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Isolato X1: vico S.Eulalia/Mores/Gesus/Barcellona

(via Sicilia, via Napoli, via Cavour, via Barcellona)

numeri catastali da 2921 a 2927

l’isolato è rimasto integro: non si segnalano modifiche sostanziali rispetto alla situazione di 200 anni fa; da notare la facciata unica, settecentesca, della case 2925 e 2926, casa Rapallo.

 

 

2921

Nell’atto già citato del 01.10.1792, relativo alla vendita della casa 2912, si legge che detta casa, sita nella strada di Barcellona, aveva davanti “strada per mezzo” la casa (2921) “che era del fu Francesco Curreli, poi di suo figlio Agustin (recte Angelo) Curreli procuratore fiscale Regio, e oggi la possiede Antonio Busu negoziante” (vale a dire Buso, cognome ligure presente a Cagliari con diverse famiglie).

In data 25.02.1797 Antonio Buso assegnò alla figlia Suor Juanica Busu, già da alcuni anni nel Monastero di S.Chiara, 200 scudi di proprietà sopra la casa grande che egli possedeva e abitava nella strada di Barcellona; tale somma serviva da “parafreno”[1] alla suora; la casa aveva l’entrata nel viottolo che conduceva dalla strada di Barcellona a quella di S.Agostino (attuale via Sicilia), ed aveva davanti la casa degli eredi del fu Agustin Angel Cossu Racis (2936), “detto viottolo mediante”; sulla strada di Barcellona aveva davanti la casa del poticario Antonio Pablo Soddu (2912) (che però aveva già venduto la sua proprietà al genero), da un lato confinava con una casa della causa pia di S.Eulalia (2927), dall’altro lato con una casa che era dei Padri Gesuiti (2922).

Altri 4 atti del 1797 e del 1798, tre dei quali relativi alla casa Soddu/Manca (2912), l’altro relativo alla casa Cossu (2936) confermano quanto detto, senza aggiungere altre notizie.

Con atto notarile del 25.12.1798, Emanuele Busu, come procuratore di suo padre negoziante Antonio Busu, vendette la casa 2921 al negoziante Antonio Carneglia: “Antonio Busu è 3 anni circa paralitico ed abita da circa un anno per consiglio medico nella villa di Sinnai; ha diversi debiti, cioè lire sarde 1600 per le spese della tonnara delle saline, interessi da pagare ad Onorato Cortese e al socio Pietro Scoffiè, scudi 100 al Capitolo per la pensione del censo (atto del 13.08.1777) di scudi 2000 sopra la casa nella strada di Barcellona che è l’unico bene che ora possiede; inoltre deve pagare 24 scudi all’anno per il parafreno delle figlie monache di S. Chiara suor Maria Antonia e Giovannica; la casa non copre tutti i debiti e pertanto vuole venderla; è affittata a Efisio Esteria (Steria) per la bottega grande e i mezzanelli, mentre lo speziale Francesco Mazzuzzi abita l’ultimo piano“; viene quindi venduta ad Antonio Carneglia “la casa grande sita nella strada di Barcellona, che ha due facciate, una alla detta strada l’altra al viottolo che collega la via Barcellona con la via Mores (cioè via Sicilia), e si compone di due botteghe, sotterraneo e mezzanelli, ultimo piano con sala e camera da ricevere, altra da dormire, gabinetto, cucina, camera sopra la cucina, un mezzo solaio, due cisterne, pozzo.

La casa è la stessa che Antonio Busu comprò dalla vedova Maria Antonia Rustarello come erede del marito Angelo Curreli procuratore fiscale regio, con atto del notaio Giò Francesco Picci del 22.05.1757”.

Nel suo donativo del 16.06.1799 Antonio Carneglia dichiarò di possedere una casa nella strada di Barcellona composta da 2 botteghe al piano terreno; il primo piano era affittato insieme a una bottega per lire 225, il secondo piano affittato con l’altra bottega per lire 150; Carneglia pagava una pensione di lire 250 annue all’Economato della Primaziale per un censo di £ 5000.

Altri atti notarili del 1801, del 1802 e del 1803, relativi alla casa 2912 e alla casa 2922, confermano la proprietà Carneglia.

Antonio Carneglia, coniugato con Francesca Arthemalle Rapallo, morì senza aver fatto testamento il 22.03.1806 lasciando 3 figli, Giovanni, Rosa e Paolo Carneglia Arthemalle; il più grande era nato nel 1802; il 07.05.1806 il notaio Carlo Franchino Amugà diede avvio all’inventario dei beni del defunto, su richiesta della vedova, curatrice e tutrice dei figli, con l’intervento del negoziante Francesco Piccaluga che, con decreto del 30 aprile, l’assisteva nell’amministrazione dei beni ereditari; si iniziò con l’inventario delle merci della bottega di tessuti, stimate in lire 12887; si passò poi agli oggetti dell’abitazione, alla casa di proprietà, ai crediti e debiti e al denaro contante: il totale dell’eredità fu stimato in lire 27544, soldi 12 e denari 8. Non fu eseguita una nuova stima della casa nella strada di Barcellona (che nel frattempo era diventata l’abitazione della famiglia), in quanto non era stata modificata in nulla da quando era stata comprata: fu quindi considerato il prezzo d’acquisto di lire 9009, soldi 1 e denari 10; era però gravata da un censo di lire 5000 di proprietà del Capitolo, e da un altro di lire 1000 verso le Monache Clarisse suor Antonia e Giovannica Busu, figlie del precedente proprietario; un censo di lire 2375.15.2, di proprietà del Cavalier Don Onorato Cortese, era stato invece pagato completamente nel giugno 1799.

