Usare il tasto sinistro del mouse per aprire la mappa al posto della pagina attuale;

usare il tasto destro del mouse per aprire la mappa in un'altra scheda o in un'altra finestra, senza chiudere la pagina attualmente aperta.

Isolato G: Pabillonis/S.Agostino vecchio/Conce/Moras

(via Sardegna, via Roma, via Napoli)

numeri catastali da 2259 a 2298

Le case di questo isolato erano per lo più di modesta qualità, in particolare quelle costruite sulla via delle Conce, attuale via Roma, e quelle del lato occidentale dell’isolato, in prossimità della Porta di Sant’Agostino; a edifici bassi con il solo piano terreno ed il primo piano si alternavano edifici con 2 o 3 piani alti; sul lato rivolto verso il mare, molti piani bassi erano utilizzati come conceria, analogamente alle case appoggiate alle mura costruite sull’altro lato della strada; la parte più occidentale dell’isolato ha subito notevoli modifiche a causa della demolizione delle mura e della Porta di Sant’Agostino, con l’estensione delle case fino all’attuale largo Carlo Felice; l’apertura del tratto meridionale della via Baylle, fra la via Sardegna e la via Roma, ha ovviamente portato alla demolizione di diverse case e alla divisione negli attuali 2 isolati; il fronte sull’attuale via Roma è stato interamente sostituito dagli attuali palazzi muniti di porticato: il palazzo La Rinascente costruito fra il 1925 e il 1930, i palazzi Magnini dell’ultimo decennio del XIX secolo, il palazzo Putzu-Spano degli anni ’30 del XX secolo; nella parte occidentale non è rimasto nessuno dei vecchi edifici, mentre nella parte orientale sono rimaste le vecchie case, o per lo meno è rimasta la vecchia divisione catastale, sia sul lato dell’attuale via Sardegna, sia sul lato della via Napoli, con l’esclusione delle prime 3 case della via, dalla parte di via Roma, dove sorge il palazzo Putzu-Spano.

Per i motivi sopra riportati, le ipotesi che vengono proposte per le case della parte più occidentale della strada delle Conce, e delle confinanti case della strada di Sant’Agostino vecchio, non sono prive di dubbi: nuovi documenti potrebbero confermarle o modificarle facilmente.

 

2259     

In una causa civile del 1761, relativa alla proprietà della casa numero 2298 (all’angolo fra le strada Pabillonis e Moras), si legge che la casa confinante sulla strada di Moras (per il catasto di metà ‘800 numero 2259) era appartenuta in precedenza a Lucas Antonio Guillo, poi al mastro calzolaio Francesco Incani, poi ai coniugi mastro conciatore Juan Pizalis e Antioga Incany, e infine nel 1741 apparteneva ai loro figli cioè il notaio Antiogo Pizalis e i suoi fratelli.

Non si hanno notizie della casa 2259 fino al dicembre 1788, quando il notaio Juan Pisà compilò l’inventario dei beni del defunto notaio Agostino Paderi (1729-1788), morto il 2 dicembre; non è stato rintracciato il testamento del notaio Paderi, morto senza discendenza, ma si sa che le sue proprietà furono amministrate per diversi anni dal negoziante Carlo Dessy, nominato esecutore testamentario; il Paderi, oltre alla casa dove abitava, sita all’angolo fra le strada del Pagatore e dei Siciliani (2527), possedeva alla Marina una casa nella strada di Moras, identificata nell’unità 2259: casa di 3 piani, con una camera per piano, aveva davanti la casa del fu Juan Fulgher (2629), alle spalle una casa del conciatore Anastasio Tola (2297), da un lato una casa di S.Lucia (2298), dall’altro lato la casa del "panataro" monsieur Charle (casa 2260).

In data 19.06.1799 Carlo Dessy, come esecutore testamentario del notaio Agostino Paderi, presentò il donativo dell’eredità, denunciando la casa della strada Mores, composta da 2 piani alti e piano terreno, in tutto 3 stanze; la casa era affittata per 19 scudi annui.

Un atto del 05.12.1800 (archivio Sant’Eulalia) fornisce un’informazione che sembrerebbe in contraddizione con quanto finora detto: si tratta della vendita in enfiteusi della casa 2298 da parte della Arciconfraternita di Santa Lucia al mastro Girolamo Cocco: questa casa confinava davanti, tramite la strada Pabillonis, con la casa del fu Jaime Godò (2656), da un lato con la casa di Maurizio Arthemalle (2628), di lato con la casa del mastro Anastasio Tola (2297,), e di spalle con casa di mastro Fedele Ghiani; la casa di Ghiani è sicuramente la casa Paderi 2259, si può ipotizzare che Ghiani la abitasse in affitto oppure che l’avesse avuta in enfiteusi per alcuni anni. 

Nel febbraio 1806, alla morte del proprietario della casa 2260, la casa 2259 risulta appartenere a Carlitos Dessy.

In data 14.12.1809 morì il negoziante Carlo Dessì, e il 18 gennaio 1810 fu compilato dal notaio Efisio Ferdiani l’inventario dei suoi beni, alla presenza del fratello del defunto, sacerdote Michele Dessì, che agiva anche per parte degli altri fratelli notaio Andrea, negoziantete Domenico ed Efiso Dessì; era presente anche il causidico Francesco Frau Calvo a nome di Efisio Cadello, figlio della fu Giusta Dessì, sorella del defunto Carlo. Questi era morto celibe e senza testamento; egli, per testamento del notaio Agostino Paderi del 01.12.1788, aveva l’amministrazione “senza obbligo di renderne conto” dell’eredità del notaio Paderi, consistente in alcuni beni immobili e in ipoteche e capitali censuali, valutati nel 1810 per un totale di lire 5212 e soldi 8.

Per volonta di Agostino Paderi quei beni, dopo la morte di Carlo Dessì, sarebbero dovuti essere consegnati alla Comunità di Sant’Eulalia; Carlo Dessì al momento della morte abitava nella casa Paderi 2527; la casa della strada Moras (2259) fu valutata in lire 852 e 10 soldi; nell’inventario fu incluso anche l’atto del 21.04.1760 con cui era stata venduta la casa della strada Moras da parte della vedova Caterina Scanu al segretario Giacinto Paderi (-1773), padre di Agostino, per lire 587 e soldi 10 (occorrerebbe trovare un legame familiare fra i Pitzalis, proprietari della casa al 1741, e la vedova Caterina Scanu).

In data 15 marzo 1810 i beni del Legato Paderi, amministrati dal Dessì, furono consegnati alla Comunità di Sant’Eulalia.

Il giorno 14.10.1811 la casa venne ceduta dalla Comunità in enfiteusi perpetua al mastro bottaro Efisio Laj; i confini sono riconoscibili, con qualche differenza rispetto a quelli specificati in precedenza: davanti c’erano la casa della congregazione del Santissimo Sacramento (ex casa Fruchier o Fulgher, 2629) e la casa del negoziante Francesco Antonio Garzia (2628), di lato una casa della Arciconfraternita di Santa Lucia (2298) in enfiteusi a Girolamo Cau (recte Cocco), di lato la casa che era del fu negoziante monsieur Charle (2260) e poi degli eredi di Anastasio Tola, alle spalle la casa del negoziante Salvatore Melis (casa 2297, fino al 1800 di Anastasio Tola).

Dopo il 1850, dai dati catastali, la casa 2259 era ancora intestata al “Legato Paderi”, con tutta probabilità amministrato dalla Comunità di Sant’Eulalia; evidentemente anche l’enfiteusi perpetua a Efisio Lai aveva avuto termine.

 

2260     

Nell’inventario del 1788 dei beni del notaio Agostino Paderi, proprietario della casa 2259, la casa confinante 2260 risulta appartenere al “panataro” monsieur Charle; questo proprietario, proveniente probabilmente dalla Francia o dal Piemonte, è ricordato anche nel documento del 14.11.1811, rintracciato fra le carte dell’Archivio di Santa Eulalia e già citato per la casa 2259, dove è scritto che la casa confinante (2260), un tempo del defunto negoziante Charle, apparteneva in quell’anno agli eredi del mastro conciatore Anastasio Tola.

Due atti notarili del luglio 1803 spiegano meglio la situazione e aggiungono le corrette informazioni.

Il primo documento, del 2 luglio, è l’estimo di una casa nella strada Moras sicuramente identificabile con l’unità catastale 2260, visti i confini: da una parte la casa del Capitolo (2261), dall’altra la casa Paderi (2259), di spalle la casa che era di Anastasio Tola e poi di Giovanni Bernardi (2297), di fronte la casa Fulger poi della Congregazione del Santissimo Crocifisso (2629); l’estimo, eseguito dai mastri muratori Francesco Porcu e Francesco Usai e dai mastri falegnami Antonio Mereu e Giuseppe Vincenzo Spetto, fu chiesto dalla proprietaria della casa, la vedova Rosalia Gonzales, e dal mastro ferraro Francesco Costa, che era interessato all’acquisto; la casa fu valutata in totale in lire 1621 e soldi 10, cioè per la parte dei muratori lire 1183, e per la parte dei falegnami lire 438 e soldi 10; era una casa composta dal piano terreno e 3 piani superiori, con pozzo e cisterna.

Il secondo documento, del 9 luglio, è la vendita della stessa casa fatta dalla vedova Gonzales al ferraro Costa; la vedova dichiarò che si trattava della stessa casa che il suo defunto marito Carlo Guei comprò dalla nobil donna Giuseppa Servent Carta e dal reverendo dottore don Saturnino Carta Fortesa, con atto del notaio Gio Agostino Espetto del 4 settembre 1762, e che pervenne totalmente alla vedova Gonzales in virtù del testamento congiunto che i coniugi Guei e Gonzales fecero col notaio Ignazio Stefano Espetto in data 27.07.1766, in cui si nominarono reciprocamente eredi universali; il testamento fu pubblicato alla morte di Carlo Guei il 24.03.1791; a quell’epoca la casa era libera da ogni peso, mentre nel 1803 era soggetta al censo di scudi 300 (con pensione annua di 15 scudi) di cui si era onerata la vedova Gonzales in data 23.10.1800 in favore del Capitolo. La casa era stata migliorata nel corso della proprietà dei coniugi Guei e Gonzales, ma aveva necessità di non poche riparazioni, e non erano state pagate le pensioni annue; per questi motivi il prezzo della vendita fu concordato in lire 1400. 

Alla luce di queste informazioni, sembra di poter concludere che il panataro o negoziante monsieur Charle non era altri che Carlo Guei, marito di Rosalia Gonzales; il riferimento agli eredi del mastro Anastasio Tola del documento del 1811 è fuorviante: egli non possedette mai la casa 2260: fu comprata nel 1803 da Francesco Costa che era genero del Tola, avendone sposato la figlia Caterina.

Come già scritto per le case 2241 e 2246, il mastro “herrero” Francesco Costa morì “ab intestato”, cioè senza aver fatto testamento, nel gennaio 1806, nella sua casa della strada Moras (2260); lasciò la vedova Caterina Tola e i figli minori Efisio e Giuseppe Costa; il 4 febbraio il notaio Juan Luis Todde iniziò a compilare l’inventario dei suoi beni, metà dei quali erano di proprietà della vedova. Furono inventariati beni mobili per lire 677 e soldi 9, oltre agli immobili, cioè la casa di abitazione valutata scudi 1210 e 7 reali (gravata però di un censo di 300 scudi proprietà del Capitolo Cagliaritano, quindi 910 scudi e 7 reali vale a dire lire 2276 e 15 soldi), e due casette sulle mura della strada de is Adoberias, cioè delle Conce, entrambe valutate 351 lire ognuna (2241 e 2246).

Quanto detto è confermato dalla dichiarazione per il donativo del Capitolo Cagliaritano, del 15.08.1807: vennero denunciate due case dette di “Zucca e Cabudoro”, sulla strada Moras, identificate con l’unità catastale 2261: da un lato avevano la casa del mastro Francesco Costa (casa 2260). Un ulteriore riferimento alla proprietà degli eredi Costa arriva da un atto notarile del 29.10.1810, relativo alla cessione in enfiteusi della casa confinante 2261.

Dopo il 1850, la proprietaria della casa 2260 era Giovanna Garroni vedova Sanna.

 

2261     

Le prime notizie su questa unità immobiliare provengono da un atto notarile del 1791 (Archivio Martini) relativo alla casa Spetto (2292) nella strada Pabillonis, che aveva alle spalle una casa del Capitolo: nella pianta della Marina di metà ‘800, fra le case 2292 e 2261 si trova un’area senza numero, forse cortile; l’identificazione della casa del Capitolo con l’unità 2261 si basa sull’ipotesi che facesse parte di questa casa anche l’area retrostante; si è riscontrata in diversi casi una scarsa esattezza della mappa ottocentesca, in particolare sulle aree interne e sui confini posteriori delle unità immobiliari, ma si deve anche tener conto che la situazione della pianta è di almeno 50 anni successiva alla maggior parte dei documenti utilizzati in questa ricerca.

L’attribuzione è confermata da altre fonti: una causa civile iniziata nel 1818, nella quale è inserito un documento del 1791 relativo alla stessa casa 2292, confinante posteriormente con una casa del Capitolo; un atto notarile del 26.08.1792 relativo a un’ipoteca gravante sulla casa 2633 della strada Moras, che aveva davanti una casa del Capitolo (2261); un atto del 1801 e 3 atti del 1803, relativi alla casa 2297, alle cui spalle vi era una proprietà del Capitolo.

Nel donativo del Capitolo Cagliaritano, del 15.08.1807, vennero denunciate due case dette di “Zucca e Cabudoro”, nella strada Moras, che avevano davanti la casa di Gio Maria Fulger (2629), di lato una casa del mastro Francesco Costa (2260) e una casa di Gerolamo Melis (2294); dette case erano composte da piano terra e due piani alti, una aveva 2 stanze per piano, l’altra ne aveva tre per ogni piano; dovrebbe essere la stessa proprietà nella quale, per ordine del “Reverendo Abate Dottore e Canonico Don Filiberto Malliano” (che agiva per conto del Capitolo Cagliaritano), furono eseguiti dei lavori di riparazione per lire 2079, soldi 10 e denari 4, pagati in data 09.09.1804 ai mastri Pasquale Piu muratore, Giovanni Porcu falegname, Giovanni Orrù ferraro; in questo atto è specificato solamente che la casa (o solo una delle due, o forse le due case riunite a formarne una grande) si trovava nella strada Moras della Marina ed era denominata “casa di donna Giovanna Zucca Cabudoro”, di cui non si hanno notizie genealogiche.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni, del 29.10.1810, la casa del Capitolo chiamata di “Zucca e Capo d’Oro” fu concessa in enfiteusi perpetuo (sic, al maschile!) al negoziante Giovanni Lingurdo (o Linguardo); era composta da 2 piani alti ed il piano terreno con 2 magazzini, ogni piano aveva 5 stanze, con la cisterna; fu stabilito l’annuo canone di Lire sarde 417 e soldi 10; il Linguardo avrebbe pagato subito una intera annata, e si impegnò a migliorare la casa spendendo entro 2 anni non meno di 400 scudi (1000 lire); per garantire il pagamento del canone ipotecò una sua proprietà alla Marina (casa 2519).

L’enfiteusi al Linguardo è confermata dal donativo del Capitolo del 1812.

Un altro atto notarile del marzo 1811, relativo alla casa 2262, cita fra i confinanti il Capitolo; la stessa informazione è fornita da una causa civile iniziata nel 1827, che riporta alcuni atti di ipoteca del 1822, relativi alla casa 2633, che aveva davanti, nella strada Mores, una proprietà del Capitolo Cagliaritano.

