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Isolato S: Gesus/Fortino/San Francesco

(via Cavour, via Porcile, via Roma)

numeri catastali da 2484 a 2502

così come il precedente, la demolizione delle mura orientali ha portato a una riedificazione o ristrutturazione delle case di questo isolato; le case sul lato di via Porcile hanno comunque mantenuto la loro struttura e la loro pianta, a parte la casa 2390 che è stata demolita per l’apertura dell’ultimo tratto della attuale via Sardegna, fra la via Porcile e il viale Regina Margherita. Da notare che le case 2495 e 2496 sono rimaste a ricordare l’antica via di San Francesco del Molo, uniche a non essere state sostituite dagli edifici col porticato; alla loro destra le case di una volta sono state sostituite da altri due palazzi: il palazzo Ravenna, costruito all’inizio del secolo XX e ancora esistente, e il palazzo Zamberletti, costruito poco prima del 1900 e distrutto dai bombardamenti del 1943, sostituito dal palazzo INA. 

E’ di grande interesse la delibera comunale del 14 dicembre 1863 (messa a disposizione dal ricercatore Vincenzo Spiga) con la quale venne stabilito di demolire le case (2502, forse con 2501) addossate al bastione di Gesus e di demolire una parte della cortina per migliorare l’accesso della via San Francesco nel lato orientale, in concomitanza con altre demolizioni nella strada delle Conce. Si veda la trascrizione della delibera nel capitolo “Varie – approfondimenti”.

 

2484 e 2485       

Sulla pianta di metà ‘800 non è menzionata nessuna unità catastale col numero 2484; potrebbe trattarsi di una dimenticanza del disegnatore, o forse questo numero era riferito a una unità catastale inclusa poi in un’altra. Nell’atto notarile del novembre 1798, con cui don Pedro Vivaldi vendette la casa 2483, è scritto che detta casa confinava da una parte con la casa Canaparo (2482), dall’altra con il Corpo di Guardia; dal momento che solo una parte della casa 2485 è stata attribuita a Salvatore Cocco Costa, si può ipotizzare che il Corpo di Guardia fosse collocato nella porzione della stessa unità 2485 addossata alle mura di Porta Gesus, a cui poteva essere stato attribuito il numero 2484. Anche il Sommarione dei Fabbricati non riporta nessuna informazione in proposito.

La casa 2485 o parte di essa è stata identificata con la casa del negoziante Salvatore Cocco Costa, che presentò la sua denuncia per il donativo il 20.06.1799; era una casa nella strada della Porta Gesus, formata da un sòttano e un piano di 2 stanze, che poteva rendere se affittata scudi 30; il Cocco Costa pagava una pensione annuale di scudi 15 ai Padri Cappuccini. Era quindi una casa di dimensioni modeste, che non poteva occupare tutta l’unità catastale 2485 così come è disegnata nella pianta di metà ‘800; l’unico altro riferimento al Cocco Costa è stato rintracciato nell’atto notarile del 06.03.1812 con cui Bernardo Coiana ipotecò la casa 2486, confinante con una casa di Sant’Eulalia (2487) e con casa degli eredi del fu Salvatore Cocco (2485). Non vi sono molte notizie su questo negoziante, che potrebbe identificarsi con quel Salvatore Cocco coniugato con Maria Fadda Melis (o Pinna Fadda), ai quali nel 1789 nacque una figlia chiamata Rita, coniugata nel 1803 in Pirri con Giuseppe Luigi Serra. Si sa che il Cocco Costa era nipote del nuorese Gio Pietro Fadda (forse zio della moglie), che gli aveva prestato una somma di denaro nel 1801.

A metà ‘800 tutta l’unità catastale 2485 apparteneva al notaio e segretario della Reale Udienza Tommaso Floris.

 

2486     

E' identificata con una proprietà del negoziante Bernardo Coiana, già nominato per la sua casa di abitazione 2483; nella denuncia per il donativo del 1799 egli dichiarò di possedere un’altra casa oltre quella dove abitava, nella strada Gesus (ma in realtà nella discesa che conduce alla darsena, cioè la strada del Fortino), con il piano terreno e 2 piani alti di 5 stanze, da cui avrebbe potuto ricavare 40 scudi annui.

In data 11.09.1799 il Coiana firmò un accordo con gli amministratori della Comunità di Sant’Eulalia: una finestra della sua casa, che guardava verso il cortile della casa confinante di proprietà di Sant’Eulalia (casa 2487), era stata ingrandita e, per evitare problemi, il Coiana dovette mettervi una grata di ferro “volgarmete detta a conca de gattu”.

Nel 1812 Bernardo Coiana ipotecò la casa per garantire la somma di circa scudi 666 che gli fu affidata dal conte di Roborent: questi intendeva costituire così il “parafreno” [1] alla suora Marianna Mossa; la rendita di quella somma fu sempre pagata fino al 1845 quando, per “questioni” sorte fra gli eredi Coiana, questi tardarono diversi mesi il pagamento; la suora Mossa iniziò una lite civile, chiamando in giudizio gli eredi Coiana: i figli del defunto Bernardo, cioè Agostino, Teresa vedova Porru, Anna vedova Lugas; i nipoti Raimonda Cugia (vedova di Ignazio Sciaccarame e moglie di Alberto Agnese) figlia della fu Francesca Cojana, Marianna Cojana figlia del fu Efisio assistita dal marito Giuseppe Frau, e Tommaso ed Efisio fratelli Marras con il minore Ludovico Dearca, figli dei due matrimoni della fu Fedela Cojana; la casa ipotecata, sita nella strada che discende alla Regia Darsena, era composta da due piani superiori e dai magazzini al piano terreno; confinava davanti con una casa del monastero di Santa Chiara(2503), di spalle con la regia muraglia di Porta Gesus, da un lato con la casa di Salvatore Cocco (2485), e d’altro lato con una casa di S.Eulalia (2487). Nel suo testamento del 04.07.1819 il Coiana stabilì di lasciare alla nipotina Raimonda Cugia Cojana (1813-) figlia della fu sua figlia Francesca e del notaio Stanislao Cugia, tutta la casa in cui la donna già abitava con suo padre, sita nella strada del Fortino, e tutti i mobili della casa e tutto quanto aveva già donato alla fu Francesca e a suo marito.

A metà ‘800 la casa 2486 apparteneva ancora a Raimonda Cugia, che morì in una casa di via Darsena 48 (questa stessa casa?) all’età di 72 anni il 29.11.1884, vedova di Natale Sciaccarame e di Alberto Agnese.

 


[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti

 

2487

Nel 1777 era una proprietà della Comunità di Sant’Eulalia: è citata in un atto notarile del 24 febbraio di quell’anno, relativo alla vendita della casa confinante 2488.

La casa è citata nell’atto del 11.09.1799 con cui Bernardo Coiana promise di chiudere con una grata una finestra della sua casa 2486, che si affacciava nel cortile della casa 2487 di proprietà di Sant’Eulalia.

La proprietà della Comunità è confermata in atto del 16.12.1799 e in atto del 30.11.1808, relativi alla confinante casa 2488; è confermata inoltre in atto notarile del marzo 1802, relativo alla vendita della casa 2504, sull’altro lato della strada, ed è ancora confermata in atto del 1812 con cui Bernardo Coiana ipotecò la casa 2486. 

Risulta ancora proprietà di Sant’Eulalia nel Sommarione dei Fabbricati della seconda metà del XIX secolo.

 

2488

Con atto notarile del 24.02.1777 Maria Grazia Lissia, vedova di joseph Martello, vendette a Francesco Rapallo per 1600 scudi una casa di un patio e due piani alti sita nella Marina, nella strada che scendeva al fortino; la casa è identificata con l’unità 2488, confinante davanti con una casa della suora Giuseppa Humana (2504) e con una casa del marchese di Sedilo don Juan Maria Solinas Manca (2505), di spalle con le mura, da un lato con altra casa del marchese di Sedilo (2489), e dall’altro lato con una casa di Sant’Eulalia (2487).

Poco tempo dopo divenne proprietà dal conciatore Antonio Fais, morto nel 1780; la sua vedova Maria Grazia Funedda fece testamento il 14.02.1785, e ratificò tutti i legati lasciati dal defunto marito nel suo testamento del 25.01.1780, il cui curatore era lo stesso Francesco Rapallo, precedente proprietario della casa; al momento della morte la vedova abitava nella casa della strada del Fortino con le nipoti ed eredi Raffaela e Francesca Satta. Per il testamento del marito, la casa 2488 era però destinata alla Confraternita di Santa Lucia, unitamente ad altri immobili, e sui frutti di queste case il Fais aveva fondato due benefici, che avrebbe dovuto amministrare la Comunità di Sant’Eulalia, di cui dovevano godere il figlio del suo nipote notaio Francesco Medda Pany e il figlio che stava per nascere alla sua nipote Francesca Satta coniugata col notaio Luigi Carta.

