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Isolato T: Gesus/Pagatore/San Francesco/Fortino

(via Cavour, via Arquer-Consiglio Regionale, via Roma, via Porcile)

numeri catastali da 2503 a 2524

questo isolato, così come gli altri due contigui, è ora interamente occupato dal palazzo del Consiglio Regionale; la via Sardegna, che prima si interrompeva all’altezza della via Arquer, ora passa sotto il palazzo e continua oltre la via Porcile; alcune vecchie case sulla via Roma erano già state sostituite dai palazzi Cavanna e Rossetti; il primo, costruito intorno al 1870 all’angolo con la via Arquer, ancora privo di portici, il secondo costruito negli anni ’30, all’angolo con la via Porcile.

 

2503     

Dovrebbe corrispondere a una casa di proprietà del monastero di Santa Chiara, dichiarata nella denuncia del donativo del 1799 in “calle de Gesus o del Fortino” (con la solita approssimazione; in realtà era nella discesa del Fortino, non lontano dalla Porta Gesus); era una casa “ensostrada” cioè con almeno un piano superiore sopra il piano terreno, di 6 stanze, e rendeva lire 87 e soldi 10 ogni anno; si usa il condizionale a causa della poca precisione con cui negli atti relativi alle case vicine vengono descritti i confini, e a causa della poca precisione delle carta catastale di metà ‘800 (distante circa 50 anni dal periodo di interesse).

In atto del 23.03.1792 il patron Matteo Alagna ipotecò la sua casa identificata con l’unità catastale 2520; secondo questo documento dietro la casa Alagna c’era una casa del monastero di Santa Chiara; in effetti dalla pianta catastale quest’ultima casa dovrebbe essere la casa 2504 ma, con atto del 14.11.1800, i giugali (coniugi) Matteo Alagna e Caterina Piga vendettero la loro casa 2520, e in quest’ultimo atto è specificato che alle spalle vi erano le case del Monastero di S.Chiara, di Michele Humana e e del Convento del Carmine, identificabili rispettivamente con i numeri 2503, 2504, 2505.

La proprietà del Monastero è ancora ricordata in un atto di ipoteca del 06.03.1812, relativo alla casa Coiana 2486: vi è scritto che detta casa 2486 aveva davanti, strada in mezzo, una casa del monastero di Santa Chiara (2503).

Dai dati catastali di metà ‘800 risulta appartenere al magistrato Raimondo Doneddu.

 

2504     

La casa 2504 apparteneva alla famiglia Humana, ed era sua volta divisa in due case: una era della suora Giuseppa Humana, l’altra di suo fratello Agostino Humana (-1774), figli di don Francesco Maria Humana e donna Gerolama Ventimiglia; i riferimenti alle due parti non sono quasi mai ben chiari, le due case e i loro proprietari vengono spesso scambiati; sicuramente la proprietà della suora veniva amministrata dai parenti, rendendo facile quindi la confusione; con atto notarile del 24.02.1777 venne venduta la casa 2488, la quale aveva davanti la casa della suora Giuseppa Humana (parte della casa 2504) e una casa di don Giovanni Maria Solinas Manca, marchese di Sedilo (2505).

Il giorno 03.11.1784 venne aperto il testamento del fu don Giuseppe Humana; eredi erano i figli del primo e del secondo matrimonio; nel testamento viene specificato che il defunto aveva ereditato una casa nella strada del Fortino da sua sorella suor Pepa Humana, monaca di Santa Lucia.

Il 23.06.1799 don Michele Humana, figlio del fu don Giuseppe, presentò la sua denuncia per il donativo: vi erano comprese due case nella strada del Fortino, una nella strada del Molo (angolo con la strada del Fortino) e una casa diroccata di fronte alla darsena; una delle case nella strada del Fortino era parte dell’unità 2504, composta da 2 piani, con 7 stanze, fruttava lire 100 annue.

In data 10.03.1802 il Marchese Gaspare Viaris, Capitano dei Dragoni Leggeri di Sardegna, in qualità di Procuratore Generale di sua madre donna Maria Chiara Humana Marchesa di Viaris, vendette a suo zio don Michele Humana una delle case spettanti alla madre dalla divisione della eredità paterna (atto di divisione del 17.10.1798), “per le necessità in cui trovasi per le attuali vicende del Piemonte”; la casa era stata avvalorata £ 1434 e soldi 9, era “in stato inabitabile” e venne venduta per £ 1250; era composta di 2 piani, situata nella strada del Fortino, confinava da una parte con casa delle Monache di S.Chiara (2503), d’altra parte con casa del fu Agostino Humana ed ora di Michele Humana (parte della stessa 2504), alle spalle a casa che era del Patron Matteo Alagna e poi di Francesco Garruccio (2520), davanti, strada in mezzo, con casa della Comunità di S.Eulalia (2487).

Per riassumere, la proprietà Humana era all’origine di don Francesco Humana o forse di sua moglie donna Gerolama Ventimiglia, suddivisa poi fra i figli suor Giuseppa (1708 -<1784) (parte alta dell’unità 2504) e don Agostino (1703-1774) (parte bassa dell’unità 2504); la parte di suor Giuseppa fu ereditata dal fratello don Giuseppe (- 1784), e da questi passò a sua figlia donna Chiara (1741 -); quest’ultima la vendette nel 1802 a suo fratello don Michele (1745-1816); la parte di don Agostino fu ereditata (o forse acquistata) dal nipote don Michele, che perciò nel 1802 diventò proprietario di entrambe le parti.

Ancora nel 1807, nella denuncia per il donativo del convento del Carmine, è compresa una casa nella strada del Fortino, identificata con l’unità 2505, confinante con casa Persi (2506) e con casa di don Michele Humana (2504). La proprietà Humana è ricordata anche in atto del 18.07.1811, relativo alla casa 2520, alle spalle dell’unità 2504. 

Dopo il 1850 tutta l’unità 2504 apparteneva a Matteo Mereu, figlio del fu Bachisio, di cui non si hanno notizie.

 

2505     

Fino al 1777 era una casa del marchese di Sedilo, Giovanni Maria Solinas Manca (-1780); la fonte di questa attribuzione è l’atto già citato del 24.02.1777, relativo alla casa 2488.

In diversi atti degli anni successivi, dal 1789 in poi, è invece sempre attribuita al convento del Carmine; non si conosce la data del passaggio di proprietà, che potrebbe essere avvenuto dopo la morte del marchese; la proprietà del convento è quindi confermata in atti del 1789, del 1792, del 1797, del 1801, del 1802 e del 1810 relativi alla casa 2519, alle spalle della casa 2505; in atto del 1801 relativo alla casa 2520; in atto del 1801 e del 1811, relativo alla casa Persi 2506, laterale alla 2505; in atti del 1802  e del 1810 relativi alla casa 2489, sull’altro lato della strada del Fortino; infine, nella denuncia per il donativo del Convento del Carmine, del 1807, è compresa una casa, identificata con l’unità 2505, sita nella strada che “discende da Porta Jesus alla Darsena”, composta da un magazzino terreno e 2 piani di 4 stanze ciascuno; aveva alle spalle la casa Linguardo (2519), ai due lati una casa di don Michele Humana (2504) e del notaio Francesco Persi (2506).

