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Isolato L: Costa/Scalette e discesa Cappuccine/discesa di Porta Castello

(via Manno, via Spano, via Mazzini)

numeri catastali da 2388 a 2403

vi sono state in questi 200 anni alcune modifiche: delle case sulla via Manno fra il numero 2388 e 2391 rimane il solo primo piano, probabilmente a causa dei bombardamenti del ‘43; l’ultima casa sulla via Manno è invece successiva all’abbattimento delle mura e della Porta Stampace; la parte alta dell’unità 2391 è occupata ora da una palazzina bassa, forse una casa monofamiliare: non si hanno notizie sulla presenza di un fabbricato in questo punto, negli anni di interesse della presente ricerca. Vi sono in più alcune case, corrispondenti ai numeri catastali fra il 2392 e il 2396, i cui terreni corrispondenti furono concessi in enfiteusi soltanto nel 1813; è tuttora non edificata, senza poter dire che lo sia mai stata, l’unità catastale numero 2397.

 

2388     

Un atto notarile del novembre 1789 riferisce della vendita della casa 2389, che confinava da un lato con la casa Antonieti/Alemand (numero 2390), e dall’altra con il corpo di guardia della porta di Stampace: da questa testimonianza si desume che la casa 2388 era occupata appunto dal personale addetto alla Guardia della Porta Stampace.

Vi è un altro atto notarile che ci informa più direttamente su questa casa: è datato 12.08.1799, e riporta la vendita di “una porzione di casa” per 86 scudi, 6 reali, 3 soldi e 4 denari, fatta da Giuseppe e Salvatore Flores al rettore Antonio Corona; la casa in questione si trovava nel quartiere della Marina, addossata alla Regia Muraglia e alla Porta di Stampace, e vi si trovava il Corpo di Guardia; era appartenuta ai defunti Antonio Flores, Antonia Flores coniugata Corona, e di Maria Ignazia Flores (probabilmente fratello e sorelle che a loro volta l’avevano ereditata); la parte di Antonio Flores fu ereditata da Giuseppe, Salvatore, Anna e Francesca Flores; la parte di Antonia Flores Corona fu ereditata dal rettore Antonio, Anna e Francesca Corona; la parte di Maria Ignazia Flores fu ereditata da Anna Corona; la casa fu stimata in 600 scudi, ed era gravata di una proprietà censuaria di 80 scudi del Capitolo, con pensione di 4 scudi e 4 reali; le poche informazioni fanno ritenere che si parli della casa 2388, adibita a corpo di guardia.

Un altro atto notarile relativo alla casa 2389, del dicembre 1810, riporta ancora l’informazione che la casa confinante era quella del Corpo di Guardia di Stampace.

A metà 800 la casa risultava appartenere al notaio Raffaele Pilloni, figlio del fu Avendrace, che possedeva anche la confinante casa 2389; egli morì all’età di 76 anni in una casa della strada della Costa, presumibilmente quella di cui si parla o l’altra vicina, il 25.07.1870, vedovo di Rita Villafranca.

 

2389     

Nel 1778 venne venduta la casa 2390, i cui confini erano i seguenti: davanti la casa Petricholi (2383/bis), di spalle le Regie Muraglie, da un lato la casa Rapallo (2391), dall’altro lato la casa di Francisco Maria Navarro del fu Francesco Antonio, identificabile quindi con la casa 2389.

Dopo la morte di Francesco Maria Navarro[1] la casa 2389 venne messa all’asta e fu acquistata dal causidico Antonio Moy per 1700 scudi; nel 1789 Antonio Moy la cedette per 2100 scudi al mercante Estevan Carboni di Cagliari; aveva due piani alti e una bottega, aveva davanti la casa del fu don Juan Bap.ta Massa (casa Petricholi Massa, 2383/bis), da una lato la casa Antonieti/Alemand (2390), e dall’altro il corpo di guardia della Porta di Stampace (2388).