Nella denuncia per il donativo del 24.06.1799 l’Arciconfraternita di Santa Lucia dichiarò 6 case provenienti dall’eredità Fais, fra cui la casa nella strada del Fortino, composta dal piano terreno con un basso grande e un piccolo magazzino, 3 piani alti ognuno con 4 stanze, una sala, l’alcova, la cucina; la casa era munita di cisterna ed era affittata per scudi 125.

L’Arciconfraternita di Santa Lucia trascurò di pagare i frutti per i benefici e il 16.12.1799, per intervento dell’Arcivescovo, le case dell’eredità Fais, fra le quali anche la casa 2488, furono cedute alla Comunità di Sant’Eulalia; la casa della strada del Fortino confinava davanti con casa di don Miguel Humana (2504), da una parte con casa della eredità del defunto marchese di Sedilo (2489), dall’altra parte con casa di S.Eulalia (2487), alle spalle con i bastioni del Monserrato e della Darsena; era affittata in quel periodo al baccelliere Joseph Maria Pintor, il quale aveva subaffittato gli ultimi 2 piani ai coniugi notaio Pietro Melis e Annica Armerin.

Gli amministratori della Comunità di Sant’Eulalia, diventati proprietari delle case provenienti dall’eredità Fais, si occuparono di fondare i benefici secondo la volontà testamentarie di Antonio Fais, e in un atto notarile del 16.04.1801 elencarono i beni soggetti al beneficio, fra cui una casa grande nella strada del Fortino (2488) affittata in quella data al negoziante Domenico Cervia. I benefici erano destinati, secondo il testamento del Fais, ai suoi nipoti, i chierici Gregorio Medda Cossu ed Antonio Efisio Carta Satta. Il precedente affittuario Giuseppe Maria Pintor in data 13.05.1801 saldò il debito residuo che aveva con la comunità e consegnò 62 scudi al procuratore della chiesa, reverendo Filippo Ponsiglioni; nella ricevuta firmata dal Ponsiglioni è specificato che il Pintor aveva avuto la casa in affitto dal 17.11.1793 per 125 scudi all’anno e, probabilmente al piano terra, vi aveva impiantato una fabbrica di capi di lana che veniva gestita da Monsiu Timon.

Altri due atti del marzo e del maggio 1802, relativi alla casa Sedilo 2489, citano la casa 2488, già degli eredi di M.o Antonio Fais, oggi di S.Eulalia.

In data 21.08.1804 i sacerdoti beneficiati Pasquale Matta e Gregorio Medda Cossu, per conto della Comunità di Sant’Eulalia, consegnarono la somma di lire 1024, soldi 4, denari 7, ai mastri Michele Mannai muratore e Ignazio Serra legnaiolo, per le riparazioni fatte in tre case appartenenti alla Comunità, tutte provenienti dal beneficio del mastro conciatore Antonio Fais; fra queste case vi era anche una casa nella strada del Fortino, da identificare con la casa 2488; la ricevuta di questo pagamento è stata rintracciata fra le carte dell’Archivio di Sant’Eulalia.

Con atto del notaio Nicolò Martini del 30.11.1808, il Reverendo Beneficiato Gregorio Medda, procuratore generale della Comunità di Sant’Eulalia, concesse la casa in enfiteusi al signor Giuseppe Vincenzo Carta, Ufficiale del Soldo della Real Marina; egli ottenne l’enfiteusi vitalizia per sé, sua moglie e suoi figli, col canone di lire 312 e soldi 10; si impegnò a riparare e accomodare la casa entro il 1809, di terminare la costruzione del terzo piano e di costruire un nuovo mezzo piano dalla parte di levante, cioè sul retro, verso le mura; un recente estimo, eseguito dal capo mastro Sebastiano Puddu, fissò il valore della casa in lire 10500, soldi 11, denari 3; confinava da una parte con casa dell’eredità del marchese di Sedilo, ora degli eredi dell’avvocato Angelo Belgrano (2489), dall’altra parte con casa della medesima Comunità (2487), davanti con casa di don Michele Humana (2504), alle spalle con la cortina tra i bastioni di Monserrato e della Darsena. 

Come la casa 2487, la casa 2488 risulta ancora proprietà della Comunità di Sant’Eulalia nel Sommarione dei Fabbricati della seconda metà del XIX secolo, che non riporta nessuna notizia sull’enfiteusi vitalizia assegnata alla famiglia Carta nel 1808. 

 

2489

Era una proprietà del marchese di Sedilo, don Juan Maria Solinas Manca; il primo riferimento utile è stato rintracciato nell’atto del 24.02.1777 relativo alla casa 2488; il dato è confermato da altro atto notarile del dicembre 1799, anch’esso relativo alla casa 2488, in cui si fa riferimento al defunto marchese di Sedilo.

Don Giovanni Maria Solinas Manca morì infatti a Cagliari nel 1780 senza discendenza; erede dei suoi beni privati era la seconda moglie donna Maria Ignazia Cordiglias.

Il 24.03.1802, su richiesta dei negozianti Carlo Belgrano e Francesco Capriata, che in qualità di amministratori dell’eredità Fulger (o Fruchier) vantavano dei crediti nei confronti dell’eredità Sedilo, la casa 2489 proveniente dai beni del quondam Marques de Sedilo venne sequestrata e assegnata per 600 scudi al negoziante Raffaele Uda di Cagliari; era situata nella strada del Fortino, composta da 3 piani alti e piano terreno, confinante da una parte con casa degli eredi di mastro Antonio Fais e poi di S.Eulalia (2488), d’altra parte con casa dei Padri Mercedari (2490), davanti con casa dei Padri Carmelitani (2505), e di spalle con la muraglia della cortina di Gesus. Raffaele Uda aveva però acquistato la casa per conto dell’avvocato Angelo Belgrano e con atto notarile del 19.05.1802 venne firmata la cessione.

Il 30 giugno successivo l’avvocato Belgrano si accordò col muratore Giovanni Crobu per modernare e fare di nuovo e accomodare la casa proveniente da beni del marchese di Sedilo, per lire 4029 e 10 soldi.

Nel 1806 la casa apparteneva, insieme ad altri familiari, ad una figlia di sua sorella Chiara Belgrano, Maria Francesca Novaro moglie del giudice don Giambattista Serralutzu; fu ipotecata per garantire un contratto fra i fratelli e le sorelle Novaro e lo zio Felice Ranucci, ex-console di Genova[1]. In quest’occasione fu valutata lire 6600, proveniva dai beni ereditati dallo zio avvocato Angelo Belgrano (1723-1805).

Ancora: un atto notarile del 10.04.1808, relativo alla casa 2490, riporta che la casa confinante (2489) era appartenuta al Marchese di Sedilo, poi agli eredi del defunto avvocato Angelo Belgrano; le stesse informazioni sono riportate in atto del 30.11.1808 relativo alla casa confinante 2488.

Con atto del notaio Pasquale Angius del 16.03.1810, il console imperiale don Gregorio Decesaroni, per conto dei fratelli Novaro, vendette la casa al negoziante Paolo Cojana; Decesaroni era procuratore di don Camillo Novaro, a sua volta procuratore di don Michele, del negoziante Giuseppe console degli ottomani, della vedova donna Maddalena, di donna Francesca e di donna Anna, fratelli e sorelle Novaro, e della signora Marianna Lezzani vedova Novaro, tutrice dei figli avuti con il fu avvocato Luigi Novaro, cioè i minori Francesco e Luigi Novaro.

Decesaroni vendette a Paolo Cojana (assente dalla città, per lui il figlio Raffaele) la casa nella strada del Fortino composta da 2 piani alti coi balconi di ferro ed un piano terreno ad uso di cantina di formaggio, contigua da un lato a casa che era stata del fu mastro conciatore Antonio Fais e poi della Comunità di Sant’Eulalia (2488), dall’altro lato a casa dei Padri Mercedari (2490), difronte a casa dei Padri Carmelitani (2505), confinante alle spalle con la muraglia, ossia cortina di Gesù.

Era posseduta dai fratelli Novaro grazie all’eredità dello zio avvocato Angelo Belgrano, il quale l’aveva comprata dal concorso del fu marchese di Sedilo (mediante il negoziante Raffaele Uda); venne venduta per scudi 2500 (lire 6250), già ricevuti dal Decesaroni.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2489 appartenesse al tempiese giudice Filippo Altea Sotgiu (-1855); dovrebbe essere la stessa casa della strada del Fortino che l’Altea citò nel suo testamento scritto il 05.09.1839, e che stabilì di lasciare in eredità al nipote Filippino Altea. 



[1] si veda il paragrafo relativo alla casa 2969 per maggiori dettagli su questo accordo fra i Novaro e lo zio Ranucci  

 

2490 

Il primo riferimento rintracciato è in un atto notarile del 15.06.1801, relativo alla casa 2506 sull’altro lato della strada del Fortino; in questo atto la casa 2490 è detta del reverendo Lostia, mercedario: si tratta di Antonio Lostia, vicario generale del convento di Bonaria.