Nel Sommarione dei Fabbricati successivo al 1850 risulta che appartenesse ancora al Convento dei Carmelitani.

 

2506 e 2507       

Erano le case Persi; la prima citazione rintracciata è in un atto notarile del 06.06.1797, relativo alla cessione della casa 2518, che aveva alle spalle la casa del defunto notaio Joseph Persi; si tratta del notaio Francesco Giuseppe Persi, nato alla Marina nel 1734, defunto già al 1789, figlio del notaio Francesco Antonio, coniugato con Chiara Dugoni (1790).

Nel donativo del 5 giugno 1799 Francesco Persi (1770-1811), guardia del corpo di Sua Maestà, figlio del defunto notaio Francesco Giuseppe, dichiarò di possedere 2 case composte da 2 piani e 16 stanze in tutto; una parte della casa era abitata dal proprietario con la sua famiglia, e avrebbe potuto rendere 20 scudi annui, mentre l’altra parte era affittata per scudi 100 annui; Persi pagava le pensioni per due censi alle monache di Santa Lucia e all’Azienda ex-gesuitica, la prima di scudi 52 e 5 reali, la seconda di 10 scudi.

Anche nel donativo del 1799 del monastero di Santa Lucia è confermato che Francesco Persi pagava lire 131 e 5 soldi (cioè 52 scudi e 5 reali) per una casa nella Marina. 

Un documento del 1799 intitolato “Stato dei forestieri esistenti in Sardegna” (ASC, Segreteria di Stato serie II, volume 1283) riferisce che nella casa del sobborgo della Marina, della Guardia del Corpo della Marina Francesco Persi, era alloggiata dal 13 agosto la “maltesa” Maria Teresa Balbi con 3 figli di minore età.

Con atto notarile del 15.06.1801 Francesco Persi ipotecò la casa grande (2506) di 2 piani e “sòttani” che aveva ereditato dai suoi genitori, i defunti notaio Joseph Persi e Clara Dugone, sita nella strada del Fortino, confinante sul davanti con casa e magazzino di S. Eulalia (2491), e con casa del Reverendo Lostia mercedario (2490); di spalle confinava con casa del patron Juan Batta Rossi (recte Joseph Rossi, 2518), da un lato con casa dei Padri Carmeliti (2505), e dall’altro lato con casa dello stesso Persi (2507); l’ipoteca serviva per garantire la restituzione di un censo di 150 scudi pagabili al 5%, ottenuti dal negoziante Bernardo Dugoni, fratello della madre di Francesco Persi.

Un’altra citazione è in un atto del 13.07.1805, relativo alla casa 2491, sull’altro lato della strada del Fortino, che aveva davanti la casa 2406 di Francesco Persi guardia del corpo di Sua Maestà.

Nella denuncia per il donativo del Convento del Carmine, del 1807, la casa del convento identificata con l’unità 2505 confinava con la casa di Francesco Persi, 2506.

Altre conferme arrivano da un atto del 21.01.1811, nel quale la casa Porcile 2492 aveva davanti le case della “fu vedova Maria Chiara Persi nata Dugoni, ora possedute dal di lei figlio Francesco Persi”, e da un atto del 24.07.1813 nel quale la casa Deamico 2518 aveva alle spalle la casa degli eredi Persi; infatti Francesco Persi morì il 18.09.1811, lasciando la vedova Elisabetta Chessa e l’unica figlia Chiara, nata nel 1792; dall’inventario dei suoi beni risultano due case nella strada del Fortino: una grande, composta dal piano terra, 2 piani alti e altro piano superiore con la cucina ed il terrazzo, stimata £ 8827, soldi 9 denari 2; l’altra più piccola, con un solo piano alto ed il piano terreno, con altro mezzo piano con la cucina e il terrazzo, stimata lire 2030, soldi 5, denari 2.

Infine in una causa civile del 1819, relativa alla casa 2490, questa aveva davanti una casa del fu notaio Persi.

Dopo il 1850 la casa 2506 apparteneva al negoziante Efisio Zurru del fu Giovanni, la casa 2507 al negoziante Giuseppe Etzi del fu Agostino; fra i due proprietari e la famiglia Persi non risulta alcuna parentela.

E’ stato rintracciato “fra gli atti delle ultime volontà” il testamento del 23.02.1867 di Francesca Atzori vedova di Bernardo Strazzera: la donna possedeva una piccola casa con piano terreno e piano elevato nel quartiere della Marina, nella contrada delle Cantine, proveniente da un legato testamentario di sua cugina Rita Campagnola (1801?-1861) vedova di Giuseppe Etzi, valutata £ 4.000; la Atzori lasciò la casa alla figlia Efisia Strazzera coniugata con Domenico Murganti; senza averne la certezza potrebbe trattarsi della casa 2507.

Una certa conferma arriva dall’anagrafe cagliaritana: Francesca Atzori di anni 77 morì il 03.10.1877 (10 anni dopo aver scritto il testamento) in una casa al numero 49 della via Darsena, figlia del fu Pasquale muratore e della fu Rafaela Marras, vedova di Bernardo Strazzera; Efisia Strazzera, figlia dei defunti Bernardo pescatore e Francesca Atzori, moglie di Domenico Murganti, morì a 42 anni nella stessa casa il 01.04.1879; Domenico Morganti, di anni 65, negoziante nato in Portofino, del fu Alessandro e della fu Cicilia Mortola, vedovo di Efisia Strazzera e marito di Emanuela Rigo, morì nella stessa casa il 28.02.1895.

 

2508     

Sono stati rintracciati tre documenti che possono riferirsi a questa casa: il primo è l’atto notarile del 11.01.1798 con cui don Juan Batta Rapallo vendette un magazzino, parte dell’unità 2494, a suo fratello don Luis Rapallo; davanti a esso c’erano le case di Sant’Eulalia e di don Michele Humana; quest’ultimo possedeva tutte le case dalla 2509 alla 2512, all’angolo con la strada del Molo, per cui si attribuisce la casa 2508 alla comunità di Sant’Eulalia; la comunità, nella denuncia per il donativo del 1799, dichiarò di possedere 3 case nella strada del Fortino, cioè le case Capriata, Cabula, Rustarello; la casa Cabula è stata identificata con l’unità 2491, venduta nel 1805; le altre due non sono state identificate, ed erano entrambe composte da un sòttano e 2 piani alti di 8 stanze in tutto.

