799 con cui il Putzolu vendette la casa 2847 a don Felice Cardia.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni del 26.04.1806, il reverendo don Gaetano Buschetti, in qualità di presidente del Capitolo Cagliaritano, vendette una “casa rovina” situata nella strada del Pagatore, a don Felice Cardia di Tortolì; la casa aveva subito pesanti danni in occasione dei bombardamenti francesi del 1793, e fu stimata da due periti muratori in lire 357 e soldi 5; fu venduta però per soli 100 scudi (250 lire) in considerazione del fatto che per riedificarla si richiedeva una spesa considerevole che il Capitolo non era disposto ad affrontare, e che negli anni passati, per le sue condizioni fatiscenti, aveva causato degli “incomodi” alle case vicine; confinava per tramontana con una casa dello stesso compratore Cardia (2847), per mezzogiorno con casa del Capitolo (2850), per levante con casa della chiesa di Sant’Eulalia (2849) e per ponente, mediante la strada del Pagatore, con casa del Monastero di S.Chiara (2817). E’ specificato nell’atto che le case citate, sul lato destro della strada del Pagatore, provenivano dai beni del fu marchese di Sedilo e Canalis, Don Gio Maria Solinas, il quale aveva inserito nel suo testamento dei legati destinati a diverse comunità religiose. Don Felice Cardia non era presente alla firma dell’atto, i 100 scudi furono consegnati per suo conto dal negoziante Agostino Ravalli.

Dopo il 1850 apparteneva al Convento dei Padri minimi di San Francesco. 

 

2849      vedi casa 2846

 

2850     

Nell’inventario Marramaldo del 1778 e in una causa civile del 1779, in cui si citano il giardino 2853 del defunto Domenico Marramaldo, si legge che tale giardino era confinante con altro giardino del fabbricante di vele Pedro Peres; il giardino Peres può identificarsi con l’unità 2850 o con parte di essa[1].

Nel 1797, da un atto notarile relativo ai beni di Agostino Ravagli, in cui si cita lo stesso giardino dell’unità catastale 2853, si legge che la casa e il cortile confinanti erano dell’eredità del marchese di Sedilo, Giovanni Maria Solinas.

Con atto del notaio Giovanni Battista Azuni, del 28.02.1806, il Reverendo Dottore Don Antonio Cabras, assessore della Mensa Arcivescovile, Protonotaro Apostolico, Canonico Prebendato della Primaziale di Cagliari, in qualità di Procuratore Generale e Speciale dell’Azienda del fu Marchese di Sedilo Don Gio Maria Solinas, concesse in locazione una casa terrena col fitto annuo di lire 60 dal al distillatore francese Guglielmo Planque.

La casa locata faceva parte dei beni dell’Azienda del fu Marchese di Sedilo, amministrati dal Capitolo Cagliaritano, e secondo l’atto notarile citato era situata “fra la contrada del Monserrato e la contrada della Muraglia che discende a Porta Gesus”, dove si affacciava un piccolo giardino; quest’ultima strada è da identificare con quella del Fortino, cioè l’attuale via Porcile, mentre con strada del Monserrato ci si riferisce in questo caso alla contrada del Pagatore, attuale via Arquer; solitamente la strada del Monserrato corrisponde all’attuale via Lepanto, ma le tre strade discendevano tutte dal bastione del Monserrato in prossimità dell’antica chiesetta omonima: da questa comune origine deriva la possibile attribuzione del nome "strada di Monserrato" ad ognuna di questa strade.

La casa si trovava al di sotto dell’ospedale del Reggimento Sardegna (numero catastale 2838), era già abitata dallo stesso Planque, gli venne concesso l’affitto per 6 anni, e la si identifica col numero 2850.

Nel donativo del Capitolo, del 15.08.1807, è dichiarata una casa nella strada del Pagatore, chiamata “Casa Uda”, composta da un piccolo piano terreno e un cortile, confinante davanti con casa del fu Francesco Soddu (2818), di dietro alle muraglia, di lato con casa del Sepolcro (2851) e dall’altro con casa dell’eredità Sedilo 2848. Dall’inventario dei beni di Agostino Ravagli, fatto nel 1817 si legge che la casa e giardino del Ravagli, numero 2853, confinavano di lato con la casa del Capitolo.

In un documento del 1819 rintracciato nell’Archivio di Sant’Eulalia, relativo alla casa Fais sita fra le strade del Pagatore e del Fortino (num. 2849), si legge che la casa confinante era di proprietà del Capitolo, data in enfiteusi al sig.Efisio Uda direttore del Regio Stanco.

Fra tutte queste informazioni è difficile trovare la collocazione della casa Sedilo, che nel 1797 e nel 1806 sembra coincidere con l’unità 2850, nel 1807 risulta essere l’unità 2848, nel 1819 non viene citata: si può ipotizzare che l’eredità del marchese di Sedilo comprendesse sia la casa 2850, sia la casa 2848; nei primi anni dell’800 l’unità 2850 (tutta o parte di essa) fu acquisita dal Capitolo, che la cedette in enfiteusi nel 1807 a Efisio Uda, mentre la casa 2848 rimase ancora inclusa nell’eredità Sedilo.

