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Isolato N: Cappuccine/Scalette Cappuccine/Costa

(via Cima, scalette delle Cappuccine, via Manno)

numeri catastali da 2418 a 2426

le differenze rispetto alla situazione del 1800 riguardano le case 2420/2423, sostituite da un moderno edificio che si affaccia sulla via Manno e sulla via Cima; anche la casa 2426 è di recente ricostruzione e la sua facciata sul lato della via Manno è stata leggermente arretrata.

 

2418     

In data 20.01.1792 il reverendo Joseph Maria Deplano, nativo di Cagliari e domiciliato nella Marina, concesse in locazione una “tienda” (cioè una bottega) per 6 anni e per 108 scudi, 18 scudi annui, a Joseph Maria Vivenet (poi Vivanet) mercante di Cagliari; la bottega si trovava nella strada della Costa, aveva davanti la casa del reverendo Salvatore Rapallo (2708), di lato verso la salita la casa de Juan Pedro Sanna Floris (2419), di lato dalla parte della discesa la casa che stava sotto il Monastero delle Cappuccine (2405), di spalle il giardino della casa che era del canonico Sirigu e poi dei suoi eredi (2419).

In un atto notarile del 12.10.1792 relativo alla casa 2419, è scritto che la casa confinante (2418) apparteneva ai fratelli reverendo Joseph e Vicente Deplano.

Un atto del 30.12.1795 dà notizie diverse, apparentemente in contraddizione: l’atto è relativo a un censo acceso sulla casa 2707, dall’altra parte della strada; di fronte vi era la casa del fu Joseph Zara; non si fa nessun riferimento ai fratelli Deplano.

In data 03.12.1798 venne pubblicato il testamento del reverendo Joseph Maria Deplano; era stato scritto e consegnato al notaio Giovanni Battista Atzory il 22.11.1796, nella casa del sacerdote, sita nella strada della Costa. Dopo la morte del reverendo Deplano, avvenuta il 2 dicembre, il notaio Atzori, su richiesta di Anna Scalas vedova del mastro lanternaio Joseph Zara, si recò nella casa dove abitava la vedova Scalas, nella Marina e calle della Costa, propria del reverendo Joseph Maria Deplano col quale conviveva la vedova Scalas con tutta la sua famiglia “da quando viveva suo marito”. Nel testamento è riportata la donazione fatta il 03.03.1795 da parte del sacerdote della metà della sua casa alla sua comare Anna Scalas del fu Antonio, vedova di Joseph Zara; era la stessa casa che il Deplano aveva avuto in eredità dalla zia Rosa Delacruz; l’altra metà apparteneva al fratello Vincenzo Deplano; la vedova e il marito avevano “attendido” il sacerdote per 22 anni, e Anna Scalas, già proprietaria della casa, venne nominata erede universale.

Un atto del 16.4.1799 fornisce ulteriori dettagli: la casa apparteneva al mastro Francesco Dela Cruz già dal 1736; dopo la sua morte fu ereditata dalle figlie Rosa e Angela, quest’ultima madre dei fratelli Deplanu; con l’atto citato del 1799 Anna Scalas e Vicente Deplano si accordarono per dividersi la casa in due parti: la vedova Scalas Zara ebbe il primo piano e la bottega confinante alla casa Sanna (2419), il Deplano ebbe il secondo piano e la bottega confinante con la scala che dalla strada della Costa portava al monastero delle Cappuccine.

Nel suo donativo del 1799 la vedova Anna Scalas Zara dichiarò una casa vicina alla scala delle Monache Cappuccine, di cui possedeva un piano con una sala, l’alcova, una piccola cucina, e la bottega; la casa era da lei abitata, si poteva affittare per scudi 30; si pagava una pensione alla chiesa del Sepolcro. La denuncia è firmata dal figlio sacerdote Giuseppe Zara.

Nella denuncia dell’Arciconfraternita del Sepolcro, del 1799, è inclusa una rendita di £ 46 e 10 soldi che pagava Anna Scalas; nella denuncia senza data del mastro Vincenzo Deplano vennero dichiarati un sòttano e un piano di una casa nella strada della Costa, con una sala, l’alcova una stanza e la cucina, il tutto affittato per scudi 50; pagava scudi 9 di censo all’Arciconfraternita del Sepolcro; la denuncia venne compilata da Francesco Deplanu per conto di suo padre Vincenzo.

Nell’inventario del 29.12.1803 dei beni del fu Gio Pietro Sanna, proprietario della casa 2419, è scritto che detta casa era confinante “da un lato a casa dell’avvocato Antonio Scarpinati (2420) e del Duca di San Pietro (le scuderie, numero 2423), dall’altro lato al Monastero (2405) piccola strada frammezzo, ed a casa di mastro Vincenzo Deplano e della vedova Zara (2418)”.

Con atto del notaio Francesco Angelo Randachu del 07.06.1804, il mastro Vincenzo Deplano ricevette 300 scudi dal negoziante Francesco Rossi, caricando un censo sulla sua casa della strada della Costa, di cui possedeva il secondo piano e un magazzino, confinante con la proprietà della vedova Zara e del fu Gio Pietro Sanna.

In data 21.08.1809 venne scritto e pubblicato il testamento del mastro lanternaio Vincenzo Deplano, a cura del notaio Raimondo Piras; era confratello della confraternita del Sepolcro, per cui chiese di essere sepolto in quella chiesa; nominò curatore del testamento ed erede particolare il figlio Francesco, anch’egli lanternaio, a cui cedette tutti gli attrezzi della bottega e officina del piano terreno, grato per le attenzioni che lui e la nuora Luigia Moro avevano sempre avuto nei suoi confronti, in particolare da quanto il mastro Vincenzo era stato abbandonato dalla moglie Annica Todde; Francesco abitava col padre, il quale specificò nel testamento che nessuno si doveva permettere di addebitargli dei costi per aver abitato nella sua casa dell’ultimo piano, nella strada della Costa; stabilì inoltre che Francesco dovesse vivere in quella casa altri 4 anni dopo la sua morte, pagando solo le pensioni dei censi a cui la casa era soggetta; in particolare il testatario citò i 300 scudi avuti anni prima dal negoziante Francesco Rossi, caricati con un’ipoteca sulla casa, con pensione al 6% annuo, consegnati alla moglie che li aveva impiegati in “negozio di merci”; è specificato nel testamento che nessuno doveva molestare la moglie per questa somma né per il “lucro ricavato da essa”; nominò eredi i “carissimi figli” Francesco, Giovannica e Maria, tutti avuti con Annica Todde. Il mastro Vincenzo Deplano dovrebbe essere morto nel 1816 a 77 anni.

