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Isolato Z1: Sepolcro/Moras/ vico Barcellona-Moras (Tagliolas)/Barcellona

(via Dettori, via Napoli, vico Barcellona, via Barcellona)

numeri catastali da 2937 a 2947

fra le case di questo isolato non esiste più quella con numero catastale 2942, all’angolo fra le attuali via Napoli e il vico Barcellona; le case 2943, 2944, 2945 sono state riedificate: rimane un antico portale sovrastato da due finestre, residuo della casa 2945, attualmente vi trova posto un ristorante.

 

2937

Il 25.08.1792 donna Maria Anna Sanna Maglias (-1801), vedova del dottor Salvatore Espano (-1773), e suo figlio dottore in entrambi i diritti, sacerdote e cavaliere Joachino Spano (-1806), ottennero in prestito 750 scudi dal Monastero di S.Lucia e ipotecarono la casa che possedevano nella strada di Barcellona; era stata comprata il 17.03.1740 dal cavalier Antonio Espano (-1740), rispettivamente suocero e nonno degli attuali proprietari, ed era in precedenza del dottor Joseph Thomas Sanna e di Agustin Angel Cossu; si tratta appunto della grande casa 2937, confinante davanti (strada di Barcellona in mezzo) con casa del professore di musica Liberti (2949), di spalle con case che erano del fu dottor Gregorio Mazucu (2945/c) e degli ex-gesuiti (2945/d), da un lato con casa di Sor Pepica Guerzy (2938), e dall’altro lato con casa del mercante Gottardo Garibaldo (2947, parte).

Il 19.04.1793 la vedova Sanna Mallas (o Maglias) e suo figlio concessero la casa 2937 in enfiteusi, col canone annuo di 100 scudi, al negoziante ligure Marcantonio Battilana; se ne ha conferma dall’atto notarile del 05.01.1797 col quale il cavalier Miguel Humana vendette ad Andrea Battilana, figlio di Marcantonio, parte della casa 2945, confinante sul retro “con casa del quondam dottore in diritto Salvador Espano che oggi è di Marcantonio Battilana”.

Si ha ulteriore conferma della proprietà Battilana da atti di dicembre 1797 e di aprile 1798 relativi rispettivamente alla casa 2945, sul retro, e alla casa 2950, sul davanti della 2937.

Il giorno 08.05.1799 la dama Marianna Sanna Maglias e suo figlio dottore iuris utroque, cavaliere e reverendo Gioacchino Spano, parroco di Sant’Eulalia, vendettero al Battilana parte del “dominio diretto” sulla casa, già ceduta in enfiteusi allo stesso Battilana, e il 18.10.1800, “avendo necessità di una certa somma per estinguere diversi debiti contratti per il loro mantenimento”, chiesero lire mille alla comunità di Sant’Eulalia, “obbligandosi a corrispondere l'annua pensione in ragione del 5%”, e ipotecarono la casa del negoziante Marcantonio Battilana, cioè quanto ancora possedevano del dominio diretto, valutato lire 4500.

Nel suo donativo del 21.06.1799 Marcantonio Battilana denunciò la casa nella contrada Barcellona, composta da una bottega e un ripostiglio per la legna al piano terra, e 3 piani alti ognuno con 6 stanze e cucina; era abitata dal proprietario e dai suoi figli, avrebbe potuto fruttare scudi 150 se affittata, e occorreva pagare alla vedova Sanna Maglias scudi 90 di pensione annua ed un canone (non specificato) al Monastero di Santa Chiara.

Vi era anche l’ingresso ai piani alti della casa 2945 sulla strada Moras, di proprietà degli eredi del defunto suo figlio Andrea (morto il 21.12.1797). L’altro suo figlio Giuseppe denunciò una bottega nella strada di Barcellona, probabilmente nella stessa casa paterna.

Nell’agosto 1799 erano alloggiati nella “casa Batilana nella Marina” i negozianti genovesi Nicola Batilana e Domenico Dodero; queste ultime informazioni provengono da un documento intitolato Stato dei forestieri esistenti in Sardegna” (disponibile in ASC, Segreteria di Stato serie II, volume 1283).

In data 16.01.1802 Marcantonio Battilana e suo figlio Giuseppe, per far fronte ai debiti lasciati dal defunto Andrea Battilana, si accordarono col negoziante Bartolomeo Sciaccarame procuratore dei creditori di Andrea, e ipotecarono la casa.

Nel luglio 1805, in un atto relativo alle casa 2947 sulla strada del Sepolcro, ci si riferisce alla casa 2937 come “casa dei beni concorsati del Mercante Marco Antonio Battilana”, quindi sotto sequestro e in procinto di essere venduta in pubblica asta. Marco Antonio Battilana morì il 12.09.1806, il figlio Giuseppe gli era premorto il 04.10.1803.

Con atto del notaio Giuseppe Massa Eschirro, del 15.10.1806, il causidico Giuseppe Antonio Sanna, Curatore alle liti nel Concorso Battilana, vendette la casa, di 3 piani alti più il piano terreno, al causidico Antonio Scanu (con cauzione dell’avvocato don Giuseppe Angelo Viale); lo Scanu offrì lire 20000 da pagare in 3 anni, contro la perizia di lire 23098.5.1; sarebbe rimasta la proprietà enfiteutica di lire 4500 di pertinenza dell’erede del fu cavaliere, sacerdote e dottore Gioachino Spano, cioè la Comunità di S.Eulalia (come da testamento dello Spano del 24.03.1806).

Il causidico Scanu agiva solo come intermediario e la cedette con atto notarile del 05.11.1806 al negoziante Domenico Dessì, alle stesse condizioni; nel suo donativo del 26.12.1806 Domenico Dessì denunciò una casa nella contrada Barcellona, composta da una bottega e 3 piani, ciascuno dei quali aveva 7 piccole stanze, comprata dal “concorso” del fu Marco Antonio Battilana; pagava 225 lire per un canone enfiteutico alla comunità di Sant’Eulalia (corrispondente al 5% del capitale di lire 4500 che la Comunità aveva ereditato dal sacerdote Gioachino Spano).

L’acquisto da parte del Dessì è confermato da atto notarile del 15.12.1806, relativo all’unità 2947, che confinava con la “casa di Domenico Dessì, comprata dal curatore al concorso del fu negoziante Marco Antonio Battilana”.

Il negoziante Dessì dopo breve tempo si ritirò dall’affare, oppure le sue garanzie di pagamento non furono ritenute sufficienti; infatti ben prima dei 3 anni, termine utile per pagare la somma stabilità, la casa Battilana fu nuovamente oggetto d’asta per ordine di don Giuseppe Valentino, reggente della Reale Cancelleria; con atto notarile del 27.06.1808 fu assegnata al causidico e notaio Sebastiano Dessì Valeri per lire 21916, soldi 13 e denari 4; in data 04.08.1808 egli firmò l’atto di cauzione in favore dei creditori dell’eredità Battilana, con la garanzia dei beni del ricco conte Gaetano Pollini; il Dessì Valeri (che non risulta parente di Domenico Dessì) agiva come intermediario, così come era capitato due anni prima al causidico Scanu; con atto del notaio Lucifero Caboni del 16.08.1808 egli cedette la casa al negoziante Salvatore Rossi (futuro barone) figlio di Francesco Antonio, con i medesimi patti e condizioni da lui accettate due mesi prima. Il Rossi avrebbe dovuto saldare entro 3 anni la somma richiesta, nel frattempo avrebbe pagato gli interessi annui al 5%; liberò il Dessì Valeri da ogni suo obbligo, e liberò anche il conte Pollini, garantendo il pagamento direttamente con i suoi beni (già considerevoli).

Dopo il 1850 apparteneva ancora al barone Salvatore Rossi (1775-1856), come diversi altri immobili dello stesso isolato.