A metà ‘800, risulta dai dati catastali che l’intera unità 2850 appartenesse a Felice Thorel (1827-1918).



[1] Non si hanno informazioni genealogiche su questo proprietario, che abitava nel 1778 nella casa 2710, con ingresso nella strada della Costa 

 

2851     
In atto notarile del 1797, in cui si cita il giardino dell’unità catastale 2853, si legge che le case dietro il giardino erano di proprietà dell’Arciconfraternita del Sepolcro e della Comunità di Sant’Eulalia; visto che quest’ultima, da altri documenti, risulta proprietaria della casa 2852, si deduce che la chiesa del Sepolcro fosse proprietaria della casa 2851.

Nel donativo dell’Arciconfraternita del 1807 viene dichiarata una casa in contrada del Pagatore, di fronte a casa di Gianuario Demeglio (2819), confinante con una casa di Santa Eulalia (2852) e una proprietà di Agostino Ravagli (2853).

La stessa informazione è fornita da due atti notarili del novembre 1811 e del luglio 1812, relativi rispettivamente alla casa 2820 e a quella 2819, frontali a casa dell’Arciconfraternita del Sepolcro.

Dopo il 1850 l’unità 2851 apparteneva ancora all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2852     

Il 21.06.1762, dall’inventario dei beni del defunto notaio Antonio Recupo, proprietario della casa 2821, risulta che la casa di fronte (2852) appartenesse alla Comunità di S.Eulalia.

Il dato è confermato da atti del 1778, 1792, 1797, 1799, 1802, relativi alle proprietà Rolando (2820), Ravagli (2853), e del Monastero della Purissima (2855), e anche dalla causa civile relativa alla eredità Ravagli del 1818.

Dopo il 1850 risulta ancora di proprietà della Comunità di Sant’Eulalia.

 

2853      

Era un territorio tenuto a “giardino cinto di muraglie”; faceva parte dell’eredità di Domenico Marramaldo e della sua vedova Giuseppa Piana, come si legge nell’inventario dei beni del defunto Marramaldo, del 20.09.1778, e nel fascicolo di una causa del 1779 fra il notaio Giuseppe Murroni e Agostino Ravagli, curatore dell’eredità Marramaldo-Piana 

Un atto notarile del 14.11.1797 ci informa che Agostino Ravalli il 31.01.1787 aveva comprato dagli eredi di Domingo Marramaldo vari beni, tra cui un territorio tenuto a giardino nella discesa che dalla Porta di Villanova andava alla Porta Gesus (strada del Fortino). Nel 1797 Ravagli ipotecò questi beni legandoli a un censo di 3000 scudi ottenuto dalle sorelle monache Tommasa, Angela, Raimonda e Teresa Carnicer e da donna Luisa Ripoll baronessa di Villaperuccio, loro cognata.

Il giardino aveva davanti la Reale Muraglia, strada mediante, e parte di un magazzino del Seminario Tridentino (2477), di lato confinava, strada mediante, con casa e cortile del Monastero della Purissima (2855), dall’altro lato a casa e cortile dell’eredità del Marchese di Sedilo (2850), e di spalle a case di S.Eulalia (2852) e del Sepolcro (2851).

Tutti i beni dell’eredità Marramaldo erano già stati ipotecati dall’antico proprietario, il cavaliere e notaio Antiogo Del Vecho; dopo la sua morte, come risulta dal testamento del 1705, passarono alle figlie Teresa e Caterina, la prima nubile, la seconda coniugata con Bernardo Bonench, e furono ereditati da Domenico Marramaldo, figlio di Rosalia Bonench, figlia di Bernardo Bonench e Caterina Delvechio. Teresa Del Vecchio col suo testamento del 08.12.1763, istituì erede suo nipote Domenico Marramaldo e legò alle nipoti Marramaldo, sorelle di Domenico, usufrutto e abitazione di parte dei suoi beni. Domenico morì (prima del 1779) senza testamento e lasciò 5 figli minori (cioè di età inferiore a 25 anni), di cui diventò curatore testamentario Agostino Ravagli; quest’ultimo, come già detto, comprò il giardino nel 1787.

Il Ravagli confermò la proprietà del giardino nel suo donativo del 1799 (?), e scrisse che gli era stato “preso a prepotenza dal Bisconte[1] a nome dello Stamento militare, per fondere il cannone”, e gli si doveva pagare l’affitto di lire 45 annue a partire dal 18.11.1795.

La proprietà del Ravagli è confermata anche da atti notarili del novembre 1799 e del febbraio 1802, entrambi relativi alla casa 2855.

