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Isolato E: case costruite sulle mura della strada San Francesco del Molo

(via Roma, da via Barcellona alla Darsena)

numeri catastali da 2198 a 2216

queste costruzioni non esistono più, abbattute negli ultimi decenni dell’800 insieme alle mura della strada San Francesco; con poche eccezioni, furono costruite dal 1780 in poi; di loro esiste qualche rara testimonianza fotografica: erano costruzioni modeste, composte dal piano terreno e il primo piano, utilizzate come botteghe e anche come case di abitazione.

 

2198      

Era la prima costruzione, partendo dalla destra, edificata sulla “Cortina del Molo”, ed era una delle prime in ordine di tempo; non a caso era un edificio di pubblica utilità, dal momento che tutte le aree edificabili addossate alle mura erano concesse dal Demanio; era utilizzata come “Dogana del Formaggio”, così risulta da una concessione enfiteutica del 29.03.1780 rilasciata dal Regio Demanio a favore del sig. Domenico Aubermit, per “un sito continuo alla Dogana del Formaggio costruita negli anni scorsi dalla Città”; il terreno concesso all’Aubermit corrispondeva al numero catastale 2200, sulla stessa linea ma non contiguo alla Dogana del Formaggio, come si vedrà più in dettaglio per le case 2199 e 2200.

In data 31.01.1807 fu firmato “l’Atto di Impresa per la riparazione da farsi nel Magazzino della Dogana del formaggio, sottoscritto dal Muratore Vincenzo Sarrizzu in favore di questa ill.ma Città”; infatti, con la approvazione della Segreteria di Stato, la Città di Cagliari aveva determinato di procedere con lavori urgenti da farsi nella Dogana del Formaggio; era stato perciò incaricato il Capo Mastro muratore Sebastiano Puddu di fare una prima stima dei costi, che furono stabiliti in lire 278 e soldi 15; si affissero quindi i manifesti alle porte della città per invitare gli interessati a comparire davanti al Magistrato Civico la mattina del giorno 24 gennaio, alle ore 11; fra i tanti fu scelto il mastro muratore Vincenzo Sarrizzu che ribassò la spesa di lire 65.15, e chiese lire 213 da pagare in 3 rate.

Un atto del dicembre 1811, relativo alla confinante casa 2199, fa riferimento alla casa confinante ancora come “Dogana del formaggio”.

Dopo il 1850, dai dati del catasto, risulta che la casa 2198 fosse di proprietà della Città di Cagliari, utilizzata dalla gabella civica.[1]



[1] ASC, Reale Udienza, Cause civili, Pand. 54/55, busta 517, fasc. 6233; ASC, Regio Demanio, Affari diversi, Vol. 203 fasc. 4 c.31, Vol. 204 fasc. 4 c. 78, e Vol. 213, s.n.

 

2199     
Le informazioni disponibili per questa casa sono state per lo più rintracciate fra i documenti del Regio Demanio (ASC), così come per le case limitrofe: il 19.10.1790 venne concesso in enfiteusi “un sito nel sobborgo della Marina nella strada coperta di San Francesco a favore di patron Paolo Francesco Marturano, introggio £ 13.15, canone £ 10.10, terreno tra il magazzino del formaggio e la casa del fu Domenico Aubermit, attiguo alla controscarpa della cortina del molo, per fabbricare una casa d’altezza uguale a quella di Aubermit, lunghezza trabucchi 2 e piedi 3, larghezza trabucchi 2 piedi 2 once 5”. La casa Marturano si trovava quindi fra la dogana o magazzino del formaggio (2198) e la casa Aubermit (2200), in un punto dove arrivava “la bocca dell’acquedotto”, come è riferito da un documento del 1781: si tratta di un’ipoteca della casa Aubermit 2200, sulla strada di San Francesco di Paula, “che ha alle spalle la Regia Muraglia, e a lato ha i magazzini della dogana con il solo varco in mezzo della bocca dell’acquedotto”.

La casa Marturano era però inizialmente discosta dalla Dogana del Formaggio, infatti in data 15.02.1804 gli si concesse “un pezzo di terreno vacuo attiguo alla Dogana del formaggio nel Sobborgo della Marina, introggio £ 26..10, canone £ 2.12.6; sito attiguo alla casa del detto Marturano, di superficie 1 trabucco e 6 oncie.

Francesco Marturano era un negoziante e padrone navale appartenente a una famiglia che si trovava a Cagliari da alcune generazioni, con diversi legami matrimoniali con famiglie d’origine siciliana, e forse siciliana anch’essa.

Il 5 dicembre del 1811 mori Angiola Cojana, moglie di Francesco Marturano; anche i Cojana (o Coiana) provenivano dalla Sicilia, il loro cognome originario era Guajana (o Guaiana); il nonno di Angiola, Giuseppe Cojana, proveniente da Trapani, si era sposato a Cagliari in Sant’Eulalia nel 1721 con Angela Ladragna.

Il 20 dicembre, su indicazione del vedovo, venne compilato l’inventario dei beni della defunta; il notaio Antonio Pischedda Corona, su indicazione di Francesco Marturano e con l'intervento dei figli, oltre ai beni mobili trovati in casa inserì anche i beni immobili dei coniugi, fra cui due case nel quartiere della Marina e diversi terreni e vigne con alcune casupole nel circondario di Cagliari; la donna era morta improvvisamente nelle campagne di Quartucciu dove, insieme al marito, si era recata per occuparsi della vigne di famiglia. I figli erano: l’unico maschio Gioannico, negoziante, e le tre sorelle Damiana, Gioannica e Francesca, coniugate rispettivamente col regio misuratore Pasquale Piu, col medico collegiato Fedele Meloni, col negoziante Michele Cossu.

Una delle case in inventario era quella di numero catastale 2574, nella strada delle Siciliane, l’altra era quella di cui si parla, numero 2199: situata nella strada San Francesco di Paola, a ridosso della cortina della Darsena, fra la casa Aubermid (2200) e la Dogana del formaggio (2198), fu valutata per 1000 scudi, e si pagava un canone enfiteutico alla Regia Cassa di scudi 4 e reali 2.

Una carta inserita nel fascicolo di una causa civile relativa all’eredità Aubermit, riporta la testimonianza del 13.05.1825 del Regio misuratore Pasquale Piu, che affermò che “la casa di Domenico Aubermit (2200) in strada San Francesco é in attiguità alla casa del fu mio suocero Francesco Marturano, (quest’ultima) costruita a partire dal febbraio 1790 nel varco che era tra la dogana dei formaggi e la casa Aubermit”.

In un’altra carta rintracciata fra quelle del Regio Demanio (Affari diversi), non datata ma inserita fra altre carte del 1839 e 1840, è scritto che il misuratore Pasquale Piu, marito di Damiana Marturano, possedeva con i fratelli e le sorelle della moglie una casa in San Francesco di Paola, ereditata da Francesco Marturano padre di Damiana. 

A metà ‘800 la casa 2199 era di proprietà del negoziante Gerolamo Marini (1801-1875, padre del noto chimico Efisio), che aveva sposato nel 1829 Fedela Marturano (-1857), figlia di Giovanni, figlio di Francesco.

