Riporto qui sotto il testo di un articolo, a mia firma, pubblicato nell’Unione Sarda del 26.04.1998; è raccontato un interessante episodio, accaduto il 28.01.1793 durante l’assedio francese, che coinvolse pesantemente i fratelli Giovanni Battista e Antonio Gastaldi, e che avvenne nel quartiere della Marina, nell’isolato fra le attuali via Cavour, via Sant’Eulalia, via Sardegna, via dei Mille (isolato C1).

La fonte è il fascicolo di una causa penale: Archivio di Stato di Cagliari (ASC), Fondo Reale Udienza, Cause Criminali, pandetta 15, busta 839;

 

 

LA CAUSA GASTALDI

 

Una recente ricerca d'archivio ha permesso di riscoprire un episodio verificatosi a Cagliari durante l'assedio francese del 1793: un isolato nel quartiere della Marina fu teatro di una movimentata vicenda appena sfiorata dalle cronache storiche e rimasta fino ad ora senza conferme.

Questi gli antefatti: nel gennaio di quell'anno prese avvio il disegno della Francia rivoluzionaria di conquistare la Sardegna; furono occupate facilmente le isole di S.Pietro e S.Antioco, e da queste partì il primo tentativo di invasione, fallito sul nascere; il 27 ed il 28 gennaio, il 15 ed il 16 febbraio, Cagliari fu bombardata dalla flotta comandata dal contrammiraglio Truguet; il 13 febbraio fu effettuato uno sbarco al Margine Rosso; alla fine del mese l'arcipelago della Maddalena fu attaccato dalle truppe comandate dall'ufficiale Napoleone Bonaparte.

L'impresa dei Francesi fallì; la difesa della città e dell'isola ebbe buon successo grazie alla forte reazione dei Sardi, ed in particolare delle milizie di cittadini armate per l'occasione e comandate da nobili e uomini di legge che, a torto o a ragione, diventarono gli 'eroi' del momento; il marchese di Neoneli, il visconte Asquer, Vincenzo Sulis, Girolamo Pitzolo, furono tra coloro che acquisirono fama e onori, approfittando delle circostanze per realizzare anche le loro ambizioni di potere.

Il vicerè Vincenzo Balbiano fu fortemente criticato dai Sardi per la scarsa energia e la poca cura che dimostrò nell'organizzare la difesa dell'isola; il 14 gennaio, per difendersi da queste accuse, fece pubblicare un editto nel quale si condannava chiunque avesse dei contatti segreti con i francesi, e prometteva 500 scudi ai delatori di trame e cospirazioni. Le conseguenze non si fecero attendere: furono parecchie le denunce, le violenze, e le condanne.

Fra coloro che pagarono ci furono i fratelli Giambattista ed Antonio Gastaldi: il loro nome viene ricordato dal giornalista e storico Felice Uda nelle pagine della 'Vita Sarda' del 1892: 'In un luogo appartato della Città, i fratelli Gastaldi avevano aperto al pubblico, come luogo di convegno, un ridotto col nome di Padiglione Nazionale. Si credette, ed era forse, un nido di cospiratori...'; la fonte storica da cui Felice Uda attinse queste notizie fu la cronaca redatta dal canonico Gaetano Porcu Fabre (1762/1847), che riferì inoltre che molti frequentatori del 'Padiglione Nazionale' furono perseguitati in vario modo, fra questi i Gastaldi, il professore di pandette Liberti, ed altri.

Il gesuita algherese Maurizio Pugioni (1731/1803), nella sua cronaca sulla spedizione francese contro la Sardegna, riferisce d'una casa della Marina dalla cui terrazza, durante il bombardamento francese su Cagliari del 28 gennaio 1793, '...s'innalberò la bandiera Nazionale, perlocché furono immantinente arrestati e i domestici, che si rinvennero, ed i padroni assenti...'

Il Pugioni aggiunge che per accogliere i francesi vittoriosi erano state preparate nella casa 'molte caffettiere nel fornello' e si sospettò che dalla stessa terrazza, nei giorni precedenti, fossero state fatte delle segnalazioni dirette ai bastimenti francesi che assediavano la città.