Con atto del notaio Francesco Rolando del 10.10.1809, Agostino Ravagli concesse in locazione una sua proprietà nella Marina situata nella strada che conduce dalla Porta di Villanova alla Porta di Gesù (via del Fortino, attuale via Porcile); si trattava di un terreno che una volta era un giardino, ma in quel momento vi erano due stanze ancora non terminate, e già affittate; la nuova locazione, stabilita per 3 anni, per 30 scudi annui, fu concessa al torinese Antonio CremonaCapo fabbricante de panni di Sua Maestà Sarda”; egli si sarebbe occupato di ritirare il fitto dalle persone che abitavano le stanze, aveva la facoltà di mandarle via, e utilizzare le stanze come più gli piaceva; era tenuto a mantenerle in stato abitabile e a terminarne la costruzione; doveva inoltre costruire un altro piano sopra di esse e costruire le scale di accesso all’esterno, nel “sito ancora vacuo”; doveva inoltre far costruire una cisterna per raccogliere l’acqua dai tetti; tutto questo con l’assistenza e la direzione dello stesso Ravagli, ma a spese del Cremona, che a fine lavori sarebbe stato rimborsato di tutto tramite i fitti da esigersi nei tre anni; nel caso che il ricavato degli affitti non fosse stato sufficiente avrebbe potuto tenere ancora per altro tempo l’affitto delle stanze; impegnò a spendere 100 scudi entro il 1809 e a terminare i lavori richiesti entro la primavera del 1810.

Con atto del notaio Francesco Rolando del 01.10.1810 Antonio Cremona subaffittò le due stanze a tale Raimondo Caria del villaggio di Ardauli; in accordo col Ravagli l’affitto fu concesso per 6 anni; le stanze avevano la copertura una a volta, l’altra a tetto; il Caria avrebbe pagato 15 scudi annui per ognuna; si sarebbe occupato di formare un altro piano ed aprire una porta nuova verso la strada; avrebbe anticipato 200 scudi (che egli doveva riscuotere da tale Antonio Demurtas “Collettu”, per una lite giudiziaria) che avrebbe recuperato non pagando i 30 scudi, e avrebbe potuto esigere gli affitti. 

Un atto notarile del 20.08.1811 conferma quanto scritto sopra: le stanze al piano superiore erano ancora in costruzione; Caria però non aveva potuto pagare nessun anticipo sul fitto, e Cremona a sua volta non aveva potuto pagare il Ravagli; pertanto Cremona e Caria si dichiararono in obbligo col Ravagli, e dichiararono che se egli avesse voluto affittare quelle stanze a persone di suo gradimento, avrebbero liberato immediatamente la proprietà.

Nella causa relativa all’eredità di Agostino Ravagli, del 1818, si riporta l’estimo delle case fabbricate nella discesa che portava alla strada del Fortino, dentro il giardino denominato “del console inglese”, posseduto dal defunto Ravagli; le case confinavano davanti, strada mediante, con la casa del Magazziniere Regio Michele Masala (2476); di lato con casa del Capitolo (ex casa Sedilo, 2850), sull’altro lato con casa della madri della Purissima, vicolo frammezzo (2855); di spalle con casa della comunità di S. Eulalia (2852); si trattava di 3 case, stimate in tutto £ 1770, soldi 16, denari 8.

Il Ravagli morì il 01.05.1817, e nel suo testamento istituì erede universale la sua anima, e incaricò i Padri Carmelitani di amministrare i suoi beni, di fatto lasciando ai padri l’eredità; questi ultimi trascurarono però di pagare le pensioni per le quali si era obbligato il Ravagli, per cui ebbe inizio una causa che coinvolse diversi creditori, tra cui la chiesa di Santa Caterina e San Giorgio che pretendeva lire 2000 di capitale prestato e £ 250 di pensioni scadute.

In quell’anno, nel sito che un tempo era l’antico giardino del console inglese, vi erano 3 distinte abitazioni, ossia stanze, abitate dal marinaro Raffaele Degiorgi e sua moglie Francesca Pau, dalla vedova Rosa Audelli, e dal marinaro Giovanni Similovich con la moglie Caterina Melis.

A causa delle vicende processuali e della situazione precaria delle proprietà Ravagli, con molte case vecchie ed in parte inabitabili (case nella contrada del Fortino, del Pagatore, e nella strada Del Vechio), nel 1819 il convento del Carmine rinunciò alle incombenze di esecutore testamentario; si cercò di affidare l’eredità all’amministrazione delle Cause Pie, che però rinunciò formalmente all’incarico con lettera dell’arcivescovo Navoni del 1821. Vennero coinvolti i parenti più stretti del Ravagli, eredi naturali, che però per problemi economici non potevano farsi carico delle spese della causa in corso. Alcuni beni del Ravagli apparterranno negli anni successivi a don Vincenzo Otger Ripoll barone di Villaperuccio, probabilmente grazie ai crediti ereditati dalla madre donna Luisa Ripoll e dalle zie monache Carnicer; non si sa se fra questi beni fosse compresa anche l’unità 2853.

Dopo il 1850 la casa o territorio 2853 era di proprietà di Josias Pernis (1796?-1895), con qualche dubbio però sull’esattezza di quanto riportato nel Sommarione dei Fabbricati: infatti le case del Pernis, 2853 e 2849, risultano nella strada di San Francesco anziché nella strada del Fortino (v. casa 2849). 



[1] Il visconte di Fluminimaggiore, don Francesco Maria Asquer.