 

2200      

In data 29.03.1780 venne accettata la domanda presentata da Domenico Aubermit (o Aubermid, Obermit, ecc.), “nativo di questa città, domiciliato nella Marina, che desidera costruire in un sito continuo alla Dogana del Formaggio (2198) costruita negli anni scorsi dalla Città, per formare una casetta per sua abitazione e della sua famiglia”; gli si concede pertanto in enfiteusi “un sito terreno nella strada di S.Francesco di Paola della Marina contro la Regia Muraglia, in continuazione della Dogana del Formaggio, per trabucchi 8, per formarvi una casetta, mediante l’introggio di scudi 20 e il canone annuo di scudi 16”.

L’area concessa a Domenico Aubermit era in continuità ma non in contiguità con la Dogana del Formaggio, come meglio risulta da un atto notarile del 26.03.1781: Aubermit chiese e ottenne una somma a censo dal negoziante Francesco Vodret, con ipoteca della sua casa sulla strada di San Francesco di Paula, “che ha alle spalle la Regia Muraglia, e a lato ha i magazzini della dogana con il solo varco in mezzo della bocca dell’acquedotto”.

Domenico Aubermit, figlio di Giovanni Battista piemontese nativo di Valfenera (AT) e della tabarchina Angela Donati, nato nel Castello di Cagliari nel 1745, sposò nel 1767 Anna Persy, figlia del notaio Francesco. Il 19.10.1790 risulta già defunto, come si legge nella concessione enfiteutica di quell’anno, citata per la casa 2199; non avendo successori diretti, gli eredi erano i fratelli e le sorelle.

In data 25.06.1799 il notaio Lorenzo Monni, come curatore, presentò il donativo dell’eredità Aubermid, dichiarando la casa nella strada di San Francesco di Paola, composta da 2 stanze al piano basso, 2 stanze con l’alcova di sopra; tutta la casa era affittata complessivamente per scudi 52.

Una causa civile iniziata nel 1824 ci fornisce ulteriori notizie su questa casa e sui proprietari: Domenico Aubermid iniziò la costruzione della casa nel 1780, grazie a un censo di scudi 300 concesso dal capitano di fanteria Nicolas Belgrano, con atto del notaio Vacca del 12.07.1780. In data 26.03.1781, il “tendero” cioè negoziante Domenico Aubermit chiese un altro censo (per scudi 100) a Francesco Vodret e dovette ipotecare nuovamente la sua casa della strada di S.Francesco di Paula; dopo la sua morte la casa fu sequestrata per i debiti lasciati, e il 07.05.1797 il negoziante Francesco Vodret, uno dei principali creditori del defunto Aubermid, fu incaricato dalla “Regia Delegazione” di amministrare la casa dell’eredità, e resse l’incarico fino alla sua morte, nel 1813; gli subentrò allora il figlio Gregorio Vodret per conto di tutti gli eredi Vodret, ma nel 1824 Gregorio prese la decisione di dimettersi, adducendo motivi di famiglia e di salute; oltre agli eredi Vodret vi erano altri creditori dell’eredità Aubermid, fra questi gli eredi Belgrano e il Monte Nummario; la casa ipotecata aveva urgenti necessità di riparazioni, pertanto gli eredi Vodret volevano che fosse venduta.

Dai conti dell’amministrazione, presentati da Gregorio Vodret, risultano diversi affittuari: nel febbraio 1798 il mastro Antonio Denotaro aveva in affitto il piano alto e una bottega della casa per lire 87 e soldi 10 annui (il Mastro calafato e negoziante Antonio Denotaro morì a Selargius, dove si trovava per la vendemmia, il 22.10.1806; viveva nella casa 2200 insieme alla moglie Rita Garruciu); Gio Arfeo aveva in affitto l’altro sottano per £ 40 annue fino al 16.02.1806; Rita Garruciu, vedova di Antonio Denotaro subentrò all’Arfeo nel 1806, e dal 1807 fino al 28.08.1824 insieme al suo nuovo marito Gio Antonio Marcello (col quale quindi avevano in affitto tutta la casa); all’uscita dei coniugi Marcello-Garruciu, lo stesso giorno subentrò nell’affitto del sottano Vincenza Sanna per £ 40, mentre il mese successivo il piano e la bottega si affittarono alla vedova Teresa Alagna [1] per lire 88 e soldi 10; almeno fino al 1824 veniva ancora pagato un canone annuo all’economo dei regi canoni delle concessioni enfiteutiche. 

Nel 1808 Gio Antonio Marcello, che insieme a Rita Garruciu aveva in affitto il piano alto e i sottani, ospitava nella sua casa della strada San Francesco i due “maioli” Matteo Piras e Domenico Marcello, entrambi di Gavoi.

Il principale fra i creditori di Domenico Aubermit risultò essere il fu don Antonio Maria Copola, morto nel 1772; i suoi crediti erano passati per testamento al Monte Nummario o Monte di Soccorso.

Si condannò l’eredità a pagare scudi 800 al Monte Nummario per l’eredità Copola, scudi 300 agli eredi Belgrano, scudi 38 e soldi 15 agli eredi Vodret.

In data 10.03.1829 l’architetto Basso eseguì la perizia della casa Aubermit, stimandola lire 2359, soldi 17 e denari 10; i suoi confini erano i seguenti: a levante vi era la casa del Regio misuratore Pasquale Piu (2199), a mezzogiorno la cortina del molo, a ponente la casa del chirurgo Matteo Baraglia (2201), a mezzanotte la strada di San Francesco.

Dopo il 1850 la casa 2200 apparteneva al Monte Nummario. 



[1] Forse Teresa Grima, vedova di Bartolomeo Alagna? 

 

 

2201     

In data 09.02.1786 venne concesso in enfiteusi “un pezzo di terreno esistente nella contrada di San Francesco di Paola sobborgo della Marina contro la Regia Muraglia della strada coperta della cortina del molo, a favore del sig. Cristian Weslo console di Svezia ad oggetto di fabbricarvi un magazzino, mediante l’introgio di lire dieci moneta sarda e l’annuo canone perpetuo di lire 8, soldi 2, e denari 6; il pezzo di terreno è vicino ad altro già concesso in enfiteusi al sig. Domenico Aubermit, per erigere una piccola casa lateralmente a quella del concessionario Aubermit. Il sito ha lunghezza trabucchi 2 e piedi 3, larghezza trabucchi 1 ed once 6.

In un atto notarile del 11.05.1805 si legge che Girolamo Gindri vendette una casa per scudi 400 a Francesco Mazuzi; nell’atto è scritto che Gindri, in data 14.05.1791, aveva comprato una casa con un piano alto dallo Svedese Carlo Funch, procuratore del console di Svezia Cristiano Weslo, per scudi 300; la casa si trovava nel quartiere della Marina, strada di San Francesco, confinante con la strada coperta della muraglia del Bastione del Molo, da una parte con casa del fu Domenico Aubermit (2200), dall’altra con casa di Vincenzo Crobu (2202); il sito era stato concesso a Weslo il 09.02.1786, ed egli vi costruì una “cochiera” ossia un piccolo magazzino, col patto che se l’avesse venduta avrebbe versato alla Regia Cassa un tredicesimo del prezzo. Gerolamo Gindri dovette quindi pagare la tredicesima parte del prezzo di vendita di scudi 400, cioè lire 76, soldi 18, denari 5.