Gli atti di una causa, conservati all'Archivio di Stato di Cagliari, permettono di cucire insieme le notizie tramandate dai due storici: raccontano l'episodio della bandiera, il motivo per cui i suoi proprietari, fratelli Gastaldi, furono arrestati e gettati '...nelle orribili mude di San Pancrazio', e hanno reso possibile identificare esattamente la casa, tuttora esistente; sono inoltre una cronaca di una giornata particolare della Cagliari di fine '700.

Nella tarda mattina di lunedì 28 gennaio 1793, secondo giorno del primo bombardamento francese di Cagliari, il 'cannoniere nazionale' Michele Amedeo, ventisettenne muratore cagliaritano, impegnato sul molo di S.Elmo a difendere la città, volse lo sguardo verso le case della Marina e vide una specie di bandiera, una canna con in cima un fazzoletto rosso, sventolare su un terrazzo non lontano dalle chiese di S.Eulalia e di S.Francesco di Paola; la notizia si diffonde fino ad arrivare alle orecchie dei comandanti delle milizie don Girolamo Pitzolo e il marchese di Neoneli, che si trovavano presso la porta del molo; nel primo pomeriggio, una volta cessati i bombardamenti, un folto drappello di uomini si reca verso la terrazza incriminata, dalla quale nel frattempo è sparita la bandiera; sono diversi i gruppi che fanno parte di questa spedizione: un gran numero di miliziani guidati dai loro comandanti, soldati dell'esercito regolare del reggimento 'Piemonte', e i soldati 'alemanni' del reggimento Schmid; don Girolamo Pitzolo affermò di essere stato accompagnato da circa 50 uomini, tutti popolani e borghesi delle milizie; fra questi spiccano i nomi di Andrea Delorenzo (che due anni dopo ebbe una non piccola parte nell'uccisione dello stesso Pitzolo) e del giovane 'scrivente' Francesco Cilloco (lo stesso che, seguace dell'Angioy, fu crudelmente giustiziato nella città di Sassari nel settembre 1802).

Fu circondato l'isolato compreso fra la contrada Gesus (oggi via Cavour), la contrada di S.Eulalia, la contrada delle Saline (oggi via Sardegna) e il vico di S.Francesco (oggi via dei Mille); le testimonianze rese al giudice don Giovanni Maria Mameli (allora trentacinquenne, fratello del nonno di Goffredo Mameli) sono a volte contraddittorie, ma è evidente che la terrazza dove fu vista la bandiera rossa era quella della casa (ora sostituita da costruzioni più recenti) che aveva l'ingresso nella contrada delle Saline, all'angolo con la salita di S.Eulalia (2618); in un primo momento i diversi gruppi di miliziani e soldati si accanirono contro questa casa e contro l'altra che aveva l'ingresso nella contrada Gesus, sempre all'angolo con la salita di S.Eulalia (2619); erano entrambe abbandonate per la guerra in corso; vennero sfondate le porte d'ingresso, ma coloro che entrarono non trovarono nulla e nessuno, a parte, nella terrazza sulla via delle Saline, una canna piantata in un vaso pieno di terra, ma senza fazzoletto rosso o bandiera; negli atti dell'inchiesta che seguirà, della prima casa non viene riportato né il nome di chi la abita né il nome del proprietario; la seconda era abitata dal notaio Nicolò Murroni, vecchio di ottant'anni, che non fu ritenuto sospettabile di aver commesso tale crimine.

I sospetti cadono, a questo punto, sui fratelli Giambattista ed Antonio Gastaldi, cagliaritani di origine ligure e agiati commercianti; il primo, 49 anni, oculato amministratore della sua e di altrui proprietà, solo l'anno precedente ha avuto il permesso governativo di erigere un fabbrica di amido e polvere di Cipro (vale a dire cipria); il secondo, 48 anni, oltre a essere commerciante insieme al fratello, è notaio, e negli anni successivi assumerà degli incarichi nella amministrazione statale; sono proprietari e abitano, con le rispettive famiglie, nella grande casa, tuttora esistente e a quei tempi nuova, che ha l'ingresso e la facciata principale nella via dei Mille, a sinistra per chi sale, e le facciate laterali più piccole sulla via Sardegna e sulla via Cavour (2615).