 

2938

Nell’atto del 1792, citato per la casa 2937, la confinante 2938 venne definita “casa di Juanna Mameli e oggi di Sor Pepica Guerzy”; Giovanna Mameli era la nonna paterna della suora, e se ne ha notizia anche da una causa relativa ai beni della famiglia Gherzi: nell’inventario dei beni del dottor Giuseppe Gherzi, padre di Giuseppa, vi è anche una casa nella strada di Barcellona, composta da “dos altos y sòtanos” proveniente dalle sorelle Juana e Anna Maria Mameli; in altra carta della stessa causa, si legge che la suora Gherzi dovette pretendere la restituzione dei beni donati da Juanna e da Anna Mameli al dottor Giuseppe Gherzi (o Sgherzi) con atto del 11.02.1752, in occasione del suo matrimonio, in quanto dopo la morte di Anna Mameli vedova Garibaldo di quei beni si era impossessato il suo erede Nicolò Pittaluga; si specifica che questi beni, che includevano 2 case (2938 e 2939) nella contrada Barcellona, provenivano dalla eredità della madre delle sorelle Mameli, Maria Anna Massury, dopo la divisione con Paola e Antonio Massury (probabilmente suoi fratelli).

Nel donativo (senza data, presumibilmente del 1799) della reverenda madre suor Pepica Gherzi è compresa una casa nella strada Barcellona formata da due piani alti di 6 stanze in tutto e una bottega, affittata in tutto per lire 155 annue.

In altro atto del 1800, relativo all’unità 2937, è scritto che la casa confinante era di proprietà del fu dottor Giuseppe Sgherzi, mentre in atto del 1802, relativo anch’esso alla casa 2937, si dice che era una casa delle Monache di Santa Chiara: il convento di Santa Chiara amministrava infatti i beni della suora Gherzi.

Con atto notarile del 23.09.1808 fu effettuato l’estimo di alcuni immobili appartenenti alla suora Giuseppa Gherzi; due periti muratori e due periti falegnami furono incaricati dalla suora, col consenso della madre superiora del convento di Santa Chiara, suor Raffaela Busu, e su incarico di Lucia Utzeri, già moglie separata di Domenico Gherzi fratello di suor Giuseppa, col consenso del nuovo marito Francesco Denurchi; furono valutate una casa nella strada di Barcellona (numero 2938), e due case nella strada Monserrato confinanti fra loro, identificabili con i numeri catastatli 2781 e 2782; la casa 2938 fu stimata in lire 4701 soldi 4 e denari 2; era composta da due piani, nel primo vi erano 3 stanze, nel secondo una sala, l’alcova, una piccola stanza e una cucina, e al piano terra una bottega con 2 stanze interne.

Le sorti dell’eredità dello scomparso Domenico Gherzi (di cui si erano perse le tracce improvvisamente nel 1784), dopo tanti anni non erano ancora definite: la moglie del Gherzi nel frattempo era riuscita a farsi riconoscere alcuni diritti, sicuramente le spese di mantenimento almeno fino alla data di morte presunta del marito, secondo la sentenza di separazione (si veda quanto già riferito per la casa 2371) e, con sentenza del 17.07.1806 e sua conferma del 13.01.1807, le fu riconosciuta anche la cosiddetta “quarta uxoria” che evidentemente non le era stata più versata dalla cognata e dal monastero di Santa Chiara, amministratore dell’eredità Gherzi.

In data 28.10.1809 Lucia Utzeri dimorante in Villanova, col consenso del secondo marito l’invalido Francesco Denurchis, firmò la ricevuta di lire 1637, soldi 19 e denari 3 che le furono consegnate da parte della suora Pepica Gherzi, per la “quarta uxoria” dovutale a seguito della sentenza del 17.06.1806 sui beni dei defunti coniugi dottore in entrambe leggi Giuseppe Gherzi (-1789) e Girolama Simon (-<1789), beni che sarebbero spettati al figlio Domenico (primo marito dalla Utzeri) la cui data di morte presunta fu stabilita successivamente alla data di morte dei genitori. In particolare, fra i beni dell’asse ereditario faceva parte la casa della strada Barcellona stimata nel 1808 lire 4701 e spiccioli.

In atto notarile del 04.05.1810, relativo alla casa 2950, la casa Gherzi risultava abitata da Raffaele Porrà.

Dopo il 1850 la casa 2938 apparteneva al barone Salvatore Rossi (1775-1856), come la confinante 2937.

 

2939

Il 16.06.1798 venne aperto e pubblicato il testamento del defunto negoziante Gottardo Garibaldo, su richiesta della sua vedova Anna Mameli; fra i diversi legati ve ne erano 2 destinati a far celebrare messe nelle chiese di Santa Caterina e di San Sepolcro dal nipote reverendo Domenico Piccaluga (o Pittaluga), assoggettando due case che il defunto possedeva nella strada di Barcellona: una era la casa d’angolo 2947 (parte destra), la seconda era la casa 2939 che il Garibaldo aveva comprato dal dottor Giuseppe Gherzi; in quest’ultima abitava la vedova Paola Musanti, come si legge nell’inventario dei beni del defunto Garibaldo, compilato dal notaio a partire dal 22 giugno dello stesso anno 1798.

In quattro atti del 1801 e 1802, relativi alla casa 2952, è scritto che la casa di fronte era del sacerdote Domenico Pittaluga cappellano maggiore della chiesa di S.Caterina martire; per cui, senza avere documenti più precisi, si ipotizza che la casa del Piccaluga (o Pittaluga) fosse la numero 2939, frontale alla casa 2952, la stessa lasciata dal Garibaldo al nipote per la celebrazione delle messe in suffragio della sua anima; casa comprata dal Garibaldo dal dottor Gherzi, al quale, come già detto per la casa 2938, le sorelle Giovanna e Anna Mameli, madre e zia del Gherzi, avevano donato 2 case nella strada Barcellona, di cui solo la casa 2938 rimase all’unica sua erede suor Pepica Gherzi.

Con atto del notaio Sisinnio Moi del 16.04.1809, il sacerdote Domenico Piccaluga, in qualità di curatore testamentario del suo defunto zio Cottardo Garibaldo, concesse in enfiteusi la casa della strada Barcellona al negoziante Michele Romagnino. La casa era composta da due piani alti e il piano terreno, e il canone pattuito fu di 80 scudi annui, comprendente però anche un magazzino “col suo piano superiore” nella strada is Argiolas (via Garibaldi), davanti al portico Romero; entrambi gli immobili erano stati destinati dal defunto Garibaldo alla celebrazione di messe quotidiane nella chiesa del Santo Sepolcro, in particolare nella cappella di Sant’Andrea. Romagnino avrebbe dovuto migliorarli e renderli abitabili entro un anno. Egli ebbe la fideiussione del mastro Francesco Meloni, che garantì coi suoi beni. Non si sa se il contratto enfiteutico col Romagnino sia durato a lungo: egli comunque in data 31.07.1809 si accordò col mastro muratore Efisio Luigi Costa per effettuare dei lavori nella casa che dal 16 aprile aveva in enfiteusi nella strada di Barcellona, per i quali avrebbe pagato scudi 155.

In atto notarile del giugno 1811, relativo alla casa 2940, una delle case confinanti è detta “dell’eredità Gontard”, con riferimento impreciso al defunto Gottardo Garibaldo; in atto notarile del 06.03.1812, relativo alla casa 2952, sull’altro lato della strada Barcellona vi era la casa (2939) del sacerdote Domenico Pittaluga (-1825), cappellano maggiore della chiesa di Santa Caterina martire; manca, in questi due ultimi atti, qualsiasi riferimento al Romagnino.

Nel primo catasto urbano, appena successivo al 1850, la casa apparteneva alla Causa Pia. 

 

2940     

Nel donativo del 20.06.1799 presentato da Francesco Rocco Corona per conto di Anna Maria Piras vedova Salinieri, è compresa una casa nella strada di Barcellona, composta da una bottega, 5 stanze e la cucina, ed “un luogo per legna e carbone”; la bottega era affittata per 35 scudi annui, la casa era l’abitazione della proprietaria.