Negli atti già citati del marzo e maggio 1802, relativi alla casa 2489, la casa 2490 è citata come casa dei Padri Mercedari.

In atto notarile del 13.07.1805, col quale venne venduto il magazzino corrispondente all’unità 2491, la casa confinante 2490 è quella del “molto Reverendo Padre Maestro Lostia Mercedario

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 10.04.1808 fu registrato l’estimo della casa, richiesto dal reverendo Lostia e dal cagliaritano Raffaele Dessì; vennero incaricati i mastri muratori Francesco Usai e Francesco Magnetto, che valutarono la casa in scudi 1650 e reali 5, cioè lire 4126 e soldi 5.

Due giorni dopo fu registrata l’enfiteusi perpetua della casa: Lostia l’aveva comprata dai coniugi notaio Giuseppe Oquino e Anna Delorenzo, con atto del notaio Gio Francesco Picci del 24.05.1773; dichiarò di “non poter più attendere al governo della casa per la sua avanzata età”; Dessì avrebbe pagato annualmente il canone di scudi 78 e mezzo, cioè lire 196 e 5 soldi e si sarebbe fatto carico delle riparazioni necessarie; in particolare avrebbe ricostruito la muraglia sul retro della casa (verso il muro di confine del quartiere), e avrebbe riaccomodato la facciata sulla strada del Fortino; si obbligò inoltre a “non passare la casa a mani morte e neppure venderla né permutarla senza espresso permesso di Lostia, nel caso di vendita pagherà il laudemio, ossia la quinquagesima parte del prezzo della casa”.

Il padre mercedario Antonio Lostia fece testamento nel 1799 e morì il 17 dicembre 1811; la sua erede principale era la sorella donna Chiara Lostia vedova del dottor Antonio Fenucciu, in parte minore il convento ed altri suoi parenti, già eredi dei genitori del defunto reverendo[1]; nel testamento non sono elencati i beni dell’eredità, viene solo specificato che la sorella Chiara aveva diritto di scegliere quali beni acquisire dall’asse ereditario, di cui le spettava la metà.

Il 27.01.1812 fu iniziato l’inventario dei suoi beni; fra i documenti elencati furono inclusi: un atto d’estimo della casa Oquino, valutata scudi 1065 e reali 6 in data 09.05.1766; il contratto di acquisto dai coniugi Oquino Delorenzo del 1773; il contratto enfiteutico a favore di Raffaele Dessì del 1808.

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca del 10.07.1812 si arrivò alla spartizione dei beni fra donna Chiara Lostia e il convento Mercedario; il notaio si recò al convento e lì si trovò col notaio Antonio Soro che agiva a nome di donna Chiara Lostia e con fra Eusebio Natter vicario della comunità; Chiara Lostia aveva diritto ad una metà dei beni lasciati dal fratello e aveva diritto di scegliere: attraverso il notaio Soro essa scelse: la casa Oquino, comprata da padre Lostia il 24.05.1773 per 1750 scudi, posseduta in enfiteusi da Raffaele Dessì; scelse poi una casetta nella strada di Gesù del quartiere di Villanova (attuale via Eleonora d’Arborea), stimata scudi 421 e rali 8; le furono assegnati dei censi per circa 780 scudi;

Altri documenti confermano che la casa 2490 apparteneva (in enfiteusi) al signor Raffaele Dessì, “Contadore dell’Ufficio del Censorato Generale: nell’elenco dei maioli presenti a Cagliari nel 1808 è incluso tale Giovanni Cardu di Oliena, che viveva nella casa di Raffaele Dessì nella strada del Fortino; un documento del Regio Demanio, datato 23.08.1810, riporta la concessione enfiteutica fatta dal Demanio al Dessì di un terreno sotto le mura, delle dimensioni di poco più di 10 metri quadrati, per i quali il Dessì pagò lire 8 e soldi 15, e si accordò per pagare annualmente 4 reali, cioè una lira; egli intendeva tenervi un cavallo e mettere qualche pianta, oltre a “conservare il chiaro delle finestre della sua casa”; il terreno concesso potrebbe corrispondere alla parte posteriore dell’unità catastale 2490, e forse ad una parte dell’unità catastale 2500: si trovava infatti fra le mura, la stessa casa del Dessì (2490) e case del rigattiere Demontis (2491) e di don Antonio Porcile (2492).

Vi è anche un altro riferimento alla proprietà Dessì nel fascicolo di una causa civile del 1819[2]: la causa è relativa a una proprietà dei negozianti Giuseppe e Antonio Durzu, che potrebbe forse identificarsi con la casa 2491, laterale alla casa Dessì 2490.

A metà ‘800 la casa apparteneva in enfiteusi al dottor Stefano Ferrale; non si sa a chi venisse pagato il canone enfiteutico.



[1] Antonio e Chiara Lostia erano figli di don Salvatore Lostia e donna Maria Antonia Monni, conti di Santa Sofia; il reverendo Antonio Lostia aveva già consegnato un primo testamento nel 1745, al momento di “entrare nella religione”; chiese il permesso di poter redigere un nuovo testamento per poter beneficiare la sorella Chiara, vedova già dal 1799, con figlie nubili e seri probremi economici.

[2] ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 59, busta 1, fascicolo 43 

 

2491

Nel donativo del 24.06.1799 la Comunità di Sant’Eulalia dichiarò di possedere 2 magazzini, uno al piano terra e l’altro al primo piano, detti di Cabula, situati nella strada del Fortino; dalla dichiarazione per il donativo non è possibile identificare l’immobile, data l’assenza di altre informazioni; in atto notarile del giugno 1801, relativo a un censo caricato sulla casa Persi 2506, è scritto che le case di fronte appartenevano al mercedario Antonio Lostia (2490) e alla Comunità di Sant’Eulalia (2491).

Con atto notarile del 13.07.1805 la Comunità di Sant’Eulalia vendette al negoziante Antonio Demontis di Uta una casa adibita a magazzini, detta di Cabula, situata nel sobborgo della Marina e strada del Fortino, composta da un piano superiore e uno terreno; apparteneva alla Comunità dal 11.12.1747, a seguito di una transazione fra il dottore in ambe le leggi Angelo Lai, in qualità di curatore del fu Efisio Cabula, e la stessa Comunità; Antonio Demontis, di Uta ma dimorante in Cagliari, offrì la somma di lire 2397, un soldo 10 denari, da pagare in 4 quote uguali, la prima il 31.12.1805, pagando al 5% il frutto compensativo fino alla totale estinzione del debito; il magazzino confinava da una parte con la casa del Reverendo padre Lostia Mercedario (2490), dall’altra parte con magazzino che era del fu conte don Giovanni Porcile e poi di don Giuseppe Rapallo (2492), dirimpetto con la casa del sig. Francesco Persi guardia del corpo di Sua Maestà (2506), alle spalle con le Regie Muraglie.

In atto dell’aprile 1808, con cui la casa 2490 fu concessa in enfiteusi, la casa confinante (2491) è detta del rigattiere Antonio Demontis alias Collettu.

Un atto notarile del 21.01.1811, relativo alla casa 2492, conferma questa situazione: l’unità 2491 era costituita in quell’anno da “magazzeni della chiesa di S.Eulalia, posseduti[1] dal neg.te Antonio Demontis”.

Antonio Demontis è forse identificabile con il figlio del mastro Salvatore e di Vincenza Garau; coniugato nel 1787 con Anna Mereu, ebbe diversi figli fra il 1788 e il 1803, e forse Antonio ebbe figli anche da un precedente matrimonio; egli morì nel 1815; dopo questa data la casa 2491 è forse identificabile con una proprietà dei negozianti Giuseppe e Antonio Durzu: la fonte è una causa civile del 1819[2], ma le informazioni disponibili sono troppo poche per poter essere certi.

Il Sommarione dei Fabbricati riporta che dopo il 1850 l’immobile apparteneva agli eredi Dugoni, i cui beni erano amministrati dal barone Salvatore Rossi; si tratta probabilmente dei discendenti di Nicola Dugoni, figlio di Bernardo; Nicola aveva sposato nel 1806 Giuseppa Vodret, figlia del ricco commerciante Francesco; Grazia Vodret, altra figlia di Francesco, aveva sposato il commerciante Salvatore Rossi, nominato Barone nel 1847.

 



[1] Il possesso non indica la proprietà, ma solamente l’utilizzo, a vario titolo: probabilmente un contratto enfiteuitico

[2] ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 59, busta 1, fascicolo 43

 

2492     

Nel loro donativo senza data (presumibilmente del 1799) i padri Scolopi delle Scuole Pie dell’Annunziata dichiararono di aver ceduto in enfiteusi una casa nella strada del Fortino al conte Porcile, per la quale ricevevano annualmente lire 92 e soldi 10 di pensione; non aggiungono altre informazioni che permettano l’identificazione della casa, e non è stata rintracciata la dichiarazione per il donativo del conte Porcile; il conte di Sant’Antioco Giovanni Porcile morì proprio nel 1799 a Tunisi; gli succedette nel titolo il figlio minore Raffaele, da lui designato, e più volte nominato in questa ricerca per altre proprietà; la casa Porcile è identificata con l’unità 2492 grazie a un atto notarile del 13.07.1805, relativo alla vendita della casa 2491, nel quale è scritto che quest’ultima casa confinava da una padre con la casa del Padre Lostia (2490) e dall’altro con una casa che possedeva il fu conte don Giovanni Porcile, e ora possiede don Giuseppe Rapallo.