In atto notarile del 14.09.1812, relativo alla casa 2419, vengono ancora citati come confinanti il mastro Vincenzo Deplano e Anna Scalas.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 12.10.1812, Anna Scalas, vedova del mastro Giuseppe Zara, ottenne 100 scudi dal negoziante Francesco Antonio Rossi con un censo caricato sulla sua casa della strada Costa, di fianco alla discesa delle monache Cappuccine; la figlia Efisia Zara, coniugata col mastro calzolaio Angelo Colombu, si trovava “in stato di indigenza”: aveva diversi figli piccoli e il marito non riusciva a far fronte alle tante necessità; per questo la madre le procurò 100 scudi, con ipoteca sulla sua casa, ed Efisia avrebbe avuto l’onere di pagare la pensione annua; il censo avrebbe anche pesato sulla sua quota di eredità. 

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2418 risulta appartenere interamente al negoziante Giacomo Saggiante; egli morì a 78 anni, nella casa al numero 31 della via Manno, il 09.09.1879; era nato a Bieno, in provincia di Trento, figlio del negoziante Matteo e di Agata Dellamaria, anch’essi morti a Cagliari; era sposato con Teresa Negri, proveniente da Strigno (TN).

Giacomo Saggiante a metà ‘800 era proprietario di un’altra casa nella strada della Costa (via Manno): si tratta dell’unità catastale 2731, vicino alla chiesa di Santa Caterina; è probabile che la casa di abitazione della famiglia fosse quest’ultima. Nella stessa casa al numero 31 morì il 02.02.1894, a 94 anni, la vedova Teresa Negri.

 

2419     

Il primo documento rintracciato che cita questa casa è il fascicolo di una causa civile iniziata nel 1788: Luigia Alciator, vedova di Antonio Racca, agendo per sé e per i figli minori, citò in giudizio gli eredi del fu Canonico Salvatore Sirigu il quale, con scrittura del 27.04.1771, si era costituito debitore di Antonio Racca per 50 scudi; la somma non fu mai restituita neanche dalle eredi, cioè Caterina e Giuseppa Sirigu, sorelle del canonico, la prima coniugata con Alessandro Ferdiani, la seconda nubile; fra le eredi è anche nominata Filippa Sirigu, coniugata con Gio Stefano Pintor; Filippa risulta figlia di Vincenzo e Antonia Carboni, era probabilmente una cugina delle sorelle Caterina e Giuseppa Sirigu, figlie del mastro Francesco Sirigu e Filippa Podda.

Caterina e Giuseppa Sirigu vivevano nella casa di loro proprietà, ma il poco che avevano serviva per pagare donna Caterina Denegri per una pensione annua di £ 225 sul censo di 1800 scudi che gravava sulla stessa casa; inoltre avevano un debito con Juan Pedro Sanna Floris, genero di Caterina Sirigu, per 200 scudi.

Gli eredi Racca vennero ammessi al beneficio di povertà, non le sorelle Sirigu che avevano una rendita, anche se gravate dai debiti.

Dalla causa non è chiaro quale fosse la casa Sirigu ma, con atto notarile del 12.10.1792, le sorelle Giuseppa e Caterina Sirigu, quest’ultima vedova di Alessandro Ferdiani, e la loro nipote Giovanna Sirigu, residenti a Isili, vendettero una porzione di casa sita nel quartiere della Marina per scudi 1573, reali 8, soldi 3, al negoziante Juan Pedro Sanna Floris (che aveva sposato Saturnina Ferdiani Sirigu, figlia di Caterina); il Sanna Floris aveva offerto 300 scudi in più del valore stimato; le proprietarie Sirigu non avevano denaro per riparare la casa, e avevano alcuni debiti; decisero perciò di vendere la loro porzione di casa, la quale era così composta: in un piccolo giardino vi era l’entrata, con la cisterna, e vi si affacciava la cucina; vi era poi un’antisala, una stanza con le finestre sul portico, ossia sul callejon (vicolo) che portava al monastero delle Cappuccine; una piccola stanza che aveva le finestre sulle tegole, una sala grande con la sua alcova con le finestre sulla strada della Costa, e un terrazzo che dava al giardino; la casa era posta fra le strade della Costa e del monastero delle monache Cappuccine, e confinava davanti con le case Xaccaluga (2710/b), della chiesa del Sepolcro (2710/a) e Bruchier (2707), calle della Costa mediante; sul retro con casa Alemand (2431), calle del monastero mediante; da un lato col monastero, vicolo mediante (2405), e con casa dei fratelli Deplano (2418); dall’altro lato con la casa Scarpinati (2420 e 2421), e con una casa del duca di San Pietro (2423); c’era un “sòttano” cioè una bottega che dava alla strada della Costa, e il piano terreno che il Sanna Floris aveva già comprato dalle sorelle e nipote Sirigu con atto del 13.02.1789.

L’acquisto fatto dal Sanna Floris nel 1789 è di poco successivo alla causa civile del 1788: probabilmente questa prima vendita aveva permesso alle sorelle Sirigu di sistemare i loro debiti con la vedova Racca; inoltre fra il 1788 e il 1792 si trasferirono a Isili, liberando così la casa di Cagliari, dalla quale avrebbero potuto ricavare una rendita.

Le sorelle Sirigu l’avevano ereditata dai genitori, mastro Francesco Sirigu e Filippa Podda; a questi ultimi era arrivata con la morte del reverendo dottor Juan Batta Sirigu canonico della cattedrale di Ales, che l’aveva comprata il 19.07.1755 dal negoziante (poi nobile) Francesco Maria Viale, per 4000 lire; non è nota l’esatta parentela fra il reverendo Juan Batta e il mastro Francesco: è probabile che fossero fratelli, oppure zio e nipote.