Nel donativo presentato il 27.06.1799 dalla chiesa dei santi Giorgio e Caterina (dei Genovesi), venne denunciato un censo di 12 scudi annui pagati dalla vedova Anna Maria Saliner per una casa nella strada di Barcellona, presumibilmente la stessa dichiarata dalla vedova.

Non si conosce la data di morte di Anna Maria Piras, vedova di Giovanni Battista Saliner (-1778), ma, con atto notarile del 24.09.1801, venne pubblicato il testamento di Maria Chiara Piras, vedova di Cosma Cao; la donna (che morì nel 1803) lasciò ai suoi figli, l’ex-gesuita reverendo Antonio e Annica Cao Piras, la casa che lei stessa abitava con gli stessi figli, sita nella calle di Barcellona, ereditata dalla defunta sorella Anna Maria Piras Salineri; sulla casa venivano pagati 12 scudi annui alla chiesa di S.Caterina martire; Maria Chiara Piras specificò che dopo la morte dei suoi figli la casa doveva diventare proprietà delle sue nipoti Chiara e Vincenza Montixi Cao, figlie di sua figlia Annica Cao Piras e del defunto Sebastiano Montixi; la nipote Chiara era coniugata col dottor Francesco Rocco Corona, lo stesso che nel 1799 aveva presentato la denuncia per il donativo di Anna Maria Piras, prozia di sua moglie.

Nel donativo del 24.08.1807 presentato dal negoziante Eligio Allemand, proprietario della casa 2941, si legge che la casa confinante era quella del reverendo padre Cao; il sacerdote morì nel 1807, ma già dal 14.05.1803 aveva donato le sue proprietà alla sorella Annica Cao Piras; quest’ultima, a corto di denari, aveva ottenuto dei prestiti dal negoziante Salvatore Rossi (poi barone), con atti notarili del 1808, 1809, 1810, 1811 e 1812, accumulando sulla casa un’ipoteca totale di scudi 1100, con pensione annua di scudi 65 da pagare al Rossi.

Con atto del notaio Giuseppe Isola del 19.05.1809, Francesco Rocco Corona (impiegato nell’ufficio del Controllo Generale), per conto di sua suocera Anna Cao vedova Montixi, si accordò coi mastri muratori Giovanni e Avendrace fratelli Piu per eseguire dei lavori di miglioramento nei primi due piani della casa della strada Barcellona, e per costruire un terzo piano; la spesa prevista era di scudi 495; si volevano rendere indipendenti fra loro i 3 piani e si volevano mettere dei balconi di ferro simili a quelli delle case vicine, in particolare simili a quelli della casa del negoziante genovese Gio Batta Dodero (numero catastale 2951, sull’altro lato della via).

In data 03.01.1810 i fratelli Piu ricevettero da Francesco Rocco Corona una somma poco inferiore a 733 lire (equivalenti a poco più di 293 scudi), a parziale pagamento dei lavori eseguiti.

Nel frattempo, in data 21.12.1809, nella sua casa della strada Barcellona, la vedova Anna Cao preparò il testamento con il notaio Gioachino Mariano Moreno; nominò eredi universali i suoi nipoti Marianna e Saturnino Corona Montixi, figli di sua figlia Chiara, e quest’ultima fu nominata erede per la parte legittima ma anche erede universale usufruttuaria; nel testamento ordinò espressamente che nella sua casa non avrebbero mai dovuto abitare le sorelle di suo genero, Anna e Serapia Corona; chiese di essere sepolta nella chiesa delle madri cappuccine, e legò al monastero la proprietà censale di scudi 600 caricati sulla casa di Agostino Arthemalle (2956). 

In data 18.01.1813 Anna Cao Piras vedova Montixi, nata e domiciliata nella Marina, scrisse un secondo testamento col notaio Giuseppe Isola; chiese di essere sepolta nella chiesa delle Cappuccine, e nominò il genero Francesco Rocco Corona esecutore testamentario; lasciò dei legati per celebrare alcune messe e per comprare 4 bolle per indulgenza per la sua anima, per quella di suo fratello defunto sacerdote Antonio, e per le sue figlie defunte Vincenza e Raffaela Montixi; erede universale venne nominata la figlia Chiara Montixi moglie di Francesco Rocco Corona; fu confermata la condizione che non si sarebbe mai dovuto permettere alle sorelle del marito, Annica e Serapia Corona, di vivere nella sua casa; Anna Cao non poté sottoscrivere il testamento “per la sua cecità”.

Ancora per tutto il 1813 risulta che gli eredi del reverendo Antonio Cao possedessero la casa, citata in due atti del febbraio e del dicembre, relativi entrambi alla casa Vodret 2953.

Non si sa esattamente quando morì Anna Cao, ma fra il 1813 e il 1822 la casa 2940 cambiò proprietario: infatti in una causa civile del 1822 si legge che il negoziante Andrea Nossardi aveva citato il negoziante e console imperiale Salvatore Rossi (poi nominato barone), a causa di lavori di sopraelevazione che il Rossi voleva effettuare in una sua casa nella contrada Barcellona, che avrebbero causato la chiusura della finestra della cucina della casa del Nossardi, che stava invece sulla strada Moras; dal Sommarione dei Fabbricati della seconda metà del XIX secolo sappiamo che la casa Nossardi era l’unità numero 2943, esattamente dietro la casa 2940, e quest’ultima infatti, dopo il 1850, apparteneva ancora al barone Salvatore Rossi (1775-1856).

 

2941

In un atto notarile del maggio 1797, relativo alla casa 2942, si legge che detta casa 2942, che aveva l’entrata principale sulla strada Moras, confinava alle spalle con la casa “che era degli eredi della quondam donna Clementa Carbony e oggi del Negoziante Eligio Allemand”; quest’ultima casa era l’unità 2941, e se ne ha notizia in una ricevuta del 1783 rintracciata fra gli atti notarili insinuati di quell’anno: fu rilasciata dal mastro muratore Felice Medda al mercante Luis Aleman, per il pagamento del lavoro fatto nella casa della strada Barcellona che Aleman comprò dagli eredi del reverendo Pedro Carbony[1]; se ne ha notizia anche in una ricevuta del 1784, anche questa proveniente dagli atti notarili insinuati, firmata da Pepica Carboni Borras a favore di Luis Aleman, e nella quale la Carboni dichiarò di riceve il saldo del valore della casa sita nella strada Barcellona, venduta al mercante Aleman dagli eredi Carboni, cioè il dottor Francesco Maria, Joseph Felix, Maria Eulalia, la dama Maria Francesca, Pepica, Juanica Carbony e dal dottor don Luis Depany padre e amministratore delle figlie impuberi donna Maria Annica e donna Pepica Depany Carbony.

Se ne ha conferma da atti del 1796, 1799 e 1800, relativi alle case 2928 (parte destra) e 2955.

La stessa casa 2941 è da identificare con la casa grande nella strada di Barcellona, con 2 botteghe, 2 sotterranei, 2 mezzanelli, 3 piani di 15 stanze in tutto, e che rendeva lire 450, che il negoziante Eligio Allemand (chiamato a volte Luis) denunciò nei donativi del 1799, e che nel donativo dello stesso Allemand del 1807, stimata in scudi 2000, riscuoteva un affitto di 160 scudi, cioè 400 lire; i suoi confini nel 1807 erano i seguenti: di lato, strada in mezzo, con casa di Santa Caterina martire (num. 2928/b), dall’altro lato con casa del padre Cao (2940), davanti strada in mezzo con casa del fu Giovanni Isola (2955), e di spalle con casa di Luigi Peirani (num. 2942).