Dai dati del catasto di metà ‘800, questa casa, che date le dimensioni in pianta poteva derivare dalla fusione di due case distinte, apparteneva ancora al Capitolo.

Vi è in questo caso una fonte ancora più recente: in un atto pubblico del 11.11.1885, relativo alla casa 2292, si legge che detta casa della via Saline, “civico numero 17 già 23, mappa 2292”, confinava a tergo con casa della signora (Antonia) Deidda maritata Cortis, cioè con un area interna senza numero, forse cortile, che poteva appartenere alla casa 2261: non sembra una coincidenza che nel 1796 lo scarparo Domenico Deidda si fosse sposato con Teresa Linguardo, figlia di Pasquale e Anna Marzanu; non è chiara la parentela fra Pasquale e Giovanni Linguardo, ma è possibile che il contratto di enfiteusi del 1810  possa essere stato ceduto a un parente del primo enfiteuta.

 

2262     

I primi documenti che hanno permesso l’identificazione dei proprietari di questa casa sono relativi alle proprietà confinanti: nel fascicolo di una causa del 1797, con la quale gli eredi Pintor si contendevano la casa 2633, la casa frontale, dal lato della strada Mores, cioè il numero catastale 2262, è quella che era appartenuta al fu Stefano Gorsilla (o Gorsiglia, o meglio Corsiglia, quest’ultimo cognome ancora ben presente nella riviera di levante della Liguria).

Nell’atto notarile del 25.08.1800 con cui venne ceduta in enfiteusi la casa 2263, è scritto che la casa confinante 2262 era del fu Estevan Gorsilla e poi della Regia Azienda.

Il ligure Stefano Corsiglia, console pontificio di Roma, vedovo di Maria Anna Buscalla, morì vedovo nel dicembre 1788; possedeva due case: una in contrada Gesus (2903) dove abitava, l’altra in contrada Mores (2262); quest’ultima fu stimata lire 3688 soldi 13 denari 6; l’erede universale era suo nipote Stefano Moy Gorsilla, figlio della sua defunta figlia Francesca, tutelato dal padre Luigi Efisio Moy; altri eredi erano la figlia Raimonda coniugata con Pietro Satta e il nipote Francesco Armerin, figlio della defunta figlia Caterina.

Gli eredi dovettero però ben presto cedere la casa che fu sequestrata dal Tribunale (per questo la proprietà nel 1800 risultava della Regia Azienda) per i debiti dell’eredità; il maggior creditore era il Gremio “de los herreros”, cioè dei fabbri, che vantava sulla casa la proprietà censuale di 600 scudi, con ipoteca accesa dal Gorsilla il 05.10.1778, quando l’aveva acquistata dalla Comunità di Sant’Eulalia; dal 1791 gli eredi non avevano più pagato la pensione annua al 5%, cioè 30 scudi annui; con sentenza del Tribunale del Real Patrimonio del 19.04.1809 la casa fu quindi assegnata al Gremio che, oltre al censo (600 scudi, cioè 1500 lire), aveva un credito di oltre 1000 lire per le pensioni scadute; col conteggio degli interessi e altre spese il credito del Gremio era di 2700 lire; la casa era in stato rovinoso e fu valutata lire 1949 e soldi 10.

Con atto del notaio Nicola Antonio Catte del 10.10.1809 la casa 2262 fu ceduta dai maggiorali del Gremio de los herreros al mastro fabbro Nicola Pilo ed al mastro muratore Francesco Manca; nel frattempo era stata nuovamente valutata per appena 733 scudi (1832 lire e 10 soldi), e i compratori la pagarono solo 625 scudi; era interessato all’acquisto anche il mastro bottaio Effis Lay, ma prevalse l’offerta di Pilo e Manca.

Il motivo della svalutazione e della vendita al ribasso è da imputare a un degrado inarrestabile: con tutta probabilità il crollo di un muro danneggiò gravemente nel 1808 la confinante casa 2263 (vedi).

I due mastri fecero ricostruire la casa aggiungendo due piani alti sulla strada; nel corso del 1811 stavano costruendo dalla parte del cortile e avevano necessità di contanti che furono forniti dalla signora Anna Conti, moglie del notaio Giuseppe Cossu; con atto notarile del 09.03.1811 essi ricevettero lire 1250 caricate a censo sulla casa, per le quali avrebbero pagato la pensione annua di lire 63 e soldi 15. E’ molto probabile che i due proprietari abbiano venduto una volta terminata la ricostruzione.

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati, risulta che a metà ‘800 il proprietario fosse il bottaio Antonio Piras.

 

2263

Era la casa di abitazione del mastro conciatore Joseph Ramon Manca, morto nel 1797; nel suo testamento del 23.04.1797 dichiarò di dover pagare “al convento dei RR.PP.Mercenari (recte Mercedari) 15 scudi per la mezza annata della casa che abitava in calle de Moras, fino al mese di marzo, ed altri 15 scudi per la mezza annata fino ad ottobre”; non è chiaro se si trattasse di un contratto di enfiteusi o solo di normale affitto; l’anno successivo, nell’inventario dei beni dei coniugi Salvatore Mandis e Francesca Aru, proprietari della casa 2264, si cita la casa confinante (2263) come appartenente al convento di Bonaria, cioè ai padri Mercedari.

Il 10.07.1800, su incarico dei padri Mercedari e del mastro conciatore Ignazio Opus (Oppus, Opis), il muratore Francesco Usay e il carpentiere Pasquale Marteddu eseguirono l’estimo di questa casa “ensostrada” (cioè con uno o più piani alti sopra il piano terreno) sita nella calle di Moras, composta da varie stanze e sòttano, con la “adoberia”, cioè la bottega per la concia, e il pozzo; venne valutata scudi 867 e 9 soldi; il 25 agosto dello stesso anno venne firmato il contratto di enfiteusi a favore di Ignazio Opus, originario di Laconi; la casa era denominata “del reverendo Boy”, aveva a fianco la casa Mandis (2264), sull’altro lato una casa della Regia Azienda, già di Estevan Gorsilla (2262), davanti l’altra casa Mandis (2634).

Dall’inventario Ponsiglion, del novembre 1802, risulta che facesse pare della casa 2263 un vasto giardino, che si incuneava fra le altre case dell’isolato e arrivava sino alla casa Ponsiglion 2290; in questo documento è scritto che il giardino apparteneva al mastro conciatore Ignazio Opus e un tempo apparteneva al convento dei Mercedari; l’ipotesi è che fossero comprese nell'unità immobiliare 2263 quelle aree interne senza numero, tutte o in parte, che arrivavano fino al cortile 2293 di proprietà Ponsiglion.

Nell’atto del 03.11.1806, relativo alla casa Spetto 2292, è scritto che quella casa confinava alle spalle con la proprietà che era stata dei Padri Mercedari poi del mastro Opus che vi aveva la casa e la concia; anche in questo caso il confine fra le due unità 2292 e 2263 passava dal cortile interno, formato dalle due aree interne confinanti senza numero catastale.

Nel suo donativo del 06.08.1807, Carlo Franchino, marito di Maria Antonia Mandis, denunciò la casa 2264 e dichiarò che la casa confinante (2263) era quelle del mastro Ignazio Opus, che prima era del convento Mercedario.

In realtà la proprietà era ancora del convento che aveva concesso la casa in enfiteusi; in data 12.07.1808 venne eseguito un altro estimo dal muratore Francesco Usai e dal falegname Pasquale Marteddu, incaricati dal Padri Mercedari e da Ignazio Opus; la casa, composta da un piano, un mezzo piano e la bottega da conciatore, fu valutata lire 1709 e 5 soldi; rispetto alla stima del 1800 (scudi 867 e 9 soldi, cioè lire 2168 e 14 soldi) fu giudicato un deprezzamento di olre il 20%; la stima al ribasso si spiega con un atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 05.08.1808: si tratta della “retrocessione” della enfiteusi da parte dei coniugi Ignazio Opus e Maria Antonia Fanari; il motivo della loro rinuncia, nonostante le spese da loro affrontate negli anni precedenti per alcuni miglioramenti, è che la casa era stata gravemente danneggiata per il crollo d’un muro della casa attigua (con tutta probabilità ci si riferisce alla casa 2262), ed essi non avevano le risorse per far fronte alla ricostruzione.

Con atto dello stesso notaio Vacca del 08.08.1808 i Padri Mercedari concessero l’enfiteusi della casa al reverendo Salvatore Spetto, che accettò il canone di 40 scudi, il medesimo che pagavano i coniugi Opus, e si impegnò a occuparsi a sue spese della ricostruzione necessaria. Salvatore Spetto, figlio del mastro falegname Francesco Spetto (o Espetto), era l’economo della Casa degli esercizi di Santa Teresa; dopo aver ricostruito la casa, con atto del notaio Bernardo Aru del 31.03.1809 affittò il piano terreno della casa al conciatore Raffaele Laconi, per 30 scudi annui e per la durata di 12 anni; Laconi avrebbe usato la bottega per la sua attività di conciatore.

In atto del marzo 1811, relativo alla casa 2262, la casa 2263 è ancora attribuita ai padri Mercedari, che la citano nella loro dichiarazione per il donatvo del 1812: "casa nella strada Moras per la quale il reverendo Spetto paga lire 85" (gli scudi 40 pattuiti nel 1808 corrisponderebbero a lire 105; è possibile che nel frattempo il sacerdote avesse ottenuto una riduzione del canone).

Dopo il 1850, dai dati catastali, l’unità 2263 risulta appartenere all’avvocato e giudice di corte d’Appello Giacomo Antonio Rossi.

 

2264

In data 10.02.1798, il notaio Alessandro Alciator si recò a casa di Salvatore Mandis, nella piazza del Molo, per compilare l’inventario dei beni di sua proprietà e quelli lasciati dalla moglie Francesca Aru, morta il 20.06.1796; subito dopo la morte della moglie, il vedovo e i figli avevano trascurato di fare l’inventario, anche perché il Mandis non avrebbe potuto disperdere i beni data l’età avanzata (anni 85), ma nel 1798 uno dei figli voleva ricevere la sua parte d’eredità materna. Venne concesso dal tribunale il permesso di fare con tanto ritardo l’inventario, e pertanto si avvisarono nelle loro case i figli: Domenico, Maria Antonia moglie del notaio Carlo Franquino, Bartolomeo, il bottaio Luigi, Priama moglie di Agostino Rebecu dimoranti in Quartucciu, il reverendo Francesco; l’altro figlio Antonio Efisio era assente da molti anni dalla città, non si sapeva nemmeno se fosse ancora in vita.

Vennero valutati tutti i beni mobili per £ 25933.4.5, una vigna in Pirri per £ 150, un cavallo baio per £ 75; e infine gli immobili, fra cui una casa nel borgo di San Bernardo di Stampace (nell’attuale corso Vittorio Emanuele, non lontano dalla via Tigellio), le altre nel sobborgo della Marina: una nella strada delle Siciliane (2573), una in quella delle Saline (2608), una nella strada di San Francesco del Molo (2634), una nella piazza del molo (2600) e un’altra casa nella strada Moras (2264); quest’ultima venne valutata dai periti incaricati in £ 3919 e soldi 10; aveva il piano terreno e due piani alti, ognuno con 2 sale, 2 stanze, e cucina; confinava da un lato con casa del convento di Bonaria (2263), dall’altro lato con casa di Santa Chiara (2265), di spalle con casa di Nastasio Tola (2267), davanti con altra casa dello stesso Salvatore Mandis (2634). L’inventario venne terminato il 18 di marzo, e con atto del 31.07.1798 venne eseguita la divisione del patrimonio familiare; dal momento che i coniugi Mandis erano sposati alla “sardesca”, la metà spettava al vedovo Salvatore Mandis, l’altra metà si divise fra i 7 figli; la parte di Antonio Efisio, assente dal regno da più di 18 anni e che poteva essere morto, se la “riservò” il padre; in questa occasione la casa 2264 venne assegnata allo stesso Salvatore Mandis; questi morì non molto tempo dopo, e il notaio Alciator il 05.04.1800 compilò l’atto di divisione della sua eredità; la casa della strada Moras venne quindi assegnata a Maria Antonia; si specificò che dovevano essere riscosse lire 62 e 10 soldi da Giuseppe Martini per un anno di affitto per un piano alto, e lire 75 per l’affitto della bottega da parte di Thoma Anziani.

Il 06.08.1807 il notaio Carlo Franchino firmò il suo donativo denunciando la casa della moglie Maria Antonia Mandis nella strada Moras; la casa valeva 2400 scudi, aveva il piano terra con un magazzino affittato a scudi 40, e due piani alti ognuno con una sala grande e una piccola, 2 piccole stanze e una piccola cucina, entrambi i piani affittati per scudi 90 in tutto. E’ probabile che fosse stata restaurata e sopraelevata dai nuovi proprietari, vista la maggior valutazione (2400 scudi, cioè 6000 lire, contro 3919.10 lire del 1798) e visti i fitti più alti che venivano chiesti.

In atti di luglio e di agosto 1808, tutti relativi alla confinante casa 2263, la casa 2264 viene attribuita a Priama Mandis; può essere un’imprecisione, una confusione di nomi, vista l’assegnazione fatta nel 1800 alla sorella Maria Antonia, e visto quanto risulta dai donativi del 1807; sembra di poter escludere che fosse usata da Priama come abitazione, visto che lei e la sua famiglia abitavano a Quartucciu. Inoltre, nell’atto notarile del 31.03.1809, anch’esso relativo alla casa Spetto 2263, si cita correttamente il notaio Carlo Franchino in quanto proprietario della casa confinante.

Dopo il 1850, dai dati del vecchio catasto, risulta che appartenesse a Marianna Campagna moglie di Efisio Casale, figlia di Cosimo Campagna e di Francesca Franchino, quest’ultima figlia di Carlo Franchino e Maria Antonia Mandis.

 

2265     

E’ identificata come una casa di proprieà del monastero di Santa Chiara: si ha un primo riferimento in un atto notarile del marzo 1792, dove si parla in termini molto generici di una casa del monastero denominata “casa Vandevater” sita nella piazza del Molo; con altro atto del 07.12.1797 il mastro muratore Francesco Porcu, il mastro carpentiere Ignazio Serra ed il mastro fabbro Giovanni Orrù, firmarono la ricevuta di lire 3263, soldi 11, denari 10, a favore del reverendo Giuseppe Ignazio Therol, procuratore delle monache di Santa Chiara, per la riedificazione di una casa detta di Vandevater, propria delle monache, sita “in calle di Moras come si va al molo”.

Dall’inventario del 1798 dei beni dei coniugi Mandis Aru si legge che la casa di loro proprietà, numero catastale 2264, confinava da un lato con casa del convento di Bonaria (2263) e dall’altro lato con casa di Santa Chiara (2265).

In una causa civile del 1802 è inserito l’elenco dei beni dei fratelli Giuitta: è compresa una casa grande nel sobborgo della Marina, identificata da numerosi altri documenti con la casa 2266, “sita nella strada limitrofa al molo, e limitrofa a casa delle monache di S.Chiara, ed alla strada delle Conce”. In atto del maggio 1806, col quale gli eredi Giuita vendettero la loro casa, si fa riferimento alla casa confinante del monastero di Santa Chiara: è probabile che il riferimento provenga dall’atto del 1760 con cui Giuseppe Giuita acquistò la casa 2266; questo sposta di tre decenni la prima notizia che si ha della casa 2265.