In data 21.08.1798, il negoziante Gio Pietro Sanna Floris, ormai unico proprietario della casa, firmò un contratto col muratore Girolamo Marcia per la fabbrica di una nuova casa; il Sanna abitava in un piano della sua casa di 2 piani nella strada della Costa, e voleva costruire in un “sito vacuo di sua spettanza, attiguo, annesso, ed alle spalle della propria casa”, confinante con la casa Allemand (2431), col Monastero (2405) e con le scuderie del duca di San Pietro (2423); oltre alla nuova costruzione, che da quanto specificato dava verso la strada delle Cappuccine, il Sanna, in data 19.10.1798, ottenne la concessione di un “pedasso” di territorio, ampio 4 o 5 once, lungo la scalinata che scendeva alla strada della Costa, per inglobarlo nella sua casa.

In data 12.12.1802 Juan Pedro Sanna Floris ottenne 100 scudi a “censo onerativo” dal reverendo frate Juan Maria Puddu religioso Trinitaro; aveva necessità di quella somma per gli affari di negozio, e per garanzia ipotecò la sua casa posta fra le strade della Costa e delle Cappuccine.

Un atto del 15.07.1803 ci informa che sulla casa gravava un censo di lire 1812 e soldi 10 di proprietà dei figli di don Francesco Rapallo, proveniente dall’eredità del reverendo Giuseppe Denegri, zio materno dei fratelli Rapallo; questi ultimi, con l’atto del 1803, ipotecarono il capitale caricato sulla casa Sanna per garantire la restituzione di un prestito di lire 1000, avuto dalla confraternita della Vergine d’Itria.

Gio Pietro Sanna Floris nativo di Ghilarza, morì alle 2 di notte del 18 dicembre 1803, e il giorno stesso, su richiesta della vedova Saturnina Ferdiani, si aprì e pubblicò il testamento che il Sanna non aveva potuto firmare perchè gli tremava la mano per la malattia che lo costringeva a letto; eredi i 7 figli: Antonia di anni 17, Gio Agostino di anni 14, Rita di anni 11, Alberto di anni 9, Ignazio di anni 5, Pasquale di anni 3, e Giuseppe di un anno e mezzo; la vedova era stata nominata tutrice e curatrice dei figli e amministratrice dei beni. In data 29.12.1803 il notaio Sisinnio Antonio Vacca diede inizio all’inventario dei beni; si iniziò con le merci del negozio (stoffe e merci varie) che si trovava nella stessa casa della strada della Costa (con la sua grotta), poi i beni mobili dell’abitazione, i crediti e la casa di proprietà; il totale dell’inventario fu valutato in lire 17134, soldi 3 denari 9; di cui la casa 11655, soldi 16 e denari 4; l’inventario, fatto alla presenza della vedova e dei figli più grandi, fu firmato dal “puberoGio Agostino Sanna Ferdiani, non da Saturnina Ferdiani e da Antonia Sanna Ferdiani le quali, come di consueto, non sapevano scrivere.

La casa, stimata dai mastri Antonio Ferdiani falegname e Girolamo Marcia muratore, entrambi di Cagliari, era formata di 3 piani (compreso il terreno) dalla parte della strada della Costa, di due piani (compreso il terreno) dalla parte della strada delle Cappuccine; il defunto aveva comprato da Giuseppa, Caterina e Giovanna Sirigu una prima parte con atto del 13.02.1789 (notaio Nicolò Antonio Catte), un’altra parte con atto del 12.10.1892 (notaio Sisinnio Antonio Vacca); la parte che dava verso la strada delle Cappuccine era stata edificata successivamente da Gio Pietro Sanna nel sito che prima era “piantato a giardino”.

Saturnina Ferdiani, rimasta vedova con tanti figli, ebbe subito difficoltà economiche; dopo l’inventario si rese conto dell'esiguità del fondo di bottega, consistente in troppe poche merci, e il denaro disponibile non bastò a pagare diverse urgenti spese; pertanto col permesso del giudice Veghiere Reale, ottenne in prestito 300 scudi dal reverendo Belgrano e fu costretta ad ipotecare la casa di abitazione.

Con atto del notaio Rocco Congiu del 05.05.1806, Antonia Sanna, figlia del fu Gio Pietro e di Saturnina Ferdiani, caricò un censo di scudi 300 sulla porzione di casa che aveva avuto dalla eredità paterna. Ebbe il denaro dal negoziante Salvatore Rossi (futuro barone), al quale avrebbe dovuto pagare la pensione annua di 18 scudi (al 6%). Era maritata con Effisio (sic) Sanna di Solarussa, dove vivevano, ed aveva avuto di recente una bambina; “per non avere suo marito completato il corso degli studi” i coniugi Sanna Sanna non erano in grado di “provvedere ai bisogni della casa”; Antonia avrebbe impiegato i 300 scudi in attività di negozio “nella quale è pratica, perché sin da fanciulla si esercitò nella bottega del proprio Padre”; la sua proprietà, valutata poco tempo prima in lire 1676 e soldi 5, comprendeva un piano alto della casa paterna con ingresso nella strada della Cappuccine, composto da “una sala e alcova, d’un cielo scoperto, cucina, altra alcova e dispensa”; la sala stava sopra ad un sottano (appartenente ad altra porzione) sul lato della strada della Costa; c’era anche la cisterna, in comune con il resto della casa.

Il 18.08.1808, “alle ore 6 dopo mezzodì”, morì Saturnina Ferdiani vedova Sanna; il suo testamento era stato consegnato 3 giorni prima al notaio Sisinnio Antonio Vacca il quale, avvisato da Giovanni e Rita Sanna, figli della defunta, si recò nella casa di abitazione; dopo aver riconosciuto il corpo, alla presenza degli stessi testimoni che avevano presenziato alla consegna, aprì e lesse il testamento per procedere poi alla pubblicazione; erede universale fu nominata la figlia Rita, ancora nubile; gli altri figli Giovanni (Gio Agostino), Alberto, Ignazio, Pasquale, e Giuseppe, e la figlia della defunta figlia Antonica, di cui la nonna non ricordava il nome[1], furono nominati eredi particolari per la parte legittima.