Dopo la morte di Francesco Mazzuzi (1816?) la casa 2201 fu ereditata dai suoi familiari: un documento del Regio Demanio, datato 16.09.1823, riporta l’atto di vendita dagli eredi Mazzuzzi al chiururgo Matteo Baralla per lire 825; Rosa Auger, vedova di Francesco Mazzuzi, agiva a nome proprio e come curatrice dei nipoti Rosa, Marianna, Luigi, Giuseppe, e Barbara, fratelli e sorelle Cadeddu Mazzuzzi, tutti minori di anni 20; erano figli del dottore in diritto Luigi Cadeddu e di Ignazia Mazzuzi (-1813), figlia di Francesco e di Rosa Auger; il loro nonno paterno era l’avvocato Salvatore Cadeddu, principale imputato della congiura di Palabanda, giustiziato nel 1813; lo stesso Luigi Cadeddu, coinvolto nell’inchiesta, venne arrestato e condannato a 20 anni di carcere che scontava nell’isola della Maddalena.

Ancora nel 1829, dalla perizia eseguita dall’architetto Basso sulla casa Aubermit (2200), la casa 2201 risultava appartenere al chirurgo Matteo Baraglia.

Dopo il 1850 risulta che appartenesse a Loreta e Vincenzo Moscati (1783-1871, falegname), figli del marinaio Federico, e poi a Francesco Sesselego.

 

2202 e 2203

In data 27.10.1789 il negoziante Vincenzo Crobu, insieme al muratore Giuseppe Pizzolo (o Puzzolu/Putzolu) e al mastro falegname Luigi Mura, chiesero alla Regia Azienda la concessione enfiteutica di un terreno adiacente alle mura del sobborgo della Marina, nella strada di San Francesco, per trabucchi 11 di lunghezza, piedi 2 e once 9 (39,6 metri); i tre richiedenti avevano intenzione di fabbricare botteghe e magazzini, addossati alle mura; non è chiaro se la concessione sia stata accordata subito, tra l’altro sembra che fosse già stata richiesta nel 1788, e venne ripresentata in data 20.04.1790; il terreno accordato a Vincenzo Crobu corrispondeva all’unità catastale 2202; confinava da un lato con la casa che serviva di rimessa al console di Svezia Cristiano Weslo (2201), dall’altro lato al sito chiesto dal Puzzolu (2203); il sito del Mura (2204 e 2205) era attiguo a quello del Puzzolu, e dall’altra parte vi era la casa di Gio Mameli (2206 e 2207); sull’altro lato della strada di San Francesco vi erano le case dei Padri Minimi (2550) e di Giuseppe Rapallo (2561). In data 22.10.1791 la richiesta di concessione fu presentata nuovamente dai soli Crobu e Mura, mentre il Puzzolu sembra che non fosse più interessato. Venne stabilito “l’introggio” (versamento iniziale una tantum) di £ 10, soldi 8, denari 1, col canone annuo di £ 8, soldi 5, denari 6.

In realtà sembra che il Crobu fosse già riuscito (forse nel 1789) ad avere un primo terreno e a costruire una casa; questa prima parte corrisponderebbe all’unità catastale 2202, confinante con la concessione Weslo 2201; fra il 1790 e il 1791 riuscì ad ottenere l’unità catastale 2203, confinante da una parte con la casa già costruita, dall’altra con il terreno concesso al Mura; a quest’ultimo fu concesso un terreno lungo circa 15 metri (2204 e 2205), al Crobu, oltre quello che già aveva, fu concesso un terreno “vacuo” lungo palmi 30 (metri 7,87), e un’ampiezza di 8 palmi e mezzo (metri 2,23), da identificare col numero catastale 2203, per la costruzione di una casa con bottega e piano alto,

Con atto notarile del 25.04.1798 il negoziante Vincenzo Crobu e il marinaio siciliano Giovanni Arfeo firmarono un accordo per edificare una casa sul terreno (2203) concesso nel 1790; avrebbero divise le spese in due parti uguali; il terreno, o la casa che alla data dell’atto era forse già edificata, confinava di lato con l’altra casa del Crobu (2202), costruita in precedenza, dall’altra parte con casa del negoziante Gio Batta Rossi (2204) che nel frattempo si era sostituito al Mura, dirimpetto con casa di don Giuseppe Rapallo (2561) e di spalle con la muraglia.

Vincenzo Crobu presentò il suo donativo il 21.06.1799, e denunciò una casa sulla strada di San Francesco di Paola composta da due bassi affittati uno per scudi 16 e l’altro per scudi 14 annui, al primo piano una stanza affittata per scudi 16, un’altra per scudi 13; denunciò inoltre una seconda casa confinante con la precedente, “a mezza partecon Giovanni Arfeo, composta da un basso e dal piano di sopra dove viveva l’Arfeo, il quale pagava al Crobu reali 16, soldi 3 e un denaro (quindi 997 denari).

Anche Giovanni Arfeo presentò il suo donativo lo stesso giorno, dichiarò di abitare nella casa che possedeva a metà con Vincenzo Crobu, e pagava al Crobu 20 scudi di affitto annuo e una pensione annua (per la concessione del terreno demaniale) di 16 reali e 19 cagliaresi (quindi 998 denari, uno di più di quanto dichiarato da Crobu); Arfeo non sapeva scrivere, firmarono per lui i testimoni Vincenzo e Francesco Crobu (probabilmente padre e figlio).

In data 30.05.1807 il negoziante Vincenzo Crobu e Angela Barrago, vedova di Giovanni Arfeo (chiamato in quest’occasione Afreo), fecero stimare la casa che avevano in comproprietà; Angela Barrago agiva anche a nome delle due figlie Brigitta e Caterina Arfeo; la casa, formata da un sottano e un primo piano, fu valutata in scudi 144, soldi 2 e denari 6; con atto notarile dello stesso giorno, Angela Barrago e le due figlie Brigitta e Caterina Arfeo, vendettero la loro porzione di casa a Vincenzo Crobu, esattamente per metà di quanto era stata valutata l’intera casa; Caterina Arfeo in quella data aveva solo 13 anni, era perciò assistita dal suo curatore, notaio Stefano Paravagna, marito di Brigitta Arfeo.

Il 16 febbraio 1809 morì Gesuarda Usai, moglie di Vincenzo Crobu, il quale dovette sistemare i conti con i figli che avevano diritto ad una porzione d’eredità materna; venne perciò eseguita una perizia per la stima degli immobili: le due casette della strada San Francesco di Paola, composte da un piano alto e un piano terreno, vennero valutate in lire 1799, soldi 2, denari 6. 