Dovrebbe essere la stessa casa che nel loro donativo (senza data, presumibilmente del 1799) le monache di Santa Chiara dichiararono di possedere nella strada di Moras, composta da 2 piani alti, con 11 stanze in tutto, e da cui ricavavano in un anno lire 350.

E’ citata anche nel donativo di Carlo Franchino dell’agosto 1807: il Franchino denunciò la casa Mandis (numero 2264), confinante con la casa di mastro Ignazio Opus (2263) e con casa del Monastero di Santa Chiara (2265).

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati si sa che a metà ‘800 la casa 2265 apparteneva ancora al convento di Santa Chiara.

 

2266     

Era la casa Giuita (o Giuitta), citata in alcuni atti relativi alle case costruite sulle mura della strada delle Conce: nel gennaio 1798 e nell’ottobre 1800, negli atti relativi alla casa Scarpinati 2237, la grande casa 2266 è detta del “fu bottaro Giuseppe Giuita”, e dei suoi eredi; la stessa informazione ci è fornita dagli atti relativi alla casa Manca 2236, dell’agosto e del settembre 1800. Nella causa civile del 1802, lite fra gli eredi Giuitta, già citata nel paragrafo precedente, è stato inserito l’elenco dei beni dei fratelli Giuitta, in particolare la casa vicina al molo, nella quale abitava Giuseppa Giuitta, che possedeva la casa con altri 7 suoi parenti, fratelli o nipoti, limitrofa a casa della monache di S.Chiara (2265) ed alla strada delle Conce, valutata dal misuratore Mazzei scudi 3200.

Non si sa esattamente quando sia morto Giuseppe Giuitta, mastro bottaio di probabili origini meridionali; era coniugato con Giulia Soddu, con la quale ebbe almeno 9 figli, fra cui il Guardia Marina Luigi, il mastro Pietro, il notaio Michele, Anna coniugata con Giovanni Pietro Corda Floris, Clara coniugata con Raimondo Giraldi, e Giuseppa.

Nel 1803 una parte della casa era abitata da Clara Giuitta; il giorno 11 novembre di quell’anno la donna compilò il suo testamento; era vedova di Raimondo Gilardi, aveva un’unica figlia, Raffaela, coniugata con Gioacchino Corte; lasciò alla figlia la parte legittima, e nominò eredi del resto dei suoi beni la madre, vedova Giulia Soddu, e i fratelli Raffaele, Pietro, Luigi, Maria Francesca, Priama e Teresa Giuitta.

Sono stati rintracciati due documenti che forniscono delle informazioni apparentemente contraddittorie: con atto del 07.02.1801 venne fatta stimare la casa 2267, e con atto del 11.02 1801 la stessa casa venne venduta: le case confinanti lateralalmente erano le seguenti: una casa di Sant’Elmo (2268) e una casa del Capitolo (2266), la cui proprietà è resa più chiara dai documenti successivi.

Con atto notarile del 08.05.1806 la casa Giuita fu venduta al dottore in diritto e nobile Giuseppe Angelo Viale (o Viali), figlio del fu don Francesco, per il prezzo di lire 6000, soldi 17, denari 5; oltre al compratore Viale erano parecchie le persone coinvolte: Luigi Giuita, figlio del fu Giuseppe, deputato della Sanità, agiva per suo nome e come procuratore di sua madre Giulia Soddu e dei suoi fratelli il bottaro Pietro, Maria Francesca, Teresa e Priama Giuita[1]; per il Capitolo Cagliaritano intervenne il reverendo Bonaventura Puxeddu Recettore Generale delle Cause Pie; per l’eredità Gaviano intervennero la vedova Maria Angela Gaviano ed Emanuele Paderi, quest’ultimo in qualità di padre e amministratore dei beni dell’infante Agostino Paderi suo figlio, avuto con la defunta Giovanna Gaviano; Maria Angela e la fu Giovanna Gaviano erano figlie del fu mastro Efisio Gaviano, il quale era fratello del fu reverendo Antonio Efisio Gaviano, nativo di Seui e Rettore in Villanova Tulo; da quest’ultimo arrivavano i diritti ereditari dei suoi discendenti e il legato Pio Gaviano amministrato dal Capitolo.

La casa, di due piani alti e piano terreno (dos sostres y sotano), era composta da 16 stanze di cui 4 stanze terrene, cisterna e pozzo; proveniva dall’eredità del fu bottaro Giuseppe Giuita che l’aveva comprata con atto del notaio Francesco Andrea Frau Calvo del 21.08.1760 dai Padri Minimi del convento di San Francesco de Paola per lire 2083, soldi 6, denari 8; era di sua pertinenza un territorio non edificato sul davanti; in accordo con i Padri Minimi, Giuita promise di pagare la pensione annua al 6% sull’intera somma pattuita; la casa aveva due facciate: una sulla piazza del Molo, aveva davanti la croce che sorgeva nella piazza; l’altra sulla via delle Conce (calle de las Adoberias), vi si apriva l’entrata principale della casa; confinava (nel 1760) da un lato con una casa del monastero di Santa Chiara (2265), sul retro con una casa della comunità di Sant’Eulalia (2267); Giuseppe Giuita dopo averla comprata la riparò e la ingrandì, aggiungendo una stanza per ogni piano nel territorio di pertinenza, sulla piazza del Molo, allineando la casa a quella attigua del Monastero di Santa Chiara; vi aggiunse anche la  cisterna; per i lavori fatti spese fra il 1760 e il 1768 lire 7598 e 2 denari; ebbe necessità di accendere alcune ipoteche: 425 lire che ottenne nel 1761 dal reverendo Cristoforo Melaciu; 674 lire (e spiccioli) avuti nel 1763 dal Capitolo Cagliaritano; 4250 lire avuti nel 1777 dal reverendo Antonio Efisio Gaviano; con quest’ultima somma potè chiudere il debito verso il reverendo Melaciu e verso il Convento dei Padri Minimi: sulla casa rimasero le proprietà del Capitolo e del reverendo Gaviano.

Giuita pagò sempre le pensioni di lire 40.9 al Capitolo e di scudi 102 a Gaviano; dopo la sua morte i figli non si curarorono di pagare puntualmente; secondo il testamento del Gaviano (a cura del notaio Ramon Piras di Seui del 15.01.1781 e codicillo del 19.11.1786), con quella proprietà si doveva erigere una cappellania nella chiesa del Santo Sepolcro e 30 scudi dei 102 di pensione furono assegnati ai suoi nipoti Emanuele e Giuseppe Maria Gaviano, per il tempo che studiavano a Cagliari.

Gli eredi Giuita furono condannati a pagare scudi 520 con sentenza del 21.01.1803; nel 1806 i creditori Gaviano e il Capitolo condonarono ai Giuita le pensioni non pagate sui 1700 scudi del reverendo Gaviano; gli eredi Gaviano dichiararono che avrebbero dovuto riscuotere 18 pensioni (quindi dal 1788); fra capitale iniziale e pensioni non pagate i debiti superavano il valore della casa; ci si accordò per vendere la casa al nobile Viale, piuttosto che affrontare una vendita all’asta dalla quale si sarebbe ottenuta una cifra decisamente inferiore.

In data 07.07.1806, appena due mesi dopo la cessione a don Giuseppe Angelo Viale, questi cedette interamente la casa a Luigi Giuita con atto del notaio Francesco Demontis. Ovviamente c’erano accordi precisi fra Viale e Giuita, con tutta probabilità utili per superare i contrasti familiari e per uscire dalla difficile situazione, con minaccia di vendita all’asta; Giuità si accollo gli oneri legati ai censi che ancora gravavano sulla casa.

Nel donativo dei Legati Pii del 14.08.1807, presentato dall’amministratore reverendo Bonaventura Puxeddu, venne dichiarato un capitale censuario sulla casa vicino al molo posseduta da Luigi Giuita, per la somma di lire 4250 (corrispondenti a scudi 1700) che fruttava al 6% lire 255, facente parte del “legato Gaviano”.

Si ha notizia di una causa civile del 1818, iniziata per una richiesta di risarcimento del Capitolo Cagliaritano nei confronti di Luigi Giuitta vice console della Marina, per diverse pensioni scadute; non si sa come sia terminata la lite: è possibile che la casa sia rimasta interamente al Capitolo.

Dai dati del vecchio catasto, appena successivi al 1850, l’unico proprietario della casa 2266 riportato sui registri è la Causa Pia (o Legati Pii), i cui beni erano amministrati dal Capitolo Cagliaritano.



[1] Fra gli eredi non sono nominati Raffaele Giuita, altro figlio di Giuseppe e Giulia Soddu, e Raffaela Gilardi, figlia della defunta Clara Giuita, altra figlia di Giuseppe e di Giulia Soddu; a quanto pare non c’era una accordo unanime, ma fu dimostrato che la vendita era conveniente all’eredità, per cui la mancata adesione dei due eredi non fu determinante.

 

2267     

Nell’atto notarile del maggio 1806, con cui gli eredi Giuita vendettero la loro casa 2266, sono riportati i confini che la casa aveva nel 1760, quando era stata acquistata dal bottaro Giuseppe Giuita; alle spalle, dalla parte della strada delle Conce, confinava con una casa della Comunità di Sant’Eulalia che corrisponderebbe quindi all’unità 2267.

Questa informazione non è confermata, ma le altre fonti sono successive di parecchi anni: nell’atto di divisione dei beni del defunto negoziante Antonio Scarpinati, del 23.01.1798; la sorella del defunto, Anna Scarpinati ereditò due case contigue nella strada delle Conce, addossate alle mura, identificate con le case 2242 e 2243, le quali avevano davanti una casa del Gremio di Sant’Erasmo ed una casa del mastro conciatore Anastasio Tola: quest’ultima è identificata con l’unità catastale 2267, mentre la casa del Gremio era la confinante 2268.

Nell’inventario dei beni dei coniugi Salvatore Mandis e Francesca Aru, del 10.02.1798, la casa nella strada di Moras dei coniugi Mandis, numero 2264, aveva alle spalle una casa di Nastasio Tola, che è appunto la casa numero 2267.

Nell’atto del 09.10.1800, inventario dei beni di Anna Scarpinati, le stesse case 2242 e 2243 hanno invece davanti le case di S.Elmo (2268) e una casa dei padri Agostiniani; quest’ultima dovrebbe corrispondere quindi alla casa che due anni prima apparteneva al Tola.

Si tratta della stessa casa che in data 03.03.1800 i padri Agostiniani cedettero (in parte) in enfiteusi perpetua al mastro Battista Boy; la casa, detta di “Antiogo Piu”, era sita fra casa di Sant’Elmo (2268) e casa dello stesso Boy, di spalle aveva una casa dei padri Mercedari (2263), davanti le mura delle conce. Evidentemente la casa ex Tola era stata divisa in due parti, una delle quali nel 1800 era già del Boy, l’altra parte era dei padri Agostiniani che però la cedettero al Boy. Come si è detto quest’ultima cessione era però solo parziale, corrispondente alla somma di 400 scudi; infatti, con atto notarile del 07.02.1801 il convento di Sant’Agostino, in accordo con mastro Battista Boy, fece eseguire l’estimo della casa, che venne valutata per il prezzo di 1304 scudi, 17 soldi, 6 denari; si componeva di un piano, mezzo piano, bottega per la concia, due cisterne, un pozzo, un forno per cuocere pane; confinava da un lato con una casa di S.Elmo (2268), dall’altro lato con casa del Capitolo (2266), davanti con le mura delle conce, strada delle Conce in mezzo, di spalle con casa dei Mercedari in enfiteusi a mastro Ignacio Oppus (2263). Quattro giorni più tardi venne firmato l’atto di acquisto: i padri Agostiniani avevano già in precedenza ceduto al Boy parte della casa, corrispondente alla proprietà censuale di 400 scudi; avendo molti debiti decisero di vendere al Boy tutta la casa per altri 720 scudi; la casa, anche in quest’occasione fu chiamata “di mastro Antiogo Piu”.

Nel suo donativo del 06 agosto 1807, il notaio Carlo Franchino dichiarò che la casa 2264, di sua moglie Maria Antonia Mandis, confinava posteriormente con una casa di Giovanni Battista Boi, casa che prima era del convento di Sant’Agostino.

Senza averne certezza, potrebbe identificarsi con la casa della strada delle Conce (in alternativa al numero catastale 2269) che il Boi diede in affitto, tutta o in parte, al figlio notaio Salvatore; quest’ultimo morì neanche quarantenne (prima del 1808), lasciando gli affitti di due anni e mezzo non pagati per 16 scudi annui; il padre ne tenne conto nelle sue disposizioni testamentarie (del 1808 e del 1810) per non fare disuguaglianze fra i figli di Salvatore [1] e gli altri nipoti, così come tenne conto delle spese che dovette affrontare per alimentare i tre nipoti orfani, delle spese legate alla malattia dello stesso figlio Salvatore, nonché delle spese funerarie.

In atto notarile del 10.11.1813, relativo alla confinante casa 2268, risulta essere la casa del beneficiato signor Maurizio Podda, di cui non si hanno informazioni.

Non è noto il proprietario successivo al 1850, il vecchio catasto non lo cita.  



[1] Il notaio Salvatore Boi, figlio di Battista e di Francesca Sanna, nato nel 1768, aveva sposato in prime nozze nel 1796 Rosa Coyana, figlia di Pasquale; Rosa morì nel 1797 e Salvatore si risposò con Caterina Serra, da cui ebbe 4 figli: Giuseppe (1800-), Francesco (1801-), Rosa (1803-1872), Giuseppa (1806-); il primo morì prima del 1808; dopo la morte di Salvatore ebbe inizio una lite giudiziaria tra Caterina Serra e il suocero: quest’ultimo avrebbe voluto accogliere i nipoti nella sua casa (2306, strada Scarpari), o farli vivere in una casa adiacente alla sua; ma la nuora non gradiva la vicinanza con la giovane seconda moglie del suocero, e preferiva continuare ad abitare nella casa (quella di via delle Conce) di proprietà del suocero. Chiedeva però un aiuto finanziario per sé e i figli, essendo nullatenente.

 

 

2268     

Nell’atto più volte citato del 23.01.1798, divisione dei beni lasciati da Antonio Scarpinati, è scritto che le sue due case confinanti (2242 e 2243), attaccate alle mura della strada delle Conce, avevano davanti le case della confraternitadi S.Erasmo (o Sant’Elmo) e del conciatore Anastasio Tola, identificate rispettivamente con le case 2268 e 2267.

Un documento del 22.06.1799[1] riporta l’elenco dei beni del Gremio di Sant’Erasmo o Sant’Elmo, cioè congregazione dei marinai e barcaioli: è compresa anche una casa, identificabile con l’unità 2268, nella strada “degli Acconciatori”, composta dal piano terra e il primo piano con una sala, un’alcova e un’altra stanza.

Il dato è confermato dall’atto del 03.03.1800 con cui il mastro Battista Boy acquistò in enfiteusi la casa confinante 2267, e anche dall’atto del 09.10.1800, inventario dei beni di Anna Scarpinati, nel quale le case 2242 e 2243 avevano davanti le case di S.Elmo (2268) e una casa dei Padri Agostiniani (2267).