Il secondo documento che riporta notizie sulla casa 2508 è l’inventario dei beni del defunto don Giuseppe Rapallo, datato 02.03.1812: il magazzino Rapallo 2494 (parte di quest’unità) aveva davanti una proprietà di S.Eulalia, per cui sono confermati i dati della precedente fonte.

Il terzo documento è l’inventario dei beni del defunto Francesco Persi, del 21.11.1811: la casa Persi 2507 confinava di lato con una proprietà di Sant’Eulalia (2508).

Una conferma a questa attribuzione arriva dal Sommarione dei Fabbricati: la casa 2508, dopo il 1850, apparteneva ancora alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2509, 2510, 2512                              

Queste 3 unità catastali facevano parte della proprietà di don Michele Humana, che nel suo donativo (senza data, ma con tutta probabilità del 1799) oltre alla casa 2504 sulla strada del Fortino e una casa diroccata davanti alla Darsena (2495/a), dichiarò un’altra casa nella strada del Fortino, composta da 3 piani e 15 stanze in tutto, che fruttava lire 292 e 10 soldi se affittata interamente, ed un’altra casa nella strada del Molo, composta anch’essa da 3 piani e 14 stanze, e che poteva dare un reddito di lire 375; la prima potrebbe corrispondere alle unità catastali 2509 e 2510, la seconda alla unità catastale 2512.

Nell’atto del gennaio 1798, citato per la casa 2508, risulta che il magazzino Rapallo dell’unità 2494 avesse di fronte una casa di Sant’Eulalia e una casa del cavalier Michele Humana, cioè l’unità 2509; in altri atti relativi all’unità 2494, del 1800 e 1801, è confermata la posizione della casa Humana, che nella pianta risulta esattamente davanti all’unità 2494.

Nell’atto notarile del 21.12.1798 relativo alla vendita della casa 2496/a, è scritto che di fronte a questa, con la strada del Fortino in mezzo, c’era la casa di don Michele Humana: ci si riferisce in questo caso all’unità 2510.

In data 08.10.1799 il cavalier Michele Humana vendette la sua casa “diroccata” 2495/a, che confinava lateralmente con altre case dello stesso Humana, sull’altro lato della strada del Fortino, e che corrispondono quindi alle unità catastali 2510.

Per la casa 2512 vi è un documento anteriore a quelli citati, rintracciato nell’Archivio di Sant’Eulalia: si tratta di un atto notarile del 1769, relativo alla vendita da parte dei fratelli Cavassa di due case contigue nella strada del Pagatore, cedute alla Comunità di Sant’Eulalia; le case Cavassa dovrebbero corrispondere a parte dell’unità 2513 e parte dell’unità 2514, entrambe avevano alle spalle una casa di don Giuseppe Humana, padre di don Michele, cioè la casa 2512, con facciata nella strada del Molo. 

Con atto del notaio Nicolò Maritini del 30.01.1804, don Michele Humana ipotecò la casa 2512, situata davanti alla dogana del formaggio(2198) e proveniente dall’eredità paterna, per garantire il paraferno (o parafreno) necessario alla figlia Antonia che dopo pochi giorni, all’età di 19 anni, avrebbe preso il velo nel convento di Santa Lucia; il parafreno era stato stabilito in 240 lire annue, di cui 150 venivano pagate dal canonico Raffaele Humana, altro figlio di don Michele, per la donazione fattagli dal padre della vigna detta di Zenugio, le altre 90 provenivano dalla riferita ipoteca.

I dati presenti nel Sommarione dei Fabbricati danno una conferma alle ipotesi fatte per la sola casa 2512: infatti a metà ‘800 la casa 2509 apparteneva alla Città di Cagliari; la casa 2510 al negoziante Giuseppe Etzi, il medesimo proprietario della casa 2507; la casa 2512 era della vedova Giovanna Navoni, duchessa di Sottomayor; quest’ultima era figlia del conte Francesco Navoni e di Chiara Humana (1771-), a sua volta figlia di don Michele Humana (1745-1816) e di donna Eusebia Gaibisso.

 

2511

Questa casa, all’angolo fra la strada del Molo e la strada del Fortino, è identificabile con la casa di abitazione e di proprietà del cavaliere Juan Bauptista Massa Coppola, figlio di don Francesco Massa e donna Alberta Coppola. Nato nel 1731, egli consegnò il suo testamento al notaio Giovanni Luigi Todde il 14.09.1797, e morì il 18.06.1804.

Il notaio, chiamato da donna Caterina Massa Coppola, sorella del defunto, si recò nella casa Massa situata nella “calle del Muele, in afaciada al Fortin”; erede universale fu nominata la sorella Caterina, dopo la morte della quale i beni sarebbero passati alle nipoti Caterina e Vicenta Massa Carboni, figlie del fratello già defunto Salvatore Massa Coppola e di donna Francesca Carboni Borras.

Si sa che il cavalier Massa era proprietario della casa già nel 1779, quando incaricò il muratore di Villanova Juan Baxu di diversi lavori da eseguire sui muri e sulle finestre della casa, sita davanti alla porta del Fortino. 

La proprietà di donna Caterina Massa Coppola è confermata da un atto notarile del 1806, relativo alla casa 2495 sull’altro lato della strada del Fortino; con atto del notaio Stefano Garroni, del 23.02.1810, Donna Caterina Massa Carboni (-1859), nuova proprietaria assistita dal marito avvocato don Gio Battista Cao Ciarella (1767-1818), concesse in locazione il piano terreno e il primo piano, per 10 anni, al calafato mastro Francesco Monteleone di Cagliari; il piano alto era composto da due camere ed una piccola cucina, il piano terreno da un magazzino e due stanze; Monteleone avrebbe avuto anche l’uso della cisterna e del pozzo, comuni agli altri 2 piani della casa, e avrebbe potuto subaffittare l’immobile; avrebbe pagato 102 scudi annui a semestri anticipati, a partire dal 01.08.1810; inoltre egli avrebbe avuto la precedenza per l’affitto della parte più alta della casa, nella quale abitava il sottotenente don Francesco Massa (forse fratello di donna Caterina); in questo caso avrebbe pagato altri 50 scudi annui.

E’ stato rintracciato un atto notarile del 21.03.1812 nel quale si cita una casa nella strada del Fortino appartenente a donna Caterina Massa Carboni; era affittata per 10 anni, a partire dal febbraio 1810, al mastro calafato Francesco Monteleone il quale, con l’atto del 1812, ne subaffittò una parte per 3 anni e per 105 scudi annui al capitano Nicolò Guarnieri; in particolare ne affittò il 1° e il 2° piano e la cucina nel 3° piano, con 2 piccole stanze a piano terreno corrispondenti all’entrata della casa; anche questo documento non riporta dati sufficienti per identificare la casa ma, nel Sommarione dei fabbricati successivo al 1850, l’unità catastale 2511 risulta appartenere ancora a donna Caterina Massa Carboni, vedova di Salvatore Cau e nipote del cavaliere Juan Bauptista Massa Coppola. 