Nel frattempo, come si è visto, era morta Antonia; Rita si era sposata con Giuseppe Maria Franchino, figlio del notaio Carlo Franchino Amugà; nonostante fosse stata nominata erede universale dalla madre, non fu contenta della divisione ereditaria e, con l’assistenza del marito, diede inizio ad una vertenza civile, contrapposta allo zio materno notaio Efisio Ferdiani curatore dell’eredità e ai suoi fratelli eredi Sanna Ferdiani; in particolare Rita contestava che il piano più grande, stimato £ 1676 e soldi 5, fosse stato assegnato da Saturnina Ferdiani, con atto del 14.04.1806, alla figlia Antonia; non si conosce l’esito della lite ma non risultano cambiamenti sulla situazione della proprietà. Nella causa si riportano i conti relativi alla casa, dalla morte della madre fino al 15.09.1810; in quella data la parte di casa rimasta indivisa fra i fratelli minori Sanna Ferdiani (cioè esclusa la porzione della defunta Antonia) fu venduta con atto del notaio Andrea Pirisi; il negoziante Vincenzo Eula l’acquistò per 12155 lire, 16 soldi, 4 denari; i fratelli minori Sanna Ferdiani (Gio Agostino di anni 20, Rita di 18, Alberto 16, Ignazio 12, Pasquale 10, Giuseppe 8) erano rappresentati dal loro curatore notaio Efisio Ferdiani, il quale agiva anche in veste di procuratore del con-curatore, Teologo Dottore Gio Nepomuceno Ferdiani; la casa ereditata dal loro padre era stata acquistata dagli eredi dei coniugi mastro Francesco Sirigu e Filippa Podda con atti del 13.02.1789 e 12.10.1792; Gio Pietro Sanna l’aveva riedificata, migliorata e ampliata, incorporando anche un pezzo di terreno concesso dalla Città (atto Melis del 19.10.1798); era stata stimata nel 1803 in lire 11655 soldi 16 denari 4, compresi i capitali di 3 censi onerati su di essa (in totale lire 2812 e 10 soldi), di proprietà rispettivamente degli eredi Rapallo Denegri, del sacerdote Antonio Belgrano e del padre Trinitario Puddu; nel frattempo aveva subito un deterioramento non indifferente, ma Vincenzo Eula accettò il prezzo dell’estimo con l’aumento di lire 500; avrebbe pagato subito lire 3000, metà in contanti, metà in “viglietti di credito”, e si caricò i censi; le rimanenti lire 4668 e denari 4 sarebbero rimaste caricate sulla casa con ipoteca a favore dei venditori, a cui avrebbe pagato gli interessi al 6%, con estinzione del capitale in 6 anni. Il censo di proprietà dei fratelli Rapallo, di 1812 lire e 10 soldi, fu saldato da Vincenzo Eula con atto notarile del 15.11.1810.

Con atto del notaio Andrea Pirisi del 30.07.1812 il notaio Efisio Maria Sanna di Solarussa, vedovo di Antonia Sanna Ferdiani, vendette per 1700 lire al negoziante Vincenzo Eula la porzione di casa che la defunta aveva lasciato alla sua erede, cioè alla figlia Giovanna Maria Sanna Sanna; la proprietà era formata da un mezzo piano composto da 4 piccole stanze, si apriva sulla strada delle Monache Cappuccine, compresa fra la parte che Eula aveva già acquistata dai fratelli di Antonia e la casa del duca di San Pietro (2423); rispetto all’estimo fatto nel 1804 (1676 lire e 5 soldi) l’immobile aveva subito un evidente deterioramento, ma Eula accettò la valutazione e arrotondò di 23 lire e 15 soldi per arrivare a 1700 lire; considerando poi che esisteva un peso di proprietà del negoziante Salvatore Rossi, per 750 lire, l’erede incassò solo 950 lire.

Con atto del notaio Rocco Congiu del 03.09.1812 Vincenzo Eula estinse il debito verso Salvatore Rossi, a cui pagò scudi 308, reali 4 e soldi 3; si trattava del capitale di 300 scudi caricato sulla parte che era appartenuta ad Antonica Sanna Ferdiani e degli interessi maturati ancora non pagati.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 14.09.1812, il negoziante Vincenzo Eula vendette l’intera casa 2419, per poco più di lire 12845, al marchese di Villamarina Salvatore Pes; egli riferì che aveva pensato di stabilirsi a Cagliari e per questo si era procurato un alloggio comodo per sé e per la sua famiglia, in una posizione vantaggiosa per gestire una bottega; poi si rese conto che il clima della città non era adatto alla sua salute, per cui decise di tornare nella sua patria, a Mondovì. Nel frattempo aveva speso più di 4690 lire per riattare la casa in forma decorosa, e aveva pagato i capitali appartenenti ai fratelli Rapallo, al padre Puddu e al reverendo Belgrano. Doveva ancora pagare lire 4000 agli eredi Sanna Ferdiani, e di questo debito si fece carico il marchese Pes. 

La proprietà Villamarina è confermata in atto del 12.10.1812, relativo alla confinante casa 2418.

Vincenzo Eula con tutta probabilità partì effettivamente da Cagliari entro il 1812: il 3 ottobre di quell’anno, con atto del solito notaio Satta, sciolse una società che aveva formato il 17.10.1809 (circa un mese dopo aver comprato la casa) con Pasquale Desogus: Eula aveva messo il capitale, Desogus si era incaricato di gestire e amministrare la bottega, probabilmente situata nello stesso immobile 2419; nell’atto notarile è riportato l’inventario delle merci di bottega, per il totale di di oltre 32800 lire; di questa somma Eula ne “abbuonò” al Desogus la maggior parte, e restò suo creditore per sole 9000 lire, pagabili a semestri nel corso di due anni, con interessi al 4,5%; per il Desogus si fece garante il suocero Filippo Cima. Si trattava di una bottega che vendeva di tutto o quasi, come si usava a quel tempo: cera, cacao, pepe, sapone, olio di lino, gesso, verde rame, vitriolo, incenso, argento vivo, minio, cinabro, gomma arabica, fieno greco, carte da gioco, canapa, zucchero, ecc.ecc.

Il 10 ottobre Eula nominò procuratore suo padre Andrea, domiciliato “da qualche tempo” in città. Vincenzo era sposato con Vittoria Bocone di Carloforte la quale, con lo stesso atto notarile del 1812, diede mandato al suocero per gestire i suoi affari in Sardegna; i coniugi avevano infatti deciso di “chiudere” il loro soggiorno nell’isola per recarsi “in terraferma”; il 17 ottobre diede mandato all’avvocato Giambattista Viale per seguire le sue vicende legali; non sono state rintracciate altre notizie sulla sua presenza in città né sulla sua famiglia [2].

Da un documento del 1855, rintracciato nell’Archivio Ballero (ASC), relativo alla casa Allemand/Fancello numero 2431, la casa 2419 risulta di proprietà del negoziante Rossi. Il dato è confermato dal Sommarione dei Fabbricati, secondo il quale dopo il 1850 la casa apparteneva al barone Salvatore Rossi (1775-1856). 