Con atto del 22.06.1809 del notaio Venanzio Maria Campus, il medesimo che si occupò dell’inventario dei beni di famiglia, il Crobu cedette la concessione enfiteutica del 1789, e quanto da lui costruito, allo scarparo Pasquale Vacca per scudi 250 (lire 625); la cessione riguardava una sola delle due casette (num. catastale 2202) di due stanze terrene e due stanze nel piano alto, nel terreno di 2 trabucchi, piedi 4 e oncie 6 (circa 11 metri) che gli era stato concesso in enfiteusi perpetua dalla Regia Azienda con l’annuo canone di lire 8 soldi 5 e denari 6, come da strumento di concessione del 27.10.1789, notaio Manconi, nella contrada di San Francesco di Paola della Marina.

Un documento del 1812, rintracciato fra le carte del Regio Demanio (ASC), conferma che la casa 2202 era stata venduta dal Crobu nel giugno 1809 allo scarparo Pasquale Vacca, il quale la vendette il 27.03.1812 al negoziante Michele Corpino: “casa composta da due stanze terrene nella strada di S.Francesco di Paola, termina da un lato con casa dello speziale Francesco Mazzuzzi (2201), dall’altro con l’archiata dell’acquedotto comune che sporge al mare del Molo”, davanti con case degli eredi Rappallo (2561) e del Convento di S.Francesco di Paola (2550), dietro con la muraglia”; dovrebbe trattarsi della sola casa 2202, ma non vengono fornite notizie né sul piano alto della casa né sulla casa 2203 (che risulta separata dalla 2202 dall’arcata dell’acquedotto). Un‘altra carta dello stesso fondo archivistico ci informa che gli eredi del mastro Michele Corpino nell’agosto 1840 possedevano ancora una casupola nella strada di San Francesco di Paola, presumibilmente la stessa casa 2202 acquistata nel 1812.

Infine un documento del 07.04.1845 riporta il contratto tra la Intendenza di Finanza e il baccelliere Tommaso Randacciu Regio Archivista, per l’affrancamento del canone di £ 15,888 sopra un tratto di terreno concesso in enfiteusi il 27.10.1789, sito nella via S.Francesco di Paola, dove era stata eretta una casa “mediante la corrisponsione di lire nuove 317,76, e il pagamento del laudemio in lire 24,44 centesimi”. La casa era appoggiata alla controscarpa della cortina del Molo. Sembra trattarsi della stessa casa 2202 il cui terreno era stato concesso proprio in quella data a Vincenzo Crobu, ed evidentemente ceduta dagli eredi Corpino dopo il 1840.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2202 apparteneva a Rosa Rossi, figlia del barone Salvatore Rossi e vedova del cavalier Giuseppe Angelo Randaccio; senza averne certezza piena quest’ultimo, figlio di Efisio e Francesca Diana, era fratello dell’archivista e baccelliere Tomaso Randacciu, precedente proprietario.

La casa 2203 a metà ‘800 apparteneva invece a don Federico Garau, avvocato, figlio del fu Raimondo (1767-1824, noto giurista originario di Arbus).

 

2204 e 2205       

Si è già riferito nel precedente paragrafo come, il 27.10.1789 con ratifica del 22.10.1791, fosse stato concesso un terreno al mastro falegname Luigi Mura, che aveva presentato la sua “supplica” unitamente a Vincenzo Crobu; il terreno destinato al Mura corrisponde alle unità catastali 2204 e 2205; Mura pagò subito lire 10 soldi 8 denari 1, e accettò l’annuo canone di lire 8, soldi 5 e denari 6. Il sito concessogli era lungo trabucchi 4, piedi 2, once 3, e largo piedi 3, once 9,5, cioè trabucchi 4 piedi 2 once 7 superficiali; confinava da un lato col terreno di Vincenzo Crobu (con la casa già fabbricata 2202 e il terreno ancora vacuo 2203), dall’altro lato con casa di mastro Giovanni Mameli (2206 e 2207), dirimpetto alla casa del neg.te Giuseppe Rapallo (2561).

Con atto notarile del 26.11.1797 Luigi Mura cedette la sua “piccola casa esistente nella strada di S.Francesco di Paola” al negoziante Gio Batta Rossi, per 100 scudi. Il Rossi effettuò dei lavori nella casa per i quali in data 11.07.1798 pagò lire 866 e soldi 5 al muratore Vicente Dessì e al falegname  Salvador Tortory.

Il 19.05.1800 Rossi rivendette la casa al negoziante Joseph Mannai nativo di Ghilarza, e residente in Cagliari. Mannai la possedeva ancora nel 1809, come è scritto in  atti relativi alla casa 2203.

Non si hanno altre notizie su queste case fino alla metà del secolo, quando, dai dati del catasto, la casa 2204 risulta appartenere al negoziante Vincenzo Serra, la casa 2205 a Raimondo Ugas del fu Luigi.

 

2206, 2207, 2208                              

Il 09.10.1785 il Mastro da muro Giovanni Mameli presentò una richiesta di concessione enfiteutica per un pezzo di terreno situato nella contrada di San Francesco di Paola, contro la Muraglia della strada coperta della cortina del molo, per 4 trabucchi superficiali; nella sua “supplica” specificò che aveva già fabbricato in quella strada, in prossimità della cantonata della chiesa di San Francesco, una casa con pian terreno ed alto, al cui fianco rimaneva un terreno vacuo.

Il misuratore Gerolamo Massei dichiarò che il terreno richiesto dal Mameli era in prospettiva della casa del fu Alonzo Palomas (2562), ora abitata dal dottor Lepori, e arrivava sino alla casa della signora Barbara Busetti (2564), ed era sulla stessa linea della casa del signor Domenico Obermit (casa Aubermit, num. 2200, una delle prime case costruite sulle mura); il sito aveva una lunghezza di trabucchi 6 e piedi 3, larghezza di piedi 3 dalla parte di Palomas, di piedi 6 dalla parte di Busetti; la concessione venne approvata il giorno 11.02.1786, con “l’introggio” di lire 18 e soldi 10, e l’annuo canone di lire 14 e soldi 15, col permesso di costruire una casa a due piani simile a quelle già fabbricate; la casa che il Mameli aveva già costruita dovrebbe corrispondere a una parte dell’unità 2207, mentre il nuovo terreno concessogli corrisponderebbe alle unità 2206 e parte della stessa unità 2207.

Il Mameli inoltre, in data 02.10.1787, ottenne un altro terreno posto davanti alla chiesa di San Francesco, cedutogli dal muratore Sebastiano Puddu; questi aveva avuto in concessione un terreno di 21 trabucchi superficiali, e ne cedette 8 al Mameli, dalla parte di levante; Mameli aveva quindi a disposizione un nuovo terreno che dovrebbe corrispondere all’unità 2208, lunga trabucchi 4 piedi 3 e once 6, di larghezza trabucchi 1, e superficie di trabucchi 8.

Il 13.08.1788 Giovanni Mameli vendette la casa 2208 al falegname Antonio Marcia (o Pinna Marcia).