 

2512      vedi 2509 

  

2513 e 2514       

Un documento rintracciato nell’Archivio della chiesa di Sant’Eulalia, datato 1769, riferisce che i fratelli Joseph e Miguel Cavassa, eredi del fu Antonio Bosino, possedevano due case in rovina, contigue fra di loro e contigue a una casa grande della comunità di Sant’ Eulalia nella strada del Pagador (detta in questo tratto anche strada “de is Fadas”); in quella data i fratelli Cavassa vendettero le due case, per 140 scudi e 3 reali, alla stessa comunità di Sant’Eulalia, rappresentata dal reverendo Francesco Merella, suo presidente; una delle case vendute confinava da un lato con la casa della comunità nella strada del Pagatore, dall’altro lato con l’altra casa dei venditori, davanti con casa di Agostino Humana, di spalle con casa del cavalier Joseph Humana; l’altra casa confinava da un lato con l’altra casa Cavassa, dall’altro lato con casa di Joseph Amico alias Rossu, davanti con la casa degli eredi del fu Marco Antonio Denegri, di spalle con casa del citato cavaliere Joseph Humana.

Non avendo altri documenti a disposizione si può giusto fare un’ipotesi, basandosi sulle proprietà confinanti: il cavalier Giuseppe Humana era proprietario a fine ‘700 delle case 2509/2512; la casa di Agostino Humana è identificata con l’unità 2545, quella degli eredi Denegri con l’unità 2544; con questi dati si può ipotizzare che le due case Cavazza (o Cavassa) corrispondessero a una parte della casa 2513 e a una parte della casa 2514, esattamente di fronte alle case 2544 e 2545, avendo alle spalle la casa Humana 2512; la casa grande di Sant’Eulalia dovrebbe essere quindi la parte più bassa dell’unità 2513; è meno sicura l’identificazione della casa di Giuseppe Amico (o de Amico) alias Rossu, che da altre fonti degli anni successivi risulta essere proprietario della casa 2518, ma da questo documento sembrerebbe che nel 1769 possedesse la parte alta dell’unità 2514.

Un atto notarile del gennaio 1797, relativo alla vendita della casa Denegri (2544) conferma che anche in quell’anno la casa di fronte, cioè l’unità 2514, tutta o in parte, era una proprietà della Comunità di Sant’Eulalia.

Non è d’aiuto il donativo del 1799 della Comunità di Sant’Eulalia, nel quale non sono fornite informazioni sui confini delle numerose case di proprietà: sono citate due case Cavazza nella strada del Pagatore, costituite da magazzini con piano alto e piano terreno, e nella stessa strada la Comunità possedeva anche le case Durante, Dessì, Pugeddu, Mantelli, e nella strada del Molo, su cui guardava una facciata della casa 2513, possedeva le case Ricardo, Olivez, e un’altra casa Cavazza.

In atti notarili del maggio 1810 e dell'agosto 1812, relativi entrambi alla casa 2543, la casa di fronte corrispondente all’unità 2514, è detta proprietà della Comunità di Sant’Eulalia.

A metà ‘800 la ricca Comunità di Sant’Eulalia possedeva nella parte inferiore della strada del Pagatore, chiamata anche strada de is Fadas, le casa 2513 e 2514; si tratta di due grandi unità catastali, sicuramente nate dall’accorpamento di più case contigue.

 

2515     

Sono pochi, e insufficienti, i dati disponibili per questa unità catastale: si potrebbe identificare con una proprietà del Monastero di Santa Chiara che, nel donativo del 1799, dichiarò di possedere 3 case nella strada de is Fadas, senza dare indicazioni più precise.

Nel Sommarione dei Fabbricati, appena successivo al 1850, la casa 2515 era ancora una proprietà del Monastero di Santa Chiara.

 

2516

Grazie a due atti notarili del 23 e del 25 novembre 1808, relativi alla casa 2517, si può attribuire questa unità catastale al segretario e notaio Raimondo Doneddu; lo stesso proprietario è citato in atto del 21.11.1811, relativo alla casa 2507.

Nel Sommarione dei Fabbricati, appena successivo al 1850, della casa 2516 aveva l’usufrutto il cavaliere e colonnello Antonio Musso, figlio del fu don Ignazio; don Antonio aveva sposato nel 1822 Carolina Scarpinati (1803?-1872), figlia del giudice Antonio Scarpinati e di Rosa Doneddu; quest’ultima era figlia del notaio Raimondo Doneddu; quanto detto rafforza l’attribuzione al notaio Doneddu, in base a quanto è scritto negli atti notarili del 1808 e del 1811.

 

2517     

Dalle poche fonti che la citano, la casa 2517 è identificata come proprietà del Convento dei padri Mercedari: in un atto notarile del giugno 1797, relativo alla casa 2518, è scritto che la casa di lato era appunto di quei frati.

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 23.11.1808, il mastro muratore Francesco Usai e il mastro falegname Nicolò Degioannis, su incarico della Comunità Mercedaria e del signor Emanuele Busu, eseguirono l’estimo d’una casa di due piani di proprietà dei Padri Mercedari sita nella strada Is Fadas, i cui confini permettono di identificarla con il numero catastale 2517; il muratore la stimò per la sua parte lire 956 e soldi 8, il falegname lire 672 e soldi 5, per il totale di lire 1629 e soldi 13; due giorni dopo, con atto del medesimo notaio, fu firmato il contratto di enfiteusi perpetua, col canone di lire 80 annue, dal reverendo frate Antonio Maria Siotto, per conto della Comunità Mercedaria, e dall’enfiteuta Emanuele Busu.

I frati Mercedari, nella loro denuncia per il donativo del 1812, dichiararorno di ricevere 80 lire annue per il canone su una casa nella strada is Fadas da Emanuele Busu; un atto notarile del 24.07.1813, relativo alla casa 2518, conferma che la casa confinante (2517) apparteneva al “Reverendo Convento di Bonaria, e attualmente la possiede Emanuele Busu”.

Dal “Sommarione dei Fabbricati”, registro del primo catasto urbano, risulta che ancora dopo il 1850 la casa 2517 appartenesse ai Padri Mercedari di Bonaria.

 

2518     

Era la casa del patron Giuseppe de Amico, chiamato anche Rossu o Rossi; in atto notarile del 1789, relativo alla casa 2519, la casa 2518 è detta del “quondam patron Joseph Rossi, oggi dei suoi eredi”; la stessa informazione è fornita da atti del 1792 e del 1797, anch’essi relativi alla casa 2519.