[1] Giovanna Maria Saturnina Sanna Sanna, figlia di Efisio Sanna di Solarussa e di Antonia Sanna Ferdiani

[2] Il cognome Eula, poco diffuso, è attualmente presente perlopiù nel cuneese, proprio nella zona di Mondovì 

 

2420 e 2421       

Si tratta di due case che appartenevano al negoziante Antonio Scarpinati; sono citate in atti del 1790, del 1792, e del 1797, relativi alle case confinanti 2422 e 2419; il 12.09.1797 il notaio Raimondo Piras compilò l’inventario dei beni del fu negoziante Antonio Scarpinati di Cagliari, morto il 3 settembre, celibe e senza testamento; gli eredi erano sua sorella, la dama Annica Scarpinati moglie del cavalier Antonio Muxiga, e il nipote avvocato Antonio Scarpinati, sostituto avvocato Fiscale Regio, figlio del defunto Efisio Scarpinati, fratello del negoziante Antonio. Al momento della morte Antonio Scarpinati abitava in una casa della strada della Costa con la serva Lucia Caddeo, con lui da più di 30 anni; quest’ultima si occupò, col notaio e coi periti, dell’inventario degli effetti del defunto. Facevano parte dell’inventario, oltre ad altri immobili, due case confinanti nella strada della Costa: la più grande (2420), confinante di lato e dietro con la casa di Pietro Sanna (2419), fu stimata dal misuratore Massei £ 3319 e soldi 3; l’altra casa (2421), più piccola, aveva al lato la casa del negoziante Francesco Antonio Rossi (2422), e fu stimata £ 1598, soldi 10, denari 3; Antonio Scarpinati possedeva solo la metà di quest’ultima casa, l’altra metà apparteneva al Convento dei padri Conventuali di San Francesco, come eredi del reverendo fra Bernardo Loi, religioso del convento.

In data 23.01.1798 venne firmato l’atto di divisione dei beni dell’eredità, fra la dama Annica Scarpinati coniugata Muxiga e l’avvocato Antonio Scarpinati. Dopo aver diviso l’argenteria, i mobili, gli effetti personali, si stabilì che l’avvocato avrebbe avuto la casa grande (2420) e due casette nella strada delle Conce, mentre la dama Scarpinati avrebbe avuto la metà della casa piccola e altre 3 casette nella strada delle Conce, più un compenso di scudi 947, reali 6, soldi 4, denari 5 che le avrebbe dato il nipote; da questa somma si doveva però dedurre la metà delle spese anticipate dall’avvocato per i funerali dello zio, e le spese per la serva Lucia Caddeo, sino all’11.10.1797, compreso l’abito di lutto della stessa Caddeo, e le spese dei periti che avevano eseguito la stima dei beni ereditari, per un totale di scudi 87, reali 2, soldi 4, denari 6.

A parte venne fatta la divisione di quanto spettava al defunto della bottega che amministrava, di proprietà però dei fratelli Rapallo.

Tre anni dopo morì Annica Scarpinati: nel suo testamento, pubblicato il 22.08.1800, nominò il marito, cavalier Antonio Muxiga di Sassari, erede usufruttuario, erede universale la figlia Juannica Muxiga Scarpinati, coniugata al dottor Francesco Fanti, con la disposizione che, se la figlia fosse morta senza eredi, i beni provenienti dalla eredità di Antonio Scarpinati sarebbero spettati al convento di San Francesco, gli altri beni alle comunità di S.Anna e di S.Efisio.

Nell’inventario, compilato nel mese di ottobre, è scritto che la casa della strada della Costa era composta da 2 piani alti e una bottega.

Il medico Francesco Fanti, originario di Quartucciu, presentò la sua denuncia per il donativo il 14.08.1807: fra gli altri beni è compresa la metà di una casa nella strada della Costa, composta da una bottega e due piccoli piani, confinante a levante e tramontana con la casa di Francesco Rossi, a ponente con la casa dell’avvocato Antonio Scarpinati, valutata scudi 330.

Non è stato rintracciato il donativo dell’avvocato Antonio Scarpinati, la cui proprietà della strada della Costa è confermata dal donativo dell’Arciconfraternita del Sepolcro, proprietaria della casa 2711 (frontale alla casa 2420), e da atti notarili del dicembre 1803, del gennaio 1808 e del settembre 1812, il primo e il terzo relativi alla casa Sanna 2419, il secondo alla casa Rossi 2422.

A metà ‘800 la casa 2420, quella dell’avvocato, apparteneva all’orefice Vincenzo Peluffu (1800-1876), mentre la casa 2421 apparteneva a Salvatore, Vincenzo, Antonia (1806-1877), Marianna (1810?-1877), Angela, Raffaela (1815-1902) e Isabella (1832?-1858), fratelli e sorelle Fanti, figli del medico Francesco e di Giovanna Muxiga.

 

 

2422     

In data 18.10.1790 don Litterio Cugia Manca, giudice della Reale Udienza e avvocato fiscale Regio Patrimoniale, firmò l’atto di cessione al mercante e mastro Francesco Antonio Rossi di due case del patrimonio della disciolta Compagnia di Gesù, in seguito al decreto del 20.10.1786; si trattava di due case contigue (parti dell’unità catastale 2422) site nella strada della Costa, una (la parte destra) era abitata da Giuseppe Campus (Campi?[1]), davanti alla scalinata che scendeva alla chiesa di Santa Teresa, da una parte attigua a casa del collegio di San Giuseppe delle scuole pie (2424), dall’altra parte attigua alla seconda casa ceduta al Rossi, contigua alle spalle alla “carrozzeria” (cioè rimessa per le carrozze) del duca di San Pietro; era composta da due botteghe, 2 camere nel piano superiore, cucina e camera nell’ultimo piano; l’altra casa (parte sinistra della stessa unità 2422) era abitata dalla vedova Francesca Pala, aveva davanti una casa di Santa Eulalia (2712), attigua da una parte alla casa precedente (2422 parte destra), dall’altra a casa del negoziante Antonio Scarpinati (2421), alle spalle alla citata proprietà del duca di San Pietro (2423); era composta da una bottega, una sala, un’alcova nel piano superiore, cucina e camera all’ultimo piano.