Gli atti del febbraio 1801, con cui venne perfezionata la cessione al Boy della casa 2267, forniscono la medesima informazione.
Con atto notarile del 10.11.1813 i maggiorali del Gremio di S.Erasmo concessero in enfiteusi al conciatore Luigi Marchi la loro casa nella strada dei conciatori, stimata in lire 1814, soldi 2 e denari 10 dal regio misuratore Pasquale Piu. Il Marchi si obbligò a migliorare la casa e renderla decentemente abitabile; era composta dal piano terreno e due piani alti; il canone annuo fu stabilito in lire 87 e soldi 10.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora al Gremio dei Santelmari. 



[1] ASC, S.S. II 1326

 

2269     

Nell’atto più volte citato della divisione dei beni del negoziante Antonio Scarpinati, datato 23.01.1798, è scritto che due casette sulla strada delle Conce, porzione dell’avvocato Antonio Scarpinati e identificate coi numeri 2244 e 2245, avevano di fronte sull’altro lato della strada le case degli “acconciatori” Luigi Porcu e Battista Boi; la casa di quest’ultimo corrisponde alla unità catastale 2269; si tratta dello stesso Boy (o Boi) che nel 1800 acquisì la casa 2267.
La casa 2269 dovrebbe essere la stessa casa che lo stesso Battista Boi denunciò nel suo donativo del 22.07.1799, composta da un piano terra con il basso per la conceria, e un primo piano di 4 stanze, “a disposizione del proprietario per la conceria”; se affittata avrebbe potuto chiederne 60 scudi annui; pagava 28 scudi di pensione annua, per un censo di 560 scudi al 5%, al canonico Brandino amministratore dei beni delle Cause Pie.

La proprietà Boi fu citata nei due testamenti del mastro Luigi Porcu (23.05.1811 e 26.03.1815) proprietario della confinante 2270.

Dovrebbe corrispondere alla casa citata in atto notarile del 10.11.1813, relativo alla casa 2268 del Gremio di S.Erasmo: questa confinava da una parte con la casa Podda (2267), sull’altro lato con la casa del conciatore Battista Boi, la cui proprietà si estendeva anche sul retro della casa 2268.

Dopo il 1850 questa casa apparteneva a Teresa Boi, coniugata con un chirurgo Piras di cui si ignora il nome; potrebbe identificarsi, senza averne la certezza data la facilità di omonimie, con Maria Teresa, figlia dello stesso Battista Boi e della sua seconda moglie Gerolama Martini, nata nel 1799.

 

2270     

La casa 2270 è stata identificata con una proprietà del Capitolo Cagliaritano, posseduta in enfiteusi dal mastro conciatore Luigi Porcu; è citata in un atto del 14.12.1796, relativo alla confinante casa 2271; è citata anche nell’atto di divisione dei beni del negoziante Antonio Scarpinati, del 23.01.1798, nel quale è scritto che due casette del defunto (numeri 2244 e 2245) porzione d’eredità dell’avvocato Antonio Scarpinati, si trovavano davanti alle case di Battista Boy (2269) e di Luigi Porcu (2270). E’ anche citata in atto notarile del 13.07.1811, inventario dei beni del mastro conciatore Antonio Diego Manca e di sua moglie, la defunta Maria Giuseppa Demelas: la proprietà dei coniugi Manca nella strada delle Conce, identificata con l’unità 2271, confinava con la concia del mastro Luigi Porcu, unità 2270.

Il mastro Luigi Porcu ci ha lasciato due testamenti, datati 23.05.1811 e 26.03.1815, rintracciati in Archivio di Stato fra gli "Atti delle ultime volontà", coi quali egli dispose che i suoi beni immobili, fra i quali è compresa la casetta sita “en la calle de las adoberias”, servissero per la fondazione di un beneficio ecclesiastico per la “Santa Primacial iglesia calaritana”, o per “la iglesia de Santa Eulalia”. 

A metà ‘800 risulta appartenere al cavaliere e professore Giovanni Meloni Baille, che la utilizzava ancora come “concia”; non si sa a quale mastro conciatore fosse affidata.

 

2271 e 2272

Sono stati rintracciati due documenti che citano queste case, datati entrambi 14.12.1796 e a rogito entrambi del notaio Pietro Giuseppe Melis; però, per la casa 2271, forniscono indicazioni contrastanti sul proprietario.

Uno dei documenti è l’atto di concessione in enfiteusi di una casa identificata con l’unità catastale 2272, da parte dell’Arciconfraternita del Sepolcro e a favore del mastro conciatore Pasquale Marini; la casa aveva i seguenti confini: alle spalle una casa di S.Francesco di Paola abitata da Mastro Miguel Loddo (2288), da un lato la “casa ruyna”, cioè in stato di rovina, della eredità Lay (2273), dall’altro lato la casa di mastro Pasquale Boy (2271). Il Marini abitava già la casa come affittuario, e gli venne concessa in enfiteusi per 40 scudi annui, cioè la stessa somma che pagava per l’affitto, anche se si riteneva di poterla affittare a un prezzo più alto; però la casa aveva necessità di riparazioni costose che, col contratto d’enfiteusi, sarebbero state pagate direttamente dal Marini.

L’altro documento è l’atto di concessione in enfiteusi, da parte della stessa Arciconfraternita del Sepolcro, a favore del mastro conciatore Antonio Diego Manca, della casa 2271 che aveva i seguenti confini: alle spalle una casa di S.Francesco di Paola (dovrebbe essere la stessa casa 2288, abitata da Mastro Miguel Loddo, che aveva un cortile che si spingeva fra le case 2289 e 2271), da un lato la casa del Sepolcro concessa in enfiteusi (con il precedente documento di stessa data) a mastro Pasquale Marini, dall’altro lato con casa del Capitolo in affitto a mastro Luis Porcu (2270).

Una semplice spiegazione è che il primo documento sia stato preparato e firmato prima del secondo, e la casa 2271, fino a quel momento utilizzata da Pasquale Boy, non fu indicata come casa concessa al Manca solo perchè ancora non era stato firmato il relativo atto. Un’altra spiegazione è che nel primo atto siano state indicate solo due case su un lato della casa 2272, dando per scontato il confine con la casa 2271 dello stesso proprietario; la casa Lay era una casa in stato rovinoso, può essere che fosse una casa bassa, e che quindi fosse più importante il riferimento alla successiva casa 2274, identificata di Pasquale Boy da altri documenti.

Vi è un terzo documento che cita la casa concessa al Marini, numero 2272: è datato 13.12.1796, ed il Marini, inquilino dell’intera casa del Sepolcro (casa per cui il giorno dopo gli sarebbe stata concessa l’enfiteusi) di cui utilizzava però solo la bottega, subaffittò al mastro Antonio Tatti il piano alto della casa; il Tatti gli avrebbe pagato 13 scudi annui, cioè 1 scudo, 4 soldi, 2 denari da pagare anticipatamente ogni mese.

Entrambe le case 2271 e 2272 sono citate in atto notarile del 13.07.1811, inventario dei beni del mastro conciatore Antonio Diego Manca e di sua moglie, la defunta Maria Giuseppa Demelas: i coniugi Manca possedevano (in enfiteusi) nella strada delle Conce due case contigue, identificate come parti dell’unità 2271, e la loro proprietà, che aveva sul davanti “la Regia Muraglia”, confinava da un lato con la casa del conciatore Pasquale Marini (2272), dall’altro lato con casa del conciatore Luigi Porcu (2270).

La proprietà Manca è’ inoltre citata nei due testamenti del mastro Luigi Porcu (23.05.1811 e 26.03.1815), proprietario della confinante 2270. 

Dai dati catastali di metà ‘800 risulta che entrambe le case 2271 e 2272 appartenessero in quel periodo all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2273

Con atto notarile del 20.01.1790, i fratelli (o cugini) Pepica, Raffael, Juannico, Annica, Rosa Lay, (Pepica e Annica col consenso dei mariti Lussorio Brillano e Juannico Cubony, mentre Rosa era divorziata da molti anni da Juannico Manca), e i fratelli Pasquale e Antonia (Antonio?) Lay, questi ultimi minori di 25 anni, eredi dei defunti fratelli notaio Juan Agustin e Salvador Lay, vendettero un cortile per 60 scudi al mastro Francesco Pintor.

Il cortile confinava da una parte con un magazzino dei Padri Minimi (2287), da altra parte con la casa abitata da mastro Miguel Loddo di proprietà degli stessi padri Minimi (2288), da altra parte con casa del Capitolo (2284), da altra parte con casa degli stessi venditori Lay (2273), e da altra parte con casa che possedeva il compratore Pintor (2286).

Gli eredi Lay possedevano una “casa ruyna puesta en la calle vulgo dicha de las adoberias”, confinante al cortile venduto al Pintor, casa 2273; il cortile venduto venne inglobato nella casa Pintor 2286.

Nell’atto già citato del 14.12.1796, relativo alla concessione in enfiteusi della casa 2272, detta casa aveva da un lato la “casa ruyna”, cioè in stato di rovina, della eredità Lay (2273).

In atti notarile del 06.07.1797, del 29.11.1797 e del 09.09.1798, tutti relativi alla casa Pintor 2286, questa aveva alle spalle la casa in rovina del fu mastro Tommaso Lai.

Nel suo testamento del 05.05.1801 il mastro conciatore Pasquale Boi (Boi Piras) dichiarò di possedere una casa (2274) per la concia, nella strada omonima, confinante con casa di Santa Eulalia (2275) e con casa distrutta dell’eredità del fu conciatore Tommaso Lai (2273), davanti alla Regia Muraglia

Simile informazione è riportata in atto notarile del 25.11.1808, anch’esso relativo alla casa Pintor 2286, nel quale si fa riferimento all’eredità del notaio Agostino Lay[1].

Con atto del notaio Demetrio Satta del 15.05.1810 gli eredi Lai cedettero la proprietà al negoziante e conciatore Antonio Didaco Manca; si presentarono davanti al notaio Satta:

il notaio Rafaele Lai;

le signore Ritta (sic) e Marianna Brigliano Lai figlie dei defunti notaio Lucifero (o Lussorio?) Brigliano e Giuseppa Lai (figlia di Gio Agostino), assistita Ritta dal suo consorte lo scrivente Efisio Farina e Marianna dal suo curatore il Causidico Francesco Giuseppe Garau;

il causidico Raimondo Frau Sciaccaluga, curatore dell’assente Giovanni Lai Caporale del Reggimento Sardegna, e lo stesso Frau come mandatario dei consorti avvocato Gioachino Pintor Porcu e Antonia Lai (figlia del defunto notaio Gio Agostino);

la signora Rosa Lai (figlia del fu Salvatore Angelo Lai) moglie del mastro conciatore Giovannico Manca.

Non comparvero il mastro Pasquale Lai (probabilmente fratello di Giovanni Agostino e Salvatore Angelo Lai) e Anna Lai, moglie del musico Antonio Cuboni.

Gli eredi dichiararono di aver ereditato l’area d’un casamento nelle strada dei Conciatori (vulgo de is Concias), e nonostante il lungo possesso non fu mai possibile edificare e nemmeno alienare; in data 28.02.1810 era stata eseguita la stima dai muratori Sebastiano Puddu e Francesco Usai per lire 407, somma per la quale fu fatta la vendita.

Con atto dello stesso notaio Satta, del giorno successivo, il mastro Antonio Didaco Manca vendette l’area appena comprata al mastro conciatore Giovannico Manca. Non si sa se ci fosse parentela fra i due mastri, e non si sa con certezza se Giovannico Manca fosse il marito (separato?) di Rosa Lai.

Dopo il 1850 la casa 2273 apparteneva al conciatore Priamo Sulis; questa informazione non è di aiuto per identificare con più sicurezza i proprietari di fine ‘700 e inizio ‘800. 



[1] Alcuni documenti fanno riferimento alla casa “ruyna” del fu Tommaso Lay, altri alla casa “ruyna” degli eredi dei fratelli notaio Juan Agustin, Salvador e Pasquale Lay; non si hanno precise notizie genealogiche su questa famiglia; l’ipotesi che si propone è che Tommaso Lay fosse l’originario proprietario della casa, lasciata in eredità ai figli (Agostino, Salvatore e Pasquale), poi ai nipoti. 

 

2274

La casa 2274 dovrebbe essere quella che il mastro conciatore Pasquale Boi (Boi Piras), fratello del mastro Battista Boi (vedi casa 2269) dichiarò nel suo donativo del 24.06.1799, composta da un primo piano con 2 camere, affittato per 26 scudi, e un piano terreno con la conceria, a disposizione del proprietario e che si sarebbe potuto affittare a 50 scudi; era sita nella strada delle Conce, detta anticamente della Torre.

Nel suo testamento del 05.05.1801 Pasquale Boi dichiarò di possedere una casa nella strada delle Conce, composta da un piano alto e piano terreno adibito a “officina e bottega della concia”, confinante con casa di Santa Eulalia, con casa distrutta dell’eredità del fu conciatore Tommaso Lai, davanti alla Regia Muraglia; se la casa Lai era, come detto prima, quella col numero 2273, la casa Boy doveva essere l’unità 2274, e la casa di Sant’Eulalia il numero 2275; una conferma arriva dall’atto di vendita della casa 2275, già della Comunità di Santa Eulalia e dal 30.08.1804 del mastro Luigi Schirru: la casa confinante lateralmente era quella del mastro conciatore Pasquale Boy.

Dopo il 1850 la casa 2274 apparteneva ad Anastasia Cabras coniugata con Vincenzo Degioannis; questa informazione non è di aiuto per identificare con più sicurezza i proprietari di fine ‘700 e inizio ‘800.

 

2275     

Era una casa di proprietà della Comunità di Sant’Eulalia;

Con atto notarile del 22.04.1798 il mastro bottaio Salvatore Congiu concesse in locazione una casa di sua proprietà, adibita a conceria, nella strada delle Conce; la casa Congiu, identificata con la casa numero 2276 aveva davanti la muraglia (strada in mezzo), dietro la casa dove abitava lo stesso Congiu (2282), da un lato la casa di mastro Giovanni Schirru conciatore (2277), e dall’altro lato la casa di S.Eulalia (2275).

Con altro atto del 05.08.1801 Salvatore Congiu rinnovò la locazione della sua casa, e vennero confermati i confini riferiti nell’atto di tre anni prima.

Anche dall’atto del 05.05.1801 relativo alla casa Boy 2274, già citato nel precedente paragrafo, risulta che la casa 2275 appartenesse alla Comunità di Sant’Eulalia.

Nel suo donativo del 24.06.1799 la Comunità di Sant’Eulalia dichiarò di possedere due case nella strada delle Conce, denominate di “Crucas”, una composta da un piano di 4 stanze ed un sottano, l’altra con un piano di 4 stanze e due sottani; potrebbero corrispondere entrambe alla casa 2275, di dimensioni sufficienti per ipotizzare che fosse anticamente divisa in due case distinte. 

Con atto del notaio Nicolò Martini del 30.08.1804, la Comunità di Santa Eulalia vendette la casa Crucas al mastro conciatore Luigi Esquirru (Schirru) ; la Comunità possedeva l’immobile dalla fine del XVIII secolo, come potè dimostrare con atti del 1696 e del 1699; Esquirru offrì di pagare lire 2375 in tutto, cioè lire 875 alla stipulazione, e le rimanenti 1500 lire in 15 anni e in due quote, pagando il frutto compensativo al 5%; il prezzo fu stabilito con l’estimo fatto dal mastro muratore Sebastiano Puddu, che vi comprese anche alcune spese fatte dallo stesso Esquirru per “raccomodare” diverse cose nella casa (che lui evidentemente già utilizzava); allo scopo di ripagare Luigi Esquirru per i lavori fatti, la Comunità stabilì di celebrare per lui un messa cantata all’anno, durante la sua vita, e un’ultima il giorno della sua morte.