Con l'insistenza e le minacce, fra le grida e la confusione, i soldati ed i miliziani riescono a farsi aprire il portone di casa Gastaldi; apre una donna, tale Maria Antonia Bandinu vedova Ciuffu, 59 anni, scarpara di professione, che si trovava rifugiata nell'androne in compagnia del figliastro paralitico Raffaele Ciuffu, 38 anni, scarparo; i due vengono arrestati e portati alle carceri di S.Pancrazio.

La casa viene perlustrata; si abbattono le porte degli appartamenti, ed in una camera al primo piano, su una tavola, vengono trovate le tracce d'un pasto consumato di recente da più persone: piatti, posate, pane, bottiglie di vino, tazze da caffè, una caffettiera di ferro bianca ancora piena; secondo i ricordi di alcuni il caffè sarebbe ancora caldo, fumante, altri, e tra questi don Girolamo Pitzolo, escludono categoricamente il fatto; viene trovata una lampada accesa davanti a due piccole statue di S.Efisio e di S.Francesco di Paola; questi particolari fanno credere comunque che la casa sia abitata e che molte persone vi si trovassero poco prima, scappate forse per i tetti; non viene trovato null'altro di rilevante, a parte una ingente quantità di tabacco che viene immediatamente sequestrata ed inviata al magazzino del monopolio.

Si va sulla terrazza, il caos è notevole; i diversi gruppi, saliti da case diverse, si incontrano, si intimano l'alt, si sparano fortunatamente senza colpirsi, finalmente si riconoscono; don Girolamo Pitzolo nella testimonianza che renderà al giudice Mameli il 15 di marzo (quando è ormai terminata l'avventura sarda dei francesi), ricorda di aver abbandonato la casa dopo aver dato disposizioni di circondare tutto l'isolato, e di esservi tornato la mattina del giorno successivo per effettuare una ricognizione più accurata e per interrogare dei vicini; ma sono solo ipotesi quelle che può raccogliere; l'unica certezza è che erano parecchie le vie d'accesso alla terrazza dove si vide sventolare il fazzoletto rosso; molte case di quell'isolato, attigue fra loro, hanno la terrazza, e una persona agile può facilmente passare dall'una all'altra e uscire dall'una o dall'altra parte.

La notte stessa è rintracciato e arrestato Giambattista Gastaldi. Il giorno dopo, venute le autorità a conoscenza dei fatti, viene ordinato di procedere con un inchiesta per chiarire '...un delitto così grave, scandaloso, e pernicioso alla difesa del Regno...'; ne è incaricato il giudice Mameli che interroga in primo luogo i miliziani e i militari del reggimento che hanno visto per primi la bandiera e che sulla terrazza hanno trovato la canna, sequestrata come prova del delitto.