Il compratore era il mastro sarto e negoziante calabrese Francesco Antonio Rossi (prima Russo), che da alcuni anni stava accumulando un patrimonio considerevole, padre del negoziante e futuro barone Salvatore Rossi (1775-1856).

In data 15.04.1797 il Rossi firmò l’atto di donazione del primo piano e una bottega di una casa nella strada della Costa al figlio negoziante Salvatore Rossi Piras, in occasione delle sue nozze con Grazia Vodret Isola, “in considerazione dell’affetto……e dei servizi prestati nell’attendere il negozio, con diverse imbarcazioni (cioè viaggi) fatte a Terraferma”; la casa era stata acquistata dal Rossi dall’azienda ex-gesuitica, ed era stata riedificata; i confini erano i medesimi specificati nell’atto di acquisto, ma le due case, dopo la “riedificazione”, erano state riunite a formarne una.

La proprietà del Rossi è confermata in due atti del 1803, relativi alla casa 2712, sull’altro lato della via; i due documenti riferiscono anche di un più antico proprietario, il nobile don Diego Serra, la cui famiglia dovrebbe aver posseduto l’immobile fino al 1697[2]. 

Con atto del notaio Giovanni Battista Azuni, del 14.11.1804, Francesco Antonio Rossi costituì una società coi figli Giuseppe e Domenico, ambi negozianti; nel mese di aprile di quell’anno era infatti stata sciolta una analoga società che sei anni prima il Rossi aveva costituito col figlio primogenito Salvatore; volendo “dimostrare lo stesso amore paterno verso gli altri figli” il Rossi creò con essi la società che comprendeva “tutti gli articoli, capi di merce e fondi esistenti presso di sé e nelle 3 botteghe che ha in questa città, una in contrada Barcellona, un’altra nella contrada della Costa, l’altra nel sobborgo di Stampace”. Ai figli, in particolare, fu destinato il fitto della bottega nella strada della Costa, sotto la casa di sua proprietà, (numero catastale 2422), mentre Francesco Antonio tenne per sé 150 scudi di affitto che ricavava dalla casa e dalla bottega sita fra la contrada di Barcellona e quella di Moras (numero catastale 2932) e 500 scudi annui provenienti da altri immobili; si sarebbe accollato l’onere di tutte le spese di “manutenzione” di famiglia, alimenti, vestiario, servitù, eccetera.

La casa Rossi è citata i diversi documenti di quegli anni: nei donativi non datati dei padri scolopi, proprietari della casa 2424, nel donativo del 1807 del medico Fanti, proprietario della casa 2421, in atto notarile 1802 relativo alla casa 2423 usata come scuderia e “carrozzeria” del duca di san Pietro.

In data 10.01.1808 Francesco Antonio Rossi donò alcuni immobili alla figlia Angela Rossi Piras, coniugata nel 1806 con l’avvocato Francesco Mossa; in particolare vennero donati il secondo e il terzo piano e due botteghe di una casa nella strada della Costa, comprata dalla Azienda ex gesuitica, sita fra casa Scarpinati (2421), e una casa degli eredi del fu Lazzaro Pittaluga (2424); l’usufrutto degli immobili donati rimase al Rossi e a sua moglie Raffaela Piras.

A metà ‘800 l’unità catastale 2422 risultava appartenere al conte Francesco Mossa, vedovo di Angela Rossi, e ai suoi figli donna Francesca e don Vittorio Mossa. 



[1] E’ probabile che il citato Giuseppe Campus fosse in realtà Giuseppe Campi, negoziante proveniente da Finale Ligure (SV), il cui figlio omonimo Giuseppe (1772-) sposò a fine ‘700 Paola Sciaccaluga, la cui famiglia non a caso abitava sull’altro lato della strada della Costa (casa 2710)

[2] Giovanni Battista Serra, figlio di Don Diego Serra, fu battezzato alla Marina nel 1635 (http://www.araldicasardegna.org/)

 

2423     

Era una proprietà del duca di San Pietro, don Alberto Genoves, che la utilizzava come scuderia e “carrozzeria” vale a dire rimessa per le carrozze; il primo documento che la cita, fra quelli rintracciati, è un atto notarile del 18.10.1790 relativo all’acquisto, da parte di Francesco Antonio Rossi, della casa 2422 la quale confinava sul retro con la proprietà del duca di San Pietro. Si ha conferma da atti del 1792 e 1798 relativi alla casa Sirigu/Sanna (2419), laterale alla unità 2423, da altro atto relativo alla casa Rossi del 15.04.1797, da atto del 1800 relativo alla casa Scarpinati 2421.

Con atto notarile del 13.05.1802 don Alberto Genoves donò alcuni beni ai coniugi Francesco Corria e Anna De Maria e alla loro figlia Alberta Corria (figlioccia del duca), “per i lunghi servigi che da 22 e più anni gli sta prestando Francesco Corria suo cameriere e maggiordomo, che ha abbandonato sua moglie Anna De Maria che lo serve in qualità di Governante nella città di Torino in cui si trovavano stabiliti, e che l’ha seguito nei viaggi anche per mare”; vengono donati un oliveto e due vigne in Pirri; un orto con mulino e giardino in Villanova; un giardino detto Tuvixeddu; un altro detto di Tuvumannu; un giardino, grotta, e “petriera”, siti dietro il convento maggiore dei padri Cappuccini, vicino alla montagna di San Lorenzo; una casa nella Marina (2423), vicino al monastero delle monache Cappuccine, confinante a tramontana, strada mediante, con casa di Eligio Allemand (2431), a levante con casa dei padri delle Scuole Pie (2424), a ponente a casa del negoziante Gio Pietro Sanna (2419), a mezzogiorno a casa del negoziante Francesco Rossi (2422).

Nel donativo del duca di San Pietro non è compresa questa proprietà, ma è probabile che continuasse a utilizzarla anche dopo la donazione, avendo mantenuto l’usufrutto, visto che Eligio Allemand, nel suo donativo del 1807, scrive che la sua casa 2431 aveva davanti la casa Sanna (2419) e una casa del duca (2423); anche Francesco Antonio Rossi, in un atto del 1808, scrive che la sua casa 2422 confinava alle spalle con una casa del duca di San Pietro. 

La donazione ai Corrias fu ratificata con atto notarile del 13.06.1807, quando il duca cedette tutti gli altri suoi beni al nipote Don Francesco Zatrillas marchese di Villa Clara.