Nel suo donativo del 21.06.1799, don Saturnino Cadello, marchese di San Sperate, dichiarò di ricevere 125 lire annue da Stefano Carboni per un censo di scudi 1000 gravante su una casa alla fine della strada sa Costa.

E’ stata rintracciata anche la dichiarazione per il donativo dello stesso Stefano Carboni, datata 23.06.1799, nella quale è compresa la casa di proprietà vicino alla Porta Stampace, nella strada di Sa Costa, formata da 2 piani alti con 12 stanzine, una bottega e un piccolo cortile, di cui il Carboni utilizzava la bottega e il primo piano; da questi avrebbe potuto ricavare per l’affitto lire 150, mentre il secondo piano era affittato per lire 87 e 10 soldi; pagava 125 lire al marchese di San Sperate e altre 125 ad Antonio Franchino per dei censi caricati sulla casa; la casa stava fra il corpo di guardia (2388) e la casa Alemand (2390).

Stefano Carboni morì ab intestato (cioè senza aver fatto testamento) nel 1804; lasciò i figli minori Giuseppe, Antonica, Ritta (sic) e Angiolino; la vedova Narcisa Manca in data 07.04.1804 ottenne dalla Regia Vicaria la nomina di curatrice dell’eredità e dei figli e lo stesso giorno incaricò un notaio di preparare l’inventario dei beni del defunto; venne fatto l’inventario delle merci (tessuti, calze, fazzoletti ecc.) della bottega, situata nella stessa casa di abitazione, per lire 6930 soldi 5 e denari 4; l’inventario dei beni mobili dell’abitazione fu di lire 9883 soldi 4 denari 4; la casa di abitazione, propria del defunto, sita nella strada della Costa vicino a Porta Stampace, fu stimata lire 5545 e denari 7.

Nel febbraio 1807 morì anche Narcisa Manca e divenne curatore dei figli minori e pupilli lo zio avvocato Raimondo Manca, fratello di Narcisa.

 

Con atto del notaio Rocco Congiu del 15.10.1810 l’avvocato Raimondo Manca, , concesse in locazione una bottega con due stanze, sita in questa casa, per scudi 70 annui, al negoziante di Cagliari Antonio Lai; l’affitto fu concordato per 3 anni a partire dal 05.01.1812 fino al 05.01.1815; per tutto il periodo precedente di circa un anno e tre mesi, Lai avrebbe utilizzato comunque la bottega (forse ancora parzialmente utilizzata dagli eredi Carboni) e avrebbe pagato una sola annata.

Con atto notarile del 22.12.1810 Antonia Carboni col consenso del marito negoziante Antonio Demelas, Giuseppe, Rita, e Angelo, fratelli e sorelle Carboni Manca, minori d’anni 25 e maggiori d’anni 12, col consenso dello zio loro curatore, avvocato Raimondo Manca, vendettero la casa al negoziante Paolo Coiana; gli eredi Carboni avevano ereditato dai loro genitori, i defunti Stefano Carboni e Narcisa Manca, una casa composta da 2 piani superiori ed un terreno (per uso di bottega), situata nel sobborgo della Marina e strada della Costa, in vicinanza della Porta di Stampace; sulla casa vi erano caricati due censi, ciascuno di scudi 1000 e pensione annuale di scudi 50, uno di proprietà del marchese di San Sperate, l’altro era di proprietà del defunto sacerdote Giuseppe Serra, poi di sua sorella Annica Serra; la pensione di quest’ultimo censo era stata ceduta da Giuseppe Serra alla Città.

La casa venne venduta a Paolo Coiana per scudi 3338 e reali 3, dei quali il compratore si trattenne i capitali dei censi e alcune pensioni scadute, di cui si faceva carico.

Da un fascicolo di una causa civile del 1842, che vide contrapposti il conte Giambattista Viale e gli eredi del fu Paolo Coiana, fra le proprietà del Coiana si cita anche una casa nella strada della Costa che alla morte di Paolo Coiana, nel 1816, era stata venduta al mercante Giuseppe Bassu.