Un atto notarile del 19.05.1809 riferisce che in questa casa abitava il nobile don Giovanni Antonio Borro Aymerich; questi, sposato nel 1806 con Angiolina Porcile, proprietario della casa 2364 nella strada degli Scarpari, nel 1808 ospitava nella sua abitazione della strada Barcellona il maiolo Palmerio Era di Bolotana; abitava in questa casa con la moglie e i 4 figliastri più piccoli (Giuseppa, Marianna, Giovannico e Rita Steria Porcile, nati dal matrimonio di Angela Porcile con Francesco Steria), e vi morì il 13.11.1810. In una casa della strada Barcellona, presumibilmente la stessa 2941, morì il 04.02.1812 Giovannico Steria Porcile, figliastro prediletto di don Giovanni Antonio Borro. 

Nella casa della strada Barcellona, nel dopopranzo del 19.06.1812 morì anche Angiolina Porcile: gravemente ammalata, il giorno precedente aveva fatto testamento col notaio Bernardo Aru; dispose di essere seppellita nel cimitero della chiesa del Santo Sepolcro, con un funerale senza pompa a discrezione del genero Pietro Crobu, nominato esecutore testamentario (Pietro Crobu Arthemalle, coniugato con Marianna Steria Porcile); nominò eredi in parti uguali le figlie Pepucia, Marianna, Rita e Annica Steria Porcile, tolta la parte legittima che spettava al figlio Efisio e alle nipoti Antonica e Efisia Visca, figlie della defunta sua figlia Barbara e di Francesco Visca. 

Eligio Allemand (o Aleman) era un ricco negoziante proveniente da Millaures, ora frazione di Bardonecchia in territorio italiano (provincia di Torino), un tempo nel Delfinato di Francia; sposatosi a Cagliari nel 1769 con Maddalena Vargiu, morì vedovo intorno al 1808 e lasciò i suoi beni all’unica figlia Marianna coniugata col conte Pietro Fancello.

Nell’agosto del 1825 la casa era ancora di proprietà degli eredi Fancello che vi caricarono un’ipoteca che era stata accesa da Marianna Allemand nel 1817 su altre due case di sua proprietà; per poter vendere quelle due case (2387 e 2390) libere da vincoli, l’ipoteca di 2000 scudi venne spostata sulla casa 2941.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al Gremio dei Santelmari. 



[1] non è stato identificato esattamente il reverendo Carboni e si ignora quale fosse la sua parentela con donna Clementa; un reverendo e dottor Pietro Carboni morì nel 1782

 

2942

Era la casa Busu; con atto notarile del 18.05.1797 Maria Antonia Busu, vedova del negoziante Gian Battista Busu (erano probabilmente cugini, il loro cognome era Buso, ligure e sardizzato con la “u” finale), concesse in enfiteusi, per 1800 scudi e canone annuo di scudi 90 al 5%, la sua casa della strada Moras al parrucchiere e negoziante Luis Peyrani. La casa era composta da tre piani alti, un “sòttano”, e una stanza sotterranea, con la cisterna, un pozzo, un terrazzo; era sita in calle de Moras, e confinava davanti con casa della Causa Pia di S.Eulalia (2699 parte I), e col vicolo che conduceva dalla calle de Moras alla calle de Sapateros (o de las Tallolas); di spalle con casa che era degli eredi della defunta donna Clementa Carbony e poi del negoziante Eligio Allemand (2941); da un lato col callejon (vicolo, stradetta) che conduceva dalla calle di Moras alla calle di Barcellona; dall’altro lato con casa dei Padri Carmeliti (2943).

Era appartenuta a suo padre Angel Busu, il quale l’aveva comprata il 28.04.1733, in stato di rudere e per 200 scudi, dalla vedova Maria Antonia (o Maria Anna?) Mamely Mazuzzi che agiva come curatrice di sua figlia minore Anna Mamely avuta con suo marito il dottor (Thomas Ignacio?) Mamely.

Angel Busu con il suo testamento del 28.10.1748, istituì suoi eredi i figli, il dottore in diritto Juanico (Gio Antioco) Busu, Josepha, e Maria Antonia; poi quest’ultima la possedette in comunione con i figli di suo fratello Juanico (suor Raffaela, reverendo Francesco Vicente, il dottor Gesuardo, il notaio Antonio e suor Giuseppa, fratelli Busu), e con i figli di sua sorella Giuseppa (reverendo Francesco e negoziante Angelo, fratelli Perpignano Busu) e con Francesco Serra figlio della defunta Maria Angela Perpignano Busu, altra figlia di Josepha Busu; tutti gli eredi cedettero la casa alla zia Maria Antonia Busu e al marito Gian Battista Busu, i quali con atto del 30.08.1787 vi caricarono la partita di 600 scudi per corrispondere annualmente 36 scudi alla suora Anna Maria Busu (altra figlia di Angel Busu), monaca della Purissima Concezione, per il suo parafreno[1].

Juan Bauptista Busu, nel suo testamento del 31.10.1779 pubblicato il 11.01.1797, istituì sua erede la moglie Maria Antonia Busu, che quindi ne era l’unica proprietaria.

Il Peyrani, enfiteuta dall’anno 1797, avrebbe pagato 90 scudi di pensione alla vedova Busu fino alla morte di questa[2], di cui 36 erano destinati al palafreno della suora; quest’ultima morì prima del 1801, lasciando eredi di parte del suo palafreno le nipoti suor Raffaela e suor Giuseppa, figlie di suo fratello dottor Juanico Busu; Maria Antonia Busu dovette quindi vincolare 100 scudi per pagarne 6 all’anno alle due suore sue nipoti.

Dovrebbe essere la stessa casa della strada Mores che Gio Batta Busu (come proprietario o come amministratore) affittò nel 1785 al dottor Domenico Pasero.

Il 15.10.1808 morì nella casa Peirani della strada Moras il negoziante genovese Gaetano Bertora; egli abitava alcune stanze al secondo piano, non lasciò testamento né eredi diretti. Ne dichiarò la morte, avvenuta durante la notte, il cugino Girolamo Raggio, sacerdote genovese. Per tutelare la sua eredità il notaio Raimondo Piras, insieme ad un Assessore incaricato, si recarono alla casa di Luigi Peirani per compilare l’inventario degli effetti personali del defunto, dopo di che entrambi si recarono al magazzino dove il Bertora conservava la soda, di cui faceva commercio, sotto la casa del notaio Alessandro Alciator nella strada Gesus (forse la casa Gastaldi 2615?); infine si recarono all’abitazione dell’avvocato Francesco Rapallo, nella strada Moras (casa 2926), per esaminare diverse scritture (crediti, contratti) del defunto in possesso del Rapallo.

La proprietà di Luigi Peirani è confermata nel donativo del Capitolo del 1807: la casa Eugenio (Ogieri) del Capitolo, numero 2928, confinava di lato con la casa Peirani, “strada frammezzo”. E’ confermata anche in atto del novembre 1811, relativo alla casa 2699.

Dopo il 1850 la casa 2942 apparteneva al segretario civico Luigi Novaro (1799-1859). 



[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti.

[2] Maria Antonia Busu morì il 9 maggio 1803

 

2943     

Vi sono poche informazioni su questa casa: in atto notarile del 18.05.1797 relativo alla casa 2942, risulta che la casa confinante 2943 appartenesse in quell’anno a padri del convento del Carmine.

Da un atto notarile del 08.04.1807, relativo alla casa 2944, risulta che appartenesse al medico Francesco Manna, che occupava in affitto anche la confinante casa 2944; è possibile che il medico avesse avuto la casa 2943 in enfiteusi dal Convento del Carmine.

Il dottore in medicina Francesco Antonio Manna abitava già da tempo nella strada Mores: il giorno 10.12.1796, in precarie condizioni di salute, chiamò nella sua casa di abitazione, proprio nella strada Mores, il notaio Alessandro Alciator, al quale consegnò il suo testamento; nominò sue eredi, per i beni mobili e stabili, la sorella Caterina e la nipote Agostina (Manel); in effetti non si sa se l’abitazione del medico, in quell’anno, fosse limitata ad una sola casa o comprendesse già entrambe le unità 2943 e 2944.