Con atto notarile del 30.07.1806 Francesca Arthemalle vendette una bottega di merci con i suoi attrezzi [2] al negoziante genovese Francesco Piccaluga.

Nel 1808 la vedova Carneglia abitava nella strada di Barcellona e ospitava nella sua casa il “maiolo” Giovanni Dessy di Nurri; da atti notarili del dicembre 1810 e del gennaio 1811 la casa, già di Antonio Busu, risulta ancora degli eredi Carneglia.

Nell’elenco dei capi famiglia della Marina del 1819[3], Francesca Arthemalle vedova Carneglia ha un nucleo familiare composto da 3 adulti (cioè sopra i 14 anni); la figlia Rosa proprio in quell’anno aveva sposato Antonio Rocca.

Dopo il 1850 la casa apparteneva a Francesca Melly vedova Thorel; dovrebbe essere la stessa casa dove nel 1838 morì il commerciante francese Antoine Charles Thorel, marito di Francesca Melly, e dove la vedova visse almeno sino al 1842; dopo tale data la famiglia si trasferì nella via Lamarmora[4].



[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti

[2] la vendita riguardava il solo esercizio commerciale, non includeva il locale della bottega; questo si trovava in una casa della contrada Barcellona, certamente della stessa casa 2921; nel 1812 la bottega venne ceduta da Francesco Piccaluga al figlio Filippo

[3] ASC SS serie II vol. 1283, c. 61

[4] Storie di Francesi nella Sardegna Sabauda, di Sara Cossu, edizioni Grafica del Parteolla; pag. 76.

 

2922     

La citazione più vecchia rintracciata per questa casa è del 23.09.1782: si trova nell’inventario dei beni del defunto Francesco Rapallo che aveva posseduto e abitato una grande casa comprendente le unità catastali 2925, 2926 e parte della unità 2923; di fianco a quest’ultima si trovava la casa del commerciante francese Juan Jaime Godot (-1789), il cui cognome veniva scritto anche Goddò o addirittura Coda.

Con atto notarile del 24.11.1796, Francesco Laurero Morvillo firmò una donazione a favore del notaio Francesco Rolando: Laurero motivò la donazione, raccontando che Francesco Rolando era suo “compadre”, e lo aveva assistito al tempo dell’invasione dei francesi, quando era stato abbandonato dai suoi stessi servitori; abitava nella strada della Costa (casa 2731), e non poteva uscire di casa in quanto non era più in grado di camminare; Rolando lo portò nella sua casa dalla quale poi (a causa dei Francesi) dovette scappare con tutta la sua famiglia, e col Laurero andarono alla chiesa di San Mauro in Villanova, nel convento degli Osservanti; qui rimasero un mese e mezzo, fino a che finì la guerra francese, e il Rolando poté riaccomodare la sua casa danneggiata dalle bombe francesi; non gli fece mancare nulla, né cibo né fuoco né assistenza; pertanto Francesco Laurero Morvillo donò a Francesco Rolando 12 scudi di cui disporre al momento della sua morte, un campo e una vigna siti in territorio denominato di Santa Teresa, alle spalle della chiesa di San Benedetto, provenienti dalla eredità di Geltrude Jaina (morta il 07.04.1729), e gli donò la casa (o meglio i diritti che aveva sulla casa) sita nella calle di Barcellona, che gli era arrivata dalla stessa eredità di Geltrude Jaina, casa abitata nel 1796 dalla vedova Maria Antonia Mallony Godò la quale pagava 58 scudi annui; in particolare venne donato al notaio Rolando il capitale caricato sulla casa, con pensione che pagava l’azienda ex-gesuitica alla eredità Jaina, e anche il capitale e corrispondente pensione denominata di Giorgio (da identificare probabilmente col cavaliere Francesco Giorgi).

Non ci sono informazioni utili, in quest’atto del 1796, per identificare la casa in questione, ma da l’atto del 1782 e da altri successivi si sa che era la casa 2922 quella dove abitava Maria Antonia Mallony, vedova di Giovanni Giacomo Godot.

Geltrude Jaina (-1729) e Francesco Giorgi furono i benefattori che permisero la edificazione della chiesa di Santa Teresa con le loro ricche donazioni seicentesche e settecentesche; la casa sulla quale erano caricati i loro capitali apparteneva ai Padri Gesuiti che pagavano le due pensioni all’erede Francesco Laurero Morvillo. 

Non è del tutto chiaro se Godot e la sua vedova fossero solamente inquilini o avessero avuto anche una parte di proprietà: è probabile che ne fossero proprietari, o enfiteuti, e che dopo la morte del Godot, nel 1789, la proprietà sia stata ceduta tutta o in parte ai Padri Gesuiti, unitamente ai censi caricati sulla casa, per i quali si continuava a pagare le pensioni a Francesco Laurero Morvillo; per diversi anni la vedova Mallony (o Maglioni) continuò ad abitare la casa e pagava 58 scudi annui, o per affitto o per un censo di cui si era onerata.