In data 21.05.1800 si registra l’atto di vendita di una piccola casa nella contrada S.Francesco di Paola: la casa era quella fatta costruire dai coniugi Antonio Pani, parrucchiere, e Francesca Saccumannu, i quali il 04.03.1798 avevano acquisito un pezzo di terreno dal mastro Giovanni Mameli (il quale nel 1786 aveva avuto la concessione demaniale su un terreno più vasto). Il Pani aveva costruito una piccola casa con una stanza nel basso e una nel piano alto, e con l’atto notarile del 1800 la vendette a Bartolomeo Alagna, tenente della regia darsena; la casa corrispondeva al numero catastale 2206, confinava dirimpetto con la casa del dottor Lepori (2562), da un lato con casa del muratore Mameli (2207), dall’altro lato con casa del negoziante Giambattista Rossi (2205), alle spalle alla muraglia del molo.

Con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai del 22.12.1803 Bartolomeo Alagna vendette per 140 scudi la casetta 2206, comprata dai coniugi Pani-Saccumannu, al negoziante Paolo Coiana; era una “casupola” costituita da una stanza terrena con il suo solaio.

Fra la casa 2208, ora del Marcia, e la casa 2207, rimasta di proprietà del Mameli, c’era ancora un’area vuota: infatti il 23.02.1804 lo scarparo Raimondo Pipia chiese che gli venisse concesso un piccolo tratto di terreno nella contrada S.Francesco di Paola fra le case di mastro Giovanni Mameli e mastro Antonio Marcia, di fronte “all'infilata della strada di S.Eulalia” (ci si riferisce in questo caso all’attuale via Concezione, chiamata spesso strada “dietro” Sant’Eulalia).

Venne firmata la concessione in data 07.12.1804, ma la pratica venne smarrita, e venne confermata solo il 22.06.1808; venne stabilito un “introggio” di £ 21.17.6 e un canone annuo perpetuo di £ 2.3.9; il sito aveva una lunghezza di trabucchi 1.3.4 e una larghezza di trabucchi 1.1.6, superficie di trabucchi 1.5.8; Pipia avrebbe dovuto costruire una scaletta dalla parte interna della Cortina per permettere la salita al posto di Sentinella “lì piazzato per impedire i disordini cho possono commettersi in quelle strade”. La casa del Pipia dovrebbe corrispondere alla parte più a ponente dell’unità 2207.

In un altro documento del Regio Demanio, datato 17.08.1811, il mastro muratore Giovanni Mameli scrive che “per una ostinata lite è giunto alla decisione di cedere il suo dominio con i miglioramenti, cioè una casa composta di 2 stanze a pian terreno e 3 al piano alto che costruì nel terreno sito nella contrada di San Francesco di Paola, concesso in enfiteusi perpetua dal Regio Patrimonio il 11.02.1786”; cedette la sua casa (2207, parte di levante) allo scarparo mastro Raimondo Pipia, che gliela chiedeva da molto tempo. Confinava da una parte con casa del medesimo Pipia (2207, parte di ponente), dall’altro lato con casa del negoziante Paolo Cojana (2206, subentrato nel 1803 a Bartolomeo Alagna), alle spalle con le Regie Muraglie e davanti con casa del fu Alonso Paloma che era abitata dal medico Lepori (2562) e fino all’angolo della casa della sig.ra Barbara Busetti (2564) strada di San Francesco mediante.

Il 21.03.1814 Raimondo Pipia ottenne la concessione enfiteutica della casamatta che si trovava sotto la strada coperta del Molo, con l’introggio di lire 95.15.7 ed il canone di lire 15; detta casamatta, a metà strada fra i bastioni di S.Elmo e del Fortino, era attigua alla casupola formata dallo stesso Pipia nel sito concesso in enfiteusi il 22.06.1808; “La Reale azienda non ha più bisogno della Casa Matta che veniva sempre affittata, e il Pipia è ridotto a non sentirsi più padrone di casa sua poiché gli affittevoli della Casa Matta lo disturbano col loro passaggio più volte al giorno e anche la notte”.

Un ultimo documento del 23.01.1828, anch’esso proveniente dal Regio Demanio, riporta la vendita della casa Pinna Marcia, 2208: lo scrivente Francesco Raimondo Perseu di Sestu agiva come procuratore della vedova Maria Antonia Pinna nata Pisanu e della di lei nipote, moglie dello stesso procuratore Perseu, Maria Antonia Pinna Marcia, dimorante in Sestu; venne venduta una casa “in attiguità alla cortina del molo nella strada di San Francesco di Paola” davanti al convento dei Padri Paoloti, al negoziante Agostino Piccaluga, Tenente nelle Regie Armate.

Detta casa proveniva dall’eredità del mastro falegname Antonio Marcia (o Pinna Marcia) morto ab intestato; era stata fabbricata dal muratore Giovanni Mameli nel terreno concessogli il 03.10.1787, e ceduta al Marcia il 13.08.1788.

I coniugi Pinna Marcia/Pisanu avevano un figlio, il notaio Giovanni Pinna Marcia, defunto prima del padre; pertanto con la morte di Antonio Marcia i suoi beni andarono per metà alla sua vedova Maria Antonia Pinna nata Pisanu, e per metà alla nipote Mariantonia Pinna Marcia coniugata Perseu, figlia di un fratello germano del defunto Pinna Marcia.

Dai dati del catasto di metà ‘800 la casa 2206 faceva parte in quel periodo del Legato Rapallo; tutta la casa 2207 apparteneva ancora al mastro Raimondo Pipia fu Pasquale; la casa 2208 apparteneva ancora al luogotenente Agostino Pittaluga (o Piccaluga) (1784-1869) fu Nicolò.

 

2209 e 2210       

Il 02.10.1787 venne concesso in enfiteusi un pezzo di terreno di 13 trabucchi superficiali, situato contro la Muraglia della strada coperta della cortina del molo, al mastro da muro Sebastiano Puddu di Cagliari, mediante l’introggio di lire 49 ed un soldo, e l’annuo canone perpetuo di lre 39. Gli si concesse il permesso di fabbricare una piccola casa, “rimpetto” alla chiesa di S.Francesco, sulla stessa linea delle case già costruite, con criteri simili a quelli concessi a Domenico Aubermit, a Christian Weslo e a Giovanni Mameli.

Il Puddu aveva avuto in concessione 21 trabucchi superficiali, ma poi ne cedette 8 a Giovanni Mameli, dalla parte di levante. Il terreno dato al Puddu era lungo quindi trabucchi 5, piedi 5 e once 6, estensione superficiale trabucchi 13. Dovrebbe corrispondere all’unità castale 2209, e probabilmente anche a parte o tutta l’unità 2210. Questa ipotesi è legata alle informazioni rintracciate in altri documenti: nel 1789 venne venduta una casa non lontana dalla “plaza del muelle” dai coniugi donna Maria Devissia e il notaio Juan Amei; la casa Devissia è identificata con l’unità catastale 2211, aveva davanti una casa del marchese di Villamarina (2594), di lato una casa che stava fabbricando il mastro Sebastiano Puddu, “con un terreno vacuo in mezzo”.