Nell’elenco dei maioli residenti in città nell’anno 1808, risulta che il medico Francesco Manna ospitasse nella sua casa della strada Mores il maiolo Raffaele Ibba di Senorbì.

L’ipotesi è confermata da due atti notarili del 1810: uno relativo alla casa 2704 sull’altro lato della strada Moras, il secondo relativo alla casa 2944, con la quale la casa 2943 era unita. Ulteriore conferma arriva da atti notarili del giugno 1811 e del luglio 1812 relativi alla casa 2940, alle spalle.

Non si hanno molte notizie sulla famiglia Manna (a volte Manno o Mannu): il medico, proprietario della casa 2943, si può forse identificare con un Carlo Francesco Antonio Manna, figlio di Domenico, nato nel 1746; egli non ebbe discendenza, dato che nel suo testamento del 1796 nominò eredi la sorella e la nipote; la sorella Caterina è identificabile con la moglie di Giovanni Manca (o Manel?), col quale ebbe una figlia nel 1766; è probabile che ci fosse una parentela col notaio Alciator, la cui madre si chiamava Anna Maria Manna.

In una causa civile iniziata nell’agosto 1822 la casa risulta appartenere al negoziante Andrea Nossardi, che citò il console imperiale e negoziante Salvatore Rossi, futuro barone, per dei lavori che il Rossi stava effettuando nella sua casa 2940; la sopraelevazione della casa 2940 avrebbe danneggiato il Nossardi, chiudendo una finestra della cucina che si affacciava nel cortile della casa. Le indicazioni presenti in questa causa sono insufficienti per la identificazione delle due case: si limitano infatti al nome delle strade, nella strada Moras la casa Nossardi, nella strada Barcellona la casa Rossi; ma dopo il 1850 la casa 2943 apparteneva agli eredi di Andrea Nossardi, cioè ai suoi figli Lorenzo, Teresa, Rosina, Isabella, fino a che non fu venduta, nel 1854, al regio Impiegato Nicolò Gorlero (1813-)

Andrea Nossardi era un benestante commerciante di tessuti; era probabilmente nativo di Levanto, in Liguria, ma si era spostato a Gibilterra; la città di Gibilterra era popolata da moltissimi genovesi, e tuttora vi resistono fra gli abitanti molti cognomi liguri. In diversi documenti è anche chiamato capitano, probabilmente padrone navale, e la sua attività doveva essere il commercio marittimo, prima di stabilirsi a Cagliari nei primissimi anni del XIX secolo. Sposato con Maria Maineri (di famiglia probabilmente ligure), morì a Cagliari nel 1836; fra i suoi figli, Teresa (nata a Gibilterra e morta a Cagliari nel 1874 a 81 anni) era sposata col negoziante Gregorio Vodret, Isabella (o Elisabetta) (nata a Gibilterra e morta a Cagliari nel 1885 a 83 anni) col nobile Rafaele Paglietti, Rosa con Carlo Facelli, e Giovanni Battista, premorto al padre, con Caterina Federici Vodret.

 

2944     

I primi due atti notarili che citano questa casa, del 1797 e del 1800, entrambi relativi alla casa 2945, riferiscono che la casa Battilana 2945/a/b/c confinava ai due lati con case dell’Azienda exgesuitica, dello Spedale, e delle Monache di Santa Chiara; informazioni non completamente conformi si hanno nel donativo di Gio Antonio Sappa, che nel 1807 aveva acquisito la casa 2945/a/b/c: i confini, sia a destra che a sinistra, erano con case dell’Opera Pia (dell’ospedale).

La casa di pertinenza dell’Azienda ex-gesuitica è stata identificata con la casa 2945/d, per cui le proprietà dell’Ospedale e delle monache di Santa Chiara potrebbero corrispondere all’unità 2944; un atto notarile del 08.04.1807 elenca le proprietà donate all’Opera Pia dell’Ospedale dal dottore in leggi Francesco Angelo Dessì di Bortigali, defunto nel 1674; al numero 22 dell’inventario è inserita una casetta nella strada Moras, di 2 piani alti e piano terreno, abitata dal medico Manna che pagava scudi 38 annui (cioè lire 95), confinante da un lato con casa del negoziante Federici (2945), dall’altro lato con casa di proprietà dello stesso medico Manna (2943), di fronte con casa del notaio Azuni (2703); quindi si individua la proprietà dell’Ospedale, abitata dal medico Manna, con la casa 2944; non è chiaro invece quale fosse la casa delle Monache di Santa Chiara, che sembra però che possedessero una parte della stessa casa 2944.

Con atto del 13.02.1810 del notaio Nicolò Martini, i Padri di San Giovanni di Dio dell’Ospedale di Sant’Antonio concessero in enfiteusi vitalizia una casa sita nella strada Moras, composta da un piano terreno e due superiori, al medico Francesco Antonio Manna; egli aveva chiesto l’enfiteusi per la durata della sua vita e della sua nipote Agostina Manel; la casa era la medesima che i coniugi Pietro Coni e Anna Maria Crucas avevano ceduto all’eredità del dottor Francesco Angelo Dessì in data 08.04.1715; questa eredità era gestita dai Padri Ospedalieri, in pratica eredi del Dessì dal 1678. Il medico Manna, che già abitava la casa, avrebbe pagato il canone annuo di lire 95, a partire dal primo gennaio del 1810; si assunse l’obbligo di lastricare, imbiancare e pensare alla manutenzione dello stabile, e di rifare il tetto entro due anni; inoltre sempre a sue spese, o meglio a spese della sua eredità, si sarebbe dovuta chiudere la porta di comunicazione con l’altra casa dove viveva lo stesso Manna, lavoro da eseguire dopo la morte del medico e della nipote; tutti i miglioramenti sarebbero rimasti, senza spese, ai Padri Spedalieri. La casa confinava da una parte con l’altra casa abitata dal Manna (2943), dall’altra con la casa già Battilana, poi del negoziante Giacomo Ignazio Federici (2945).

Dopo il 1850, dal Sommarione dei fabbricati, risulta che appartenesse ancora all’Ospedale civile.

 

2945/a,b,c

Era anticamente divisa in quattro unità immobiliari: seguendo la numerazione dell’isolato in senso orario, la parte I (a) era quella più a sud, la parte IV (d) quella più a nord, limitrofa alla casa 2946; in questo paragrafo si riferisce delle parti a, b, c.

Con atto notarile del 26.02.1789, i mastri muratori Juan Ligas e Francisco Mainetto, e i mastri falegnami Antonio Efis Murgia e Pasqual Mameli, eseguirono la stima della parte b, che era per metà della Arciconfraternita del SS Crocifisso della orazione e della morte (cioè del Sepolcro), l’altra metà era dei coniugi dottore in diritto cavalier Pasqual Azori e dama Maria Ignazia Cara; si trovava nella strada di Moras, e confinava davanti con casa di donna Geronima Zenugiu nata Humana (2702), da un lato con casa del cavaliere don Miguel Humana (2945/c), dall’altro lato con casa del negoziante Joseph Xacaluga (2945/a), di spalle con cortile e casa degli eredi del fu dottore e cavaliere Salvador Espano (2937); era composta da un “sòttano” e due piani alti.

In atto notarile dell’agosto 1792, relativo alla casa 2937, si legge che detta casa confinava di spalle con case che erano del fu dottor Gregorio Mazucu (2945/c) e casa degli ex-Gesuiti (2945/d). Il riferimento al dottor Mazucu, come si vedrà più avanti, era però vecchio di circa un trentennio.