Con atto notarile del 06.06.1797 Ignazio Deamico, figlio del patron Giuseppe, cedette la casa che era del padre; egli agiva a suo nome e per conto dei parenti, cioè le sorelle Rosa vedova di mastro Giovanni Tronchi, Caterina vedova di mastro Giuseppe Monteleone, Francesca col marito patron Stefano Fajo (Fiol), Filippa col marito mastro Giuseppe Tronchi, e i nipoti figli dei defunti Giuseppa Deamico e Pietro Casale, cioè Francesco, Luigi, Rosa, Pasquale, Efisio, Antonio, Barbara, e Rafaele Casale Deamico, e Maria Anna Casale Deamico col marito Efisio Uda, e Chiara Casale Deamico con il marito Agostino Agnese Isola; nell’atto notarile è specificato che Giuseppe Deamico, padre e nonno dei cessionari, nel suo ultimo testamento del 05.03.1787 aveva destinato una somma di denaro affinché nella chiesa di Sant’Elmo fosse celebrata una messa quotidiana da un sacerdote scelto da sua moglie Angela Carusu (Caruso). Per saldare il debito che dopo dieci anni si era accumulato, la casa venne qundi ceduta al Gremio dei Santelmari, cioè dei marinai e pescatori; era una casa di 2 piani sita in calle de is Fadas, davanti alla casa del fu segretario Jacinto Paderi (2527), confinante da un lato con casa del convento dei Padri Mercedari (2517), dall’altro con casa dei Padri Agostiniani (2519), e di spalle con casa del fu notaio Giuseppe Persi (2506).

Nella denuncia per il donativo del Gremio di Sant’Erasmo (o Sant’Elmo), datata 22.06.1799, è compresa una casa nella strada del Pagatore che rendeva lire 92 e 10 soldi.

In un atto del 1802, relativo alla casa 2519, è scritto che la casa laterale era quella degli eredi del padrone (padrone navale) Giuseppe Rossi ed oggi del Gremio di S.Elmo.

Un atto notarile del 21.11.1811, relativo alla casa 2506, indica come proprietario della casa 2518, confinante alle spalle con l’unità 2506, il Gremio dei Santelmari.

Nell’atto del 1797 venne usato il termine cessione, non vendita: si trattava di una cessione temporanea, e infatti con atto notarile del 24.07.1813 la casa, tornata in piena proprietà agli eredi De Amico, fu definitivamente venduta al Regio Impiegato Raffaele Dessì; i venditori erano Caterina e Filippa De Amico, uniche sopravvissute dei figli di Giuseppe, e i nipoti Casale, Tronci, De Amico; la casa, situata nella strada delle Fate davanti alla strada posta dietro al Convento di S.Francesco di Paola[1] era formata da due pani alti e il sottano; in ogni piano vi erano 2 camere, e i confini erano i medesimi specificati nei precedenti atti, fra le case dei Mercedari, posseduta da Emanuele Busu (2517), una casa dei padri Agostiniani (2519) e la casa Persi (2506).

Raffaele Dessì, “Regio contadore nel Monte di Soccorso, pagò in moneta 200 scudi, e si impegnò ad adempiere alle disposizioni testamentarie di Giuseppe De Amico per celebrare una messa quotidiana in S.Elmo, con la elemosina di 6 soldi per ogni messa.

A metà ‘800 la casa 2518 apparteneva al negoziante Giovanni Campagnola del fu Michele. 



[1] cioè all’imboccatura della strada delle Siciliane, attuale via Sardegna, che si interrompeva a quel tempo con la strada del Pagatore, attuale via Arquer 

 

 2519     

Nell’inventario dei beni del defunto Agostino Paderi, del 12 dicembre 1788, la sua casa all’angolo fra le strade del Pagatore e delle Siciliane, numero 2527, aveva di fronte, sull’altro lato della strada del Pagatore, una casa della chiesa di Sant’Agostino e la casa di Matteo Alagna, identificate con le unità 2519 e 2520; nel giugno dell’anno successivo i padri Agostinani fecero stimare la casa di due piani, valutata solo 355 scudi essendo in condizione rovinose, e la vendettero in enfiteusi al "panataro" e Regio munizioniere Pasquale Pelufo, col canone annuo di 19 scudi e mezzo.

Con atto notarile del 23.03.1792 Pasquale Pelufo (Peluffo, Piluffo) cedette per 760 scudi l’enfiteusi della casa 2519 al negoziante Vincenzo Crobu e al mastro carpentiere Luigi Mura; nel frattempo la casa era stata riedificata e migliorata, fu stimata 928 scudi e 5 reali, ed era però gravata da un’ipoteca di 200 scudi che garantiva la dote che la moglie del Pilufu aveva “portato al matrimonio” in oggetti d’oro e d’argento e mobili; Pasquale Pilufo nel 1784 aveva sposato in seconde nozze Cecilia Monteleone figlia di Giuseppe e Caterina Deamico, quest’ultima figlia del suo vicino di casa Giuseppe De Amico. Per permettere la vendita, Cecilia Monteleone dovette rinunciare all’ipoteca, che fu sostituita da una garanzia concessa da Matteo Alagna, padrone della casa confinante, e da Giuseppe Monteleoni padre di Cecilia; nell’atto è scritto che la casa veniva detta “di Guirisi”, dal nome di un precedente proprietario, ed era composta da 2 piani alti, con cisterna e il pozzo; aveva davanti la casa del fu notaio Agustin Paderi (2527), confinava da un lato con la casa del patron Matteo Alagna (2520), dall’altro con la casa degli eredi del patron Joseph Rossi alias Deamico (2518), di spalle con casa del convento del Carmine (2505).

Con atto notarile del 26.11.1797 il mastro carpentiere Luigi Mura vendette per 380 scudi al negoziante Giovanni Battista Rossi la sua metà casa acquistata da Pasquale Pilufu; esisteva sempre l’obbligo enfiteutico di pagare il canone di 19 scudi al convento dei padri di Sant’Agostino.

Nella dichiarazione per il donativo del 1799, i padri Agostinani scrivono di ricevere lire 48 e 15 soldi (cioè scudi 19 e 25 soldi) da Vincenzo Crobu e Giuseppe Russu (recte Giambattista Rossi) per la pensione annua su una casa della Marina; la medesima informazione, in questo caso più corretta, si trova nella dichiarazione di Vincenzo Crobu, che dice di possedere una casa nella strada delle Siciliane “a mezza parte con Giambattista Russu”, in enfiteusi da Sant’Agostino, composta al piano terreno da un basso col “forno di panettiere”, un primo piano senza divisione, e un secondo piano con alcova e terrazzo, e fruttava 20 scudi, 12 soldi e 6 denari; nella denuncia del “marinaio analfabeta” Giambattista Rossi è indicata una casa in società con Vincenzo Crobu formata da due piani alti e una piccola stanza bassa, affittata per 60 scudi, la porzione del Rossi è di lire 75 cioè scudi 30, e si pagava la pensione ai padri di Sant’Agostino (per cui quello che rimaneva al Rossi era esattamente quanto aveva dichiarato Crobu, cioè 20 scudi, 12 soldi, 6 denari).