Per gli anni immediatamente successivi, sono stati rintracciati due documenti, uno del novembre 1802, l’altro del giugno 1803; il primo è relativo alla concessione di un terreno “sotto la controscarpa della Cortina che dal Molo” a Giovanni Cuboni; non è stato possibile identificare esattamente il terreno di Cuboni, ma “siccome trovasi in questo luogo lo sfogo d’un pubblico canale, dovrà il ricorrente fare un canale a volta massiccia di cantoni o mattoni simile a quello delle case vicine di Sebastiano Puddu e Francesco Marturano”, queste ultime rispettivamente 2209 e 2199: sappiamo quindi che nel 1802 Sebastiano Puddu aveva ancora la sua casa, costruita sopra “lo sfogo d’un pubblico canale”; il documento del giugno 1803 è relativo alla riedificazione della casa delle orfanelle, numero 2211, confinante con casa del mastro Sebastiano Puddu (2210).

Da altre carte del Regio Demanio si apprende che gli eredi del mastro Sebastiano Puddu possedevano una casa nella strada di San Francesco del Molo ancora nell’agosto 1840.

Il 13.05.1841, Efisio Puddu e sua moglie Francesca Basciu di Cagliari chiesero il condono di £ 470 per canoni di una casa avuta dall’eredità del fratello e cognato Angelo Puddu, nella strada del Molo; avevano numerosa famiglia, molte figlie femmine e nubili, fra i figli maschi 3 erano al servizio della Brigata Cacciatori Guardia, e uno di loro aveva avuto una recente promozione e premio per i suoi meriti. Efisio ed Angelo Puddu erano figli del defunto mastro Sebastiano, e avevano ereditato dal padre la proprietà sulle mura.

Il 07.05.1842 venne venduta per lire 4000 una casa, posta nella strada di San Francesco di Paola nella Marina e di proprietà degli eredi Puddu, all’Oratorio d’Itria; “Francesca Puddu nata Baxiu e le di lei figlie Antonia, Rosica, Rita, sorelle Puddu Basciu, intendono alienare la casa che possiedono in forza del testamento del 30.01.1841 del fu Angelo Puddu cognato e zio rispettivo; la predetta casa trovasi eretta in parte dell’area concessa in enfiteusi perpetua dal Regio Patrimonio al fu Capo Mastro Sebastiano Puddu autore (cioè genitore) del predetto Angelo, col canone annuo di lire 39 verso la Regia Cassa, mentre la parte rimanente è posseduta dall’Argentaro Efisio Puddu padre e marito rispettivo cui toccò per porzione paterna.

Pertanto Francesca Baxiu assistita dal marito Efisio Puddu, e le loro figlie Antonia assistita dal marito Efisio Arthemalle, la nubile Rosica maggiore di anni 25, e la nubile Rita minore di anni 25 ma maggiore di anni 20, assistite dal padre Efisio Puddu, tutti di Cagliari e domiciliati nella Marina, cedono quel corpo di casa (2210) nella strada di San Francesco di Paola, composta d’un piano terreno e piano alto, confinante a levante con altra casa posseduta dal detto Efisio Puddu (2209), con la quale ha comune l’ingresso al piano superiore, la cisterna e il cesso, a ponente a casa del Conservatorio delle figlie della provvidenza (2211), a mezzogiorno al bastione del Molo, ed a tramontana al Convento dei R.R. P.P. Minimi strada frammezzo (2592)”.

In conclusione, sembra di poter dire che Sebastiano Puddu costruì due case, numeri 2209 e 2210, in tempi diversi; alla sua morte lasciò la prima al figlio Efisio, la seconda al figlio Angelo; quest’ultimo nominò eredi la cognata e le nipoti, che vendettero la casa all’Oratorio d’Itria, anche per i canoni non pagati dallo zio per un totale di 470 lire.

Dai dati del sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2209 risulta in parte delle sorelle Rosa e Rita Puddu, in parte della vedova Francesca Pittaluga (di cui si ignorano le eventuali parentele con la famiglia Puddu); la casa 2210 apparteneva all’Oratorio d’Itria.

 

2211     

Un atto notarile del 22.07.1789 riporta la “cessione di una casa terrena sita nella Marina, strada del Molo, firmato da Salvator Maria Saba exgesuita come procuratore generale di coniugi donna Maria Devissia e il notaio Juan Amei di Borgonovo rivera di Genova, a favore del nobile don Gavino Coco”; la casa confinava davanti con una casa del marchese di Villamarina (2594), da un lato con la casa che stava fabbricando il mastro Sebastiano Puddu (2210), dall’altro lato con casa degli stessi venditori (2212), alle spalle con le reali muraglie, e faceva parte, insieme ad altri beni, della dote di donna Maria Devissia, come da atto notarile del 10.01.1772; da queste informazioni si può desumere che le case Devissia 2211 e 2212 fossero le più antiche fra quelle costruite sulle mura della strada del Molo; è probabile che la proprietà Devissia coincidesse con il terreno concesso in enfiteusi a Matteo Devissia il 16.10.1665, non lontano dalle mura e oratorio di Sant’Elmo[1].

Con il citato atto del 1789 la casa 2211 venne venduta al Conservatorio delle orfanellemediante il nobile e magnifico don Gavino Coco giudice e avvocato fiscale patrimoniale, sindaco generale del Conservatorio delle orfanelle”. 

Con atto notarile del 08.06.1803, il sig. Salvatore Saba, Pro Sindaco del Conservatorio delle Orfane, ed il mastro muratore Gioachino Marras, si accordarono per “la formazione di due botteghe e due abitazioni da farsi superiormente alle suddette, mediante la somma di £ 3198.14 moneta sarda”; si trattava della riedificazione di “due casette terrene proprie dell’azienda del Real Conservatorio delle Orfane, esistenti nella contrada di San Francesco della Marina, in attiguità alla Regia Muraglia del Molo”; occorreva allineare la nuova fabbrica alla vicina casa del mastro muratore Sebastiano Puddu; Saba si impegnò a pagare la somma in 3 rate: la prima di lire 750 con la firma dell’atto notarile, la seconda di uguale importo in corso d’opera, la terza dopo il collaudo dell’opera.

Con atto del notaio Efisio Piras Meloni del 26.09.1810, una stanza a pian terreno di una casa del Reale Conservatorio delle figlie della Providenza, nella strada di San Francesco di Paola, fu affittato al negoziante genovese Battista Serga; in quello stesso periodo il primo piano della casa era abitato dal marinaio Giambattista Cavassa, anch’egli genovese; l’affitto fu concesso per 8 anni per il canone annuo di scudi 42; non ci sono altri elementi per identificare la casa, ma l’unica che appartenesse al Conservatorio delle orfanelle, nella strada citata, è quella con numero catastale 2211.

E’ stato rintracciato un riferimento alla casa delle orfanelle in un documento del Regio Demanio del 1813, relativo alla casa Tatti 2213, e vi è una conferma anche in un atto notarile dello stesso anno, relativo alla casa 2595, sull’altro lato della strada.