In atto del 25.02.1797, relativo alla casa Busu numero 2921, la proprietà 2922 è citata come “casa che era dei RR.PP. Gesuiti”. In atto del 29.08.1798, relativo alla casa Sciaccaluga 2916, si legge che di fronte c’era “la casa dell’azienda ex gesuitica, strada di Barcellona mediante”; la stessa informazione si ha dall’atto del dicembre 1798, già citato nel paragrafo precedente, con cui Antonio ed Emanuele Busu cedettero la loro casa ad Antonio Carneglia.

In atto del 12.08.1799 relativo alla casa 2923, detta casa confinava di fianco con casa del fu Giacomo Godot, identificabile con la casa 2922; quest’ultima attribuzione permette di “chiudere il cerchio” con quanto si legge nel citato atto di donazione di Francesco Laurero Morvillo del 1796.

A conferma di quanto detto, con atto notarile del 26.05.1802, Maria Antonia Maglioni vedova Godot affittò una bottega della sua casa nella Marina e strada di Barcellona al parrucchiere Giammaria Trucciu; la bottega “confina da una parte con casa del negoziante Antonio Carneglia (2921), dall’altra con casa degli eredi del fu Francesco Rapallo (2923 parte alta)”.

Con atto notarile del 25.11.1803 l’abate e canonico don Filiberto Malliano, Regio Economo della Regia Azienda Ex-gesuitica, concesse in locazione la casa 2922 a don Francesco Rapallo, figlio dell’omonimo e defunto don Francesco, già proprietario della casa confinante; l’affitto venne concordato per 6 anni, al prezzo di 200 scudi annui da pagare a mezze annate anticipate; Rapallo si impegnò a farsi carico della manutenzione ordinaria e delle piccole riparazioni; nel documento non è citata la vedova Malliony, che forse nel frattempo aveva abbandonato la casa[1].

Dopo il 1850 la casa 2922 apparteneva a don Francesco Rapallo (1777-), tesoriere del Monte di Riscatto.



[1] Maria Antonia Maglioni, morta nel 1809, già da alcuni anni prima del 1806 viveva in casa di Agostino Arthemalle, nipote del suo defunto marito Gio Giacomo Goddò,   nella strada Barcellona, numero catastale 2956.  

 

2923, 2924, 2925, 2926

Si è scelto di trattare insieme queste 4 unità catastali a causa degli intrecci di proprietari comuni, susseguitisi nel corso degli anni.

L’unità catastale 2923 della mappa catastale di metà ‘800 era in precedenza divisa in due unità diverse (con linea di divisione parallela alla strada Gesus, perpendicolare alla strada Barcellona); la parte più a nord (parte “a”) derivava a sua volta dalla fusione di più case.

La casa 2925 ha avuto una successione di proprietari comune per molti anni con l’unità 2923/a, mentre la casa 2924 ha avuto proprietari in comune con l’unità 2923/b; a metà ‘800 le due metà dell’unità 2923 risultano unite, e le case 2924 2925 e 2926, pur distinte nel catasto, erano dello stesso proprietario. 

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2923/b e 2924:

la prima citazione che si ha della casa 2923 è del 1768, quando la casa del defunto Lazzaro Linaro (2920) venne venduta all’asta al chirurgo Giuseppe Racca; quest’ultima casa aveva davanti, sull’altro lato della strada Barcellona, una casa dei Padri Domenicani che era prima del fu “magnifico dottore giudicedon Joseph Buso (2923).

Solo dagli atti successivi si apprende che la grande unità 2923 era divisa in due parti; entrambe con facciata sulla strada Barcellona, la più bassa all’angolo con la strada Gesus, ed è quest’ultima che apparteneva nel 1767 ai Padri Domenicani.

Da una causa civile iniziata nel 1800 si hanno le seguenti informazioni:

il 30.06.1769 la Comunità dei Padri Domenicani vendette per 2000 scudi al genovese Pablo Moresqui tutta quella casa (2923/b, cioè la parte bassa) con due cortili interni, due piani alti, e la cisterna, sita in calle di Barcellona, che abitava don Joseph Guillini console inglese; sulla casa fu caricato un censo, con una pensione che Moreschi pagava ai Padri Domenicani; il Moreschi cedette la casa al negoziante Lorenzo Laxè (o Leger) Artemalle il 28.07.1772; l’Arthemalle in data 14.03.1782 fu costretto a estinguere il censo verso i Padri Domenicani e per farlo ricevette da Caterina Denegri vedova Rapallo la somma di scudi 2000, con ipoteca sulla casa stessa sita in contrada di Barcellona e confinante davanti, mediante la strada di Barcellona, con le case Racca (2920) e Mazzuzzi (2919); di spalle confinava con casa che possedeva in precedenza Juan Felipe Pinna e poi il medesimo Arthemalle (2924), da un lato con casa che era stata del fu don Joseph Guillini, poi del reverendo, cavaliere e canonico Angel Maria Carta, poi di don Francesco Rapallo ed infine degli eredi Rapallo (2923 parte alta), e dall’altro lato, mediante la strada traversa (cioè la strada Gesus), con la casa Lay (2635,2636,2637); da notare che il citato don Joseph Guillini risulta fosse proprietario della prima parte della casa 2923, e che avesse abitato anche nella seconda parte; è possibile che le due metà facessero in precedenza parte di un’unica proprietà Guillini.