Con atto notarile del 18.07.1801 il negoziante Giambattista Rossi vendette la metà della casa per 380 scudi al conte don Michele Ciarella; i confini sono sempre i medesimi, ed è specificato nell’atto che si trattava della stessa casa in enfiteusi dai padri Agostiniani, acquistata nel 1792 da Crobu e Mura.

Anche Vincenzo Crobu cedette la sua metà di casa con atto del 21.06.1802; il compratore era il parrucchiere Giovanni Linguardo (o Lingurdo), che pagò £ 562 e 12 soldi, con un canone annuo complessivo di £ 48 e 15 soldi, di cui la metà era a carico del conte Ciarella.

Il conte Ciarella dichiarò di possedere la casa nelle denunce per il donativo del 1806 e del 1807, confermando di incassare la metà dell’affitto di 60 scudi; risulta che nel 1807 l’altra metà della casa appartenesse ancora al Linguardo, citato nel donativo di quell’anno dai padri Carmelitani, la cui casa 2505 confinava alle spalle con la casa 2519.

In data 29.10.1810 il Linguardo caricò un’ipoteca sulla metà casa acquistata da Vincenzo Crobu allo scopo di garantire il pagamento del canone annuo di un’altra casa che aveva ottenuto in enfiteusi (numero 2261); la proprietà ipotecata era una metà casa composta da 2 piani alti e il piano terreno, con forno per “panatazione”.

La proprietà di Giovanni Lingurdo è ricordata in atto notarile del 18.07.1811, relativo alla casa Garrucciu 2520.

A metà ‘800 la casa apparteneva ai fratelli Michele (1815-1859) e Giuseppe Ciarella (1816-1863), nipoti del conte Michele, in comproprietà col greco Teodoro Pachi, console di Grecia.

 

2520     

Il più antico documento rintracciato, che citi la casa corrispondente a questa unità catastale, è un atto notarile del 12.12.1788, inventario dei beni del defunto notaio Agostino Paderi; egli era il proprietario della casa 2527, con una facciata sulla strada dei Siciliani (o delle Siciliane) e sulla strada del Pagatore, angolo spesso chiamato de las Fadas o is Fadas; sull’altro lato della strada del Pagatore vi erano le casa dei Padri Agostiniani (2519) e del patron Matteo Alagna (2520).

L’Alagna è citato in atti relativi alla casa 2519, nel 1789, nel 1792, e nel 1797; in quello del 1792, col quale venne registrata la vendita della casa Pilufo 2519, egli è coinvolto direttamente in quanto permette che si accenda un’ipoteca sulla sua casa per garantire la dote alla moglie del Pilufo, e liberare così da ipoteca la casa in vendita; in quest’occasione i confini della casa Alagna sono così descritti: da una parte le case del segretario Ramon Doneddu (2521 e 2522), alle spalle una casa del monastero di S.Chiara (2503), davanti una casa di S.Eulalia (2526) e dall’altro lato la casa venduta dal Pilufo (2519); non è convincente il confine con la casa di Santa Chiara, visto che dalla pianta sembra che la casa 2520 debba corrispondere alle spalle con la casa Humana 2504; in atto successivo i confini sono descritti però diversamente.

Nel 1799, nella denuncia per il donativo, Matteo Alagna dichiarò la casa nella strada de is Sicilianas: al piano terreno vi erano 2 stanze utilizzate dal proprietario (il quale però abitava in affitto nella casa 2544, nella stessa strada), se affittate avrebbero potuto rendere scudi 25; nei due piani alti 7 stanze affittate per 45 scudi; veniva pagato una pensione alla Regia Cassa di scudi 137, e la casa era gravata da un censo di 600 scudi la cui pensione di 30 scudi veniva pagata al gremio di Sant’Elmo.

Con atto notarile del 14.11.1800 il patron Matteo Alagna e sua moglie Caterina Piga vendettero la loro casa 2520 al patron Francesco Garrucciu; la casa era stata comprata dai coniugi durante il loro matrimonio, e decisero di venderla “per essere in età molto avanzata, e per le annate carestiose non hanno potuto pagare la pensione e devono tre pensioni scadute, per scudi 90, e hanno contratto altri debiti per le loro esigenze, e vengono per questo sollecitati e minacciati di esecuzione, e per evitare questo vendono la casa, avendo trovato un compratore che paga il giusto prezzo, stabilito dal misuratore Massei, ed è difficile trovarlo, attese le calamità del tempo, e si accolla il compratore il censo e le pensioni scadute”; la loro era una “casa grande che si compone di 2 sottani e 2 piani, al primo una sala e l’alcova, una stanza in mezzo coll’alcova, colla sua finestra grande, un’altra piccola stanza, la cucina col suo forno e finestra grande, e l’altro piano ha una sala stretta con la cucina e l’entrata comune a entrambi i piani, i poggioli di ferro e la cisterna”; confinava di lato con la casa del segretario Raimondo Doneddu (2521), di spalle con le case del Monastero di Santa Chiara (2503), di Michele Humana (2504) e del convento del Carmine (2505), dall’altro lato con la casa del convento di Sant’Agostino (2519), davanti con la casa Paderi (2527) e con una proprietà di Sant’Eulalia (2526).

Vendendo la casa, i coniugi Alagna e Piga si erano però dimenticati dell’ipoteca che vi gravava, con la quale nel 1792 avevano garantito la dote a Cecilia Deamico, moglie di Pasquale Piluffo; con atto notarile del 04.01.1802 il Piluffo e la moglie rinunciarono all’ipoteca sulla casa 2520 per liberare il nuovo proprietario Francesco Garrucciu dei pesi, e in sostituzione ipotecarono altri immobili che possedevano nel sobborgo di Villanova.

La casa del Garrucciu, già di Matteo Alagna, è ancora citata in altri atti del marzo e giugno 1802, relativi alla casa 2504, alle sue spalle, e alla casa 2519, laterale.

Nel 1807, nella denuncia per il donativo di Michele Ciarella, la sua metà casa 2519 confinava con la casa 2520 del patron Francesco Garruchu. Questi era un “patron”, quindi un uomo di mare così come l’Alagna; nato a Cagliari nel 1761, e morto nel 1811, la sua famiglia era una delle tante di origine siciliana, il cui cognome era originariamente Garuccio, ben presente in provincia di Trapani; in Sardegna si imparentarono con i siciliani Coiana (Guaiana), Pettinau (Pettinato), e altri; il cognome Garrucciu o Carrucciu, così modificato, diventò analogo a un cognome già presente in Sardegna, più che altro nel nord dell’isola, che potrebbe avere diverse origini.