Nella denuncia per il donativo del 13.08.1807 di donna Anna Maria Guirisi Buschetti, la sua proprietà 2493 confinava da una parte e dall’altra con case di don Giuseppe Rapallo (2492 e 2494).

Non è confermato il passaggio di proprietà dalla famiglia Porcile a don Giuseppe Rapallo; probabilmente si trattava soltanto di un utilizzo temporaneo dei magazzini, magari in affitto, da parte del sempre attivo negoziante don Giuseppe Rapallo: infatti il 21.01.1811 questa casa risultava ancora appartenente alla eredità Porcile, e il conte Raffaele, a corto di contanti e dovendo soddisfare alcuni creditori, con atto notarile di quella data la cedette in toto al fratello don Antonio Porcile direttore delle Regie Saline; sono chiari i riferimenti alla enfiteusi (del 1784) concordata fra i Padri Scolopi di Stampace e il conte Giovanni, e i confini con la proprietà di S.Eulalia, poi Demontis (2491), e Ghirisi (2493).

Un atto notarile del 21.11.1811, relativo alla casa 2507, indica come proprietario della casa 2492 don Antonio Porcile.

Dopo il 1850, dal solito Sommarione dei Fabbricati, i magazzini e le cantine della casa 2492 risultano appartenere a donna Carolina Porcile, la quale era probabilmente figlia di don Antonio, nata nel 1791 e morta nel 1853; la parte abitativa della casa, cioè i piani alti, appartenevano invece a don Michele Novaro.

 

2493     

L’identificazione dei proprietari di questa casa è consentita dall’inventario dei beni del fu Francesco Rapallo, del 1782: i magazzini Rapallo, numero catastale 2494, confinavano di lato, por parte de arriba, cioè dalla parte della salita, con un magazzino del nobile don Juan Batta Guirisi (2493); il dato è confermato dall’atto notarile del 11.01.1798, relativo alla vendita di uno dei magazzini Rapallo, e da altro atto notarile del 02.03.1801, anch’esso relativo a un altro magazzino Rapallo, che confinava da una pare con una proprietà di Paolo Coiana (2496), dall’altra con una proprietà di don Juan Bauptista Guirisi (2493).

Vi è però un ulteriore atto notarile, del 21.12.1798 che fornisce informazioni in contraddizione: è relativo alla vendita della casa 2496/a, che confinava, secondo questo atto, da una parte con casa ruyna di don Michele Humana (2495), dall’altra con casa di Giambattista Guirisi: quest’ultima, secondo quest’atto dovrebbe essere quindi la casa 2494, ma il dato non coincide né con quello dei due atti appena citati, né con informazioni fornite da altri atti notarili relativi alla casa 2496, che confinava con la proprietà Rapallo, e non con la proprietà Guirisi; per cui, fino a prova contraria, si preferisce attribuire al Guirisi l’unità 2493 e considerare errata l’informazione fornita dall’atto del dicembre 1798; un’ipotesi che si può azzardare è che l’unità 2494, costituita da diversi magazzini, fosse costruita solo in parte; è possibile che sulla strada ci fosse una parte di terreno vuoto, tale da indurre a indicare la casa 2496 confinante con la proprietà Guirisi 2493.

Altra fonte che conferma questa attribuzione è la denuncia per il donativo del 13.08.1807 di donna Anna Maria Guirisi Buschetti, figlia di don Giovanni Battista Guirisi (-1802) e di donna Caterina Buschetti: vi è compresa una proprietà nella strada del Fortino, del valore di 1500 scudi, composta da un piano terra con una cantina, confinante sul retro con la muraglia, da una parte e dall’altra con case di don Giuseppe Rapallo (2492 e 2494); la proprietà di donna Anna Maria potrebbe corrispondere a entrambi i magazzini che denunciò Juan Bauptista Guirisi (nel 1799?) nella strada Gesus (o discesa della Porta Gesus, cioè la discesa del Fortino), senza indicazione dei confinanti: uno era affittato per 50 scudi, l’altro, sfitto, avrebbe potuto rendere 30 scudi annui.

Vi è un’ulteriore conferma nell’atto del 21.01.1811 relativo alla proprietà Porcile/Rapallo 2492: anche in questo caso l’immobile 2493 risulta essere un bene del fu don Giovanni Battista Guirisi (o Ghirisi).

Nel Sommarione dei Fabbricati risulta che l’unità 2493, composta da una casa e da cantine, appartenesse dopo il 1850 al negoziante greco Cristoforo Cimi il quale, col fratello Anastasio, commerciava grano e formaggi.

 

2494

Si tratta di un immobile adibito a magazzini; è compreso nell’inventario del 1782 dei beni lasciati dal fu Francesco Rapallo, morto il 13 novembre dell’anno prima; fu specificato che i magazzini venivano usati in particolare per conservare formaggio e grano, beni oggetto del commercio di Rapallo. Fu in quell’occasione stimato dallo Svizzero di Lugano Carlo Mayno, che ne stabilì il valore in lire 7940, soldi 1, denari 10.

Con l’atto di divisione dell’eredità di Francesco Rapallo fra i suoi 11 figli, predisposto il 15.03.1785 dal notaio Giovanni Battista Melis, i magazzini della strada del Fortino furono assegnati a Giovanni Battista (1772?-), Francesca (1774-) e Francesco (1777-) Rapallo, figli del defunto Francesco, i quali essendo “impuberi” erano assistiti dallo zio Giuseppe Rapallo; in particolare a Francesco toccò un magazzino grande per conservare il grano, valutato lire 3148 e spiccioli, il quale si trovava al primo piano dell’immobile; a Francesca toccò uno dei magazzini adibito alla conservazione del formaggio, quello più grande, valutato lire 3343 e spiccioli, al piano terra dell’immobile; a Giovanni Battista toccò l’altro magazzino per il formaggio, più piccolo del precedente, valutato lire 3030 e spiccioli, anch’esso situato al piano terra dello stesso immobile.

Un atto notarile del 1799, relativo alla casa Arthemalle 2499, riferisce che il magazzino sul retro, corrispondente alla unità catastale 2494, apparteneva al marchese Pasqua (Vivaldi Pasqua); si ritiene però che questa informazione sia da retrodatare, probabilmente copiata dall’atto notarile del 1772 con cui Arthemalle acquistò la casa.

In data 11.01.1798, don Juan Batta Rapallo, figlio del defunto don Francesco, vendette a suo fratello don Luis Rapallo un magazzino “grande” per £ 3000; il magazzino faceva parte della sua eredità paterna, secondo l’atto di divisione del 15.03.1785; don Juan Batta Rapallo “per sue urgenze” aveva avuto da suo fratello Luis £ 2000; non potendo restituirle e avendo ancora necessità familiari, decise di vendergli il magazzino sito nella casa (2494) che si componeva di 2 cantine “per formaggi bianchi” e un piano alto, nella strada del Fortino, e che confinava davanti (strada del Fortino in mezzo) con case di S.Eulalia (2508) e del cavaliere Miguel Humana (2509), di spalle con le Reali Muraglie, da un lato per la parte della salita con un magazzino del nobile don Juan Batta Guirisi (2493), dall’altro lato, verso la discesa, con case del nominato Humana (2496/a) e dei fratelli Melachu (2496/b).

Con altro atto notarile, datato 03.12.1800, lo stesso Juan Batta Rapallo vendette a suo zio don Joseph Rapallo una cantina por queso, per 1262 scudi 6 soldi e 8 denari; detta cantina, situata nella strada del Fortino, confinava con altra cantina del compratore Giuseppe Rapallo, che l’aveva ricevuta in dono da sua nipote Francesca Rapallo, sorella di Giambattista, quando diventò monaca in Santa Caterina nel 1783; e confinava anche con un magazzino di don Francesco Rapallo (da non confondere con l’omonimo suo padre, morto nel 1781), altro fratello del venditore; infine confinava di fronte, strada del Fortino in mezzo, con casa di don Michele Humana; quest’ultima è identificata con la casa 2509, e i vari magazzini dei fratelli Rapallo, si possono identificare con la grande unità catastale 2494 i cui confini a volte vengono specificati considerando l’intera proprietà, ma nell’ultimo atto citato furono specificati i confini fra le singole frazioni.