Infatti con atto notarile del 05.01.1797 il Cavalier Miguel Humana vendette al negoziante Andrea Battilana una casa “ensostrada” (cioè con piani alti sopra il terreno) sita nella calle di Moras; era una casa proveniente dall’eredità di suo padre cavalier Joseph Humana, il quale l’aveva comprata all’incanto pubblico dalla eredità del defunto dottore in diritto Gregorio Marzuco (o Mazuco, Mazucu) con atti del 20.07.1762 e 20.03.1763: si tratta della parte III dell’unità 2945. La vendita venne pattuita per 700 scudi, da pagare entro 10 anni con interessi al 5%, cioè 35 scudi ogni anno. Confinava di lato con casa che era dei Padri Gesuiti di San Michele (2945/d), dall’altro con casa dell’Arciconfraternita del Santo Sepolcro (2945/b), di spalle con casa che prima era del dottore in diritto Salvador Espano e poi di Marcantonio Battilana, padre del compratore Andrea.

Il 20.01.1797 Andrea Battilana incaricò il capo mastro Sebastiano Puddu di fabbricare dalle fondamenta una casa a 3 piani alti del valore di lire sarde 5500; Battilana voleva “dirocare” le 3 case che aveva acquistato rispettivamente dal negoziante Giuseppe Sciaccaluga (2945/a), dalla confraternita del Sepolcro (2945/b) e dal cavalier Michele Humana (2945/c), situate nella contrada Moras, e quindi riedificarle in un’unica casa, sin dalle fondamenta fino a tre piani alti e piano di terra.

Andrea Battilana morì trentenne il 27 dicembre dello stesso 1797, lasciando la vedova Giovanna Gastaldi (figlia di Giovanni Battista), e 4 figli minori, di cui la maggiore, Anna, aveva solo 6 anni; curatori dell’eredità vengono nominati il padre Marcantonio Battilana e il notaio Vincenzo Sulis (cioè il capo popolo e tribuno, coinvolto nei fatti storici di quegli anni); l’inventario dei suoi beni venne compilato a partire dal 29 dicembre, comprendeva gli oggetti dell’abitazione e le merci della bottega di merci varie del defunto. La casa venne stimata dai periti in lire 19654; confinava dai lati con case dell’Azienda exgesuitica (2945/d), dello Spedale (2944) e delle Monache di Santa Chiara (2944).

Il 21.06.1799 i curatori dell’eredità del fu Andrea Battilana, cioè Marcantonio Battilana e Vincenzo Sulis, presentarono il donativo per l’eredità, e denunciarono la casa nella contrada di Moras composta da 3 piani alti e un magazzino; ogni piano era composto da 5 stanze; il primo piano ed un magazzino erano affittati per scudi 60 annui, l’altro magazzino era affittato per 20 scudi; il II ed il III piano non avevano entrata propria, bisognava servirsi dell’entrata nella casa di Marcantonio Battilana sulla strada di Barcellona; erano sfitti, ma se affittati avrebbero reso in tutto scudi 50 (30 il 2° piano, 20 il 3°); venivano pagati 36 scudi di canone annuo alla chiesa del Sepolcro, 35 scudi a don Michele Humana.

Con atto del 11.04.1800 Marcantonio Battilana confermò di avere ancora un debito di £ 2723, soldi 16 e un denaro col mastro muratore Sebastiano Puddu per la costruzione della casa del figlio Andrea; il Battilana agiva per conto dei nipoti “pupilli” Anna, Efisia, Antonio e Battistino, figli di Andrea.

In data 21.08.1800 Marcantonio Battilana, sempre nella sua veste di curatore dell’eredità, cedette la casa (2945/a/b/c) del defunto Andrea al negoziante Giacomo Ignazio Federici, il quale agiva come procuratore di Gio Antonio Sappa e soci di Livorno, creditori di Andrea Battilana.

Il 16.01.1802 Marcantonio Battilana e suo figlio Giuseppe furono costretti a ipotecare la casa 2937 per far fronte alle richieste di Bartolomeo Sciaccarame, procuratore dei negozianti Giuseppe Antonio Hofer e Compagni di Genova, creditori del fu Andrea Battilana della somma di lire 9938 soldi 5 danari 8; la casa alle spalle (2945/a/b/c) apparteneva ancora al negoziante Giacomo Ignazio Federici per conto del negoziante Sappa di Livorno.

Il 04.08.1807 lo stesso Federici presentò il donativo per conto di Gio Antonio Sappa e soci: dichiarò la casa della strada di Moras, composta al piano terra da 2 magazzini e due “piccoli siti”, e 3 piani sopra il terreno ognuno di 5 stanze fra grandi e piccole; il valore della casa era di scudi 5000, cioè lire 12500, venivano pagati dei censi al Sepolcro e a don Michele Humana; il primo piano rendeva scudi 40, il secondo e il terzo non erano abitati e potevano rendere rispettivamente scudi 48 e 44.

Anche in atti notarili del 1808, relativi alla casa 2937, la casa 2945/a/b/c è detta “del negoziante Federici in qualità di Procuratore Generale dei Negozianti Antonio Sappa e figli di Livorno”. Lo stesso riferisce un atto del 08.06.1809 relativo alla casa 2945/d.

Dai dati del catasto di metà ‘800, l’unico proprietario che risulta per il numero catastale 2945 è il barone Salvatore Rossi (1775-1856); si sa che il ricco barone aveva acquisito in enfiteusi nel 1809 la parte IV, 2945/d; è possibile che nel frattempo avesse acquisito anche le altre tre parti; non si può escludere però che manchi, nel registro catastale, il riferimento agli altri proprietari.

 

2945/d

In atto notarile dell’agosto 1792, relativo alla casa 2937, si legge che detta casa confinava di spalle con una casa che apparteneva all’Azienda Exgesuitica, identificata con la parte più alta dell’unità 2945.

Il dato è confermato da altro atto notarile del 05.01.1797 col quale fu venduta la casa 2945/c, confinante di lato con casa che era dei Padri Gesuiti di San Michele (2945/D) e la stessa informazione, arriva dall’inventario dei beni del defunto Andrea Battilana, proprietario alla sua morte (27.12.1797) delle case 2945/a,b,c.

Un atto del 26.08.1799 fornisce invece informazioni poco chiare: è relativo a una casa dell’Arciconfraternita della Vergine Santissima del Riscatto, identificata con la parte sinistra dell’unità 2946, all’angolo fra le strade Moras e del Sepolcro; confinava sul retro con casa “che era della Azienda ex Gesuitica, oggi dell’Ospedale di S.Giovanni di Dio” (2945/d); sembrerebbe che l’Ospedale avesse di recente acquisito la casa 2945/d, prima dei Gesuiti; però, da atti successivi, l’Azienda ex-Gesuitica risulta ancora proprietaria, quindi si può supporre che la casa fosse solamente utilizzata, forse con contratto d’affitto, dall’Ospedale.

In un elenco, datato 29.07.1807, dei beni dell’Azienda Exgesuitica, in particolare quelli appartenenti alla Sacrestia della chiesa di San Michele, è ricordato un atto d’acquisto del 30.06.1690 (notaio Sebastiano Foddis), d’una casa in contrada Mores che corrisponde con probabilità alla casa 2945/d; composta da un piano terreno e uno superiore, quello superiore era affittato nel 1807 a Michele Rolando col canone annuo di lire 62 e soldi 10, il piano terreno era affittato al parrucchiere Gio Antonio Loddo per £ 30. Per decreto Reale del 08.05.1807 i beni dei Legati Pii amministrati dall’Azienda Exgesuitica sarebbero dovuti essere ceduti al Seminario dei Missionari eretto nella chiesa di San Michele di Stampace.