Nella stesso anno 1782 Arthemalle ipotecò anche l’altra casa che possedeva nella strada Moras (casa 2924), formata da un patio, un piano alto, e un “sòttano”, con una grotta contigua, e confinava davanti con casa dell’eredità Sedilo (2649), di spalle con la precedente casa dello stesso Artemalle (2923 parte II), da un lato con casa che era del defunto don Francesco Rapallo e poi dei suoi eredi (2925), e dall’altro lato, strada mediante, con la casa Lai (2635,2636,2637); la casa 2924 era quella che il negoziante Juan Felipe Pinna aveva venduto all’Artemalle con atto del notaio Nicola Murroni del 24.07.1773.

 

La causa del 1800, da cui provengono le precedenti informazioni, venne avviata dai fratelli Rapallo, figli ed eredi di don Francesco Rapallo e di donna Caterina Denegri, in quanto l’Arthemalle doveva pagare molte pensioni arretrate sul censo di 2000 scudi del 1782.

In data 19.08.1792 Lorenzo Laxer Arthemalle ipotecò ancora entrambe le case (2923 parte bassa e 2924), considerate ormai come una sola, con facciate nelle strade di Moras e di Barcellona, per garantire la restituzione di un prestito ottenuto dai suoi nipoti Raffaele e Pietro Crobu Arthemalle, figli di una sua cugina.

Nel suo donativo del 24.06.1799 Arthemalle dichiarò di possedere una casa fra le strada di Barcellona e Moras, composta da 2 botteghe, 2 magazzini, 2 piani alti, con 7 stanze per piano; utilizzava la casa come sua abitazione, e affittandola ne avrebbe ricavato scudi 200 annui; doveva però pagare scudi 100 agli eredi Rapallo (per i 2000 scudi ottenuti al 5% da Caterina Denegri) e scudi 40 al reverendo canonico Brandino (per un censo a favore dell’azienda ex-gesuitica).

Con atto notarile del 23.12.1800 Lorenzo Leger Arthemalle cedette “un corpo di case” ai signori cavalieri Rapallo, cioè don Giambattista, don Luigi (tenente nel corpo dei Dragoni leggeri), don Vincenzo, don Francesco, e suor Maria Tommasa del Monastero di S.Caterina da Siena (e per essa a don Giuseppe Rapallo suo zio, cessionario dei beni della nipote suora), e a don Giuseppe Angelo Viale; i fratelli Rapallo erano figli della defunta Caterina Denegri e nella loro porzione ereditaria avevano avuto il diritto sul censo di 2000 scudi che pagava Arthemalle, dopo la divisione dell’eredità materna del 06.02.1792; una parte del censo era stato lasciato in eredità da Caterina Denegri a suo fratello reverendo dottor Giuseppe Denegri, morto nel settembre 1792, il quale nel suo testamento aveva nominato erede universale il nipote avvocato Giuseppe Angelo Viale, figlio dell’altra sorella Pasquala Denegri.

Lorenzo Leger Artemalle, indebitato anche per diverse pensioni annue non pagate, per un totale di 2775 scudi, propose quindi ai suoi creditori la cessione della casa ipotecata, col patto che gli accordassero 3 mesi per evacuarla; i Rapallo comprarono la proprietà per 3000 scudi, nonostante il misuratore Massei l’avesse avvalorata in 2486 scudi, 4 reali, 2 soldi, e 6 denari.

La casa venduta era solo quella sulla strada Barcellona (2923 parte bassa), mentre l’Artemalle si tenne la casa piccola sulla strada Moras, 2924; la parte venduta era composta da 8 stanze, cioè 4 in ogni piano, un terrazzo e due botteghe.
Lo stesso giorno (23.12.1800) i compratori Rapallo e il loro cugino cavaliere e avvocato Giuseppe Angelo Viale vendettero la casa appena comprata (2923 parte bassa) per lo stesso prezzo (3000 scudi) allo speziale Francesco Mazzuzzi.

Il Mazzuzzi, con atto notarile del 24.09.1801 si accordò col muratore Antonio Pilloni per riedificare la casa (2923/b), di cui voleva ricostruire la facciata e le muraglie interne, realizzare due ingressi, uno per piano, e ricostruire l’angolo che dava alla casa Gorlero (2635) con cantoni di pietra forte, fino a 4 palmi d’altezza. Per far fronte alle spese, Francesco Mazzuzzi il 13.10.1801 ipotecò l’immobile, ottenendo 1400 scudi a censo onerativo dal medico dottor Pietro Alciator [1].