Dal sommarione dei Fabbricati risulta che a metà ‘800 la casa 2275 apparteneva al Monastero di Santa Chiara.

 

2276      si vedano le case 2282 e 2283.

 

2277

Era una casa adibita a conceria del mastro conciatore Giovanni (Battista) Schirru; è citata in un atto del luglio 1797 relativo alle case 2278 e 2279, confinanti con la “casa ensostrada de Mestre Juan Esquirru adobador”; viene citata anche nei due atti dell’aprile 1798 e dell’agosto 1801, con cui Salvatore Congiu affittò la sua casa 2276, confinante con la casa Schirru.

E’ citata anche nell’atto del 05.09.1800 con cui Antonio Diego Manca cedette alla chiesa del Sepolcro la concia numero 2247, che aveva davanti la casa Schirru 2277.

Ancora, nel testamento del conciatore Paquale Boi Piras, datato 05.05.1801, le case del Boi 2278 e 2279 risultano confinanti con la casa del conciatore Giovanni Schirru, numero 2277.

Non è l’unico immobile di proprietà dello Schirru; a parte la casa 2380 della strada is Tagliolas (probabilmente sua abitazione), in atto notarile del 1808 è scritto che il conciatore aveva ereditato nel 1779 dallo zio Francesco Angelo Schirru, altro mastro conciatore[1], due stabili entrambi adibiti a concia: uno è l’unità catastale 2277 e l’altra, ad essa confinante, è l’unità 2280; quest’ultima venne venduta in quell’anno, e lo Schirru promise al compratore di permettergli l’utilizzo del canale di scarico che passava sotto l’immobile 2277, e di permettergli l’accesso alla casa 2277 per pulizia e manutenzione dello stesso canale.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 30.05.1809, il conciatore Schirru ottenne un prestito di scudi 1000 dal negoziante Francesco Antonio Rossi: avrebbe pagato gli interessi al 6% e per garantire la restituzione del capitale e dei frutti ipotecò il casamento vicino alla Porta Sant’Agostino, ereditato dallo zio, come da testamento del 24.10.1779.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al Capitolo Cagliaritano. 



[1] Giovanni Battista Schirru era figlio di Giuseppe Schirru e di Battistina Marchos, ed era coniugato dal 1785 con Clara Mereu, di Settimo come il marito; Francesco Angelo Schirru era probabilmente un fratello di Giuseppe

 

2278 e 2279       

Il 19.07.1797 i padri Scolopi dell’Annunziata concessero in enfiteusi perpetua al conciatore e negoziante Pasquale Boy due case vicine, nella strada delle Conce, “alla sinistra come si viene dalla porta di Sant’Agostino per andare verso la strada delle Conce e la piazza del Molo”; erano due case “ensostradas”, cioè con almeno un piano alto sopra il terreno, la prima aveva la facciata e l’entrata davanti al bastione di S.Agostino (cioè verso ovest), l’altra aveva una porta e una finestra al medesimo bastione, e un’altra porta e una finestra al bastione rivolto al mare. Dovrebbero essere le case 2279 e 2278, anche se dalla posizione descritta delle facciate risultano suddivise diversamente da quanto si vede nella pianta di metà ‘800; le due case erano porzione di tutte quelle “poste nel medesimo territorio”, che la quondam Gracia Piloto legò a favore della Casa di Probacion (delle Scuole Pie, cioè i padri Scolopi), secondo il testamento rogato dal notaio Juan Bauptista  Sanna del 09.02.1693.

Nel donativo (non datato) della Casa di Probacion delle Scuole Pie dell’Annunziata, i padri dichiararono di ricevere dal mastro Pasquale Boy £ 50 per una casa in “calle de las adoberias “ (case 2278 e 2279).

Nel suo donativo del 24.06.1799 Pasquale Boi, mastro conciatore, dichiarò di possedere (oltre alle case 2281, 2274, 2248, 2257, e 2323) una bottega per conceria utilizzata dal lui stesso di fronte al bastione di Sant’Agostino, e una casa di un piano con due facciate e 4 stanze, da cui ricavava 32 scudi di affitto; la bottega avrebbe potuto rendere 35 scudi se fosse stata affittata; pagava un canone annuo di lire 50 ai padri Scolopi.

Pasquale Boi Piras lasciò il suo testamento datato 05.05.1801 (compilato molti anni prima della morte), rogito del notaio Bardilio Usai; nominò erede, curatrice ed esecutrice la moglie Maria Antonia Melis; fra i suoi molti beni dichiarò di possedere una casa di un piano (2278 e 2279) nella contrada delle conce di fronte alle regie muraglie e confinante con case del conciatore Giovanni Schirru (2277 e 2280), soggetta al pagamento di scudi 20 (cioè 50 lire) annui all’Annunziata.

Ancora nel 1808, da atto notarile relativo alla casa 2280, il Boi risulta proprietario delle due case; egli morì probabilmente nel 1816. 

A metà ‘800 la casa 2278 apparteneva agli eredi  Dugoni, la casa 2279 alla Congregazione del Santissimo Sacramento.

 

2280

Si hanno poche notizie su questa casa; nell’atto del 19.07.1797 con cui i padri Scolopi concessero in enfiteusi a Pasquale Boy le case 2278 e 2279, è scritto che dette case confinavano per i lati e di spalle con “casas ensostradas” del mastro conciatore (adobador) Giovanni (Battista) Esquirru; una casa Schirru è quella con numero catastale 2277, identificata anche da altri documenti; da quanto appena detto sembra che anche la casa 2280 appartenesse allo stesso Schirru.

Si ha una conferma da un atto del notaio Rocco Congiu del 21.03.1808: il mastro conciatore Giovanni Schirru, nativo del villaggio di Settimo e domiciliato nella Marina, vendette al mastro conciatore Antonio Piroddi nativo del villaggio di Seui e domiciliato anch’esso nella Marina, una casa nella contrada Is Adoberias (delle Conce), composta da un piano alto di 4 stanze e da un sottano di 3 stanze, con la cisterna; aveva davanti le Regie Muraglie e il bastione di Sant’Agostino, confinava alle spalle con la casa Congiu (2282), di lato con le case Boi (2278, 2279, 2281) e con altra casa dello stesso Schirru (2277); quest’ultimo l’aveva ereditata, insieme alla attigua casa 2277, grazie al testamento del 1779 lasciato dal mastro conciatore Francesco Angelo Schirru; all’interno della casa vi era una “salara” per la concia, e Schirru avrebbe permesso a Piroddi di lasciar passare dalla casa venduta all’altra sua casa “un canale per lo scolo dell’acqua e del mirto, in forma d’acquedotto che conduca al mare”; in caso di ostruzione del canale avrebbe permesso l’ingresso nella sua casa, per la pulizia e la manutenzione; fu venduta per scudi 600, nonostante fosse stata stimata in scudi 818, reali 9 e denari 9, il giorno precedente la vendita, dai mastri Salvatore Murru falegname e Giovanni Matta muratore.

Con atto notarile del 16.06.1808, il mastro Giovanni Schirru firmò la ricevuta di scudi 250 pagati dal mastro Antonio Piroddi per la casa acquistata il 21.03.1808; in data 04.01.1809 il compratore pagò altri 250 scudi, e furono divise anche le spese di ricostruzione del muro divisorio fra la casa Piroddi 2280 e la casa Schirru 2277.

Da atto del 01.11.1792, relativo alla casa 2281, sembra di poter identificare la casa 2280 come quella appartenente alla vedova Anna Bassu; non si ha certezza sulla sua identità; inoltre, come si è detto, risulta che già in quell’anno la casa appartenesse al conciatore Giovanni Schirru; un’ipotesi è che Anna Bassu fosse la vedova di Francesco Angelo Schirru, proprietario fino al 1779; quest’ultimo era uno zio di Giovanni Battista, il quale era figlio di Giuseppe e di Battistina Marcos ed era coniugato dal 1785 con Clara Mereu.

Dopo il 1850 apparteneva al mastro conciatore Cosimo Busu.

 

 

2281     

Con atto notarile del 01.11.1792 il negoziante Domenico Cervia cedette al negoziante e conciatore Pasquale Boy Piras (il medesimo già citato per altre proprietà vicine) 2 case alte che aveva avuto in enfiteusi dal padri Scolopi; in accordo con gli stessi Scolopi, le cedette al Boy per 546 scudi e 2 reali; si trattava di due case attigue che il Cervia aveva avuto in enfiteusi il 12.07.1786, composte ognuna da un piccolo piano terreno, ossia sottano, e un piccolo piano alto, site nella strada di Pabillonis, a mano destra venendo dalla porta di Sant’Agostino; il Cervia in tanti anni non aveva effettuato alcuna miglioria o riparazione; non voleva più tenerle, poiché avrebbe dovuto partecipare alle spese per la riparazione di una parete in comune con la contigua casa di m.o Pasquale Boy, e aveva deciso pertanto di vendergliele. Le case confinavano da un lato con casa che prima possedeva Anna Misclis e poi lo stesso compratore Pasquale Boy, che era “fabbricata di nuovo”, dall’altro lato con casa del mastro Billoy (Salvatore) Congiu, davanti a un magazzino del baccelliere Giuseppe Maria Pintor, e di spalle con casa della vedova Anna Bassu; le case cedute dal Cervia al Boy sono identificate con la parte est della grande unità immobiliare 2281, confinanti con altra parte della stessa 2281 già di proprietà del Boy (prima di Anna Misclis); la casa di Salvatore Congiu era la casa 2282, mentre il magazzino di Pintor corrisponde all’unità catastale 2345; di spalle, come già detto nel paragrafo precedente, c’era la casa di Anna Bassu, numero 2280.

La proprietà del Boi è confermata da un atto notarile del 22.05.1797, relativo alla casa 2247, che aveva da un lato il magazzino Pintor (2245), e di fronte la casa nuova di Pasquale Boi (2281).

Nel donativo non datato della Casa di Probacion delle Scuole Pie dell’Annunziata, i padri dichiararono di ricevere dal mastro Pasquale Boy £ 55 per due case contigue di fronte alla Porta di Sant’Agostino (2281).

Nel suo donativo del 24.06.1799 Pasquale Boi dichiarò di possedere, vicino alla porta di Sant’Agostino, 2 magazzini di 2 piani e 2 facciate con 9 camere in tutto, affittati a lire 337 e 10 soldi, e pagava un canone di lire 55 ai padri Scolopi; i 2 magazzini corrisponderebbero alla casa 2281.

Infine, nel suo testamento del 05.05.1801, Pasquale Boi Piras destinò ai suoi eredi una casa grande di 3 piani compreso il terreno quasi in attiguità della porta di S.Agostino, col peso di scudi 22 (cioè 55 lire) di annuo canone in favore della chiesa dell’Annunziata.

Il Boi morì diversi anni più tardi; la casa era di sua proprietà ancora nel 1808, citata in un atto notarile relativo alla casa 2280.

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2281 è citata due volte, divisa in due case distinte: una aveva l’ingresso nella strada che dalla porta di Sant’Agostino andava verso le conce (cioè la discesa lungo le mura), l’altra l’aveva invece nella strada di Sant’Agostino Vecchio, cioè la prima parte dell’attuale via Sardegna; entrambe le case appartenevano alla Congregazione del Santissimo Sacramento.

 

2282 e 2276 (parte sulla strada delle Conce)

Nell’atto del novembre 1792, citato per la casa 2281, risulta che la casa a essa confinante appartenesse al mastro bottaio Billoy (cioè Salvatore) Congiu; il dato è confermato dai due atti del 22.04.1798 e 05.08.1801 con cui lo stesso Congiu concesse in affitto una casa di sua proprietà, adibita a conceria, identificata con la casa numero 2276 della strada delle Conce; posteriormente confinava con la casa dove abitava lo stesso Congiu, numero 2282; Congiu concesse in locazione la casa per anni 6 e per scudi 55 annui ai mastri Conciatori Luigi Marchi nativo di Sorgono, Antonio Piroddi nativo di Seui, e Giuseppe Ardau di Cagliari; era composta da un sottano grande per concia e 2 “apposenti” per conservare mirto o paglia, e “un sostre (piano alto) di 2 acque (due tetti separati?)”, sita nella strada della Concia della Marina; aveva davanti la muraglia (strada in mezzo), dietro aveva la casa dove abitava il Congiu, da un lato la casa di mastro Giovanni Schirru conciatore, e dall’altro lato una casa della Comunità di Sant’Eulalia; partendo dalla casa 2275 attribuita a Sant’Eulalia, la casa Congiu dovrebbe essere la 2276, la casa Schirru la 2277, e la casa di abitazione di Salvatore Congiu dovrebbe essere la casa 2282. Il 05.08.1801 il Congiu rinnovò il contratto di locazione per altri 6 anni e per lo stesso importo al solo mastro Luigi Marchi, confermando anche i confini precedentemente descritti.

Nel suo donativo del 26.06.1799, Salvatore Congiu dichiarò di possedere una casa (2282) nella strada di Sant’Agostino Becciu, contigua da una parte a casa di S.Eulalia (2276 parte alta, e 2283), dall’altra a casa di Pasquale Boy (2281); era la casa di sua abitazione, se affittata avrebbe potuto ricavarne 25 scudi; era composta da un primo piano con 5 stanze e da un secondo piano con una stanza; aveva un sotterraneo che guardava verso la strada di Sant’Agostino (vecchio) con un magazzino e una stanzetta, affittati a scudi 18; infine c’era un sotterraneo che “guarda la Regia Muraglia” (delle Conce) adibito a conceria, con 3 piccole stanze al di sopra, il tutto affittato a scudi 55 annui; quest’ultima parte sulla strada delle Conce corrispondeva al numero catastale 2276. Pagava una pensione annua per un censo concesso dal Capitolo Cagliaritano. 

In data 07.02.1804 egli aggiunse un codicillo (col notaio Rocco Congiu) al suo testamento, già consegnato nel 1791 al notaio Michele Casanova; aveva un figlio, il mastro Paolo Congiu (1768-), che egli definisce “fatuo e mentecatto” e “incapace di reggere e governare il suo proprio personale e i suoi beni”; in altro codicillo del 1791, appena successivo al primo testamento, aveva nominato curatori di Paolo l’altro suo figlio Antioco e il genero Salvatore Urru, marito dell’altra sua figlia Marianna (1764-1849); nel frattempo però morì Salvatore Urru, e Salvatore Congiu, “…conoscendo la poca cura che Antioco avrà del fratello..”, nominò curatrice di Paolo la figlia Marianna, vedova Urru. Inoltre dispose che dopo la sua morte, i suoi eredi universali, cioè i figli Marianna, Antioco e Paolo, pagassero a sua moglie Isabella Urru la dote che le aveva costituito al tempo del matrimonio; si trattava della sua IV moglie: la prima, sposata nel 1762, era Clara Aliot (-1780), madre dei suoi figli; la seconda era Rosa Donato; la terza, sposata nel 1790, era Girolama Mura (-1797).

Salvatore Angelo Congiu, mastro bottaio nativo di Seui, morì nel 1807; in atto notarile del 21.03.1808, relativo alla casa 2280, la casa 2282 risulta dei suoi eredi.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2282 risulta appartenere al Capitolo Cagliaritano, mentre la casa 2276 risulta appartenere in quel periodo alla Comunità di Sant’Eulalia; quest’ultima attribuzione potrebbe però fare riferimento alla sola parte sulla strada di Sant’Agostino Vecchio, per la quale si rimanda alla casa 2283.