Un atto notarile del 18.08.1825, rintracciato nell’archivio Ballero (ASC), ci riferisce della vendita della casa 2390: questa era confinante da una parte con la casa Porcile (2391), dall’altra con la casa del negoziante Giuseppe Baxiu (o Bassu o Baxu), unità catastale 2389.

A metà 800 la casa 2389 apparteneva al notaio Raffaele Pilloni, figlio del fu Avendrace che, come già detto, possedeva anche la confinante casa 2388. 



[1] un Francesco Novaro o Navarro morì nel 1780

 

2390     

Fino al 1778 questa casa apparteneva al notaio Estanislao Antonietti, che il 4 agosto di quell’anno la vendette al mercante Elois (Eligio) Alemand; era composta da due piani alti ed una bottega, era sita nella strada della Costa all’uscita di Porta Stampace, fra le case di Francesco Maria Novaro (2389) e di Giuseppe Rapallo (2391); Antonietti l’aveva avuta nella divisione con i suoi fratelli dell’eredità di suo padre Juan Bauptista  Antonietti (atto notarile del 10.05.1777); si legge nell’atto di vendita[1] ad Allemand che era la stessa casa del fu don Gaspare Carnicer, venduta all’asta a Sadorro Cadello, e questi l’aveva venduta al marchese della Guardia, dal quale la comprò Salvatore Bonfant, da cui la ereditò sua sorella Barbara Bonfant, che la cedette a Cecilia Sotto vedova del notaio Joseph Loy, e poi la ereditò il figlio Antonio Vicente Loy, che ne ebbe piena proprietà il 17.07.1745 dopo la chiusura di una lite giudiziaria; si trattava di una casa in condizione di rovina, e il notaio Antonio Vicente Loy il 24.11.1751 la vendette a Juan Bauptista Antonietti.

Due atti notarili degli anni successivi (1789 e 1792) confermano la proprietà di Eligio Allemand, il quale dichiarò la casa nei suoi donativi del 1799 e del 1807: in quest’ultimo la descrive così: “casa sita nella strada della Costa, fra casa Rapallo (2391) e casa del fu Stefano Carboni (2389), con una bottega al piano terreno, il primo piano di due stanze, il secondo di 5 stanze tra grandi e piccole; vale scudi 1700 ed è affittata per scudi 70”.

La proprietà Allemand è confermata da un atto notarile del 22.12.1810, relativo alla casa 2389, e da altro atto del 02.03.1812, relativo alla casa 2391, in cui Allemand risulta già defunto.

Con atto notarile del 18.08.1825 il conte Efisio Fancello e i suoi fratelli, figli di Marianna Allemand (figlia di Eligio), vendettero la casa al negoziante Francesco Antonio Rossi; era la stessa casa che il loro “avolo” aveva comprato dal notaio Stanislao Antonietti con atto del 04.08.1778, confinante davanti con la casa grande degli stessi venditori (2383/bis), di spalle con le Regie Muraglie, dai lati con le case Porcile (2391) e Baxiu (2389): nel corso degli anni entrambe le case laterali avevano cambiato proprietario. La casa, venduta al Rossi insieme alla casa 2387, era gravata di un’ipoteca la cui pensione veniva pagata allo stesso Rossi, accesa da Marianna Allemand il 02.05.1817; per vendere le due case senza vincoli, l’ipoteca venne spostata nella casa che i Fancello possedevano nella strada Barcellona (2941).

A metà ‘800 la casa 2390 apparteneva al barone Salvatore Rossi (1775-1856), figlio di Francesco Antonio Rossi. 