Nel documento del 1842 col quale gli eredi Puddu vendettero la casa 2210, si fa riferimento alla casa confinante, di proprietà del Conservatorio delle figlie della provvidenza, posta a ponente della casa Puddu.

Dopo il 1850 la casa 2211 era ancora del Conservatorio delle figlie della provvidenza.  


[1] da Francesco Carboni “La forza del lavoro e del denaro: economia ed appalti in Sardegna dal 1420 al 1840”, pag. 84, rif. Archivistico A.S.C., Regio Demanio, Affari Diversi

 

2212, 2213, 2214              

Come la precedente casa 2211, la casa 2212 faceva parte della dote che donna Maria Devissia portò a suo marito notaio Juan Amei nel 1772; come già detto per la casa 2211, era probabilmente di proprietà enfiteutica della famiglia Devissia fin dal 1665; rimase di proprietà dei coniugi Amei-Devissia almeno fino al 1789, cioè quando venne venduta la casa confinante 2211.

La casa 2214 sembra invece che nel 1800 appartenesse all’Orfanotrofio, e che fosse una semplice “Bottega terrena”, come ci riporta un atto notarile relativo alla casa 2215.

Negli anni successivi le case 2212 e 2214 appartenevano al cavalier Onorato Cortese, che le riedificò; non si sa esattamente quando il Cortese ne divenne proprietario (o enfiteuta); in un atto del novembre 1808, relativo alla casa 2215, si fa riferimento ancora alla proprietà dell’Orfanotrofio ma, come si vedrà più avanti, si cita il Cortese già nel 1806 sia per la casa 2212, sia per quella 2214.

La casa 2213 cambiò diversi proprietari in pochi anni: Cuboni, Dentone, Podda, Tatti: Giuseppe Tatti era coniugato (almeno dal 1811) con Giovanna Podda (figlia del notaio Giorgio Podda), la quale dal 1806 era vedova del fabbricante di paste Nicola Dentone; sembra quindi più che probabile che la casa del Tatti fosse in realtà una proprietà della moglie, erede usufruttuaria del defunto marito, il quale aveva acquistato la casa il 02.09.1803, per lire 162 e 10 soldi, dal musico Giovanni Cuboni[1] il quale a sua volta il giorno 11.11.1802 aveva avuto la concessione demaniale del terreno su cui costruì una casetta di una stanza e per la quale pagava lire 5 annue[2]. I coniugi Dentone-Podda, nel loro testamento congiunto del 1804, si erano nominati reciprocamente eredi usufruttuari e, alla morte di entrambi, i loro beni sarebbero stati acquisiti dall’Ospedale di Sant’Antonio, come poi avvenne; nell’inventario dei beni del defunto Dentone, curato dal notaio Giuseppe Isola a partire dal 28.06.1806, è scritto che la casa era composta da una sola stanza terrena “attaccata alla muraglia per la quale si transita dalla porta del Molo a quella della Darsena”; la casa confinava per i due lati con le casette Cortese (2212 e 2214), e aveva davanti la casa degli eredi del negoziante Filippo Pinna (2597), la quale confinava con la casa di abitazione dei coniugi Dentone-Podda (numero catastale 2596).

Un documento del Regio Demanio del 31.07.1813 riferisce che il notaio Giuseppe Tatti possedeva una piccola casa sulla strada del Molo, appoggiata alla Regia muraglia, attigua a case del cavalier Onorato Cortese, il quale ne aveva fabbricata una ultimamente, ed un’altra era in corso di fabbricazione (2212 e 2214); il Tatti voleva riedificare la sua casa in linea con le case del Cortese e alla stessa altezza, alla stessa maniera di quella del Conservatorio delle figlie della Provvidenza (2211) e di quelle vicine alla Dogana del formaggio (2198); gli si concesse pertanto un pezzo di terreno per poterla ampliare, e corrisponderebbe all’unità catastale 2213.

La bottega 2214 del cavalier Cortese è citata in un atto notarile ed in una causa civile, entrambi del 1812 ed entrambi relativi alla casa 2215; dalla causa si sa che la bottega Cortese fu affittata in quell’anno al caffettiere Fortunato Imerone, proprietario della casa 2215; la bottega servì come magazzino per la caffetteria dell’Imerone.

Dai dati catastali di metà ‘800 le case 2212 e 2214 risultano appartenere a Francesco Novaro, maggiore in ritiro: costui nel 1833 aveva sposato Francesca Cortese, figlia di Onorato; questo conferma la proprietà Cortese di inizio ‘800; invece la casa 2213, a metà ‘800, apparteneva all’Ospedale Civile, così come era stato deciso nel testamento del 1804 dei coniugi Dentone e Podda. 



[1] Il Cuboni e il Dentone si accordarono per la somma di lire 162 e soldi 10, pagabili in questo modo: scudi 30 in 1000 teste di pignatte di Sicilia tra buone e rotte, al prezzo di 9 cagliaresi (un soldo e mezzo) ognuna, scudi 10 in un banco usato da bottega colla sua bilancia a due piatti, e scudi 25 in denaro effettivo.

[2] Il parere positivo per la concessione del terreno al Cuboni fu dato dall’ingegnere marchesino Boyl, che affermò che la costruzione non era di nessun pregiudizio, e sarebbe servita per abbellimento e sicurezza; “siccome però trovasi in questo luogo lo sfogo d’un pubblico canale, dovrà il ricorrente fare un canale a volta massiccia di cantoni o mattoni simile a quello delle case vicine”.

 

2215 e 2216

Nel 1779 l’unità catastale 2215 era occupata da una bottega dell’Azienda Ex-gesuitica: nel dicembre di quell’anno si concesse a Giuseppe Saragozza di Ozieri di costruire in muratura una piccola bottega (col pagamento del canone di scudi 6) nello stesso sito dove molti anni prima “gli era stata concessa la facoltà  di formare una botteguccia con tavole, che resesi ora fracide, la vuole riedificare in mattoni e calcina. Sito esistente nel piazzale interno del Molo, di lunghezza di palmi 10 e larghezza palmi 6, coerente a Libeccio al tamburo della Porta Marina, a Greco al Piazzale suddetto, a Scirocco alla muraglia d’una bottega dell’Azienda Exgesuitica, a Maestro in faccia ed in attiguità della barriera della Porta Marina”. Non è facile capire da queste informazioni quale fosse il sito esatto dove sorse la bottega Saragozza ma, dai documenti successivi, sembra di poter identificare la casa ex-gesuitica con l’unità catastale 2215, di conseguenza la piccola bottega Saragozza dovrebbe essere l’unità 2216.