Il 31 gennaio, nel palazzo delle Seziate attiguo alle carceri di S.Pancrazio, viene interrogata la donna arrestata in casa Gastaldi; è probabilmente terrorizzata, così come ammette di esserlo stata durante il bombardamento; riferisce comunque che si trovava nella casa dal giorno 27, e di essercisi rifugiata, col permesso del proprietario, in compagnia del figliastro paralitico, in quanto la costruzione è nuova e si spera che possa dare maggior protezione dalle bombe; i due abitano di fronte, nella stessa strada; erano con loro, dalla sera del 27, il proprietario Giambattista Gastaldi con due muratori, un falegname, e un 'manopera' di muratore, i quali probabilmente lavoravano in quei giorni alla costruzione di un'altra casa di proprietà dei Gastaldi, nello stesso isolato (2620); in tutto sette persone che cenarono al primo piano e che la sera, dopo aver acceso una lampada votiva davanti alle statue di S.Efisio e S.Francesco di Paola, scesero al piano basso dove dormirono su materassi stesi per terra sperando che i tre solai fossero robusti a sufficienza; per ordine di Gastaldi non sparecchiarono la tavola e lasciarono pertanto piatti, resti di cibo ('foglie di cavoli e un ottimo montone') e caffè sulla tavola; la mattina successiva tutti gli uomini ad eccezione del paralitico andarono a messa nella vicina chiesa di S.Francesco; sono le sei e mezza, i bastimenti francesi si stanno apprestando a lanciare le prime bombe. Intorno alle ore nove, a bombardamento già iniziato, il Gastaldi, non sentendosi sicuro, decide di salire con gli altri al Castello; si vuole rifugiare in una bottega di un conoscente, di cui ha la chiave; la Bandinu e il figliastro non vengono portati al Castello date le condizioni del paralitico.

La Bandinu non dice altro; le sue parole sono poi confermate dal figliastro, dal Gastaldi, dai 'mastri da muro' Giuseppe e Francesco Schirru (padre e figlio), dal 'manopera' di muratore Gimiliano Pistis, e dal 'mastro da bosco' Francesco Cossu, tutti arrestati e incarcerati nella torre; essi completano il resoconto della loro giornata: lasciata la casa, salgono verso il Castello ma trovano la porta (dei Leoni) chiusa; anche la porta di Villanova è chiusa, non sanno dove andare e come uscire dal quartiere; si apre finalmente la porta dei Leoni per far passare delle milizie che scendono al porto; entrano nel Castello, ma neanche lì si sentono sicuri e Gastaldi decide allora di raggiungere Settimo, dove la sua famiglia, e suo fratello Antonio con la sua, già dal 24 gennaio si trovavano ospiti presso il parroco Schirru; attraversano quindi il quartiere ed escono dalla porta di s'Avanzada, poi a piedi, superati Pirri e Monserrato, arrivano a Settimo per l'ora di pranzo; è probabile che i cinque uomini e Antonio Gastaldi siano stati arrestati proprio a Settimo, la notte del 28 gennaio; verranno interrogati dal giudice Mameli: Giambattista il 31 gennaio, Antonio il 3 febbraio, i due muratori, il 'manopera', il falegname, il 2 marzo.

A conferma delle sue parole, Giambattista Gastaldi cita diversi testimoni: '......mi vide sulla mia porta don Girolamo Pitzolo, che unitamente al marchese di Neonely e le milizie di questi discendeva verso la strada di S. Francesco di Paola; ..... nella porta del Castello mi vide Girolamo Pintor che conduceva le sue milizie alla Marina....; strada facendo verso Settimo, mi vide il paggio di Sua Eccellenza, Cav. Antioco Nater.......'.

I fratelli Gastaldi, così come ricordato dal canonico Porcu Fabre, hanno fama di avere simpatie per la causa francese; hanno amicizie con dei forestieri e parentele con oriundi francesi; dalla testimonianza del sergente Giovanni Adamo, primo fra tutti ad essere interrogato, traspare evidente un forte preconcetto nei loro confronti, e ancora prima di recarsi all'isolato della Marina, egli ed altri sapevano già di chi sospettare; il sergente si ricorda inoltre di aver visto il giorno prima, su una terrazza nei pressi della casa, '....un giovine alto e sottile, che va con un mantello bianco e capello rotondo...piemontese, per quanto sentito dire che abbia passato la maggior parte della sua vita in Marsiglia...' e sospetta che il giovane forestiero possa essere implicato nell'episodio.

Lo 'scrivente' Francesco Cillocco, che si ritrovava sul molo con un distaccamento di miliziani goceanesi, riferisce che '...si portò a quel luogo l'avviso non so da chi, che nella Casa dei fratelli Gastaldi Negozianti di questa Città posta nella Contrada di Gesù....si fosse messa una Bandiera....'.