[1] ASC, Archivio Ballero, Serie II Cartella 3, strada della Costa: nell’atto citato si ripercorrono i passaggi di proprietà senza fare riferimento alle date: don Gaspare Carnicer era probabilmente figlio di don Giovanni Battista, fu battezzato in Cattedrale nel 1655, non è nota la data di morte; Sadorrro (o Saturnino) Cadello non è identificabile con don Saturnino, 2° marchese di San Sperate, in quanto quest’ultimo nacque nel 1733, mentre la vendita fatta dal Cadello al marchese della Guardia dovrebbe essere di qualche anno anteriore al 1745; il marchese della Guardia dovrebbe identificarsi con don Bernardino Genoves: questi aveva ereditato il titolo da suo padre Antonio, il quale l’aveva avuto nel 1700; don Bernardino nel 1736 ebbe il titolo di duca di San Pietro che si aggiunse al meno importante titolo di marchese della Guardia, per cui è probabile che l’acquisto della casa sia anteriore a quella data. Non si hanno notizie e date sui Bonfant e su Cecilia Soto vedova Loy.

 

2391     

Nell’atto già citato del 13.08.1705, relativo alla vendita della casa 2384/b, è scritto che la casa davanti a quella apparteneva a Juan Cotta; dovrebbe trattarsi della casa 2391, o parte di essa; i documenti successivi sono però troppo lontani nel tempo e non si è trovato più nessun riferimento a questo antico proprietario.

Nell’agosto del 1778, quando Stanislao Antonietti vendette a Eligio Allemand la casa 2390, la casa 2391 apparteneva al “mercante” Joseph Rapallo. Questa proprietà è confermata da altri documenti degli anni immediatamente successivi (1779, 1784, 1789, 1790) e in particolare, in data 11.10.1779, venne concesso dal demanio a Giuseppe Rapallo “di rialzare un muro a forma di traversa nel fosso del Bastione del Balice mediante l’introggio di scudi 2 e annuo canone di scudi 1 e mezzo”, in quanto “il muro dietro la casa del Rapallo della strada della Costa è di poca altezza, e permette l’accesso a persone mal intenzionate”.

Con atto notarile del 04.05.1792 Giuseppe Rapallo firmò l’atto di donazione di 26000 scudi a favore di don Raffaele Porcile; il Rapallo era scapolo ed aveva un rapporto di affetto particolare con Raffaele, figlio del conte Giovanni Porcile e futuro conte; già nel maggio 1787 Giuseppe Rapallo aveva donato a Raffaele Porcile un censo di 4000 scudi per il quale 4 anni prima il conte Giovanni Porcile si era obbligato nei confronti del Rapallo. La somma di 26000 scudi garantiti a Raffaele Porcile corrispondeva al valore di una casa di proprietà del Rapallo nella strada di San Francesco di Paola (2561), di una vigna in Villanova che Rapallo aveva comprato da Pasquale Valle nel marzo del 1792, e della casa di abitazione del Rapallo vicino alla Porta di Stampace (casa 2391), confinante da un lato con la casa Allemand (2390), dall’altra col callejon (viottolo) che la separava dalla casa del Capitolo (2417).

Non è del tutto chiaro se, e per quanto, le proprietà oggetto della donazione rimasero al Rapallo: in effetti non erano le case a essere state donate, ma esse servivano a garantire il capitale donato. In un atto del dicembre 1798, relativo alla casa 2417 del Capitolo, si legge che questa casa confinava da una parte con la casa di don Giovanni Porcile, dall’altra con la casa di Giuseppe Rapallo (che nel frattempo era diventato don Giuseppe Rapallo): la casa 2416 era appartenuta al Porcile, che l’aveva però venduta al Rapallo in data 11.02.1792, 3 mesi prima di firmare l’atto di donazione a Raffaele Porcile; da quest’atto si potrebbe dedurre che la casa del Porcile fosse la ex casa Rapallo 2391, mentre la casa Rapallo fosse la ex casa Porcile 2416.