In data 18.07.1811 fu completato l’inventario dei beni del fu negoziante Francesco Garrucciu; il notaio Gioachino Efisio Aru venne chiamato dalla vedova Maria Francesca Gramignano (il cui cognome proveniva dal Trapanese, come quello del marito) la quale, in data 23.06.1811, era stata nominata tutrice e curatrice dei figli minori Giuseppe ed Efisia, e del figlio “pupillo” Raffaele.

Alla presenza del figlio Giuseppe, della figlia Damiana e di suo marito Giuseppe Pace e dell’altro genero Tommaso Murgia, marito di Efisia, fu eseguito l’inventario della bottega di tessuti, nella contrada Barcellona, amministrata dal genero Giuseppe Pace; la bottega era stata chiusa e sigillata dal 14 maggio a causa di una lite fra la vedova e la figlia Damiana; oltre alla bottega la vedova dichiarò la proprietà di due case formate dal piano terreno, usato come magazzino, e il primo piano, nella strada dei Siciliani: sono entrambe da identificare con la casa 2520, evidentemente suddivisa in due parti; avevano davanti una casa di S.Eulalia (2526), dietro la casa Humana (2504), di lato una casa Doneddu (2521) e sull’altro lato la casa di Giovanni Lingurdu (2519).

Con atto notarile del 16.09.1811 fu effettuata la divisione dei beni del defunto Francesco Garruciu; l’asse ereditario ammontava a lire 14294, soldi 14 e un denaro, in stabili, mobili, pegni, merci di bottega, e crediti; alla vedova spettavano metà dei beni, essendo sposata alla sardesca, per cui le toccarono le due case, cioè la casa grande  di abitazione, valutata lire 3048, soldi 11 e denari 11, e l’altra casa piccola valutata lire 963, soldi 11, denari 8.

A metà ‘800 la casa apparteneva a Serafina Corvetto vedova Sesselego e a Girolamo Sesselego (madre e figlio?); i Sesselego o Sessego, il cui cognome originariamente era Sessarego, provenivano da Bogliasco (GE), una cui frazione si chiama proprio Sessarego ( Sessaegu in Ligure).

 

 

2521 e 2522

Erano proprietà del notaio Raimondo Doneddu, segretario della Reale Udienza; le prime informazioni disponibili riguardano l’unità 2522: con atto notarile del 08.08.1751 lo scrivente Carlo Martini acquistò la casa 2540 che aveva davanti, sull’altro lato della via, la casa (2522) che era della fu donna Francesca Marty, ereditata poi da suo figlio don Joseph Rosso; con altro atto notarile del settembre 1770 venne venduta la casa 2861, che aveva davanti la casa (2522) del notaio Ramon Doneddu, in precedenza appartenente a don Joseph Rossu.

Lo stesso dato è fornito da un atto di agosto 1782, anch’esso relativo alla casa 2861, e da atti del 1795 e del 1811, relativi alla casa 2540

La prima informazione disponibile per la casa 2521 proviene da un atto del 26.08.1784 con cui venne venduta la casa 2525 nella strada del Pagatore (chiamata però in questo documento calle de Esterlinas, o di Monserrato): davanti a questa casa vi era una casa del notaio Raimondo Doneddu, cioè l’unità 2521.

Questa attribuzione è confermata da un atto del 23.03.1792 con cui venne ipotecata la casa Alagna 2520, confinante con la casa Doneddu 2521.

Nella denuncia per il donativo del segretario e notaio Raimondo Doneddu, datata 22.06.1799, sono comprese diverse case: la prima, quella di abitazione, si trovava nella contrada Gesus, all’angolo con la strada “per cui si discende al Molo”; questa descrizione è molto ambigua, in quanto potrebbe adattarsi a tutte le strade che dalla strada Gesus scendevano verso la strada di San Francesco del Molo, ma l’unica casa che risulti di proprietà del Doneddu, in un angolo della strada Gesus, è l’unità 2522, all’angolo con la strada del Pagatore; la casa era composta da due sòttani, 2 piani alti e un mezzanello, ogni piano aveva una sala, 3 stanze e una cucina; il primo piano, dove evidentemente abitava il notaio, si sarebbe potuto affittare per scudi 30, il secondo piano era stato affittato in precedenza per scudi 28, e forse era anch’esso occupato dai familiari del proprietario; il mezzanello aveva due “stanze mezzane”, affittate per scudi 12; i due sòttani erano affittati per scudi 15 e 14 rispettivamente, il primo dava sulla discesa, il secondo sulla strada Gesus.

La terza casa denunciata nel donativo del notaio Doneddu si trovava nella strada del Pagatore, identificabile con l’unità 2521, composta da un sòttano grande, 2 piani e un mezzanello; i due piani erano affittati in tutto per scudi 50, il mezzanello per scudi 12, il sòttano per scudi 18.

Oltre a queste, il Doneddu dichiarò altre 6 case nella Marina: unità 2859, 2865, 2583, 2587, 2586, 2612.

Fra le fonti successive, che citano la casa Doneddu 2521, vi sono gli atti notarili del 14.11.1800, del 04.01.1802 e del 18.07.1811, relativi alla confinante casa 2520, e atti del 06.10.1801, del 01.12.1807 e del 20.04.1809, relativi alla casa 2525, davanti alla stessa casa 2521.

Inoltre, dall’elenco dei maioli dimoranti in Cagliari nel 1808, risulta che il notaio Doneddu ospitasse nella sua casa della strada del Pagatore tale Tommaso Porru; potrebbe corrispondere alla casa 2522, all’angolo fra le strada Gesus e Pagatore, sua abitazione già nel 1799.

Infine, da atti notarili del 01.07.1809 e del 01.05.1813, relativi alla casa 2861, questa aveva davanti, sull’altro lato della strada Gesus, le case del notaio Raimondo Doneddu e del dottor Antonio Scarpinati, corrispondenti alle unità 2522 e 2523.

Raimondo Doneddu, figlio di Giuseppe e di Angela Corongiu, coniugato con Vincenza Manali, morì vedovo nel 1817.

Dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, risulta che le due case 2521 e 2522 appartenessero a Raimondo (1794-1866), Vincenzo (1804-) e altri fratelli Doneddu, figli di Efisio (figlio del notaio Raimondo).