Intanto Lorenzo Leger Arthemalle dal 1801 era in causa col mastro e negoziante Sebastiano Puddu che voleva essere pagato per i materiali forniti per alcuni lavori che erano stati eseguiti nella casa dell’Arthemalle; la causa si protrasse per molti anni; nel 1805 testimoniò Francesco Mazzuzzi, ormai proprietario della parte maggiore della casa ex-Arthemalle, e affermò che l’Arthemalle abitava ormai in una casa (2924) attigua alla sua (2923 parte bassa), era diventato povero, viveva con 11 o 12 figli e la moglie, e doveva pagare una pensione all’azienda ex gesuitica di 40 scudi annui, per un censo di scudi 800; la casa 2924 dell’Arthemalle aveva 3 piani alti e il terreno, in ogni piano vi erano tre stanze ed il vano scala; nel piano terreno due stanze erano unite a formarne una, per cui vi erano una stanza grande ed una piccola.

Con atto notarile del 02.08.1803 il negoziante Lorenzo Leger Artemaglia (sic), perennemente in difficoltà economiche, firmò un accordò col negoziante Antonio Maria Moci: quest’ultimo aveva già in affitto i due sottani della casa dell’Arthemalle (2924), per uno pagava 40 scudi annui, per l’altro 32, ed aveva già pagato per entrambi fino al gennaio 1804; Arthemalle doveva assolutamente pagare due pensioni annue già scadute al Ricevitore Generale dei legati pii dell’azienda Exgesuitica, per un totale di 80 scudi; per cui propose al Moci l’affitto per 3 anni, a partire dal gennaio 1804 e per 90 scudi anticipati, dei due locali della sua casa della strada Moras. 

Nel 1804 una bottega della casa Mazzuzzi era occupata da una rivendita di merci di proprietà dell’avvocato e commendatore Giuseppe Carta di Oristano; la bottega era gestita da Paolo Usai e, dopo una stima del loro valore in lire 9847, soldi 4 e denari 5, il commendator Carta decise di cederle per il prezzo d’estimo allo speziale Mazzuzzi, cosa che venne fatta con atto del notaio Lucifero Cabony del 03.01.1805.

Nel 1808 Francesco Mazzuzzi ospitava nella sua abitazione della strada Barcellona il maiolo Antonio Frau di Serrenti.

Dalle carte della causa prima citata (fra Arthemalle e Puddu) si viene a sapere che nel 1811 Lorenzo Leger Arthemalle (1748-1836) aveva già venduto anche la casa 2924 a don Francesco Rapallo (proprietario, in quell’anno, delle unità 2925, 2926 e 2923/a); la vendita della casa 2924 è stata rintracciata fra gli atti notarili insinuati, volume di aprile del 1811, ed è datata 11.04.1811; era composta di 3 piani, cioè due piani alti ed il terreno, ed un “soffietto” (un attico?); il piano terreno comprendeva 2 magazzini, i primo piano superiore 2 stanze, il secondo 2 stanze ed un "ristretto", e nel soffietto c’era la cucina; l’ingresso era nella strada stretta, proseguo della strada Gesus, che dalla strada Moras portava alla strada Barcellona; all’Arthemalle fu garantito l’affitto della casa, con esclusione dei magazzini, per la durata della sua vita e di quella di sua moglie Rosa Rapallo[2]; Lorenzo Leger Arthemalle, nato nel 1748, morì nel 1836.

In data 05.12.1811 Francesco Mazzuzzi ottenne un prestito di 1000 scudi da Maria Antonia Alciator, e ipotecò un’altra volta la casa sulla strada Barcellona, la medesima comprata dai fratelli Rapallo

Nel 1827 ebbe inizio una causa civile fra gli eredi del medico Pietro Alciator e gli eredi dello speziale Francesco Mazzuzzi: la lite riguardava il debito che Mazzuzzi aveva contratto con Alciator nell’ottobre del 1801, ereditato da Maria Antonia Alciator sorella di Pietro, e il debito contratto direttamente con Maria Antonia Alciator nel 1811; entrambi i crediti erano stati divisi da Maria Antonia fra diversi eredi, con testamento del 30.06.1821: la nipote Rita Fanari figlia della sorella Caterina, il nipote Gavino Pes figlio della sorella Raimonda, la stessa sorella Raimonda, la Comunità di Sant’Eulalia, e Antonia e Francesca Carta, figlie della serva Paola Rais.

Gli eredi Mazzuzzi nel 1827 possedevano ancora la casa su cui era caricato i censi; erano Rosa Auger vedova dello speziale Francesco Mazzuzzi, tutrice e curatrice dei suoi nipoti Maria, Rosa, Barbara, Ignazio e Luigi fratelli e sorelle Cadeddu, figli della defunta figlia Ignazia Mazzuzzi (1778-1813) e del dottor Luigi Cadeddu[3]; la vedova Rosa Auger Mazzuzzi morì il 01.10.1827. 

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2923/a, 2925,2926:

In data 13.11.1781 morì nella sua abitazione della strada Moras il mercante Francesco Rapallo (diventato don Francesco Rapallo nel 1787, con diploma postumo di nobiltà e cavalierato ereditario); ammalato da qualche tempo, ma sano di mente, fece appena in tempo a dettare le sue ultime volontà al notaio Giovanni Battista Melis; il giorno 14 il notaio, chiamato dalla vedova Caterina Denegri, si recò nella casa del defunto per disigillare e leggere il testamento [4], alla presenza della stessa vedova e dei testimoni che il giorno prima erano stati presenti alla consegna: Antonio Pittaluga, mastro Francesco Espetto, Domenico Battilana, Giovanni Bayu Cadello, Bartolomeo Pichedda, Pietro Antioco Puddu e Francesco Marongiu; tutti avevano firmato il documento, con l’eccezione di mastro Francesco Espetto (o Spetto) che non sapeva scrivere.