Ma, nel suo donativo del 22.06.1799, don Giuseppe Rapallo dichiarò entrambe le case della strada della Costa: la sua abitazione composta da 3 piani alti con 20 stanze in tutto, e due botteghe al piano terreno, che poteva rendere 600 lire annue di affitto, e un’altra casa di 2 piani e mezzo piano, con 10 stanze in tutto, e una bottega, che rendeva in tutto lire 320 di affitto; dovrebbero corrispondere rispettivamente alla casa grande 2391 e alla casa ex-Porcile 2416; vi è conferma anche nel donativi del 1807 di Eligio Allemand, di Gio Batta Franco e del Capitolo Cagliaritano: il primo scrive che le sue case nella strada della Costa, numeri 2387 e 2384/a (con le case 2383/b e 2384/b) avevano di fronte rispettivamente le case di don Giuseppe Rapallo, cioè la casa 2416 e la casa grande 2391; il Franco scrive che la sua casa 2385 aveva davanti la scala attigua alla casa Rapallo (2391), nella dichiarazione del Capitolo è scritto che la casa Scarpinati 2417, di proprietà appunto del Capitolo, confinava da ambo i lati con case di don Giuseppe Rapallo, da una parte direttamente, dall’altra e di spalle attraverso le scale (che portano alla attuale via Spano); la citazione della casa Rapallo del 1798 va quindi riferita alla casa 2391, mentre la casa Porcile era la 2416, forse utilizzata ancora dalla famiglia Porcile, anche se di proprietà del Rapallo dal 1792, oppure la citazione è errata solo per la consueta “pigrizia” notarile, che perpetuava anche dopo anni antichi proprietari.

Don Giuseppe Rapallo proveniva da Genova Pegli, ed era fratello di don Francesco (-1781), i cui figli erano proprietari di alcune case alla Marina, nella strada Barcellona e nelle scalette di Santa Teresa. A Francesco fu riconosciuto il titolo nobiliare postumo nel 1787, mentre Giuseppe lo ottenne nel 1793 grazie alle spese che affrontò per la difesa della Sardegna, in occasione dell’invasione dei Francesi.

Si è detto che Giuseppe non aveva figli ed essendo scapolo non contava di averne; il suo erede elettivo sarebbe stato don Raffaele Porcile, a cui fece cospicue donazioni; nel 1801 don Giuseppe Rapallo si sposò in Carloforte con donna Anna Porcile, figlia di don Agostino (fratello del conte Raffaele), ed ebbe quindi in tarda età 3 figli nati fra il 1806 e il 1810; fra i figli il solo Giovanni, nato nel 1806, raggiunse l’età adulta, ed ottenne il titolo di conte, riconosciuto postumo al padre nel 1820.

In data 02.03.1812 fu compilato l’atto di inventario dell’eredità del fu cavaliere don Giuseppe Rapallo, morto la mattina del 20.11.1811 senza testamento, lasciando i figli Giovanni, Vittorio e Beatrice, e la loro madre donna Anna Rapallo nata Porcile; fra gli immobili inclusi nell’inventario sono comprese entrambe le case nella strada della Costa, cioè l’abitazione (num. 2391) e la casa 2416 comprata dal conte Porcile; inoltre una casa in contrada del Molo, una casa adibita a magazzino in contrada del Fortino, e un’altra in contrada Sant’Eulalia; poi vi erano diverse proprietà in Stampace, una casa in Castello, vigne e campi nella periferia della città e alcuni beni in Carloforte.

In data 09.09.1812 il negoziante Francesco Antonio Rossi ottenne in enfiteusi un tratto di terreno ai piedi del bastione del Balice, dietro la chiesa della monache Cappuccine: il terreno concesso al Rossi, identificato con le unità catastali 2392/2396, confinava da un lato col terreno che era stato concesso anni prima al defunto don Giuseppe Rapallo: nella pianta di metà ‘800 alla casa 2391 è infatti assegnata anche una vasta area ai piedi del bastione.

Il 18.08.1825 il conte Fancello vendette la casa 2390, ereditata dal nonno Eligio Allemand; le case confinanti erano in quell’anno del negoziante Giuseppe Baxiu (2389) e del conte (Raffaele) Porcile (2391), che nel frattempo, dopo la morte del Rapallo, era entrato in possesso della casa che doveva garantire la donazione del 1792. 