 

2283 e 2276 (parte sulla strada di Sant’Agostino vecchio)

In atto notarile del 16.12.1799 relativo alla casa 2343, questa aveva di fronte due case della chiesa di Sant’Eulalia, identificate con l’unità 2283 e con la parte a nord dell’unità catastale 2276.

La stessa informazione è fornita da atti notarili del 29.09.1800 e del 10.01.1809, relativi alla stessa casa 2343, e da atto notarile del 30.08.1804 relativo alla vendita della casa 2275; non sono state trovate ulteriori conferme.

Dopo il 1850, dai dati del sommarione dei Fabbricati, sia la casa 2283, sia la parte della casa 2276 sulla strada di Sant’Agostino vecchio, appartenevano alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2284

Sono stati rintracciati due documenti che dovrebbero riferirsi a questa casa: il più antico è un atto notarile del 20.01.1790 col quale gli eredi Lay vendettero un cortile interno al mastro Francesco Pintor; il cortile, che potrebbe corrispondere per lo più alla parte posteriore dell’unità 2286 e ad una parte dell’unità 2272, era circondato dalle seguenti proprietà: un magazzino dei padri Minimi (2287), una casa degli stessi padri Minimi abitata da mastro Miguel Loddo (2288), la casa del compratore Pintor (2286), la casa dei venditori Lay (2273) sulla strada delle Conce, ed infine una casa del Capitolo che può identificarsi appunto con la casa 2284.

Un secondo documento è un atto del notaio Gio Batta Azuni del 03.11.1812: si tratta della vendita, da parte del monsignor Antonio Cabras, canonico del Capitolo, di una casa che era stata assegnata come rendita al canonicato di Santa Barbara, in quell’anno vacante; fu venduta per scudi 460 “a frutto compensativo” al 5%, al negoziante e conciatore Giovanni Manca, che quindi non pagò ma si impegnò a pagarne gli interessi annui; era composta di 2 piani, uno terreno e l’altro superiore, in ogni piano 2 stanze, era in stato di rovina, ed era pervenuta al canonicato a seguito di una transazione del 30.01.1783 fra gli eredi dei “giugali” Tommaso Lai e Rosalia Pistis e il reverendo dottore Giuseppe Maria Cordilla canonico della Primaziale e titolare del canonicato di Santa Barbara; si trovava nella strada di Sant’Agostino vecchio, detta anche di Pabillonis; confinava sul davanti, ossia da tramontana, con casa di Santa Lucia (2343), di dietro ossia per mezzogiorno con case del conciatore Luigi Schirro (2274?) e dello stesso compratore Manca (2273), dal lato di levante con casa del conte Ciarella (2285?), e dal lato di ponente e maestro con casa della comunità di Sant'Eulalia (2283).

A metà ‘800 risulta appartenere a un non conosciuto Paolo Canelles; potrebbe però trattarsi di una imprecisione (del Registro del Catasto, senza escludere una mia lettura errata da verificare!): infatti si ha notizia di un Paolo Carneglias (1805-1859) che risulta coniugato con una Luigia Manca, figlia spirituale (filla ‘e anima?) di Giovanni Manca e di Francesca Congiu.

 

2285

Sono stati rintracciati 7 documenti che forniscono informazioni su questa casa: il più antico proviene dall’Archivio Comunale, sezione antica, datato 1784 e relativo alla casa 2286; questa confinava con una casa adibita a magazzino della vedova Belgrano, cioè Anna Belgrano vedova Fruchier; altri tre documenti, atti notarili del luglio 1797, del novembre 1797 e del settembre 1798, sono relativi ugualmente alla casa Pintor 2286, confinante da una parte con una casa del Convento dei Padri Minimi (2287), dall’altra parte con una casa adibita a magazzino del fu negoziante Giovanni Maria Fulgier (o Fruchier), casa numero 2285.

Il ricco negoziante Fulgier morì nel 1762, lasciando i suoi beni alla sua vedova Anna Belgrano che morì nel 1790; i beni dell’eredità Fruchier, amministrati dopo il 1790 da Carlo Belgrano (fratello di Anna) per conto degli eredi della vedova, e da Francesco Capriata per conto degli eredi del marito (in particolare il nipote reverendo Joseph Fruchier, dimorante in Sassari), restarono in buona parte ai nipoti Belgrano.

Un altro atto notarile del novembre 1808, anch’esso relativo alla casa 2286, cita come antichi proprietari i defunti reverendo padre Fulger, ex-gesuita, e sua sorella Anna; è possibile che non sia mai esistita una Anna Fulger (o Fruchier), può essere stata fatta confusione con Anna Belgrano vedova di Giovanni Maria Fulger; nell’atto appena citato risulta attuale proprietario il cavaliere Onorato Cortese(1750-1821), il quale era coniugato con Giuseppa Belgrano, figlia di Raimondo fratello di Anna Belgrano Fulgier.

In due atti notarili del 23 e del 30 agosto 1813, relativi alla concessione enfiteutica della casa 2342 (sull’altro lato della strada di Sant’Agostino vecchio), risulta che l’immobile 2285 fosse in quell’anno un magazzino di don Onorato Cortese.

Dai dati catastali di metà ‘800 risulta che appartenesse al negoziante e cappottaro greco Cristoforo Pachi, che la utilizzava come magazzino merci.

 

2286

Nel documento del 1784 appena citato, rintracciato nell’archivio Comunale (sezione antica), è scritto che il conciatore Michele Loddo possedeva una casa nella strada che conduceva verso la porta di S.Agostino vecchio; la casa era in cattivo stato e gli incaricati del comune gli consigliarono di puntellarla; si trovava fra una casa dei Padri Paolini e un magazzino della vedova Belgrano, in vicinanza della casa delle sorelle Desogus; i Paolini possedevano le case 2287 e 2288, la vedova Belgrano possedeva il magazzino numero 2285; di conseguenza la casa Loddo era l’unità catastale 2286; non è chiaro quale fosse la casa delle sorelle Desogus.

Michele Loddo andò poi a vivere (almeno dal 1790) nella confinante casa di proprietà dei padri minimi del convento di San Francesco di Paola (2287).

Il Loddo evidentemente preferì disfarsi della casa, forse non avendo denaro per ripararla; infatti, con atto notarile del 20.01.1790, gli eredi dei defunti fratelli notaio Juan Agustin e Salvador Lay vendettero un cortile interno a Francesco Pintor; il cortile si trovava fra la casa Lay, numero 2273, posta nella strada delle Conce, e la casa del compratore Pintor, nella strada di Sant’Agostino vecchio; la casa Pintor è identificata con l’unità catastale 2286 grazie a successivi documenti.

In realtà in quell’anno la proprietà non era ancora di Francesco Pintor ma di suo padre Carlo il quale, nel suo testamento del 10.04.1791 nominò eredi in parti uguali la moglie Annica Cambilargiu e il figlio Francesco. Il testamento fu pubblicato il 02.09.1793, presumibilmente dopo la morte di Carlo Pintor Frongia.

Con atto notarile del 16.08.1796 Anna Cambilargiu e Francesco Pintor concessero la casa in locazione per 6 anni al negoziante Domenico Picinelli, che già la utilizzava da un anno e mezzo; il canone fu stabilito in 110 scudi annui, il Picinelli doveva installarvi una fabbrica di sapone; nell’atto è specificato che la casa “esigeva pronte riparazioni”, in particolare nella facciata che dava sulla strada di Sant’Agostino vecchio: nei piani alti, con veduta al mare, mancavano porte, finestre, e lo “sternito”, cioè il tavolato del pavimento; il defunto Carlo Pintor non aveva avuto il tempo necessario per completare la ricostruzione che, evidentemente, era stata avviata dopo l’acquisto dal conciatore Loddo.

Francesco Pintor e la madre Annica Cambilargiu vedova Pintor, con atto del 06.07.1797 ottennero in prestito 1100 scudi dalla vedova Maria Antonia Busu, e con atti del 29.11.1797 e del 09.09.1798 ricevettero altri 100 scudi; volevano utilizzare la somma “per portare a termine la casa che possiedono vicino alla porta di S.Agostino nella Marina, per riattare casa e magazzino in Pirri, e piantare le viti mancanti nelle vigne in Pirri, beni ereditati col decesso del marito e padre Carlo Pintor Frongia; non avevano ereditato denari e, per pagare alcuni debiti, sottoposero a censo la casa grande della contrada di Porta di Sant’Agostino, composta da un magazzino e 2 piani, confinante da un lato con casa del Convento dei Padri Minimi (2287) abitata dal mastro conciatore Juan Miguel Loddo (lo stesso ex proprietario della casa 2286), dall’altro con magazzino del fu negoziante Giommaria Fulchier (2285), avanti con un magazzino dell’eredità del Marchese di Sedilo (2341), strada mediante, e dietro con casa in rovina del fu mastro conciatore Tommaso Lai (2273).

Nel suo donativo del 26.06.1799, Anna Pintore (Anna Cambilargiu vedova Pintor), dimorante in Pirri, dichiarò una casa nella strada “che conduce verso la Porta di S.Agostino” composta da 2 piani, in tutto 10 stanze, affittata a scudi 110; vi era caricato un censo onerativo di scudi 1200 per il quale si pagava una pensione annua di scudi 72 alla vedova Maria Antonia Busu.

Con atto del notaio Gioachino Carro del 25.11.1808 Anna Cambilargiu e Francesco Pintor ricevettero 1000 scudi dal negoziante e “baccelliere in ambe leggi” Francesco Gastaldi; “a causa dei cattivi raccolti degli scorsi anni e malattie che hanno dovuto soffrire”, non avevano più risorse economiche per coltivare e manutenere le vigne e le terre in Pirri ereditate da Carlo Pintor, e non potevano “far fronte alle spese urgentissime e indispensabili della famiglia”; si impegnarono a restituire la somma in 3 anni, pagando gli interessi al 6%; ipotecarono i loro beni e in particolare la casa della strada Pabillonis 2286.

Nonostante i debiti, gli eredi Pintor furono proprietari della casa 2286 ancora per diversi anni: così risulta da un atto notarile del 09.06.1813, relativo ai magazzini 2341 frontali alla casa degli eredi di Carlo Pintor (2286), e da altro atto notarile del 12.03.1827, rintracciato nell’Archivio Ballero (ASC), relativo alla casa 2273 che confinava sul retro con casa degli eredi di Carlo Pintor.

Dai dati catastali di metà ‘800 risulta invece appartenere alla Sagristia delle Monache Cappuccine.

 

2287 e 2288

Appartenevano entrambe al convento di San Francesco di Paola, cioè ai padri Minimi (Paolini o Paolotti).

La casa 2287 è citata nel documento del 1784 di cui si è parlato nei due precedenti paragrafi; sono entrambe citate nel documento del 1790 con cui gli eredi Lay (casa 2273) vendettero a Francesco Pintor il cortile della loro casa, che confinava con un magazzino dei padri Minimi (2288), e con casa propria degli stessi padri Minimi abitata da mastro Miguel Loddo (2287).

In atto notarle del 26.03.1797 relativo alla casa 2289, questa confinava con un magazzino dei padri Paolini (2288).

La casa 2287 è citata negli atti del 1797 e 1798 con cui Francesco Pintor e Annica Cambilargiu ottennero un prestito e ipotecarono la loro casa 2286, confinante con casa dei padri Minimi, dove abitava Juan Miguel Loddo; è anche citata negli atti del 14.12.1796 con cui l’Arciconfraternita del Sepolcro concesse in enfiteusi a Pasquale Marini la casa 2272 e a Antonio Diego Manca la casa 2271, confinanti entrambe con le case dei padri Paolini, in particolare con la casa 2287 abitata da Miguel Loddo: infatti sembra che dietro la casa dei Paolini esistesse un cortile, probabilmente usato dal Loddo, che si estendeva sin dietro la casa Novaro 2289, come riferisce l’atto del 26.03.1797 relativo alla casa Novaro.

Con atto del notaio Francesco Sirigu, datato 26.01.1805, il convento di San Francesco concesse in enfiteusi una casa nella strada “Babillonis” (cioè Pabillonis, altrimenti detta di Sant’Agostino vecchio), col canone annuo di lire 50, al negoziante Nicolò Dentone; questi, morto nel giugno 1806, ne lascò l’usufrutto alla moglie Giovanna Podda, dopo la cui morte la proprietà sarebbe tornata al Convento, compresi i miglioramenti stimati in lire 689. La casa si puo identificare con l’unità catastale 2287, ma è possibile che l’enfiteusi comprendesse tutta la proprietà dei padri Paolini, quindi anche l’unità 2288; con atto notarile del 06.09.1806 la vedova Dentone Podda firmò un accordo con la suocera Francesca Gorlero che aveva diritto ad una porzione legittima di eredità; nel calcolo della legittima entrarono i frutti che la vedova godeva, come usufruttuaria, della casa nella strada Pabillonis e della casa 2596 nella strada di San Francesco di Paola.

Infine, nell’atto del 09.06.1813 relativo ai magazzini 2341 e citato nel precedente paragrafo, è scritto che questi magazzini avevano davanti la casa Pintor (2286) e la casa di Giovanna Podda; in atto notarile del 13.07.1811, relativo alla casa 2271, è scritto che detta casa, proprietà Manca, aveva alle spalle la proprietà di (del fu) Nicolò Dentone, il cui cortile, come risulta anche da altro documento, si estendeva dietro la casa 2289.

Si sa che Giovanna Podda nel 1811 era coniugata col notaio Giuseppe Tatti; non se ne conosce la data di morte.

Dai dati catastali di metà ‘800 queste due unità risultano appartenere entrambe al convento dei frati Minimi di San Francesco di Paola.

 

2289     

Il primo atto che fornisce notizie su questa casa è datato 26.03.1797; si tratta della costituzione dotale di £ 8300 fatta dal negoziante Francesco Novaro Ganau alla figlia Donna Maddalena Viale nata Novaro, coniugata nel 1796 con don Giuseppe Angelo Viale; la dote era formata da lire 3213, soldi 7, denari 10 in moneta effettiva, e lire 5086, soldi 12, denari 2 come valore di un magazzino del Novaro, sito nella strada di Pabillonis, confinante da un lato con un magazzino dei padri Paolini (2288), dall’altro lato con casa di Pasquale Ponsiglioni (2290), di spalle col cortile del magazzino dei padri Paolini (che evidentemente era più grande di quello che ci mostra la pianta di metà ‘800, e si spingeva alle spalle della proprietà 2289) e davanti con altre proprietà dello stesso Novaro (2340); l’estimo era stato eseguito il 13.09.1796 dal mastro falegname Antonio Frediani (o Ferdiani)e dal mastro muratore Antonio Ignazio Carta.

La proprietà Novaro è confermata dall’inventario Ponsiglion del 1802: la casa Ponsiglion 2290 confinava con casa e magazzino del negoziante Francesco Novaro Ganau.

Francesco Novaro morì 07.09.1803; la moglie Chiara Belgrano era già defunta e in data 05.04.1805 fu effettuata la divisione della loro eredità fra i loro figli, tutto da dividere in sette quote di ugual valore; furono divisi beni per lire 98000, ogni quota fu quindi di lire 14000. Fu confermato che il magazzino 2289, già assegnato in dote a Maddalena nel 1796, sarebbe rimasto sua proprietà; con la dote aveva già ricevuto lire 3213, soldi 7 e denari 10; per completare la sua quota ereditaria ricevette la metà di un censo caricato su beni in Pirri del notaio Francesco Antonio Vacca, per lire 4375, e ancora in contani lire 1325.