La situazione delle proprietà non è del tutto chiara: se Giovanni Battista aveva venduto il suo magazzino a Luigi nel 1798, non avrebbe dovuto avere nessuna proprietà nell’immobile; si può ipotizzare che fra il 1785 e il 1798 avesse diviso il suo magazzino per formarne due, di cui uno fu venduto al fratello Luigi nel 1798, l’altro allo zio Giuseppe nel 1800; un’altra ipotesi è che la cessione fatta al fratello Luigi sia stata poi annullata, e questo spiega meglio i prezzi di vendita: la valutazione al 1785 fu di lire 3030; la vendita a Luigi nel 1798 fu di lire 3000; la vendita allo zio Giuseppe fu di scudi 1262, cioè lire 3155: si tratta sempre dello stesso magazzino.

In altro atto del 02.03.1801, don Francesco Rapallo, proprietario per eredità paterna (dell’omonimo suo padre don Francesco) di un magazzino nella strada del Fortino, di fronte a casa di don Michele Humana, lo vendette a suo zio don Giuseppe per 1309 scudi, 3 reali, 1 soldo e 10 denari (cioè, senza contare gli spiccioli, lire 3272, a fronte della valutazione fatta nel 1785 di lire 3148); in questo caso vengono citati i confini dell’antica proprietà indivisa, cioè da una parte una casa di don Juan Bauptista Guirisi (2493), dall’altra la casa di Paolo Coiana (2496/a). Con questo atto don Giuseppe Rapallo diventò proprietario di tutto l’immobile 2494, avendo acquistato le porzioni ereditarie di Giovanni Battista e di Francesco, e avendo ricevuto in dono la porzione della nipote Francesca.

Un ulteriore riferimento è nel donativo del 1807 di donna Anna Maria Guirisi, la cui cantina 2493 confina da una parte e dall’altra con proprietà di don Giuseppe Rapallo (2492 e 2494).

Don Giuseppe Rapallo morì la mattina del 20.11.1811; il 02.03.1812 fu completato l’inventario dei suoi beni, fra i quali è compreso “un magazzeno di un piano alto e piano terreno con due cantine per formaggio in contrada del Fortino”, alle spalle del quale c’era un cortile (unità 2500) e la Regia muraglia.

Dopo il 1850 la proprietà dell’unità 2494 è attribuita, nel Sommarione dei Fabbricati, in parte al negoziante Pasquale Cau (Cao), figlio del fu Agostino, che vi aveva una casa con magazzino, in parte al negoziante napoletano Vincenzo Fiorentino fu Nicola, o meglio a sua moglie Rita Steria, che vi aveva una casa con cantina per formaggi.

Pasquale Cao, figlio di Agostino e marito di Maria Piccaluga, fu coinvolto col figlio Eugenio e col genero Pietro Ghiani Mameli nel fallimento delle banche sarde del 1889; morì nelle carceri cagliaritane il 16.10.1888.

 

Via Roma oggi: a sinistra, all'angolo con via Porcile, la casa che a metà '800 aveva il numero catastale 2495; a destra, senza persiane, la casa 2496; sono le uniche rimaste della vecchia via San Francesco (a parte le case del vico dei Mille, dal numero catastale 2594 e successivi, nascoste dai palazzi novecenteschi)

 

2495

Questa unità catastale era anticamente divisa in due case distinte; la prima parte, all’angolo fra la strada del Fortino e quella del Molo, apparteneva a don Michele Humana, e faceva parte dei beni ereditati da suo padre don Giuseppe (-1784); la seconda parte, con la facciata sulla strada del Molo, era la casa Melachu: con atto notarile del 05.02.1794 il reverendo Joseph Antonio (o Antonio Joseph) Sanna (Sanna Melachu) e suo zio Joseph Antonio Melachu, cedettero la casa nella Marina, nei pressi della Porta del Fortino, al nipote reverendo Francesco Mangiamarco, beneficiato della Cattedrale; la casa confinava da una parte con la casa ruyna del cavalier Michele Humana (2495/A), dall’altro lato con la casa degli stessi cedenti (2496/B), di spalle con un’altra casa del detto cavalier Humana (2496/A), davanti aveva la Porta del Fortino. 

Con altro atto notarile del 27.03.1798 gli stessi Sanna e Melachu cedettero al nipote Mangiamarco una cucina sita al primo piano della casa 2495/B, di cui col precedente atto del 1794 si erano riservati l’utilizzo, e che decisero di cedere gratuitamene al nipote “per l’affetto che gli portavano”.

Il giorno successivo, il 28 marzo, il reverendo Mangiamarco cedette la casa di sua proprietà, compresa la cucina che gli zii gli avevano appena ceduto, al locandiere Thomas Mezano; la casa era in condizioni rovinose (casa ruyna), e furono pagati 100 scudi più altri 120 scudi di censo con pensione annua di 8 scudi da pagare al monastero di Santa Lucia; i confini erano quelli specificati nell’atto del 1794; la casa era stata stimata 190 scudi dal Regio Misuratore Gerolamo Massei, e fu specificato che lo stato di degrado in cui si trovava risaliva al 1793, a seguito dei bombardamenti francesi.

In data 31.08.1798 i mastri muratori Francesco Murru e Vincenzo Castellano firmarono la ricevuta di scudi 322, reali 6, soldi 4, dati loro da Tommaso Mezano per la ricostruzione della casa (2495/b) con piano terreno e un piano alto, sita davanti alla Porta del Fortino.

Lo stesso giorno Thomas Mezano ricevette il prestito di 1000 lire (400 scudi) dal dottor Antonio Scarpinati, al quale avrebbe pagato il 6% di interessi annui, con ipoteca della casa; con atto notarile del 03.09.1798 le suore del Monastero di Santa Lucia riconobbero di aver ricevuto da Thomas Mezano della Marina la somma di 120 scudi, per estinzione del censo che soleva corrispondere al monastero Antonio Melacho y Sanna, onerato sopra la casa che Mezzano ha comprato dal reverendo Francesco Mangiamarco beneficiato della Primaziale, di fronte alla porta della Darsena; i 120 scudi consegnati dal Mezano erano parte dei 400 scudi che egli aveva avuto da don Antonio Scarpinati il 31 di agosto.

Nella denuncia per il donativo del 23.06.1799 don Michele Humana dichiarò le sue proprietà site nella strada del Fortino e del Molo (case 2504, 2509, 2510 e 2512); denunciò anche “un piccolo territorio con una casuccia, caduta per il cannoneggiamento dei Francesi, di fronte alla Porta della Darsena”; date le sue condizioni la casa non rendeva nulla, e non era stata ricostruita a causa di una lite con don Giovanni Battista Guirisi, al quale era dovuta una pensione per un censo caricato sull’immobile; si tratta della casa 2495/A, con facciate nella strada del Molo e nella strada del Fortino.

In data 08.10.1799 il cavalier Michele Humana vendette la casa distrutta della strada del Molo, di fronte alla Porta del Fortino, a Thomas Mezano; nell’atto notarile è specificato che la proprietà era pervenuta al cavalier Humana in virtù dell’atto di divisione firmato fra lo stesso cavalier Humana, suo nipote il marchese Gaspare Viaris come procuratore di sua madre donna Maria Chiara Humana (sorella di Michele), e Joseph Humana figlio del fu Juan (fratellastro di Michele e Maria Chiara), col consenso di sua madre donna Anna Navoni, con atto del 07.10.1798; su quella casa e territorio si pagava un censo al 5% di 140 scudi a don Juan Bauptista Guirisi; la casa venduta a Mezano era l’unità 2495/a, aveva una facciata nella strada del Molo ed una nella strada che scendeva al Molo dalla Porta Gesus (cioè la strada del Fortino), aveva davanti la Porta del Fortino, confinava da una parte con la casa dello stesso compratore Mezano (2495/B) e dall’altra con un’altra casa dello stesso cavalier Humana (2510), mediante la strada (del Fortino); di spalle confinava con una casa del patron Paolo Cojana (2496/A). Con questo passaggio di proprietà Thomas Mezano diventò proprietario dell’intera unità 2495; quest’ultima e la confinante 2496 sono le due uniche case residue della vecchia strada di San Francesco del Molo: tutte le altre sono state sostituite dai palazzi con portici di fine ‘800 e inizi ‘900, o abbattute dopo la seconda guerra per far posto al palazzo del consiglio Regionale di fine ‘900.

Con atto notarile del 02.05.1803, Tommaso Mezanu estinse il censo caricato sopra la casa che aveva acquistato nel 1799 da don Michele Humana: pagò scudi 149, reali 5 e denari 8 a don Bachisio Mearza di Ozieri, procuratore delle nobili sorelle donna Maria Anna, donna Maria Angela, e donna Giuseppa Guirisi Buschetti, eredi e figlie del fu don Giovanni Battista Guirisi. In data 22.04.1804, con atto del notaio Efisio Doneddu, Mezano (o Mezanu o Marzano) estinse anche il debito che aveva contratto con l’avvocato fiscale Antonio Scarpinati nel 1798: pagò 400 scudi corrispondenti al capitale prestatogli, 15 scudi e 4 reali per gli interessi residui.