Il commerciante Domenico Cervia, che era al seguito del Pitzolo, ricorda che dopo esser disceso dalla casa Murroni '...cadde il sospetto sui fratelli Batta, ed Antonio Gastaldi ....sono le uniche persone di qualche riguardo, che abitano in quel quartiere (nell'isolato),.... i medesimi avevano sulla loro Casa precedentemente un giovine Francese di cognome Giordano, che si era però già allora imbarcato o fatto imbarcare dal Governo...'; i Gastaldi avevano effettivamente un amico di nome Antoine Lucien Jordan, negoziante francese, di cui si è trovata traccia nei registri della parrocchia di S.Eulalia: egli infatti era stato recente padrino di una figlia di Antonio Gastaldi e testimone alle nozze di una figlia di Giambattista; altro di lui non si può dire; era comunque sospetto in quanto Francese, e con lui i suoi amici.

La casa Gastaldi è intanto 'chiodata', le chiavi vengono consegnate al custode delle carceri, Pietro Sorba: '...due chiavi grosse sciolte e cinque altre piccole legate insieme con un pezzetto di pelle...... e disse detto Gastaldi essere una delle due grosse... il passa per tuto o chiavino per aprire il portone della sua Casa, del quale non può servirsene che lui, il suo fratello Antonio, ed il falegname Francesco Cossu, che sono pratici della maniera di servirsene, l'altra chiave grossa d'una camera del pian di terra di detta Casa, dove si ritrova per terra nascosta in un po' di paglia la chiave del primo piano di detta Casa,......'.

Il 5 febbraio il 'Regio Procuratore de' poveri' per parte di Annica Cossu, moglie di Gastaldi, chiede al giudice Mameli la restituzione delle chiavi: '...trovasi detta Cossu priva delle robbe necessarie, e del preciso alimento per trovarsi le chiavi della Casa nelle mani del Sig. Relatore della causa, senza poter perciò ne anche cavare le robbe precise delle sue figlie'.

Lo stesso giorno il giudice Mameli si reca in casa Gastaldi: '....avendo fatto la dovuta perquisizione per tutta quella Casa non gli è riuscito di ritrovare cosa alcuna, che potesse influire alla verificazione di detto delitto....'; pertanto il giorno successivo vengono consegnate tutte le chiavi ad Annica Cossu.

Il giorno 4 febbraio vengono intanto scarcerati Maria Antonia Bandinu ed il figliastro Raffaele Ciuffu.

Con la testimonianza di quest'ultimo viene coinvolto nella vicenda un personaggio che ha la sua personale storia da raccontare; riferisce il Ciuffu:'...prima della partenza di detto Gastaldi e suoi compagni da quella Casa andiede soltanto alla medesima verso le sett'ore e mezza il Parrucchiere di detto Gastaldi Giuseppe Regis Nizzardo chiedendogli se si voleva pettinare, e siccome gli disse di no, prese detto parrucchiere il cannocchiale e salì nei piani superiori di detta Casa per guardare i bastimenti nemici, e pochi momenti dopo ritornò a calare, dicendo che non gli bastò l'animo di fermarvisi, e subito se ne andiede da quella Casa'.

Giuseppe Regis, quarantenne parrucchiere di Villafranca di Provenza (vicinissimo a Nizza), viene interrogato il 14 marzo; sarà per il tempo ormai trascorso, sarà per la paura di essere incolpato, ammette di essersi recato in casa Gastaldi solo quando gli si legge la testimonianza del Ciuffu; conferma quindi di aver offerto i suoi servizi, e di esser salito sulla terrazza col cannocchiale e '....avendo veduto il gran preparativo che vi era in detti bastimenti, tutti messisi in ordine per battere, preso dalla paura me ne calai subito, e......subito me ne andiedi, non avendo presente che ora allora fosse, non avevano però ancora cominciato a tirare detti bastimenti'.