Il testatore aveva lasciato disposizione di essere sepolto nell’Oratorio della Santissima Vergine d’Itria (nella strada di Sant’Agostino, unità catastale 2320, di fianco alla chiesa); aveva poi ordinato che, a spese della sua eredità, si continuasse a pagare e mantenere in casa il Pedagogo che seguiva l’istruzione dei suoi figli, tutti minori, pagandogli il vitto e il vestiario; nominò curatori della eredità la moglie e il fratello Giuseppe Rapallo; nominò eredi universali tutti i figli: Eulalia (22 anni), Antonico (20), Domingo (19), Pepico (14), Maria Annica (11), Batistino (9?), Chicha (7), Luis (5), Chichu (4), Vicentico (3) e Thomasico (1).

Il notaio chiese ufficialmente alla vedova se accettava il ruolo di Curatrice dell’eredità: la donna accettò ma non potè firmare per non saperlo fare, e firmarono i testimoni Giovanni Battista Gastaldi e Antonio Pittaluga. Per lo stesso motivo il notaio si recò allora alla abitazione di Giuseppe Rapallo, nella strada della Costa (casa 2391): anch’egli accettò il ruolo di Curatore e firmò, unitamente ai due testimoni.

Da quest’ultimo documento non sarebbe possibile identificare la casa Rapallo; ma nel settembre dell’anno successivo fu completato l’inventario dei beni ereditari, mobili e immobili; fra questi ultimi fu elencata la casa di abitazione della famiglia, con menzione delle proprietà confinanti; fu valutata dal perito Carlo Maino, Svizzero di Lugano, in lire 35249, soldi 6 e denari 8. Dalle informazioni fornite nell’inventario, e dai documenti successivi, si deduce che la casa del defunto comprendeva le unità 2925, 2926 e la parte più a nord dell’unità 2923; era una grande casa, composta da vari piani, aveva la facciata principale e l’ingresso nella strada di Moras e aveva un’altra facciata nella strada Barcellona (2923/a) dalla quale si accedeva a un magazzino.

Nel donativo datato 22.06.1799, presentato dal cavalier don Giuseppe Rapallo come curatore dei suoi nipoti, figli del fratello don Francesco Rapallo (morto nel 1781), è dichiarata una casa sulla strada di Barcellona composta da 2 botteghe e 3 piani con 17 stanze in tutto; la casa era abitata dagli eredi, e poteva rendere lire 606 e 5 soldi.
Con atto notarile del 12.08.1799 il nobile don Luigi Rapallo, uno dei figli del defunto don Francesco, vendette per scudi 850, a suo cognato negoziante Paolo Batta Mariotti, 2 porzioni della casa (2923 parte alta, 2925, 2926); si trattava delle porzioni paterna e legittima materna spettantigli nella medesima casa; si tenne per sé un’altra porzione pervenutagli per via materna indipendente dalla eredità legittima; il Mariotti aveva già comprato alcune altre porzioni da altri suoi cognati, e gli spettava una porzione da sua moglie donna Eulalia Rapallo. Nell’atto è specificato che la casa era stata riedificata dal fu don Francesco Rapallo, in modo da formare un’unica casa, da diverse case contigue “come appare dai tettoli esistenti”. I confini erano i seguenti: dalla parte della strada di Barcellona aveva davanti le case Martini (2917) e Gorlero (2919); dalla parte della strada di Moras aveva le case Pintor (2647) e Sedilo (2648); da un lato confinava con le case Godò (2922) e di S.Eulalia (2927), sull’altro lato con la proprietà del negoziante Lorenzo Leger Arthemalle (2923/b e 2924).

Con atti notarili del 25.11.1802, donna Eulalia Rapallo e suo marito Paolo Batta Mariotti vendettero ai fratelli e cognati don Francisco, don Vissente, don Batta, e don Thomas Rapallo, tutte le porzioni della vasta casa (comprendente parte dell’unità catastale 2923 e le unità 2925 e 2926) in loro possesso; in particolare donna Eulalia possedeva la porzione ereditata dopo la morte del padre e due piccole porzioni avute dopo la morte della madre, la quale possedeva le porzioni dei predefunti suoi figli don Antonio e don Giuseppe Rapallo; la proprietà di donna Eulalia ammontava a lire 3412 soldi 3 denari 7; per parte sua, il negoziante Pablo Batta Mariotti possedeva due porzioni acquistate dai cognati don Luigi e don Juan Batta Rapallo, due porzioni acquistate dal cognato don reverendo Domenico Rapallo nel febbraio 1791, più un’altra piccola parte di 50 scudi acquistata nell’agosto 1793, per un totale di scudi 3450, cioè lire 8625.