Dopo il 1850 la casa 2289 risulta di proprietà di Luigi Novaro (1799-1859), segretario civico, nipote di Francesco Novaro, cioè figlio del suo premorto figlio Luigi e di Marianna Lezani; veniva utilizzata ancora come magazzino; evidentemente, nonostante facesse parte della dote di Maddalena, la proprietà passò di mano e restò alla famiglia Novaro. 

Questa casa, o parte di essa, insieme alla casa 2290, fu abbattuta per permettere l’apertura della via Baille fino alla via Roma.

 

2290 e 2293       

Nel 1797 questa casa apparteneva al ricco negoziante Pasquale Ponsiglione (Ponsiglion, Ponsiglioni): se ne ha notizia dall’atto appena citato con cui Francesco Novaro costituì la dote alla figlia Maddalena, cedendole il magazzino 2289. Pasquale morì nel 1802, e i suoi beni furono amministrati dal cugino Filippo Ponsiglione, sacerdote di Sant’Eulalia, curatore della eredità per conto dei numerosi figli di Pasquale, in particolare di quelli avuti nel suo terzo matrimonio con Anna Medail, nati fra il 1791 e il 1799.

La proprietà Ponsiglione è confermata dall’inventario dei beni del defunto Pasquale, datato 26.11.1802: era composta da un sottano utilizzato come magazzino, e altra porta che portava al primo piano, con sala, alcova, due finestre e balconi di ferro che davano sulla strada (chiamata in questo documento dei Barbaricini o di Sant’Agostino intra muros), una stanza ed un’altra con alcova, con finestre sul retro della casa (verso un giardino dei padri Mercedari), e poi l’ultimo piano con due balconi di ferro sulla strada, la cucina con la finestra sul retro e un’altra finestra anch’essa sul retro, e la cisterna, stimata lire 3861 e 19 soldi.

Nell’inventario vengono ripercorsi alcuni passaggi di proprietà precedenti: in data 04.03.1711 la casa fu assegnata con una delibera della Regia Corte al Capitolo di Cagliari; il Capitolo la cedette con atto del 07.10.1711 al commerciante di Alassio Juan Batta Viale; fino al 1790 appartenne all’eredità Viale, e con atto del 07.09.1790, a seguito della divisione dell’eredità fra Antonio Gimiliano Russuy, Juanuario Demello, e le sorelle Caterina e Maria Anna Viale, fu assegnata al Russuy e al Demello, che la vendettero immediatamente al Ponsillon; il Russuy era genero del Demello, il quale era figlio di Maria Antonia Viale, figlia di Juan Batta.

Dall’inventario citato risulta che la casa Ponsillon confinava di spalle con un giardino che era stato del convento dei Mercedari, poi del mastro conciatore Ignazio Oppus; si tratta della casa 2263, sulla strada Mores: l’ipotesi che si propone è che facessero parte della casa 2263 le aree interne senza numero, tutte o in parte, che arrivavano al cortile 2293 incluso tutto o in parte nella proprietà Ponsiglion.

Una causa iniziata nel 1816, relativa ad alcuni debiti dell’eredità Ponsiglione, fornisce l’elenco dei beni dell’eredità, fra cui è inserita una casa nella strada Pabillonis affittata al sacerdote Nicolò Giangrasso, cappellano nella tonnara di Porto Paglia; non v’è certezza che si tratti della casa 2290, ma è l’unica che risulta in questa strada di proprietà di Pasquale Posiglione e poi dei suoi eredi.

Dopo il 1850 la casa 2290 apparteneva al negoziante Michele Ponsiglioni, figlio di Pasquale e Anna Medail, nato nel 1799; a fine secolo, insieme alla casa 2289, fu abbattuta per permettere l’apertura della via Baille fino alla via Roma. 

Non si ha nessuna altra informazione sull’area interna 2293, nemmeno dal Sommarione dei Fabbricati; nella mappa di metà ‘800 è completamente circondata da altri immobili, mentre nelle mappe di inizio ‘900 si vede che parte di quest’area fu sacrificata per l’apertura della parte meridionale della via Baille.

 

2291     

In un atto del 16.08.1791, relativo alla casa Spetto 2292, è scritto che detta casa, sita “in calle de Tarragona o sea de Pabillonis”, confinava da una parte con la casa Mereu (2294), dall’altra con “almasen de su magestad que dios guarde, e que sirve de quartel de soldados” (2291).

Un altro atto notarile del 30.08.1791 ci fornisce una simile informazione: si tratta dell’inventario dei beni del fu mastro Carlo Mereu, morto il 13.08.1791, nel quale è riportata la stima della casa del Mereu (2294), “coerente alla casa che il mastro falegname Francesco Spetto ha fabbricato di nuovo contro il quartiere dei Reclutanti”; la casa Spetto era la 2292, il quartiere dei reclutanti era quindi la casa 2291.

La stessa informazione proviene dall’inventario Ponsiglion del 1802: la casa Ponsiglion 2290 confinava con il Quartiere dei Reclutanti Sardi.

In atto del novembre 1806, relativo alla casa Spetto 2292, l’unità 2291 è definita “magazzeno della Reale Azienda”.

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 non è stata rintracciata nessuna informazione su questa casa, e il fatto non sorprende, in quanto sono solitamente assenti i riferimenti alle case di proprietà demaniale. 

Vi è in questo caso una fonte più recente del vecchio catasto: in un atto pubblico del 11.11.1885, relativo alla casa 2292, si legge che detta casa della via Saline, “civico numero 17 gia' 23, mappa 2292”, confinava per levante con casa della confraternita dei Genovesi (2294), per maestrale con casa nuova dell'ing. Secondo Ferraris (2291). Riferimenti più chiari alla casa Ferraris sono presenti nel libro di ricordi familiari di Claudia, Franca e Paola Ferraris (anno 2006), dove è evidente che detta casa, che appartenne alla famiglia Ferraris fino al 1936, aveva la facciata piccola sull’attuale via Sardegna, e una facciata lunga con l’ingresso sulla via Baylle, il cui tratto fra la via Sardegna e la via Roma fu aperto a fine ‘800 per l’applicazione del piano regolatore di Gaetano Cima, approvato nel 1861; per l’apertura di questa strada furono demolite la casa 2290 e parte della casa 2289; sicuramente la casa 2291, se non fu demolita e ricostruita interamente, fu oggetto di una “robusta” ristrutturazione.

 

2292     

Con atto notarile del 16.08.1791 i coniugi cagliaritani mastro Francesco Espetto (Spetto) e Vicenta Dias (Diaz) ipotecarono la loro casa, acquistata “costante matrimonio”; il falegname Francesco Spetto, figlio del mastro chirurgo Giuseppe e di Maria Giuseppa Piras, proveniva da Villanova; sposò nel 1763 Vincenza Dias, figlia del mastro Ignazio e di Francesca Murgia, proveniente da Stampace; la loro casa era gravata di un censo di 700 scudi al 6% (con pensione annua di 42 scudi) a favore del dottore in diritto Carlo Maria Carta Sotgiu; con l’atto del 1791 il Gremio dei carpentieri concesse ai coniugi Spetto 800 scudi al 5% (pensione annua 40 scudi), permettendogli di estinguere il debito col Sotgiu. Nel documento vengono riportate interessanti notizie: la casa era quella che i coniugi avevano riedificato a loro spese nel quartiere della Marina nella calle di Tarragona o di Pabillonis, cioè nel “callejon” trasversale che andava verso la chiesa di S.Lucia e confinava “davanti con la casa del quondam negoziante Juan Felipe Pinna, oggi di Maria Anna Pinna sua figlia (casa 2662), e con casa degli eredi dei coniugi Pedro Francisco Eliot (Aliot) e Maria Anna Mulas (casa 2661), detta calle mediante; di spalle con casa del Capitolo (2261, attraverso il cortile); da un lato con magazzino di Sua Maestà, che serve per Quartel dei soldati (2291); dall’altro lato con casa della quondam Caterina Calvy, posseduta oggi dagli eredi del mastro conciatore Carlo Mereu (2294)”; era la stessa casa che, insieme ad altri beni, possedeva il cavalier Agostino Tarragona in quanto proveniente dalla eredità materna e paterna e con atto del notaio Antonio Zara del 05.05.1733 la cedette ai suoi figli, cioè il reverendo canonico Ferdinando, il rettore di Gergei Antonio, Nicolas e Joseph fratelli cavalieri Tarragona (la famiglia Tarragona dette alla strada uno dei nomi con cui era conosciuta). Con divisione del 29.07.1733 la metà di detta casa toccò a Joseph, e l’altra metà al reverendo Antonio, e quest’ultimo la lasciò alla sua morte nel 1746 al fratello Joseph; questi la vendette il 18.03.1758 ai coniugi mastro Francesco Urru e Francesca Selis; Francesco Urru ed i suoi figli (Francesca Selis nel frattempo era evidentemente defunta), con atto del 18.01.1787 la vendettero per 1100 scudi a mastro Francesco Espetto; dopo la vendita del 1758 restò un censo di 700 scudi a favore di Joseph Tarragona, che lo cedette il 25.05.1767 al reverendo Salvatore Angelo Piu, del quale era erede (per testamento del 09.01.1782) il dottor Carlo Maria Carta Sotgiu. Il censo da pagare al Sotgiu venne quindi estinto nel 1791 e se ne accese un altro, con interesse più vantaggioso, a favore del Gremio dei Carpentieri.

In data 09.09.1791 i coniugi Spetto destinarono la casa in calle di Tarragona al patrimonio ecclesiastico del figlio Salvatore, con l’obbligo di corrispondergli annualmente 60 scudi.

Vi sono altre documenti che confermano la proprietà della famiglia Spetto: la casa è citata in due atti del 1791 e del 1792 relativi alla casa confinante del defunto Carlo Mereu, numero 2294; inoltre, nel suo donativo non datato (ma probabilmente del 1799) mastro Francesco Espetto, che abitava in una sua casa della strada del Pagatore, dichiarò di possedere una casa nella calle di Tarragona, composta dal piano terreno, cioè un magazzino affittato a lire 62 e 10 soldi, il primo piano composto da 5 stanze, un’alcova e una piccola stanza, affittato per la stessa cifra, il secondo piano identico al precedente affittato per lire 112 e 10 soldi, ed il terzo piano identico agli altri affittato per lire 125; Spetto dichiarò inoltre che la casa era patrimonio ecclesiastico del figlio sacerdote Salvatore, e dichiarò di pagare un censo di lire 2000 (cioè 800 scudi) al 5% al Gremio dei carpentieri.

In una lista dei beni del Gremio (ASC, SS, ii 1326), datata 18.02.1805, è compresa la pensione di 100 lire che pagavano Francesco Spetto e Vicenta Dias su una casa sita nella strada che va da Sant’Agostino a Santa Lucia.

Il 23.09.1806 morì Vincenza Dias, senza testamento; oltre al marito erano suoi eredi i due figli dei coniugi Spetto-Dias, cioè il sacerdote Salvatore beneficiato di S.Eulalia, e Pasquala premorta alla madre, che aveva sposato il notaio Emmanuele Curgiolu e aveva lasciato un figlio di nome Salvatore (1790-).

Il il 3 novembre Francesco Spetto incaricò il notaio Carlo Franchino Amugà di redigere l’inventario dei beni familiari; i beni mobili dell’eredità furono stimati, dai diversi periti, in lire 2346, soldi 2, denari 3; a questi si doveva aggiungere il valore di due case: una in contrada Pabillonis o di Tarragona (corrispondente al numero catastale 2292), composta da piano terreno e 3 piani alti, che fu stimata in lire 9049, soldi 16, denari 4; l’altra casa aveva due facciate, una sulla strada di Monserrato (numero 2835), con piano terreno e due piani alti, l’altra sulla strada del Pagatore (2837), con piano terreno e un piano alto; era la casa di abitazione e fu stimata in lire 5512, soldi 16, denari 2. 

Il reverendo Salvatore Spetto divenne l’unico proprietario della casa 2292 dopo la morte del padre (fra il 1811 e il 1818), ma evidentemente trascurò di pagare le pensioni, tanto che in una causa civile rintracciata all’Archivio di Stato si legge che il 07.04.1818 fu condannato a pagare al Gremio dei Falegnami le pensioni che il di lui padre mastro Francesco Spetto si era obbligato a pagare con strumento notarile del 16.08.1791, con ipoteca sulla casa grande sita nella Marina e strada di Tarragona o di Pabillonis; con sentenza del 05.11.1818 si stabilì che l’affittuario della casa, il conte di Montesanto don Maurizio Musso, avrebbe dovuto pagare direttamente al Gremio dei falegnami gli affitti della casa dove abitava, di proprietà del reverendo Spetto.

Dai dati catastali di metà ‘800 si legge che la casa 2292 apparteneva in quel periodo all’avvocato e  giudice Giacomo Antonio Rossi e fu poi ceduta al medico Giovanni Floris Coiana.

Nell’atto pubblico del 11.11.1885 già citato nel paragrafo precedente[1], si legge che, per lo scioglimento della società Angelo Fercia, era stata assegnata al cavalier Luigi Murroni fu Gaetano la casa della via Saline, “civico numero 17 gia' 23, mappa 2292”, confinante per levante con casa della confraternita dei Genovesi (2294), per maestrale con casa nuova dell'ing. Secondo Ferraris (2291), a tergo con Deidda maritata Curtis (2261).

Il Murroni, che aveva in effetti acquistato la casa con atto del 04.05.1882, era uno spedizioniere, giudice del Tribunale del Commercio di Cagliari, nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1884, ed era uno degli amministratori del Credito Agricolo Industriale Sardo; come tale fu coinvolto nel fallimento della banca e processato a Sassari nel 1889; il 16 agosto di quell’anno fu assolto dall’accusa di bancarotta [2], ma fu pesantemente coinvolto finanziaramente da quell’episodio, tanto che, dovendo ancora pagare lire 19.840 per l’acquisto della casa, questa gli venne sequestrata in data 07.10.1890.

Due anni più tardi, il 28 settembre 1892, fu eseguito l’esproprio della casa del Murroni a favore dell’avvocato Salvatore Mereu. 



[1] Conservatoria dei beni immobiliari, Luigi Murroni fu Gaetano

[2] furono invece condannati il deputato Pietro Ghiani Mameli, amministratore più importatnte dell’istituto, suo cognato Eugenio Cao, direttore, e alcuni impiegati

 

2293      si veda l’unità 2290 

 


2294     

Era una proprietà del mastro conciatore Carlo Mereu; ce ne dà notizia l’atto del 16.08.1791 relativo alla casa Spetto 2292, che cita la casa confinante (2294) come quella che era della quondam Caterina Calvi, posseduta dagli eredi di mastro Carlo Mereu (-1791).