In atto notarile dell’aprile 1808, relativo alla casa 2700/c, questa confinava davanti, attraverso la strada Mores, con una proprietà della Causa Pia amministrata dall’Azienda ex-gesuitica, corrispondente al numero 2945/d; infine, con atto del notaio Lucifero Caboni del 08.06.1809, la casa venne concessa in enfiteusi perpetua dal Teologo Felice Botta, preside e Conservatore del Seminario dei Sacri Operai, al negoziante Salvatore Rossi; nell’atto è scritto che la casa, insieme ad altri beni, era stata assegnata al Seminario con Carta Reale del 08.05.1807, e faceva parte dei beni dei Gesuiti della sacristia di San Michele; era una casa “con piano terreno e un piano tavolato”, stimata in data 11.11.1808 per scudi 852, reali 8, denari 8. I confini sono chiari: da una parte una casa della chiesa del “glorioso martire S.Efisio” (2946/a), dall’altra parte la casa del negoziante Gio Antonio Sappa e Compagni di Livorno, ex Andrea Battilana (2945/a/b/c), dietro una casa dello stesso Salvatore Rossi, ex Marcantonio Battilana (2937), davanti la casa Visca (2702). In un documento delle Regie Provvisioni del 04.07.1809 venne approvato il contratto enfiteutico, concesso al negoziante (poi barone) Salvatore Rossi.

Da atto notarile 18.08.1810 si sa che Rossi aveva dovuto ricostruire la casa “quasi dalle fondamenta”, e aveva dovuto riedificare il muri divisori con le case 2937, già di sua proprietà, e 2946/b (acquistata dallo stesso Rossi col riferito atto del 18.08.1810); aveva dovuto inoltre “livellare la facciata della casa alla contigua proprietà del defunto Andrea Battilana (2945/a,b,c).

Dai dati del catasto di metà ‘800, l’unico proprietario che risulta per il numero catastale 2945 è il barone Salvatore Rossi (1775-1856).

 

  

 

2946

Era divisa in due unità distinte: in un atto notarile del 01.06.1792, relativo alla casa 2701, è scritto che la casa davanti, sulla strada Moras, apparteneva alla chiesa di S.Efisio: si tratta della parte sinistra (a) della casa 2946, all’angolo fra le strade del Sepolcro e di Moras, a destra salendo; il dato è confermato da altro atto notarile del 26.08.1799, con cui i guardiani dell’Arciconfraternita della Vergine del Riscatto sotto la invocazione di S.Efisio, concessero in enfiteusi una casa della Marina; i guardiani erano il reverendo canonico della primaziale Juan Antonio Marini, il notaio Joseph Ramon Floris e mastro Geronimo Marchia; il clavario era il negoziante Antonio Franquino, il segretario della Arciconfraternita era il notaio Francisco Angel Randachu; essi concessero in enfiteusi perpetua a Rita Liqueri della Marina tutta la casa composta da un “sòttano” e 2 piani alti, sita nella calle del S.Sepolcro (e di Mores), che affrontava da un lato una casa dell’Arciconfraternita del Sepolcro (2946/b), d’altra parte una casa che era dell’Ospedale di S.Giovanni di Dio (2945/d) un tempo della Azienda ex Gesuitica, davanti una casa dei padri Agostiniani, calle di Moras mediante (2701), e pure davanti, sull’altra facciata della casa, c’era la porta principale della chiesa di S.Sepolcro; fu valutata 422 scudi, 7 reali, 6 denari; Rita Liqueri aveva il consenso del marito mastro Juan Liqueri di Cagliari, con cui erano però separati; garantì per Rita Liqueri (di cui non si conosce il cognome da nubile) il negoziante Francesco Usala che impegnò i suoi beni con ipoteca di una casa in Stampace, attigua a quella di Juan Liqueri. In atto notarile del 08.06.1809, relativo alla casa 2945/d, la proprietà confinante è detta “della chiesa del glorioso martire S.Efisio”.

La parte destra, o seconda, apparteneva invece all’Arciconfraternita del Sepolcro, come ci dice l’atto del 1799 appena citato, e come è confermato da altro atto notarile del 25.07.1805 relativo alla casa confinante 2947.

Ulteriore conferma si ha dal donativo dell’Arciconfraternita del Sepolcro, datato 13.08.1807, in cui venne dichiarata la proprietà di una casa nella strada del Sepolcro, davanti al cortile della chiesa e laterale alla casa nuova di Domenico Dessì (2947); era una casa composta da un “sòttano” e due piani alti di 2 stanze ognuno.

Con atto del notaio Francesco Soro del 18.08.1810, i Guardiani della Arciconfraternita del Santo Sepolcro cedettero la casa in enfiteusi al negoziante (poi barone) Salvatore Rossi: situata dirimpetto al cimitero della chiesa del Santo Sepolcro, composta da 2 piani superiori e 2 botteghe, inizialmente era stata accolta la richiesta del negoziante Raimondo Marramaldo, che già ci abitava, il quale avrebbe pagato il canone enfiteutico annuo di 35 scudi; ma intervenne il Rossi il quale era già proprietario della confinante casa 2945/d che aveva dovuto ricostruire quasi dalle fondamenta; aveva anche riedificato i muri perimetrali che dividevano quell casa dalla posteriore 2937, ex Battilana e poi dello stesso Rossi, e anche il muro divisorio con la casa 2946/b; offrì quindi 50 scudi annuali e riuscì a farsi assegnare l’enfiteusi. 

Dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, l’intera unità 2946 apparteneva al barone Salvatore Rossi (1775-1856), così come le limitrofe unità 2945, 2947, 2937 e 2938.

 

2947     

Era divisa in 3 case distinte (a,b,c) che, alla fine del XVIII secolo, appartenevano al negoziante Gottardo Garibaldo: il primo documento che è possibile citare è un atto notarile del 17.11.1769, relativo alle case 2717 e 2718, sull’altro lato della strada del Sepolcro: avevano di fronte una casa che era già di Gottardo Garibaldo e che prima apparteneva ad Antonio Busu; si tratta della parte III della casa 2947, all’angolo fra le strade del Sepolcro e Barcellona.

La stessa informazione proviene da altro atto notarile del 25.08.1792, relativo alla casa 2937 che allora era una proprietà di donna Maria Anna Sanna y Mallas e di suo figlio cavalier dottor Joachino Espano; detta casa confinava di lato con casa di suor Pepica Gherzi (2938), dall’altro lato con casa posseduta dal mercante Gottardo Garibaldo, e che prima era di Antonio Busu; quest’ultimo, il cui cognome originario era Buso, sicuramente di famiglia ligure, era con tutta probabilità un parente del Garibaldo, la cui madre era Tomasa Buso.

Il 16.06.1798 venne aperto e pubblicato il testamento del defunto Gottardo Garibaldo, negoziante originario di Sturla (attualmente rione di Genova); la sua vedova Anna Mameli avvisò il notaio della morte del marito; il testamento era stato scritto nella casa di abitazione, nella strada della Costa (casa 2424), e consegnato al notaio Giuseppe Melis in data 11.03.1797; fra i vari legati e volontà testamentarie, il Garibaldo stabilì di destinare al nipote Lazzaro Piccaluga (figlio di Anna Garibaldo, probabilmente sorella di Gottardo) le 2 case site nella calle del Sepolcro (2947 a,b), comprate una da Pietro Borro, l’altra dalle Scuole Pie, mentre decise di destinare la terza casa (2947/c), sita all’angolo fra la strada del Sepolcro e la strada di Barcellona, a una “Causa Pia”, per far celebrare messe, nella chiesa di S.Caterina martire, dal nipote reverendo Domenico Piccaluga (fratello di Lazzaro).

Il 22.06.1798 lo stesso notaio Melis iniziò la compilazione dell’inventario dei beni del defunto Garibaldo, su richiesta della vedova Anna Mameli e del curatore dell’eredità, il nipote avvocato Nicolò Piccaluga (altro fratello di Lazzaro); fra i beni del defunto vi erano anche le 3 case citate sopra, due nella strada del Sepolcro (destinate a Lazzaro Piccaluga), la terza all’angolo con la strada di Barcellona (destinata alla Causa Pia); la prima parte, a sinistra, posta di fronte al Cimitero del Sepolcro (che occupava parte della piazza), era abitata da tale Geronimo Piga, come è riferito nel citato inventario; nella seconda parte vi abitava prima mastro Juan Fois, poi il negoziante Domenico Dessì; nella terza parte, quella dell’angolo con la strada Barcellona, vi abitava un tempo il negoziante Marco Antonio Battilana (prima che egli comprasse la casa 2937, nel 1793), poi lo stesso Domenico Dessì.