Dai dati del Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2391 risulta appartenere al negoziante Efisio Marini.

 

2392/2397           

Vi sono pochissime informazioni su queste case addossate alle mura del Balice; da un atto notarile del 24.02.1803, relativo alla bottega 2427, pare che in corrispondenza dell’area catastale 2397 esistesse in quell’anno una casa di proprietà del Capitolo Cagliaritano; doveva essere una modesta costruzione, che evidentemente fu abbattuta: infatti in data 08.05.1813 il negoziante Francesco Antonio Rossi ebbe in concessione enfiteutica “un tratto di terreno vacuo esistente a piè della cortina del bastione del Balice e dello Spellone, con l’introggio di £ 527, soldi 1 denari 8, e il canone perpetuo di £ 52, soldi 14, denari 6; terreno dietro la chiesa delle monache cappuccine, di trabucchi comunati 44 e 2 piedi superficiali, (di lunghezza comunata trabucchi 28 e 1 piede, larghezza irregolare che non si è potuta comunare) confina di dietro alla cortina, davanti alla chiesa e monastero, strada mediante, da un lato verso maestrale al tamburo del bastione del balice ed a terreno concesso al fu don Giuseppe Rapallo, e dall’altro a case dell’ospedale”; la casa del fu Giuseppe Rapallo era l’unità 2391, il confine in questo caso è chiaro; è più controverso il confine con la proprietà dell’ospedale, che non risulta fosse la casa 2398, piuttosto erano le case 2427 e 2428, sull’altro lato della discesa.

L’attribuzione al Rossi delle case dalla 2392 fino alla 2397 è dovuta all’estensione del terreno concesso in enfiteusi: il trabucco lineare in Sardegna era uguale a metri 3,1482, il piede era circa 50 cm; un terreno di lungheza di 28 trabucchi e un piede era perciò lungo 88 metri e 64 cm, che corrisponde alla lunghezza delle facciate delle case dalla 2392 alla 2396 più la lunghezza dello spazio ora vuoto dell’unità catastale 2397[1].

A metà ‘800 l’unità 2392 apparteneva a donna Francesca Mossa (coniugata con don Carlo Nater) che era figlia di Angela Rossi figlia di Francesco Antonio; le unità 2393 e 2394 appartenevano agli eredi Dugoni (un ramo della famiglia Dugoni aveva strette parentele con la famiglia del barone Rossi, tramite matrimoni con i Vodret e i Valle); sull’unità 2395 non si hanno informazioni; l’unità 2396 apparteneva al negoziante don Francesco Rossi che, visto il titolo (anche se errato, poiché il “don” non gli competeva), è probabilmente da identificare con un figlio (nato nel 1807, morto nel 1882) del barone Salvatore, a sua volta figlio del primo enfiteuta Francesco Antonio Rossi; l’unità 2397 (senza poter dire con sicurezza se vi fosse stata costruita una casa) apparteneva invece a Giusta Altea (1802-1870) vedova dell’avvocato Antioco Meloni: si tratta dei suoceri di Francesco Rossi, che aveva sposato nel 1843 la loro figlia Delfina Meloni. 



[1] Da una misurazione approssimativa, la facciata delle case 2392 e 2393 è uguale a 20 m; la facciata delle case 2394/2396 è uguale a 45 m; lo spiazzo corrispondente all’unità 2397 è uguale a 23m; 20+45+23=88

 

 