In data 31.01.1804, con atto del notaio Giovanni Agostino Ligas, i fratelli Don Tommaso e Don Vincenzo Rapallo, figli del fu negoziante Don Francesco, si accordarono per “consolidare le loro porzioni d’eredità paterna e materna”; pertanto Tommaso cedette a Vincenzo le porzioni di sua proprietà della casa sita fra le strade di Moras e Barcellona (parte bassa dell’unità 2923 con le unità 2925 e 2926), valutate in totale lire 3786 ed un soldo e cedute per sole lire 2496 (con “la ribassa” di lire 1290 e un soldo); Vincenzo cedette a Tommaso il piano superiore della casa situata nella strada detta di Santa Teresa (2715) valutato lire lire 5311 e soldi 12, e ceduto per lire 4625 (con la “ribassa” di lire 686 e soldi 12) in modo tale che Tommaso divenne proprietario di tutta la casa, restando in debito verso il fratello di lire 2128 e soldi 19 da pagare entro l’ultimo giorno di luglio 1805 (nel frattempo avrebbe pagato gli interessi alla “ragione mercantile del 6%”); la casa delle strade di Moras e Barcelona era abitata in quella data dagli stessi Vincenzo e Tommaso unitamente agli altri loro fratelli.

Con atto dello stesso notaio Ligas, di stessa data del precedente, i fratelli Don Batta, Don Tommaso e Don Vincenzo Rapallo cedettero al loro comune fratello don Francesco le porzioni d’eredità paterna e materna “nella casa grande situata nelle strade dette di Moras e Barcelona” (2923, 2925,2926), in modo tale che don Francesco divenne proprietario dell’intera casa (con l’esclusione di una piccola parte di don Luigi); in particolare Don Vincenzo cedette tutta la porzione che aveva acquistato da don Tommaso per lire 2496 con atto dello stesso giorno; inoltre cedette le porzioni che possedeva per eredità paterna e materna, per altre lire 2496, e finalmente cedette la porzione che aveva comprato il 25.11.1802 dai coniugi Paolo Batta Mariotti e donna Eulalia Rapallo, sua sorella, per lire 2812 e soldi 10; don Gio Batta cedette a don Francesco la porzione che aveva per eredità materna per lire 246, e la porzione che aveva comprato da Paolo Batta Mariotti e donna Eulalia Rapallo il 25.11.1802; Don Tommaso cedette a Don Francesco la porzione che aveva comprato da Paolo Batta Mariotti e donna Eulalia Rapallo il 25.11.1802. Don Francesco pagò solo parte della somma totale, riservandosi di saldare il resto entro il mese di luglio 1805, impegnandosi a pagare sul rimanente gli interessi al 6%.

Con altro atto Ligas del 05.05.1804 don Luigi Rapallo, tenente dei dragoni, cedette a suo fratello don Francesco la porzione di casa che ancora era in suo possesso, proveniente dalla eredità materna. Francesco ebbe così effettivamente l’intero dominio sulla casa; il prezzo pattuito fu di scudi 149, reali 4, soldi 7, denari 4, cioè lire 373, 17 soldi e 4 denari.

 

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 19.04.1805, don Francesco Rapallo ottenne in prestito 1000 scudi, con pensione al 5%, dalla Congregazione del Santissimo Sacramento, la cui sede era la Parrocchia di Sant’Eulalia; accese quindi un’ipoteca sulla casa grande sita fra le strade di Moras e Barcellona, in parte ereditata dai genitori, in parte comprata da fratelli, ormai tutta di sua proprietà; per garantire il censo era comunque sufficiente la sua porzione ereditaria; gli occorreva il danaro per restituire a suo fratello don Vincenzo la somma di lire 4000 (scudi 1600), che ancora gli doveva per la vendita della sua parte di proprietà.

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Dopo il 1850 la casa 2923 apparteneva interamente al sacerdote Giuseppe Carboni.

Le case 2924, 2925, 2926 (insieme alle case 2922 e 2927) appartenevano invece a don Francesco Rapallo (1777-), tesoriere del monte di riscatto, figlio dell’omonimo don Francesco e di Caterina Denegri; le case 2925 e 2926 conservano ancora adesso una facciata adorna di interessanti balconi settecenteschi, frutto di un’unica riedificazione, forse quella voluta da don Francesco Rapallo senior, anteriore quindi al 1781, anno della sua morte.

 



[1] L’ipoteca era ancora in essere nel 1809: il 27 novembre di quell’anno, con atto del notaio Giovanni Pisà, il Mazuzi (o Mazzuzzi) consegnò all’Alciator la pensione di lire 175, equivalenti al 5% di scudi 1400.

[2] Rosa Rapallo, originaria di Carloforte, era figlia del genovese Agostino, fratello del padre del compratore Francesco Rapallo.

[3] Luigi Cadeddu era figlio dell’avvocato Salvatore, giustiziato nel 1813 come “capo” della congiura di Palabanda; Luigi, coinvolto nell’inchiesta, fu condannato a 20 anni di prigione; era ancora in vita nel 1830, confinato nell’isola della Maddalena

[4] Il testamento di Francesco Rapallo e l’inventario dei suoi beni mi sono stati messi a disposizione nel mese di febbraio 2022 dall’ingegnere Alberto Sanna, frutto di una sua ricerca a cui ho collaborato; l’inventario ha permesso di aggiungere altre interessanti notizie su tutte le proprietà del defunto.