Con atto del notaio Giovanni Luigi Todde del 06.10.1806 il locandiere Thomas Mezanu ricevette 400 scudi dalle monache del Monastero di Santa Chiara; aveva necessità di quella somma per i suoi affari, avrebbe pagato una pensione di 20 scudi annui, al 5%; per garantire la restituzione del denaro e il pagamento delle pensioni ipotecò le due case, ormai unite in una, che possedeva nella strada di San Francesco, nei pressi della porta della Darsena; specificò le date esatte in cui le aveva acquistate, una il 28.03.1798 dal reverendo Francesco Mangiamarco, l’altra il 08.10.1799 dal cavalier Michele Humana.

Il 23.04.1808 il censo fu pagato: la madre badessa suor Rafaela Busu, la vicaria suor Anna Delrio, e la segretaria suor Giuseppa Gherzi, riconobbero al locandiere Thomas Merzano (sic) di aver restituito i 400 scudi e aver pagato tutte le pensioni dovute, con estinzione dell’ipoteca accesa sulla sua casa della strada San Francesco di Paola, di due piani con i “sotanos”. 

La casa 2495 rimase una proprietà della famiglia Mezano almeno fino al 1831: vi abitavano infatti Francesca Lioni (o Leoni), vedova del negoziante Tommaso Mesano, con la figlia Efisia Mesano (o Mezano, o Maisan, ecc.); quest’ultima in quell’anno era separata dal marito Antioco Sitzia, in lite con lui per l’affidamento della figlia Francesca, nata nel 1823; secondo il Sitzia la moglie aveva tenuto una condotta “fraudolosa e immorale”, che l’aveva indotto a chiedere la separazione davanti alla Curia Ecclesiastica; secondo Efisia Mesano era stato il marito a “mancare nei doveri di padre, e l’ha abbandonata senza la benché minima giusta causa, per andarsene vagando per il mondo girando piazze e provincie del continente; egli era un uomo di marina da 4 o 5 anni, senza avere né casa certa, né fisso domicilio, ed in questo momento trovasi fuori regno”; la Mesano aggiunse che “non si è mai separata dal marito e lo ha sempre amato, riverito, e raggiunto per fino a Genova; la figlia deve restare con chi l’ha posta al mondo, e la madre l’ama come parte di sé, come una porzione delle sue viscere, come un’altra se stessa, come un fiore nato fra le spine del suo matrimonio, e l’ha concepita fra le lagrime e partorita nei dolori, allevata e nutrita nei disagi di una moglie ingiustamente abbandonata da un marito per così dire inumano”; la donna aveva l’appoggio pieno della madre, ed entrambe erano in deciso contrasto col padre di Antioco Sitzia, il chirurgo Vincenzo; la sentenza fu però inflessibile: la figlia doveva essere “rimessa e consegnata” al padre; l’unica alternativa era quella di “collocarla nel Conservatorio” o in analoga struttura; la bambina fu quindi affidata alle suore del Monastero di Santa Chiara (e lì rimase tutta la vita: morì nel 1896, abbadessa clarissa, nella casa della salita Santa Chiara).

A metà ‘800 apparteneva invece al greco Lodovico Giurti fu Costantino; nel 1854 l’attribuzione catastale al Giurti fu modificata e la casa passò al negoziante Giuseppe Tronci.

 

2496

Come la precedente, anche l’unità 2496 era suddivisa in due case ben distinte: la prima con la facciata sulla strada del Fortino, la seconda con la facciata sulla strada di San Francesco del Molo; esistono ancora entrambe: la parte prima nella attuale via Porcile è ora completamente diroccata, la seconda, come già detto per la casa 2495, è l’ultimo ricordo della vecchia linea di case della via San Francesco al Molo.

 

2496/a

Nell’inventario dei beni del fu Francesco Rapallo, del 1782, i magazzini Rapallo, numero catastale 2494, confinavano da un lato con i magazzini Guirisi (2493), dall’altro con una proprietà del Cavalier Giuseppe Humana.

Con atto notarile del 21.12.1798 il marchese Gaspare Viaris di Lesegno, procuratore della madre marchesa Chiara Maria Umana e del padre commendatore don Pompeo Viaris di Lesegno, residenti in Torino, vendette al negoziante Paolo Coiana una casa sita nel sobborgo della Marina e strada del Fortino, ereditata da suo nonno il fu don Giuseppe Umana, e assegnata a Chiara Humana con atto di divisione col fratello don Michele del 17 ottobre 1798; si tratta dell’unità catastale 2496/a, composta da un magazzino per il formaggio salato al piano terreno e un piano di sopra con una sala e una piccola stanza; non sono del tutto chiare le informazioni fornite in quest’atto sui proprietari delle case limitrofe: infatti è specificato che la casa confinava dalla parte della porta della Darsena con casa ruyna di don Michele Umana (2495/a), dall’altra con casa di don Giambatta Guirisi (??), per le spalle con casa che era prima dei fratelli Melacciu (2495/b) e poi di Tommaso Mesè (Mezano), dall’altra con casa di Pasquale Denegri (2497), e di fronte con casa grande dello stesso don Michele Umana, strada in mezzo (2510); i dubbi riguardano la proprietà Guirisi, che da atti precedentemente citati dovrebbe corrispondere all’unità catastale 2493, e non poteva quindi confinare direttamente col magazzino 2496.

Nell’atto del 08.10.1799, citato per la casa 2495/a, quest’ultima confinava alle spalle con la casa (2496/a) acquistata dal patron Paolo Cojana nel dicembre 1798.

Paolo Coiana (1743-1816) presentò la sua dichiarazione (non datata) per il donativo: tra le altre possedeva una casa vicino alla Darsena, composta da un magazzino per formaggi bianchi e un primo piano con 2 stanze, il tutto affittato per 30 scudi annui.

Nell’atto notarile del 02.03.1801, relativo alla vendita di un magazzino incluso nell’unità 2494, i confini laterali sono con le case Guirisi (2493) e Coiana (2496/a). Coiana è anche nominato nell’atto del 1806 relativo alla casa 2495, e negli atti del 1803 e del 1809 relativi alla casa Melachu 2496/b.

 

2496/b

Il primo documento rintracciato che la citi è l’atto notarile del 05.02.1794, relativo alla cessione, da parte di Joseph Antonio Melachu e suo nipote reverendo Joseph Antonio Sanna Melachu della casa 2495/b, confinante da un lato e per le spalle con case del cavalier Michele Humana (2495/a e 2496/a), sull’altro lato con la casa degli stessi venditori Melachu e Sanna Melachu (2496/b). Le stesse informazioni vengono ripetute negli atti notarili del marzo e agosto 1798, anch’essi relativi alla casa 2495/b.

Nel dicembre 1798 morì Antonio Melachu, nativo di Cagliari e domiciliato nella strada di S. Francesco di Paula (casa 2496/b); il suo testamento venne pubblicato il giorno 8 dicembre, curatore era il nipote reverendo Joseph Antonio Sanna Melachu, figlio della sua defunta sorella Anna Maria Melachu.

Un atto del 31.08.1803 ci informa che la casa identificata col numero 2496/b, cioè la parte con facciata sulla Darsena, era stata lasciata in eredità dal reverendo Joseph Antonio Melachu alla cugina Priama Melachu, non si sa in che data, e che quest’ultima era morta recentemente; è probabile che quest’ultimo reverendo sia più correttamente da identificare con Joseph Antonio Sanna Melachu, che l’aveva ricevuta in eredità nel 1798. La defunta Priama Melachu lasciò eredi i figli reverendi Cristoforo e Francesco Mangiamarco entrambi canonici della Primaziale cagliaritana, e le figlie Vicenta, Paola e Anna Mangiamarco (il reverendo Francesco era il medesimo che nel 1794 aveva acquistato la casa 2495/b dal prozio Melachu e dallo zio Sanna Melachu); col citato atto del 31.08.1803, il canonico Cristoforo Mangiamarcu donò il suo quinto di proprietà alle 3 sorelle. La casa è ben identificata dai confini: era situata nella strada della Darsena, di fronte ai magazzini (2194) contigui alla Porta della Darsena, confinava di spalle col magazzino del negoziante Paolo Cojana (2496a), di lato con casa del signor Pasquale Denegri(2497), dall’altro lato con casa che possedeva Thomas Mezzano (2495).

Una notizia successiva a quelle riportate proviene dall’atto del 06.10.1806 col quale fu accesa un’ipoteca sulla casa 2495: la casa confinante 2496/b risulta appartenere ancora al reverendo Francesco Mangiamarco (che in realtà ne possedeva solo un quinto).