Vi sono altri riferimenti alla proprietà degli eredi Garibaldo in atti notarili di maggio 1799, ottobre 1800, e gennaio 1802, tutti relativi alla casa Battilana 2937.

In data 25.07.1805 le due case che Gottardo Garibaldo destinò al nipote Lazzaro Piccaluga (case 2947/a,b), vennero vendute per 1532 scudi dagli eredi Piccaluga, figli del defunto Lazzaro: Antonio, Nicolino, Francesco, Efisio, Carlino, e Teresa fratelli e sorella Piccaluga assistiti gli ultimi cinque, per essere minori, dalla loro curatrice e madre vedova Cattarina Piccaluga nata Vivenet (poi Vivanet), curatrice anche dell’altro figlio il “pubero” Giuseppe (inferiore di 14 anni); il compratore era il negoziante Domenico Dessì di Cagliari, lo stesso che già abitava da alcuni anni nelle case 2947/b,c; entrambe le case erano composte da 2 piani alti e il piano di terra, “situate nel Sobborgo della Marina di questa citta, e strada detta de su Sepulcru, limitrofe per parte d’avanti al Cimitero e a case che possiede la Chiesa ed Arciconfraternita del Sepolcro strada frammezzo (2717, 2718, 2720), d’un lato a casa che possiede la Causa Pia di questa Diocesi (2947/c), d’altro canto a casa della detta Arciconfraternita (2946/b), alle spalle a Casa dei beni concorsati del Mercante Marco Antonio Battilana (2937); avendole eredate dal comune loro padre e marito rispettivamente, che morì intestato (cioè senza testamento) nel primo giorno di settembre dell’anno 1804, che al medesimo furono legate dal suo zio Negoziante Cottardo Garibaldo oggi defunto……. Quali case acquistò il sopradetto difonto Garibaldo dai figli ed eredi del difonto Pietro Borro (come da testamento del Borro del 11.01.1742) e dai Reverendi Padri Scolopi di questa città, come dagli istromenti del 17.10.1760 e 18.10.1773….

La decisione degli eredi Piccaluga di vendere le case nasceva dalla necessità di dover dare al fratello Antonio, unico maggiore di 25 anni, la “virile” (cioè la sua parte d’eredità paterna).

A seguito di questa vendita, il 13.08.1805 ebbe inizio una causa civile fra gli eredi Piccaluga Vivanet e il mastro sarto Giuseppe Mezzano (o Mezano): gli eredi Piccaluga pretendevano che il Mezzano pagasse la somma di scudi 10, reali 6, soldi 3 e denari 4, dovuti per 4 mesi di fitto di una bottega, fino al 22 luglio; il causidico Bettinali per parte del Mezzano sostenne che Nicolino Piccaluga (uno degli eredi), amministratore dell’eredità, aveva condonato tale somma per avere il Mezzano procurato la vendita delle 2 case dell’eredità al vantaggioso prezzo di scudi sardi 1532. Nicolino Piccaluga negò di aver condonato tale debito al Mezzano, ma a favore del Mezano testimoniò il ventunenne garzone di sarto Emanuele Cao, che lavorava nella bottega di Giuseppe Mezzano, e disse che le case furono vendute a Domenico Dessì, che pagò tutto in moneta e fu quindi preferito al negoziantete Francesco Rossi che si offrì invece di pagare metà in moneta e metà in biglietti di credito, e confermò che Piccaluga aveva promesso di condonare il debito al Mezzano. Dello stesso tenore è la testimonianza del garzone sarto Francesco Saccumannu, anch’esso ventunenne, che aveva lavorato col Mezzano per 5 o 6 anni; la bottega del Mezzano, di proprietà dei Piccaluga, era situata in una delle case vendute a Domenico Dessì.

Il donativo del 26.12.1806 presentato da Domenico Dessì aggiunge ulteriori particolari: egli nel frattempo era diventato proprietario della casa ex-Battilana (2937), e pochi giorni prima aveva anche acquisito la casa all’angolo fra le strade del Sepolcro e Barcellona (2947/c), dove già abitava prima della morte del Garibaldo e dove tuttora abitava; tale casa era composta da due botteghe e due piani alti, ciascuna con 3 stanze; venivano pagate lire 250 all’Opera Pia a titolo enfiteutico; dichiarò inoltre la casa attigua nella contrada del Sepolcro (2947/a,b), ancora in corso di fabbricazione, che corrispondeva alle due case comprate dagli eredi Piccaluga nel 1805: una volta terminata sarebbe stata composta da 3 botteghe e 3 piani, ognuno di 3 camere, e avrebbe potuto rendere in tutto 300 scudi annui.

La parte terza della casa 2947 fu concessa in enfiteusi a Domenico Dessì in data 15.12.1806; l’atto fu “giurato” dal sacerdote Domenico Piccaluga, genovese domiciliato in Cagliari, in qualità di “legatario ed esecutore testamentario del fu negoziante Cottardo Garibardo”; la casa era molto vecchia e aveva bisogno di molte spese e riparazioni, con la perdita di quasi tutto il reddito annuo di 100 scudi (250 lire); il Dessì si offrì di acquisirla in enfiteusi, migliorarla e riedificarla entro un anno, pagando il canone di enfiteusi identico al canone di affitto che già pagava.

Da un documento del Regio Demanio (ASC) si ha una conferma sull’acquisto della casa 2947/c: in data 28.02.1807 venne concesso al Dessì un “piccolo sito vacuo esistente nella strada del Sepolcro”, in quanto egli “ha fatto acquisto della casa che abita nel sobborgo della Marina, che fa angolo nella contrada che divide la strada di Barcellona da quella del Sepolcro (casa 2947/c); nella strada del Sepolcro possiede un altro corpo di case che ha recentemente riedificato (2947/a,b), e desidera unire al medesimo corpo di case la casa che abita, e vorrebbe occupare per suo comodo, per migliorare l’aspetto della strada, ed eliminare un ricettacolo di malviventi, un angolo dove ora è la scala, di alcuni palmi di lunghezza e due di ampiezza; si tratta di un tratto di terreno triangolare che ha alle spalle la casa del Dessì, e di fronte le case del S.Sepolcro (2717, 2718, 2720) e del negoziante Eligio Allemand (2719).”

Anche il donativo dell’Arciconfraternita del Sepolcro, datato 13.08.1807, fa riferimanto alla “casa nuova” di Domenico Dessì, confinante con la casa 2946/b, appartenente all’Arciconfraternita.

Si ha ancora notizia della proprietà Dessì da un atto notarile del 07.11.1811, relativo alla casa Allemand 2719, che confinava davanti, mediante la strada del Sepolcro, con case di Domenico Dessì.

Da un atto del 31.12.1823, rintracciato nell’Archivio Ballero, si apprende che Domenico Dessì nominò suo erede universale il negoziante Domenico Meloni (con cui si ignora l’eventuale legame di parentela o affinità) col testamento rogato in Napoli il 11.03.1820 dal notaio Vincenzo Tavay. 

Non si ha certezza che la casa 2947 facesse ancora parte nel 1820 dell’eredità Dessì, ma il suo destino è simile a quello di un’altra casa della stessa proprietà: infatti, dopo il 1850 apparteneva interamente al barone Salvatore Rossi (1775-1856), che era creditore del Meloni per un censo che gravava sulla casa Dessì 2622, ereditata dal Meloni e comprata nel 1823 da Francesco Antonio Rossi, padre del barone Salvatore.