A metà ‘800 risulta appartenere in parte agli eredi Dugoni, con amministrazione del barone Rossi, in parte allo stesso barone Salvatore Rossi; se ne ha conferma da un atto del 1855, rintracciato fra le carte dell’Archivio Ballero (ASC) e relativo alla casa Allemand/Fancello 2431, che aveva davanti le case del barone Rossi, il quale risulta possedere, a metà ‘800, sia la casa ex-Genoves 2423, sia la casa ex-Sanna 2419.

 

2424, 2425, 2426              

Queste 3 unità catastali erano proprietà dei padri Scolopi delle Scuole Pie di San Giuseppe, ed erano un tempo 4 case distinte; come per la casa precedente, il primo documento che le cita, fra quelli rintracciati, è un atto notarile del 18.10.1790 relativo all’acquisto, da parte di Francesco Antonio Rossi, della casa 2422 la quale confinava da un lato con una casa di S.Giuseppe (2424).

In un atto notarile del 26.01.1792 relativo alla casa 2728, anch’essa di proprietà dei padri Scolopi, è scritto che questa casa aveva davanti, sull’altro lato della strada della Costa, le 4 case che il collegio degli Scolopi aveva ereditato da donna Esperança Dias [1]

Nell’atto notarile del 1797 con cui Francesco Antonio Rossi donò parte della casa 2422 al figlio Salvatore, è scritto che detta casa confinava da una parte con la casa Scarpinati (2421), dall’altra con una casa del collegio di San Giuseppe, ceduta in enfiteusi al negoziante Gottardo Garibaldo: si tratta dell’unità 2424, laterale appunto alla casa 2422.

In data 21.03.1797 venne compilato l’inventario dei beni del defunto negoziante Giovanni Sisinnio Ladu, la cui casa era l’unità catastale 2435, sulla destra e all’inizio della strada delle Cappuccine: aveva di fronte una casa delle Scuole Pie (2426) “contrada delle Cappuccine mediante”.

In data 16.06.1798, su richiesta della sua vedova Anna Mameli, venne aperto e pubblicato il testamento del defunto negoziante Cottardo (sic) Garibaldo; fra i diversi beni immobili dell’eredità, Garibaldo lasciò al nipote Lazzaro Piccaluga (figlio della sorella Anna Garibaldo) la casa dove viveva, comprata in enfiteusi dai padri Scolopi (2424); pochi giorni dopo il notaio Pietro Giuseppe Melis compilò l’inventario dei beni del defunto: venne inserito nell’inventario anche “l’atto di compra della casa dove è morto il Garibaldo, presa in enfiteusi dai padri Scolopi il 09.08.1791, con canone di 115 scudi annui”.

Nel donativo (del 1799?) del Collegio di San Giuseppe delle Scuole Pie sono comprese le 4 case dette di donna Speranza Diaz, e furono così descritte: la prima (2426), di 2 piani alti e terreno con due botteghe, in enfiteusi per scudi 100 (cioè lire 250) ai figli del fu Giulio Barbetta (morto nel 1797); la seconda (parte della casa 2425) di 2 piani e terreno con una bottega, era affittata al reverendo Giuseppe (recte Salvatore) Mirello, che pagava scudi 52 (cioè lire 130); la terza (altra parte della 2425), di due piani e una bottega al piano terreno verso la Costa, era abitata dallo speziale Vincenzo Rossu, che vi aveva la spezieria, e pagava scudi 50 (cioè lire 125); la quarta (2424), di 2 piani e una bottega sulla Costa, data in enfiteusi a Corrado (recte Gottardo) Garibaldo, rendeva scudi 100 (cioè lire 250) che venivano pagati dal suo erede Lazzarino Pittaluga. 

Lo speziale Vincenzo Rossu (o Rossi) con atto del notaio Giovanni Battista Cicalò Galisai del 23.08.1804 si accordò con lo speziale Andrea Aragoni per la cessione della “potecaria” ossia farmacia da lui gestita; Rossu era anziano e “impotente di poter attendere la sua attività”, pertanto cedette ad Aragoni il fondo di bottega stimato in lire 1596 e soldi 6 e Aragoni avrebbe provveduto “a passargli gli alimenti necessari mangiando in una medesima tavola, e gli presterà l’assistenza necessaria e lavarli la roba e li somministrerà 5 soldi in denari ogni giorno, fino alla morte del Rossi”. Vincenzo Rossu non visse a lungo, come si dirà poco avanti.

Con atto del notaio Francesco Demontis del 14.05.1806 venne ratificato (e anche rettificato) un contratto enfiteutico del 24.12.1805 con cui Padre Luis Emanuel Delavallee di Santa Maria, Religioso delle Scuole Pie, come Procuratore Generale del Collegio di San Giuseppe, aveva concesso in enfiteusi una casa (2425, parte ovest, o sinistra) nella strada della Costa al negoziante Pasquale Valle, figlio del fu Domenico. L’enfiteusi fu concessa per la vita del Valle, della moglie, dei figli, nipoti e pronipoti; la casa era composta da due piani alti e una bottega al piano terreno, arrivava sul retro fino alla strada della Cappuccine; vi viveva fino a poco tempo prima il defunto poticario Vissente Rossi; da un lato confinava con la casa Garibaldo/Pitaluga (2424), dall’altro lato con altra casa dei Padri Scolopi (2425 parte est, o destra); Valle si assunse l’obbligo di migliorarla e ingrandirla, e fu pattuito un annuo canone di 100 scudi; fu necessario un atto di ratifica (e di rettifica) perché Pasquale Valle aveva fatto presente che aveva speso almeno 400 scudi per ripararla, fatto che non era chiaro nel dicembre 1805; fu fatto eseguire un estimo dell’immobile che fu valutato scudi 1122.15.9, mentre nell’atto d’enfiteusi il valore era stato fissato in 1400 scudi; pertanto i Padri Scolopi consegnarono al Valle la differenza di 277 scudi, 6 reali 4 soldi e 3 denari, mantenendo quindi il canone annuo di 100 scudi.