In data 27.09.1808 le sorelle Vincenza, Paola e Anna Mangiamarchi dettarono il loro testamento al notaio Gio Batta Azuni; si nominarono eredi a vicenda, e nominarono eredi le loro anime dopo la morte dell’ultima fra loro; nominarono esecutore testamentario e curatore dei beni il loro fratello canonico Cristoforo Mangiamarchi, protonotaro apostolico della cattedrale, e in caso di sua morte il notaio Nicola Martini; diedero istruzione di vendere i beni mobili per far celebrare le messe per le loro anime a cura del Capitolo Cagliaritano, e i frutti degli stabili di loro proprietà, di cui il Capitolo avrebbe preso possesso, sarebbero dovuti essere utilizzati per suffragi annuali perpetui.

Si ha un’altra informazione sugli eredi Mangiamarchi-Melachu: con atto del notaio Gio Batta Azuni del 09.08.1809 si giunse ad un accordo fra i fratellie e sorelle Mangiamarchi: era sorta una disputa, portata in Reale Udienza, relativa alla assegnazione di due case ereditarie; infatti una casa (non identificata), proveniente dalla eredità dello zio Cristofano Melachu, vicario di Sant’Eulalia, era stata utilizzata e occupata da 2 sorelle del vicario, mentre un’altra casa (2496/b) ereditata dal sacerdote Giuseppe Antonio Sanna Melachu era stata utilizzata e occupata dalla terza sorella Melachu, Priama, madre dei fratelli e sorelle Mangiamarchi. Il reverendo Francesco Mangiamarchi, figlio di Priama, era “cessionario” delle due zie Melachu, e si era quindi appropriato della prima casa; inoltre, come coerede della madre Priama Melachu, voleva avere un quinto della seconda casa; le sue 3 sorelle Vincenza, Paola e Anna, speravano invece di estrometterlo dalla proprietà di questa seconda casa. Per non prolungare la disputa legale fu chiesto l’intervento di un mediatore e arbitro: la scelta cadde sul reverendo monsignore dottore Gaetano Rattu, professore emerito della Regia Università Cagliaritana e canonico prebendato della Primaziale, Protonotaro Apostolico; pertanto il canonico Francesco Mangiamarchi cedette la quota ereditaria della casa dove aveva vissuto la madre alle sorelle Vincenza, Anna e Paola, grazie anche all’intervento dell’altro fratello canonico Cristoforo (o Cristofano) Mangiamarchi il quale, oltre ad aver già ceduto dal 1803 la sua quota alle 3 sorelle, si fece carico del debito di scudi 140 al cui pagamento era stato condannato il canonico Francesco, e si obbligò ad indennizzarlo delle spese fatte nella lite intentata presso la Reale Udienza; inoltre il canonico Cristoforo consegnò al canonico Francesco scudi 100 “per gratitudine dei vantaggi procurati alle 3 sorelle”.

Con atto del notaio Lucifero Caboni del 28.08.1809, neanche 3 settimane dopo l’accordo, le sorelle Mangiamarchi vendettero per 800 scudi la casa ereditata dalla madre, sita nella contrada detta “su Arrenconada de su Fortinu” al bottaro e negoziante Salvatore Marini; la casa in quel momento era composta dal piano terreno e un solo piano superiore tavolato; si trovava in cattivo stato ed era soggetta a due censi: uno di scudi 80 a favore del convento dei Padri Minimi per una messa settimanale (istituito dal fu mastro Giuseppe Sanna, antico proprietario della casa e antenato delle venditrici, con testamento del 10.10.1736) e l’altro di scudi 120 in favore del legato Pio Rochetta.

Paola ed Anna Mangiamarchi si trovavano in Sarroch dove dimoravano, nominarono perciò loro procuratore il fratello canonico Cristoforo; la sorella Vincenza invece fu presente alla firma dell’atto.

Salvatore Marini aveva già in affitto il pianterreno della casa dove teneva la sua bottega e officina; offrì 600 scudi, e si assunse il carico dei due censi; avrebbe pagato subito 350 scudi, gli altri 250 entro il mese di dicembre. 

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la parte della casa 2496 sulla strada del Fortino risulta di Rita Aitelli (1807-1875) vedova di Luigi Marini (-1849), mentre la parte sulla strada San Francesco del Molo era di Rita Lai (1771-1865) vedova di Salvatore Marini, suocera di Rita Aitelli; è quindi ipotizzabile che anche la parta A della casa 2496 sia stata acquistata da Salvatore Marini; questa è la ragione per cui sono state accorpate, a metà ‘800, in una sola unità catastale; Salvatore Marini e Rita Lai erano i nonni dello scienziato Efisio Marini, noto per i suoi esperimenti sulla pietrificazioni dei cadaveri.

 

 

2497 

Non sono molte le notizie raccolte su questa casa: nell’atto del 21.12.1798 col quale venne venduta la casa Humana 2496/A, è scritto che quest’ultima confinava per le spalle con la proprietà Melacciu (2496/B) e con la proprietà di Pasquale Denegri: l’unica casa che potrebbe corrispondere alla proprietà Denegri è quella col numero catastale 2497; il segretario Pasquale Denegri (1764-), figlio di Marcantonio e Clara Pisanu, presentò la sua denuncia per il donativo e dichiarò anche una casa nella strada del Fortino composta da un piano e un sòttano, affittata per scudi 26 e per la quale pagava una pensione annua di 4 scudi; il fatto che questa casa sia indicata nella strada del Fortino farebbe pensare che non abbia a che fare con la casa 2497, situata nella strada chiamata solitamente “San Francesco del Molo” o strada della Darsena; ma, da questo e altri documenti, risulta che l’ultima parte di quella strada, così vicina al Fortino e alla Darsena, fosse anch’essa chiamata strada del Fortino, più correttamente della stessa attuale via Porcile, che in realtà era la strada “che scendeva al Fortino” o “discesa del Fortino”; una conferma si ha da atti notarili del 1803 e del 1809 relativi alla casa Melachu 2496/B, confinante con casa Denegri; non si sa se Pasquale Denegri abbia avuto moglie e figli, che possano aver ereditato i suoi beni; però, nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800, la casa 2497 risulta appartenere a Rita (1782-), Francesca (1793?-1869) e Cecilia Soglio (1803?-1868), figlie del fu medico Giacomo Soglio (1749-) e di Maria Antonia Denegri (1757-1805), quest’ultima sorella di Pasquale (1764-).

 

2498     

Sono stati rintracciati due documenti che sembrano citare questa casa: il primo, in ordine di data, è un atto notarile del 20.01.1799, relativo ad alcune ipoteche sui beni del negoziante Paolo Maurizio Arthemalle; egli possedeva un magazzino nella strada del Fortino, denominazione che indica in questo caso la parte più orientale dell’attuale via Roma, davanti alla Porta della Darsena; la proprietà Arthemalle, unità catastale 2499, era stata acquistata nel 1772, aveva davanti un “magazzino Regio” (2194), da una parte confinava con una casa di monsieur Martello, dall’altra con una casa della Comunità di Sant’Eulalia; quest’ultima è da identificarsi con l’unità 2501, per cui si identifica con l’unità 2498 la casa Martello; è però probabile che nell’atto del 1799 siano stati riportati i proprietari relativi all’anno 1772, quando cioè Arthemalle aveva comprato la casa.

Il secondo documento è un atto notarile del 20.02.1812, ed è relativo a una ipoteca caricata su un immobile nella strada del Fortino, posseduto dal negoziante Giovanni Manca; egli aveva comprato nel 1804 la casa 2499 di Paolo Maurizio Arthemalle; questa casa confinava alle spalle con i magazzini Rapallo (2494), davanti con i magazzini Regi (2194, limitrofi agli edifici della dogana), dai lati con una casa di Sant’Eulalia (2501) e con la casa Guirisi (2498)[1].

Nella sua denuncia per il donativo, priva di data, don Giuseppe Guirisi di Fonni dichiarò di possedere una casa nella strada del Fortino, composta da un magazzino per il formaggio e due piani alti; il magazzino era affittato per 60 scudi annui, i piani superiori per scudi 44; non vi sono altre informazioni che permettano di identificare la casa; però nel Sommarione dei Fabbricati risulta che la casa con cantina 2498, dopo il 1850, appartenesse a don Francesco Ignazio Guirisi (1793?-1877), figlio del fu don Giuseppe.

Nel sito occupato da questa casa e dalle case vicine, venne costruito all’inizio del XX secolo il palazzo Ravenna, ancora esistente. 



[1] Un ulteriore elemento di confusione è il fatto che nell’atto del 1812, relativo all’ipoteca Manca, non si indichi don Giuseppe Guirisi come proprietario della casa confinante, bensì gli eredi di don Giovanni Battista Guirisi; quest’ultimo aveva una proprietà nei pressi, ereditata da sua figlia donna Anna Maria; la famiglia Guirisi era divisa in due rami, strettamente imparentati: quello di Ales di cui faceva parte don Giovanni Battista, quello di Fonni di cui faceva parte don Giuseppe; sembra quindi una informazione non del tutto corretta, quella fornita dall’atto notarile del 1812 

 

2499

Nella sua denuncia per il donativo di Sua Maestà la Regina, datata 23.06.1799, il negoziante Paolo Maurizio Arthemalle dichiarò di possedere, nella strada del Fortino, un magazzino con cantina per riporre il formaggio, utilizzata da lui stesso; il primo piano era utilizzato come magazzino di granaglie e si affittava per scudi 38 annui; si è già scritto, nei paragrafi precedenti, che la denominazione “strada del Fortino” potrebbe trarre in inganno: non bisogna confondere la “discesa del Fortino”, attuale via Porcile, con la “strada del Fortino”, cioè quella parte dell’attuale via Roma situata fra la stessa via Porcile e le mura della darsena.