 

2927

Apparteneva alla Causa Pia Roqueta, cioè faceva parte del lascito del fu cavalier Antioco Rochetta in favore delle “donzelle povere da maritare” del sobborgo della Marina; la Causa Pia era stata fondata alla fine del secolo XVII nella parrocchia di Sant’Eulalia, ed era gestita dai sindaci della Marina, i quali ogni anno individuavano le beneficiarie, sicuramente con l’ausilio e l’influenza della onnipresente Comunità religiosa.

Fra i documenti di fine ‘700 e di inizio ‘800, sono stati rintracciati i seguenti che citano la casa 2927:

1) l’inventario dei beni del defunto Francesco Rapallo, del 1782: le sua casa di abitazione (2923/a, 2925, 2926) confinava dal lato verso la salita con la casa Godot (2922) e con una casa della Causa Pia della chiesa di Sant’Eulalia (2927);

2) un atto notarile del 26.05.1795, ricevuta firmata dal mastro muratore Francesco Usai in favore del notaio Giovanni Onnis, Regio Procuratore dei Poveri in Cagliari, in qualità di sindaco secondo della Marina; Onnis aveva pagato scudi 164, reali 7 e denari 8 per materiali e giornate di mastri e operai, lavori necessari nelle case della Causa Pia Roqueta in seguito ai danni cagionati dai bombardamenti francesi del 1793; fra le case riparate c’era quella abitata dal negoziante Pasquale Corleo (Gorlero) nella Marina e strada detta de is Moras; non ci sono altre indicazioni sulla casa, che da altri documenti si può però identificare con l’unità 2927;

3) un altro atto notarile del 15.10.1796, relativo alla casa 2935 nella strada di Moras; detta casa aveva davanti, dalla parte del vicolo, la casa della causa pia Roqueta del Sindacato della Marina (2927);

4) in due atti notarili del 25.02.1797 e del 25.12.1798, relativi alla casa 2921, si legge che detta casa 2921 confinava da un lato con casa dei padri Gesuiti (2922), dall’altro lato con casa della causa pia di S.Eulalia (2927);

5) un atto del 07.06.1799, relativo alla casa 2645, sull’altro lato della via, confinante con una casa del Sindacato della Marina mediante la strada Moras;

6) gli atti notarili del novembre 1802 con cui donna Eulalia Rapallo e suo marito Paolo Batta Mariotti vendettero le loro porzioni di casa (2923,2925,2926), che confinavano da un lato con la casa della Causa Pia di Sant’Eulalia;

7) Un atto del notaio Salvatore Boy del 05.01.1805 col quale il muratore Giuseppe Ignazio Carta rilasciò ricevuta di lire 1030, soldi 11, denari 7, a lui consegnati dall’avvocato Emanuele Massa Eschirru e dal notaio Giambattista Azuni, i quali agivano in qualità di sindaco capo e sindaco secondo della Marina; si trattava del pagamento di alcune riparazioni eseguite dal mastro muratore in diverse case amministrate dal sindacato della Marina; per la casa della Causa Pia Rocchetta della strada Moras e per alcune case della contrada San Lucifero in Villanova vennero pagate circa lire 370, il resto della cifra riguardava altre case della Marina.

8) il donativo del 1807 del notaio Gio Batta Azuni, proprietario della casa 2646 sulla strada Moras, nel quale è scritto che detta casa confinava a est, sull’altro lato della strada, con casa degli eredi Rapallo (2926) e con casa della Causa Pia Roqueta (2927); questo dato fa pensare a una diversa suddivisione fra le due case, visto che sulla mappa la casa 2646 sembra esattamente di fronte alla sola unità 2926; può però trattarsi di mancanza di precisione della Mappa, o di poca precisione del notaio Azuni;

 

9) un atto notarile del 29.12.1810, con cui i Sindaci della Marina (medico Giuseppe Schivo, notaio Giovanni Boi e muratore Francesco Manca), in qualità di esecutori del legato pio del fu Antioco Rochetta, concessero la casa 2927, ben individuata dalle proprietà confinanti, in enfiteusi perpetua a don Francesco Rapallo; è specificato nel documento che era una casa di due piani, cioè terreno e superiore, detta di “mastro Antioco Laconi”, evidentemente un precedente proprietario; Rapallo aveva l’obbligo di costruire un altro piano.

Con atto notarile del 08.01.1811 il cavalier Rapallo concesse in locazione al negoziante Paolo Sanguinetto una bottega nella contrada Mores, nella casa avuta in enfiteusi dalla Causa Pia Rochetta; la locazione fu stipulata “per due vite”, cioè per la vita del Sanguinetto e per quella di un suo erede, e per scudi 30 annui; l’affitto sarebbe cominciato solo quando il Rapallo avesse effettuato dei lavori per eliminare la scala d’ingresso della casa dal lato di ponente (sulla strada Mores) per collocarla sul lato di tramontana ossia nella stretta (sul vico Sant’Agostino, attuale via Sicilia), e quando avesse formato una stanza per dormire nella bottega, “messa in buono stato e atta a poterci vivere”. 

Nel Sommarione dei fabbricati di metà ‘800 la casa 2927 apparteneva ancora a don Francesco Rapallo (1777-), così come altre 4 case dello stesso isolato (2922, 2924, 2925, 2926).