Il 30 agosto 1791 il notaio Giovanni Agostino Dessy diede inizio alla compilazione dell’inventario dei beni lasciati dal defunto Carlo Mereu, conciatore di Cagliari, richiesto dalla vedova Rita Melis; il Mereu era morto il 13 agosto (tre giorni prima dell’atto della casa Spetto) senza testamento, lasciava 3 figli “pupilli”, cioè minori di 14 anni, chiamati Efisio (12 anni), Nicola (8 anni), Maria Anna (6 anni), dei quali la vedova diventò tutrice e curatrice; con l’intervento dei periti si procedette prima all’inventario e alla stima delle merci (tessuti) che il defunto teneva nella bottega della strada de Sapateros nella Marina, vicino alla casa dove abitava la famiglia; si continuò poi con le merci della conceria, poi con i mobili di casa, il vestiario, le scarpe, gli oggetti d’oro e d’argento, gli oggetti di cucina, i materassi; in data 23.12.1791, il Misuratore Generale Gerolamo Massei stimò la casa sita nella Marina, “nella strada che da Santa Lucia va verso la porta di S.Agostino extra muros” (cioè strada Pabillonis o Tarragona, parte dell’attuale via Sardegna), e la valutò in scudi 1622, reali 4, soldi 4, denari 2, cioè £ 4056, soldi 4, denari 2; venne fatto il conto dei crediti, compresi due crediti di lire 384 e lire 58 che il defunto aveva nei confronti del fratello e del padre, mastri Domenico e Michele Mereu; il conto dei debiti era £ 8227.14.4, fra cui era compreso un censo di lire 2500 al Capitolo e pensioni da pagare per lire 125 l’anno; l’asse ereditario ammontava a £ 2887, soldi 15, denari 7; nella stima del Massei è scritto che la casa era coerente alla casa (2292) che il mastro falegname Francesco Spetto aveva fabbricato ex novo contro il quartiere dei Reclutanti (2291); era composta da un camerone terreno, una camera con forno per il pane francese, un cortile; il primo piano si divideva in un andito, “ossia passadisso”, sala, alcova, camerino, camera che guarda il cortile, cucina, e l’ultimo piano si componeva di un andito, sala, alcova, camera e cucina che guardano verso il cortile.

Con atto del 24.07.1792 la vedova Rita Melis, per suo conto e per conto dei figli pupilli avuti col marito Carlo Mereu, vendette la casa 2294 a Gerolamo Melis della Marina; si trattava di una casa in contrada Pabillonis che i coniugi Mereu Melis avevano comprato da donna Maria Ignazia Cara, moglie del “Magnifico” dottore in diritto don Pasquale Azory, con atto del 12.01.1785; al momento dell’acquisto la casa era in rovina, e i coniugi Mereu ebbero in prestito dal Capitolo, per riattarla, 1000 scudi a censo con interesse al 5%; era una casa di 2 piani, sòttano e piccolo cortile, confinante da un lato con casa del mastro Francesco Espeto (2292), dall’altro lato con casa di S.Eulalia (2295), davanti con casa degli eredi di mastro Antonio Fais (2660) e con altra casa delle sorelle Aliot (2661). Queste informazioni permettono di trovare un collegamento fra i Mereu e la precedente proprietaria, prima nominata, Caterina Calvi: si ha notizia infatti di un dottore in diritto Lorenzo Cara, originario di S. Gavino, coniugato nel 1733 con Caterina Calvo della Marina, figlia di Francesco Calvo e Gertrude Ortu; donna Maria Ignazia Cara era probabilmente una loro figlia.

Il nuovo proprietario, Girolamo Melis, non risulta parente della venditrice Rita Melis; nel donativo del 1807 del Capitolo Cagliaritano venne dichiarata la casa 2261 sulla strada Mores, confinante sul retro con la casa di Gerolamo Melis: dal momento che si è appurato anche da altri documenti che la casa 2261 arrivava col cortile fino alla casa Spetto 2292, è ovvio che una della case confinanti fosse la casa Melis 2294.

Con atto notarile del 12.04.1808 Gerolamo Melis ipotecò la casa della strada Pabillonis, insieme ad altri beni, per garantire il capitale avuto da donna Isabella Lostia: 2000 scudi che gli servivano per eliminare dei pesi caricati su un’altra casa che aveva comprato nel gennaio di quell’anno nella strada Barcellona, che diventò la sua abitazione (2933).

Un altro atto notarile, del 13.04.1811, fornisce altre informazioni sulla casa e sui suoi proprietari; in quella data il negoziante Girolamo Melis ricevette 1000 scudi dal marchese di San Sperate Saturnino Cadello; Melis aveva necessità di denaro per “l’ultimazione di alcuni negozi”, venne pertanto creato un censo per quella somma, con pensione annua di scudi 50, e per garantire il pagamento delle pensioni e la restituzione del capitale il Melis ipotecò alcune sue proprietà: una casa in vicinanza della Porta Stampace, fuori dalla Marina, che aveva ereditato nel 1789 da sua madre Maria Paola Denegri, comprata da suo padre Agostino Melis nel 1785; la sua abitazione, nella strada Barcellona (2933); alcuni beni in Quartucciu, e la casa nella strada Pabillonis (2294), situata fra la casa Spetto (2292) e casa di S.Eulalia (2295), comprata per scudi 1750 dalla vedova Rita Mereu nata Melis, ancora gravata dal peso di scudi 1000 verso il Capitolo, di cui si era fatto carico Carlo Mereu in data 22.06.1787.

Quest’ultimo atto notarile ci permette di identificare esattamente Girolamo Melis: figlio del negoziante Agostino e di Maria Paola Denegri, era nato nel 1758 e aveva sposato nel 1778 Rosolea Alagna.

Dopo il 1850 la casa 2294 apparteneva all’Arciconfraternita di Santa Caterina, cioè dei Genovesi, e il fatto è confermato dall’atto del 1885 relativo al sequestro della casa 2292, nel quale è scritto che quest’ultima confinava per levante con casa della Confraternita dei Genovesi. 

 

 

2295

Nell’atto del 24.07.1792 col quale la vedova Rita Melis vendette la sua casa nella contrada Pabillonis (numero 2294), le case confinanti erano quella di Francesco Espetto (numero 2292) e una casa della Comunità di Sant’Eulalia, identificabile con l’unità numero 2295.

Il 19.08.1799 l’Arciconfraternita di Santa Lucia vendette la casa 2660 a don Onorato Cortese: sull’altro lato della strada Pabillonis c’era la casa 2295, di proprietà della chiesa di S.Eulalia; potrebbe identificarsi con una delle case che, nella denuncia per il donativo del 1799, la comunità di Sant’Eulalia dichiarò di possedere nella strada di Pabillonis; purtroppo non vengono fornite sufficienti indicazioni per poterle identificare con esattezza: erano le case chiamate “Frau”, “Ghidei” e “Mantelli”.

Un atto del dicembre 1808 relativo alla frontale casa 2659 e gli atti del 1808 e del 1811, relativi alla casa 2294, citano la Comunità di Sant’Eulalia come proprietaria della vicina casa 2295.

A metà ‘800 risultava appartenere ancora alla Comunità di S.Eulalia.

 

 

2296     

Le prime informazioni relative a questa unità catastale provengono dall’atto del 1801 con cui Giovanni Bernardi acquistò la casa Tola 2297, e dal successivo atto del 05.05.1803 con cui lo stesso Bernardi ipotecò la sua casa: la casa 2296 in quegli anni era una proprietà del Capitolo Cagliaritano. 

Però, dall’atto del 23 agosto dello stesso 1803, con cui Bernardi vendette la casa 2297, la casa laterale 2296 viene attribuita alla Comunità di Sant’Eulalia; non è stato rintracciato nessun passaggio di proprietà fra il Capitolo a la Comunità, si può anche ipotizzare che la prima attribuzione o la successiva siano delle sviste; sembra che l’attribuzione alla Comunità di Sant’Eulalia sia da considerare corretta: infatti nella denuncia per il Donativo, fatta dal Capitolo nel 1807, non è compresa nessuna proprietà nella strada Pabillonis; infine, dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 appartenesse alla comunità di Sant’Eulalia, come la confinante 2295. 

 

2297     

Nell’inventario dei beni del notaio Agostino Paderi, del 12.12.1788, è scritto che la casa Paderi sulla strada Moras (numero 2259) aveva alle spalle la casa di Anastasio Tola (2297); la stessa informazione è data dall’atto del 05.12.1800 con cui l’Arciconfraternita di Santa Lucia cedette in enfiteusi la casa 2298, che aveva di lato la casa del mastro conciatore Anastasio Tola.

Con atto del notaio Pasquale Angius del 07.03.1801 Anastasio Tola vendette la casa al “Sovraattendente delle Regie Fabbriche” Giovannico Bernardo (o Bernardi); nell’atto è specificato che il Tola aveva acquistato la casa dai “giugali” Girolamo Pala e Maria Giuseppa Virdis di Cagliari, con atto del del notaio Usai Mura del 20.06.1772; era una casa alta composta da 2 piani alti con 3 balconi in ferro, uno grande nel primo e 2 piccoli nel secondo, con un “garboso terrazzo” sopra la casa, un sottano ed un “corrale scoperto”; sulla casa gravava un censo di 600 scudi, di proprietà del Monastero di Santa Lucia.

In data 05.05.1803, Giovanni Bernardi, “Sovrastante ai lavori delle Regie Fabbriche della città di Cagliari”, ottenne 140 scudi a censo dalle sorelle donna Maria Anna, donna Maria Angela e donna Giuseppa Guirisi Buschetti; avrebbe pagato 7 scudi annui di pensione e, per garantire la restituzione del capitale, ipotecò la casa che possedeva nella strada di Pabillonis, alta di due piani e terrazzo e cortile, confinante alle spalle con casa del Capitolo cagliaritano (2261), di lato con altra casa del medesimo Capitolo (2296), e dall’altro lato con la casa che era del fu Antonio Michele Monni e poi dei suoi eredi (2298).

Infine, con atto notarile del 28.08.1803, a rogito del notaio Gioachino Mariano Moreno, il Soprastante delle Regie Fabbriche Juanico Bernardi vendette la casa per 1300 scudi al negoziante cagliaritano Salvatore Melis; era una casa alta composta da due piani e magazzino con la cisterna e 3 balconi di ferro, uno grande e due piccoli, con un cortiletto e una terrazza in alto. 

Un altro atto notarile di poco successivo, relativo alla casa 2658 sull’altro lato della strada, cita la casa 2297 come quella di Salvatore Melis, appartenente in passato al mastro conciatore Francesco Pitzalis e dei suoi eredi; non si hanno notizie di questo conciatore, che è presumibilmente un proprietario precedente quelli già citati del 1772; questi ultimi, coniugi Pala-Virdis, potrebbero forse essere gli eredi del mastro Pitzalis ma non se ne ha conferma.

Del Sovrastante Bernardi non si hanno altre notizie, è possibile che sia partito da Cagliari dopo aver venduto l’immobile.

Nell’atto del 14.10.1811 con cui la casa Paderi 2259 venne concessa in enfiteusi, è scritto che alle sue spalle vi era la casa del negoziante Salvatore Melis. 

Dopo il 1850, secondo il Sommarione dei Fabbricati, la casa 2297 apparteneva al Gremio di SanElmo.

 

2298     

Una causa civile iniziata nel 1761 e due atti notarili del 1781 forniscono molte informazioni su questa casa:

era composta da due piani alti, una bottega, un pozzo; apparteneva fino al 1741 ai coniugi patron Carlos Graciano e Maria Loy; fu venduta all’asta in quell’anno per 320 scudi ai coniugi Antonio Miguel Monny di Bitti e Maria Clara Matta, coniugati nel 1726 “alla sardesca”; Maria Clara Matta morì lasciando testamento del 31.03.1758, nominando erede l’unica figlia Teresa Monni; Antonio Michele Monni morì poco tempo dopo e, nel suo testamento, datato 27.09.1759, fu nominata esecutrice la seconda moglie Maria Antonia Degiorgi (sposata il 23.11.1758), ed erede universale la figlia Teresa; quest’ultima, col marito Gaetano Rolando, nel 1761 citò in giudizio Maria Antonia Degiorgi, in quanto questa le impediva di entrare in possesso dell’eredità materna e paterna. Teresa rimase vedova (fra il 1764 e il 1766) e si risposò col notaio Pasquale Perci (o Persi); entrata finalmente in possesso della casa, morì il 03.12.1780 e, nel suo testamento del 2 dicembre, lasciò usufruttuario il marito, e proprietaria della casa la chiesa di Santa Lucia.

Era stata una volontà di suo padre che la casa venisse lasciata alla chiesa di Santa Lucia se la figlia Teresa non avesse avuto figli, egli però poteva disporre solo della metà della casa, perchè l’altra spettava alla moglie, in quanto i coniugi erano sposati “alla sardesca”; inoltre il testamento di Teresa Monni venne impugnato dai parenti più vicini, cioè il notaio Lorenzo Monni e i fratelli Antonietti (il reverendo Gaetano, Joseph Antonio, il suddiacono Sadorro e il notaio Stanislao), in quanto Teresa Monni non sapeva scrivere e sarebbero occorsi per il suo testamento più testimoni e non i soli due che erano intervenuti.

La casa venne in un primo momento assegnata dal tribunale per metà al notaio Persi, e per metà agli eredi Monni e Antonietti; nel 1781 si giunse poi a un accordo con la chiesa di Santa Lucia, che rinunciò a tutti i beni mobili della defunta, e gli eredi cedettero la casa alla chiesa e confraternita, col rimborso delle spese che il notaio Perci aveva affrontato per migliorarla e aggiustarla.

La casa Monni, poi di Santa Lucia, con due facciate all’angolo fra le strade Moras e Pabillonis, è identificata con l’unità 2298 grazie ai documenti successivi.

Nell’inventario dei beni del notaio Agustin Paderi, del 12.12.1788, risulta che la casa del Paderi nella strada Moras, numero 2259, avesse davanti la casa della vedova di Juan Fulcher (2629), alla spalle la casa di Anastasio Tola (2297), da una lato una casa di S.Lucia (2298) e sull’altro lato la casa del "panataro" monsieur Charle (2260).

Nel suo donativo del 1799 l’Arciconfraternita di Santa Lucia dichiarò di possedere una casa nella strada di Pabillonis formata dal piano terreno e 2 piani alti; il primo piano aveva una sala e l’alcova, in alto c’era la cucina; era affittata per 38 scudi annui.

Con atto notarile del 05.12.1800 i guardiani dell’Arciconfraternita cedettero la casa in enfiteusi perpetua al mastro bottaio Gerolamo Cocco: sita in calle di Pabillonis, con un sòttano, un piano alto e un mezzo piano, nell’atto è specificato che era stata ceduta all’Arciconfraternita a seguito di un accordo con i notai Lorenzo Monni e Pasquale Persi del 18.01.1781; Gerolamo Cocco, figlio del bottaro Avendrace Cocco, abitava già la casa da qualche tempo.

Negli atti del 1803 relativi alla casa 2297, la casa 2298 viene detta una prima volta “del fu Antonio Michele Monni ed oggi dei suoi eredi”, la volta successiva “della quondam Teresa Monni e oggi di mastro Geronimo Cocco, con il dominio diretto della Confraternita di S.Lucia”.

Nel suo donativo del 16.08.1807, Marianna Pinna, moglie di Paolo Maurizio Arthermalle, denunciò una proprietà fra le strade di Barcellona e Moras; la sua casa, identificata con sicurezza con l’unità 2628, aveva la facciata principale nella strada Barcellona, e sul retro, dalla parte della strada Moras, aveva di fronte la casa del mastro Girolamo Cocco (2298).

Con atto del 14.10.1811 venne concessa in enfiteusi la casa della strada Moras appartenente alla eredità del notaio Agostino Paderi (casa 2259); confinava lateralmente con la casa del mastro bottaro Girolamo Cau (recte Cocco). 

Dal Sommarione dei fabbricati del 1854 risulta che appartenesse ancora alla Arciconfraternita di Santa Lucia che, aldilà dell’enfiteusi concessa al Cocco nel 1800, ne aveva conservato la proprietà.