Con atto notarile del 20.01.1799 l’Arthemalle spostò un’ipoteca, caricata fino a quel momento su altri suoi beni, sulla casa della strada del Fortino: avevano di fronte uno dei “magazzino Reale”, siti nell’unità catastale 2194 che comprendeva anche la Regia Dogana, di spalle un magazzino del marchese Pasqua (2494), di lato la casa di monsieur Martello (2498) e sull’altro lato una casa della Comunità di Sant’Eulalia; si trattava di due case, una grande e una piccola, che Arthemalle aveva acquistato per 700 scudi con atto notarile del 20.10.1772 da Maria Lucifera Pichy e dalla “soltera”, cioè nubile, Teresa Usay; i riferimenti al marchese Pasqua e a monsieur Martello furono sicuramente copiati dallo stesso atto del 1772: nel 1799, le case 2494 e 2498 avevano proprietari diversi.

Con atto notarile del 16.10.1804 Paolo Maurizio Arthemalle cedette la sua proprietà della strada del Fortino, dirimpetto alla Porta della Darsena, al negoziante Giovanni Manca di Bessude, quartiermastro della Marina; con atto notarile del 20.02.1812, il Manca, tesoriere di Marina e Capitano nelle regie armate, accese un’ipoteca sulla casa, caricandovi un censo di 900 scudi per il quale avrebbe pagato la pensione di 54 scudi, al 6% al negoziante Salvatore Rossi (poi barone).

Nell’atto notarile del 1812 è scritto che Giovanni Manca, nativo di Bessude (SS) e domiciliato in Cagliari, possedeva una cantina per formaggi con annesso il piano superiore, situata nella strada del Fortino davanti ai “Regi magazzini” (2194), confinante con casa di Sant’Eulalia (2501) e casa Guirisi (2498) e vendutagli da Paolo Maurizio Arthemalle.

Dai dati catastali di metà ‘800 risulta che la casa 2499, come la retrostante proprietà 2500, apparteneva al conte Giovanni Viale (1767-1856), ed era utilizzata come magazzino.

 

2500                     

L’unità 2500 era forse soltanto un terreno libero, stretto fra le case della discesa del Fortino e le mura; una parte di essa potrebbe identificarsi con un terreno concesso dal Demanio in data 23.08.1810 a Raffaele Dessì,Contadore dell’Ufficio del Censorato Generale”; si trattava di un terreno sotto le mura, delle dimensioni molto ridotte, per i quali il Dessì pagò lire 8 e soldi 15, e si accordò per pagare annualmente 4 reali, cioè una lira; egli intendeva tenervi un cavallo e mettere qualche pianta, oltre a “conservare il chiaro delle finestre della sua casa”; il terreno concesso potrebbe corrispondere alla parte posteriore dell’unità catastale 2490, e con parte dell’unità catastale 2500: si trovava infatti fra le mura e le case del Dessì (2490), del rigattiere Demontis (2491) e di don Antonio Porcile (2492).

La parte più a sud, verso la Darsena, potrebbe identificarsi con un cortile in possesso di tale Francesco Petenadu (Pettinau?); riporta tale notizia l’atto notarile del 02.03.1812, inventario dei beni del defunto don Giuseppe Rapallo, la cui proprietà 2494 aveva alle spalle la Regia Muraglia e il cortile del Petenadu (si veda anche la casa 2502).

Il solito Sommarione dei Fabbricati ci informa che dopo il 1850 l’unità 2500 apparteneva al conte Giovanni Viale (1767-1856), insieme all’unità 2499, utilizzate entrambe come magazzini.

 

2501                     

Nell’atto del 1799 con cui Paolo Maurizio Arthemalle ipotecò la sua casa 2499, una casa laterale risulta appartenere alla Comunità di Sant’Eulalia; la stessa informazione è riportata nell’atto notarle del 1812 con cui il Capitano di Marina Giovanni Manca ipotecò la stessa casa 2499, comprata anni prima dall’Arthemalle; inoltre, nell’inventario dei beni del defunto patron Filippo Pettinau, compilato nel 1803, è scritto che la casa di quest’ultimo, identificata col numero catastale 2502, aveva di lato “un magazzino di proprietà della chiesa di Sant’Eulalia”.

Nella strada del Molo, l’antica via Roma, la Comunità dichiarò, nella denuncia per il donativo del 1799, di possedere 3 case: erano le case Ricardo, Cavazza, ed Olivez, dai nomi degli antichi proprietari; le prime due sono state identificate con le unità 2596 e 2513, mentre della casa Olivez, che era composta da un piano terreno ed il primo piano utilizzati come magazzini, non si hanno notizie.

L’unità 2501 potrebbe quindi corrispondere alla casa Olivez, utilizzata come magazzino, come ci riferisce il documento del 1803.

Il solito Sommarione dei Fabbricati ci informa che dopo il 1850 l’unità 2501 apparteneva ancora alla Comunità di Sant’Eulalia e, come riporta lo stesso Sommarione, fu presto demolita. Nell’area occupata da questa casa, dopo la demolizione delle mura, fu costruito a fine ‘800 il palazzo Zamberletti.

 

2502     

Questa casa, addossata alle mura della Darsena, si identifica con quella del patron Filippo Pettinau, a cui fu concesso un terreno demaniale in data 27.09.1798, “in prospettiva della strada di San Francesco di Paola, per costruire una piccola casa a uso della sua famiglia”.

Si noti che la carta catastale originale dell'isolato "S" la riporta in una posizione apparentemente errata, dovuta soltanto a problemi di spazio nel disegno, fatto che ha causato un errato posizionamento anche sulla mappa rielaborata; la sua posizione reale era a ridosso delle mura, appena al di sopra della Porta della Darsena; a conferma di questo si veda anche la mappa originale degli isolati A,B,C,D, quelli costruiti sul molo, nella quale la casa 2502 è tracciata al posto giusto.

Non si sa molto su Filippo Pettinau: si tratta probabilmente di quel Filippo Francesco Augusto Priamo Thelmo Pettinato, figlio di Giovanni Pettinato della città di Trapani e di Caterina Trullia, battezzato in Sant’Eulalia il 18.06.1758; non è l’unica famiglia di quel cognome, sardizzato in Pettinau, presente a Cagliari; erano imparentati con i Cojana (ex Guayana di Trapani), Marzano, Savona; marinai, capitani, pescatori, padroni navali che si occupavano di commercio, gente legata al mare come la maggior parte dei Siciliani arrivati in Sardegna nel XVIII secolo.

Non si esclude che la proprietà della casa 2502 comprendesse anche parte dell’unità catastale 2500, attribuita nel 1812 a un non identificato Francesco Petenadu.

Il patron Filippo Pettinau (o Petinadu, Petinaly, Petenadu) morì all’inizio del 1803; il 30 aprile la sua vedova Giovanna Marcialis fu nominata tutrice e curatrice dei suoi figli minori e pupilli: Caterina di anni 20, Giovanni di anni 18, Antonio 16, Gesualda 11, Rita 5.

In data 18.03.1803 il notaio Francesco Rolando, su incarico della vedova, compilò l’inventario dei beni lasciati dal defunto, che risulta abitasse nel quartiere della Marina, e che morì “ab intestato”, cioè senza aver fatto testamento, fatto che fa pensare ad una morte improvvisa; a ricordare e confermare le sue origine siciliane, uno dei testimoni presenti all’inventario fu il trapanese Rosario Grillo; fra i beni elencati, vi erano le merci di una bottega per 300 scudi; due Leuti (barche da pesca) che il defunto aveva in società col negoziante Paolo Coyana, anch’egli di origine trapanese; una casa costruita sopra la cortina della Porta della Darsena, confinanante da un lato con un magazzino di S.Eulalia (2501), dall’altro lato, separati dalla porta della Darsena, con un magazzino del Re (le costruzioni sul molo, numero 2194), alle spalle con le mura e davanti con la contrada del Molo. 

Nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800 la casa 2502, situata nella strada “per la Darsena”, risulta appartenere agli eredi Dugoni. Fu con tutta probabilità abbattuta insieme alla parte di mura a cui era addossata, a seguito della delibera comunale del 14 dicembre 1863, allo scopo di aprire il passaggio fra la via San Francesco e il quartiere di Villanova (si veda la trascrizione della delibera nel capitolo “Varie – approfondimenti”).