Un atto notarile del 28.04.1800 riporta l’estimo di una casa (2215) nella piazza del molo, “propria del legato dei padri ex gesuiti”, che “affronta per davanti a detta piazza, alle spalle le regie fortificazioni, da un lato una bottega terrena dell’Orfanatrofio (2214), e d’altro lato alla porta come si esce ed entra a detto molo”; la casa, composta da una sola bottega terrena, venne valutata scudi 428 e 8 soldi; la stima venne eseguita su richiesta del canonico della primaziale Antonio Giuseppe Brandino, recettore ed amministratore dei legati ex gesuitici, e su richiesta del negoziante Francesco Floris oriundo di Lipari[1] e domiciliato nella Marina; gli stessi dati vengono riportati nell’atto di concessione enfiteutica perpetua al Floris della stessa bottega 2215, del mese successivo; il Floris, a titolo di donazione a favore dei legati pii, consegnò 100 scudi al canonico Brandino.

Con atto del notaio Francesco Demontis del 25.11.1808 Francesco Floris di Lipari cedette “una bottega e una casuccia” al signor Fortunato Imerone; era la stessa costruzione che gli era stata concessa in enfiteusi il 08.05. 1800 dalla Causa Pia ex-gesuitica di Santa Croce; Imerone si impegnò a pagare 8 canoni arretrati (ciascuno di lire 52, 16 soldi e 8 denari), gli ultimi 6 mesi e giorni 16 di canone dal 9 maggio (per lire 28, soldi 15 e denari 4), e le spese processuali (per lire 86, soldi 4 denari 6); evidentemente la Causa Pia aveva citato in giudizio il Floris per i suoi arretrati.

Con atto dello stesso notaio Demontis del giorno successivo fu firmato il contratto enfiteutico dal Reverendo Baccelliere in ambe leggi Bonaventura Puxeddu, beneficiato della primaziale; Puxeddu era l’amministratore dei Legati pii ex-gesuitici di Santa Croce, con patente firmata dal cardinale Cadello il 24.03.1804; venne concessa a Fortunato Imerone l’enfiteusi della bottega e della casuccia terrena nella strada di San Francesco di Paola, con un muro divisorio che separava la bottega dalla casuccia, confinanti per davanti con la strada, per il lato posteriore con le muraglie e le fortificazioni Reali, di lato con una a casuccia pure terrena dell’orfanatrofio (2214), e dall’altro lato con le barriere della porta del molo; la casa aveva due porte, una laterale verso la porta del molo, l’altra sulla strada di San Francesco. Per garantire il pagamento del canone enfiteutico Imerone ipotecò una casa di sua proprietà nella strada di San Giovanni in Villanova, confinante per le spalle col “regio terrapieno”.

In data il 05.12.1822 Giuseppe Saragozza vendette per scudi 70 la sua bottega (2216), attigua al tamburo di Porta Marina, al genovese Emanuele Sessarelo (recte Sessarego, poi Sesselego o Sessego); i confini specificati nel 1822 sono i seguenti: “a libeccio con Porta Marina, a Greco al piazzale interno del Molo, a scirocco con casa del fu Fortunato Imerone e ora degli eredi, a maestro in faccia e in attiguità della Barriera di detta porta”; è così confermato che la bottega che era dei Gesuiti nel 1779, concessa in enfiteusi nel 1800 a Francesco Floris, apparteneva (in enfiteusi) nel 1822 agli eredi di Fortunato Imerone; quest’ultimo, nato nel quartiere Castello nel 1779, figlio del parrucchiere Giovanni Battista Imerone proveniente da Borgofranco Pavia in Lomellina (ora Suardi, provincia di Pavia) e di Giuseppa Corrias di Ghilarza, era parrucchiere e poi caffettiere: se ne ha notizia da una causa civile iniziata dopo la sua morte (08.07.1818) fra i suoi eredi e l’avvocato Emanuele Massa Schirru, e continuata dagli eredi di quest’ultimo (morto nel 1823): Imerone, a partire dall’agosto 1808 aveva fabbricato una casa e una bottega di caffè nel terreno sotto la cortina, vicino alla sentinella della porta del Molo; aveva iniziato la sua attività nel gennaio 1809. Pochi mesi dopo si associò con l’avvocato Massa Schirru, il quale condivideva le spese e i guadagni del caffè; il 16.03.1812 Fortunato Imerone ebbe il permesso di “riformare” la sua bottega, e gli venne ceduta un’area confinante dove era stato costruito “un botteghino di tavole coperto di tegole e due banchi da macello”; il botteghino era in precedenza una proprietà del notaio Vincenzo Sulis, e i due banchi appartenevano al beccaio Raimondo Sirigu, il quale li cedette a Imerone per 250 scudi; Fortunanto Imerone poté ampliare la sua proprietà, costruendo un primo piano in analogia alle case confinanti di Onorato Cortese (2212 e 2214); il 28 marzo dello stesso anno 1812, ancora in società con l’avvocato Emanuele Massa Schirru, prese in affitto una bottega di don Onorato Cortese situata nell’unità catastale 2214 confinante con la caffetteria (mentre dal 1809 aveva in affitto una bottega nella casa Gastaldi 2615, nell’attuale via dei Mille); dal 07.09.1813 fino al 10.03.1818, nella casa 2215 era attiva anche una locanda, da lui gestita.

In realtà non è corretto cercare una esatta corrispondenza fra le proprietà o concessioni enfiteutiche di inizio ‘800 e le unità catastali di metà ‘800 presenti sulla mappa disponibile: nel giro di pochi decenni la situazione era molto mutata, e diversi piccoli immobili erano stati ricostruiti e unificati. Con atto del notaio Venanzio Campus del 06.05.1812 si giunse infatti ad un accordo fra il caffettiere Fortunato Imerone ed il beccaio Antonio Spina: quest’ultimo gestiva un banco per la vendita della carne in una loggia delle mura del molo, concessagli regolarmente in enfiteusi, e pagava da 15 anni un canone annuo di scudi 3 al Regio Patrimonio; senza dargli il minimo avviso il suo banco e la loggia furono demolite da Imerone che aveva avuto in enfiteusi i siti confinanti, e stava già costruendo per formare delle case con bottega al piano terreno, con un primo piano alla stessa stregua delle case vicine lungo le mura; lo Spina si rivolse “al Governatore”, o per meglio dire all’ufficio del Regio Patrimonio a cui pagava il canone; gli fu promesso che sarebbe stato reintegrato nel sito, con demolizione di quanto stava già costruendo Imerone; i due si videro costretti ad una amichevole trattativa; allo Spina, che avrebbe avuto un altro posto per i suoi commerci, Imerone avrebbe pagato la somma di scudi 100: alla stipula dell’atto 60 scudi, altri 40 in 4 mesi; pertanto egli trasferì ad Imerone tutti i diritti sul sito dove c’era la loggia e il suo banco di carne.

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati, si sa che Efisio Imeroni (1815-1881), figlio di Fortunato e di Teresa Piga, era ancora proprietario a metà ‘800 della casa 2215, e vi aveva una bottega di caffè; nello stesso periodo la piccola (piccolissima!) unità 2216 apparteneva all’Arciconfraternita dei Genovesi. 



[1] Sembra plausibile che il Floris si chiamasse in realtà Flores, cognome ben presente in Sicilia; in atto notarile del 1799, relativo alla casa 2549, è citato il negoziante siciliano Francesco Flores, probabilmente il medesimo che nel 1800 ebbe l’enfiteusi della casa 2215.