Il 12.05.1806 venne iniziato l’inventario dei beni dei defunti coniugi Lazzarino Piccaluga e Caterina Vivanet; il mese successivo, con atto del notaio Antonio Pischedda Corona del 18 giugno, fu stabilito dagli eredi Piccaluga Vivanet, cioè i fratelli Antonio, Nicolò, Francesco, Carlo, Efisio e Giuseppe, e la sorella Teresa (assisitita dal marito speziale Giuseppe Pau) che la casa della strada della Costa (2424) sarebbe stata assegnata a Nicolò; la casa proveniva dall’eredità dello zio Gottardo Garibaldo, che l’aveva avuta in enfiteusi dai Padri Scolopi il 09.08.1791; sulla casa si pagava in precedenza un canone enfiteutico di scudi 115 ma tempo prima era stato concesso un ribasso a 100 scudi.

Nel donativo successivo (non datato, probabilmente del 1807) dello stesso Collegio sono comprese “4 case in fuga, le prime a destra, scendendo dopo la piazza di Santa Caterina”, cioè le prime a destra dopo la chiesa; per le prime due (2426 e parte destra di 2425) vennero confermati gli enfiteuti del 1799, Barbetta e Mirello; la terza casa (parte di sinistra dell’unità 2425), prima utilizzata da Vincenzo Rossu, era in enfiteusi al negoziante Pasquale Valle, figlio di Domenico, che pagava un canone di lire 250; per la quarta casa, a Lazzarino Pittaluga morto nel 1804 erano subentrati i suoi figli.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 19.12.1809, i padri Scolopi, ancora rappresentati dal Reverendo Padre ex provinciale Luigi Emanuele Delavallee di Santa Maria, concessero in enfiteusi a Pasquale Valle anche la seconda casa, vale a dire la parte destra (orientale) della casa 2425; era utilizzata fino a quel momento dal Reverendo Salvatore Mirello, Beneficiato di Sant'Eulalia; dopo la sua morte il Valle aveva chiesto la casa in enfiteusi per la sua vita, quella della moglie, dei figli, nipoti e pronipoti, così come l'altra che aveva già in enfiteusi; si obbligò a riedificarla in 3 anni e unirla all’altra confinante; avrebbe pagato 65 scudi annui a semestri anticipati.

Pochi mesi più tradi i Padri Scolopi e il negoziante Valle diedero incarico al mastro muratore Francesco Porcu e al mastro falegname Antonio Ferdiani di eseguire una stima della casa: la stima, riportata in altro atto del notaio Satta datato 17.05.1810, fu di lire 2025, soldi 5, denari 3. Non è chiaro il motivo di questa valutazione; forse per rivederne il canone enfiteutico, o forse per valutare in seguito i miglioramenti che avrebbe fatto fare il Valle sull’immobile.

Fra gli altri documenti che citano queste case vi sono 2 atti notarili del 1802, relativi rispettivamente alle case confinanti 2423 e 2435, un atto notarile del 1808 relativo alla casa 2422, e alcuni atti del 1809 e del 1812 relativi alla casa 2434; da questi documenti si ha ulteriore conferma della proprietà del Collegio dei Padri Scolopi.

Un atto del notaio Demetrio Satta, datato 03.04.1810, riferisce sullo scioglimento del contratto enfiteutico relativo alla casa 2424, tra il Collegio delle Scuole Pie e gli eredi del fu Lazzarino Piccaluga; viene ribadito che l’enfiteusi era stata concessa il 10.08.1791 al negoziante Cottardo Garibaldo, riguardava la casa e la bottega sottostante, e il Collegio aveva avuto la casa grazie all’eredità di donna Speranza Diaz; gli eredi Piccaluga probabilmente lasciarono definitivamente la casa che tornò ad essere una piena proprietà dei padri Scolopi; purtroppo, a causa delle pessime condizioni del documento, pressoché illeggibile, non è possibile riferire altri dettagli.

Nonostante la poca leggibilità del documento appena citato, grazie ad altro atto del notaio Demetrio Satta, del 14.05.1810, risulta che gli eredi Piccaluga erano in procinto di abbandonare la casa: fu loro concesso di occuparla fino al 10 agosto del 1810; i Padri Scolopi con questo documento concessero in enfiteusi la casa che aveva utilizzato Cottardo Garibaldo, poi occupata dagli eredi Piccaluga del fu Lazzarino, al negoziante Giovanni Puddu, per la sua vita e della figlia Mariangela; Puddu avrebbe pagato scudi 110 a mezze annate anticipate, e avrebbe costruito a sue spese un altro piano, occupandosi di tutte le riparazioni per rendere decoroso l’immobile; tutte le migliorie e ampliamenti sarebbero diventate proprietà del Collegio dopo la morte del Puddu e della figlia; il 10 maggio era stato eseguito l’estimo dai mastri muratore Giovanni Pau e falegname Gioachino Manca, per scudi 1800. 

Per quel che riguarda le vicende della casa 2426 è interessante la lunga causa degli eredi Barbetta, iniziata nel 1802, che viene raccontata nelle pagine “Varie – approfondimenti”.

A metà ‘800, dal Sommarione dei Fabbricati, la casa 2424 risulta appartenere ai padri Scolopi per la parte sulla strada della Costa, mentre la parte sulla strada delle Cappuccine apparteneva a Placida, Candida e Chiara Rossi (1831?-1907), figlie del fu Domenico, ultimo figlio di Francesco Antonio Rossi; la casa 2425 apparteneva interamente al Collegio degli Scolopi; la casa 2426 apparteneva al negoziante Giovanni Leoni (o Leone) e a Luigi Serra fu Emanuele: il primo era figlio di Gennaro (o Gianuario) Leoni e Innocenta Barbetta (nipote di Giulio Barbetta ed erede delle sue proprietà), il secondo era il marito di Maria Ursula (Marietta) Leoni (1822-1867), sorella di Giovanni. 

Marietta Leoni morì il 16.07.1867 in una casa della strada della Costa, al numero civico 37, senza avere la certezza che si tratti della stessa casa 2426. Sembra invece piuttosto certo che il 02.05.1878 morì nella casa 2426, sul lato prospiciente la strada delle Cappuccine (al numero civico 2), la cinquantottenne Grazia Cima, figlia del negoziante Lorenzo, vedova di Giovanni Leoni.



[1] Senza avere la piena certezza che si tratti della stessa persona, una donna Speranza Dias morì in Castello nel 1688; dai registri dei matrimoni della Cattedrale risulta che donna Speranza Diaz, figlia di don Francesco e donna Angela Bonato, sposò don Antioco Brundu, figlio di don Antioco e di donna Marchesa Bonato, il 08.11.1654; si veda www.araldicasardegna.org