E' però più interessante ciò che il Regis racconta della sua giornata: '...la prima cosa che ho fatto si è sul far del giorno di esser andato a sentir la Santa Messa nella chiesa di S.Francesco di Paola,.... quindi ritornato alla mia Casa dopo di aver dato a mia moglie l'ordine di andare coi cinque miei figliuoli a sentir la Santa Messa,.... sono venuto in questo Castello, a Casa del Commendatore Grondona, dove si ritrovava ritirato il Negoziante Giuseppe Rapallo, ed il Comandante dell'Isola di S.Pietro Denobili, alfine di servirli nella mia professione..... per ordine di detto Rapallo sono andato verso le ott'ore poco più o meno alla di lui vigna posta in territorj di questa Città... alfine di far venire a detta Casa il guardiano di detta Vigna col carro, dove mi costò gran fatica il farmi aprire, perché mi credettero un Francese, ma siccome detto guardiano disse assolutamente di non voler venire, nel ritornare a darne relazione a detto Rapallo, essendo passato nel sobborgo di Villanova, e vicolo che conduce alla contrada di S.Domenico, mi attaccarono diversi paesani, fra i quali un certo Merdona di Villanova, e pretendendo assolutamente che fossi un Francese, mi maltrattarono a colpi di sciabla, e a spuntonate d'archibuso, come pure con spari, volendomi torre la vita, come la tolsero al giovine di bottega d'un certo Giulio nell'istesso luogo al tempo istesso, ed alla mia presenza, che scampai per miracolo, essendomi subito rifugiato nella Chiesa di S.Domenico, dove tutto stordito sono restato fino ad un'ora dopo mezzodì, come mi venne allora detto da qualche persona che mi levò da inginocchioni, come mi ritrovava....'; una brutta avventura, dovuta forse al suo aspetto, o al suo modo di parlare, che rivelano la sua origine Nizzarda (ma Nizza apparteneva ai Savoia fino al settembre 1792, quando fu occupata dai francesi); anche quest'episodio dimostra la difficile atmosfera che gravava sulla città.

A conferma del racconto del Regis, si legge nel registro dei defunti della parrocchia di S.Giacomo che il 29.01.1793 il parroco Miguel Loddo diede sepoltura al cadavere del Piemontese Luis Rignon, che non ricevette Sacramenti per esser morto di morte violenta.

Altra testimonianza particolare è quella resa il 5 marzo dalla diciottenne Anna Maria Pastor; la ragazza non ha assolutamente nulla a che fare né con i Gastaldi, né con la bandiera rossa; dai primi giorni di gennaio, per tutto il mese, si ritrovava '...nel Villaggio di Serdiana, e Casa del Sr Marchese di S. Saverio'; capisce però il motivo per cui viene interrogata sui fatti accaduti alla Marina: '...sospetto però di essere interrogata in tal proposito per una proposizione innocentemente scappatami dalla bocca....non mi ricordo quando, bensì in occasione che ....detto Sr Marchese diede la nova di essere stato arrestato non so quando un certo Gastaldi per avere non so in che tempo messo non so dove la bandiera Francese, o Nazionale,.....dissi allora che da lui era addunque che eravamo stati traditi,.... io però niente sapeva, e neppur conosco quel tal Gastaldi che fu arrestato'; la ragazza ha solo ascoltato le chiacchiere che girano in fretta fra la gente; circola ormai la voce di una 'bandiera Nazionale' innalzata in una casa della Marina; la canna col fazzoletto rosso, peraltro mai trovato, si è trasformata.

Viene da pensare che anche il cosiddetto 'Padiglione Nazionale', aperto dai Gastaldi come luogo di cospirazione, sia solo il frutto di chiacchiere e di equivoci linguistici legati all'uso delle parole 'bandiera' e 'padiglione', di simile significato in certi contesti e in certe parlate.

L'inchiesta sta per finire; vengono ancora interrogati dei vicini che non aggiungono niente di più; il giudice non ha raccolto nessun elemento che giustifichi la permanenza in carcere dei detenuti.

I fratelli Gastaldi, graziati ma non discolpati, verranno liberati il 29 marzo, giorno di venerdì santo; con loro probabilmente tutti gli altri.

                                                                                                                                             Guido Massacci