2398/2402          

Anche per queste casette addossate alle mura vi sono poche informazioni: dai dati catastali di metà ‘800 risulta che appartenessero tutte al Conservatorio delle figlie della Provvidenza e vi sono alcune conferme antecedenti: in data 18.09.1779 il Demanio concesse in enfiteusi un terreno per costruire una casa (o meglio una bottega), di fianco alla Porta Cagliari (la Porta dei Leoni); nella pianta allegata alla concessione è chiaro che si tratta dell’unità 2403, e l’unità catastale confinante, numero 2402, risulta essere una “bottega delle Orfanelle”; il 12.08.1802 venne firmato l’atto di enfiteusi di una bottega dell’ospedale, situata probabilmente nella casa 2429; davanti a questa vi erano le “botteghe delle orfanelle”, in particolare l’unità 2399; lo stesso dicasi per un atto del 24.02.1803, relativo alla casa 2428, davanti alla quale c’erano le botteghe delle Orfanelle, numero 2398; nel 1811 vennero concesse in enfiteusi dall’Ospedale le case 2427 e 2428 (o parte di questa) e anche in questo caso davanti a queste case vi erano case delle orfanelle, cioè la casa 2398, oltre al terreno 2397, probabilmente non citato in quanto “vacuo”; in data 02.12.1825 venne venduta la bottega 2403, confinante da una parte con la Porta Cagliari, dall’altra con case dell’Orfanotrofio (2402).

 

2403     

in data 18.09.1779 il mastro da muro Bernardo Negri del fu Giuseppe, nativo del Novarese, ottenne in concessione un piccolo terreno per costruire una bottega; il terreno si trovava fuori dalla porta Cagliari, contro la regia muraglia della cortina del Balice, “nel tamburo esteriore della porta leonina denominata porta Cagliari, in prospettiva dell’orecchione del bastione dello sperone”; dalla pianta annessa, firmata dal misuratore Gerolamo Massei, è chiaro che il terreno concesso corrispondesse all’unità catastale 2403; il Negri avrebbe pagato un “introggio” di scudi 2 e un canone annuo perpetuo di scudi 3.

Bernardo Negri presentò il suo donativo il 21.06.1799, e dichiarò una “casuccia terrena” con una stanza, appoggiata alla Porta del Castello e alla muraglia, per cui pagava “all’intendente” 3 scudi all’anno; era affittata per soli 2 scudi.

In data 14.06.1803 Bernardo Negri di “Nazione Imperiale”, ammalato nella sua casa di abitazione, preparò il suo testamento col notaio Francesco Rolando; nominò erede la sua anima e curatore il reverendo Aitelli presidente della comunità di S.Eulalia; chiese di essere sepolto nella chiesa di S.Sepolcro, essendo membro dell’Arciconfraternita; la casa di abitazione era di sua proprietà, acquisita prima del matrimonio con Maddalena Calligaris, per cui ne poteva disporre come meglio gli piaceva, e stabilì che i frutti della casa, al netto del canone enfiteutico, fossero destinati alla sua anima e a quella dei suoi parenti, in pratica alla chiesa, per messe o altro; anche in caso di vendita il ricavato sarebbe dovuto essere destinato alla sua anima; destinò 5 scudi alla cognata Sisinna, la metà dei restanti beni alla moglie, l’altra metà ala sua anima.

Il giorno successivo, il 15 giugno, aggiunse un codicillo, specificando che voleva che la moglie Maddalena Calligaris potesse abitare per la sua vita nella casa, pagando un quartillo al mese, cioè 6 scudi all’anno.

In data 02.12.1825 il piemontese Giuseppe Borsarello vendette la bottega 2403 al negoziante Luigi Martini per lire 175; si trattava della bottega che il Borsarello aveva acquistato il 05.09.1808 dal reverendo dottore Angelo Aitelli, Presidente della collegiata di San.Eulalia, in qualità di esecutore testamentario del fu Bernardo Negri, dal quale la bottega fu fabbricata a proprie spese nel terreno concessogli con atto del 18.09.1779.

Il 14.03.1826 Luigi Martini donò al Regio Ospedale la casa che possedeva, attigua alla Porta Castello (o di Sant’Antonio), acquistata nel 1825 da Giuseppe Borsarello. 

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che a metà ‘800 la casa 2403 appartenesse all’ottonaio Giovanni Maccis.