 

2523     

La casa 2523, o parte di essa, è stata identificata con quella che il cavaliere don Gio Stefano Massa lasciò alla figlia Giovanna Massa Masones col suo testamento del 21.05.1763; è un’unità catastale piuttosto grande, probabilmente formata dall’unione di due case distinte, per cui sembra possibile che una parte di essa fosse di un altro proprietario; era la casa di abitazione del Massa, che lasciò all’altro suo figlio, il canonico Giacomo Massa Masones, 1000 scudi per acquistare una casa confinante con quella lasciata alla sorella; dopo la morte del canonico i 1000 scudi, o la casa acquistata con essi, sarebbero spettati a donna Giovanna Massa Masones o ai suoi discendenti; non si sa se il canonico poté effettuare l’acquisto indicato dal padre, ma non sembra probabile: infatti donna Giovanna, nel suo testamento del 1798, dichiarò di aver ereditato dal fratello un censo che fruttava una pensione di 132 lire, 16 soldi e 3 denari, che potrebbero corrispondere agli interessi sul capitale di scudi 1000 lasciato da don Stefano al canonico Giacomo.

La proprietà Massa Masones risulta ancora nel 1798: è citata in atti notarili del 25.04.1798 e del 14.05.1798, coi quali venne stimata e poi venduta la casa 2860 che aveva appunto davanti la casa Massa 2523; risulta anche dalla denuncia per il donativo del notaio Raimondo Doneddu, del giugno 1799: la casa Doneddu 2860 era “dirimpetto alla casa del fu dottor Stefano Massa”.

Vi sono dubbi sulla data di morte dei fratelli Massa Masones: il testamento di Giovanna fu preparato e pubblicato in data 21.04.1798 dal notaio Pasquale Saunei, ma sembra pubblicato prima del decesso della testatrice, che potrebbe essere deceduta il 05.06.1798; il fratello in quella data era già defunto, in quanto donna Giovanna aveva da lui ereditato il citato censo con pensione di 132 lire, 16 soldi e 3 denari; donna Giovanna Massa Masones, vedova di don Luis Petricioli, era sicuramente già defunta nel luglio 1800, come risulta da un atto notarile relativo al pagamento di una pensione di cui era creditrice; il curatore della sua eredità era l’avvocato Bonaventura Cossu Madau; nel suo testamento, a parte diversi legati lasciati a varie persone, nominò erede universale “la sua anima, per celebrare messe nella parrocchia di S.Eulalia e nel convento di San Francesco di Paola”; al momento della compilazione del testamento abitava nella sua casa della strada Gesus, cioè la casa 2523.

Con atto del notaio Gioachino Efisio Aru del 18.01.1804, il Commendator Don Bonaventura Cossu Madao, come curatore della eredità della defunta dama Giovanna Massa Masones, vendette l’immobile ad dottor Antonio Scarpinati; si trattava di due case unite in una, che erano state date in dote a donna Francesca Masones Soler, madre di donna Giovanna Massa, quando si sposò con don Gio Stefano Massa; sono menzionate nell’inventario dei beni di donna Francesca, datato 1762. Erano composte dal piano terreno e due piani alti e nel 1804 furono acquistate dal giudice Scarpinati per scudi 1800. In data 14.03.1804 il commendator Cossu Madao, in ottemperanza delle volontà della defunta Juana Massa, cedette la proprietà dei 1800 scudi alla Comunità di Sant’Eulalia, che avrebbe goduto della pensione di 80 scudi annui.

A conferma del precedente passaggio di proprietà, atti notarili del 1809 e del 1813, relativi alla casa Crobu 2861 (sull’altro lato della strada Gesus), riferiscono che davanti alla casa 2861 vi erano le case del notaio Raimondo Doneddu (2522) e del dottor Antonio Scarpinati (2523); in atto del 29.11.1809, quando Scarpinati vende al notaio Doneddu la sua casa 2861/a, davanti a quella vi era un casa “che era in precedenza della qm dama Juanna Massa, e oggi del detto venditore Scarpinati”; Antonio Scarpinati, di cui non è stata rintracciata la denuncia per il donativo, nel 1808 abitava nella strada Gesus: nella lista dei maioli presenti a Cagliari in quell’anno vi è compreso tale Sisinnio Caria di Villacidro, ospite dell’avvocato Scarpinati in una casa della strada Gesus; non si è però sicuri che si tratti della casa 2523, il documento potrebbe riferirsi all’altra casa che Scarpinati possedeva nella strada Gesus, parte dell’unità 2861.

Dopo il 1850, dai dati del Sommarione dei Fabbricati risulta che la casa 2523 appartenesse a Raimondo Doneddu (1794-1866), segretario di Corte d’Appello, nipote dell’omonimo notaio Raimondo Doneddu; da notare che vi era una parentela fra i Doneddu e Scarpinati: quest’ultimo aveva sposato Rosa Doneddu, figlia maggiore del notaio.

Il Regio Impiegato Raimondo Doneddu morì in una casa al numero 4 della via Gesus il 20.03.1866, all’età di 72 anni; sua moglie Antonia Carta morì nella stessa casa il 02.08.1868, anch’essa a 72 anni; dai registri del catasto di metà ‘800 l’unità 2523 corrisponde esattamente al numero 4 della strada Gesus.

 

2524

Il documento più antico che cita con sicurezza questa casa è l’atto del gennaio 1804 col quale fu venduta la casa 2523 al giudice Antonio Scarpinati: questa confinava da una parte con una proprietà Doneddu (2522), dall’altra con una proprietà dell’eredità di don Antonio Maria Copola (-1772), morto vedovo e senza discendenti diretti.

Non sono state fatte ricerche specifiche sul destino dei beni dell’eredità Copola; si sa però che nella denuncia per il donativo del 1807 di donna Anna Maria Guirisi, coniugata con don Bachisio Mearza, venne dichiarata una proprietà censuaria sulla casa detta di Brunengo, identificata con l’unità 2857, che aveva davanti, sull’altro lato della strada Gesus, una casa di Sant’Eulalia, cioè l’unità catastale 2524; non stupisce che alcuni immobili del Copola possano essere passati, per lascito o altri motivi, alla Comunità parrocchiale della Marina.

La proprietà da parte della Comunità di Sant’Eulalia è anche confermata da un atto notarile anteriore ai precedenti, i cui riferimenti sono però meno precisi: in data 09.12.1797 Raimondo Doneddu e la Comunità di Sant’Eulalia trovarono un accordo tale per cui la Comunità poté aprire nella sua casa, in una stanza del secondo piano priva di luce, una finestra che si affacciava nel cortile 2503 della casa Doneddu 2521, contigua per le spalle e col suo cortile alla casa 2524; la casa di Sant’Eulalia, situata all’angolo fra le strade di Gesus e del Fortino, nella quale aveva l’ingresso e la facciata principale, è identificata con l’unità catastale 2524. Esisteva un precedente accordo del giugno 1772 (non a caso anno della morte di don Antonio Maria Copola) col quale la Comunità aveva già potuto aprire sul cortile Doneddu una finestra posta molto in alto, in modo tale che gli inquilini della casa Doneddu non sarebbero stati molestati.

A metà ‘800 questa casa risultava ancora una proprietà della Comunità di San’Eulalia.