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Isolato I1: Scarpari/Fontana Nuova/Tagliolas/Moras

(via Dettori, piazza Savoia, vico Barcellona, via Napoli)

numeri catastali da 2700 a 2706

la struttura dell’isolato non è cambiata; si può segnalare soltanto la presenza di alcuni nuovi edifici che hanno sostituito le vecchie case, in particolare nell’angolo basso sulla via Napoli (case 2703, 2704, 2705).

 

 

2700

Era anticamente suddivisa in 3 parti: da un atto notarile del 10.01.1792 si deduce che la prima parte, all’angolo fra la strada Scarpari e la piazza Fontana Nuova, apparteneva all’Arciconfraternita del Sepolcro; a fianco a questa, la parte prospiciente la piazza era del negoziante Paolo Pinna (1740-1792), figlio di Gio Filippo; la terza parte, cioè quella con facciata sulla contrada Moras, era anch’essa dell’Arciconfraternita del Sepolcro.

Da altri atti notarili dello stesso anno 1792 si legge che la casa del Sepolcro, quella all’angolo con la piazza, era abitata dal canonico Benedetto Isola che poteva averla in affitto o in enfiteusi; il canonico morì nel dicembre 1795, nell’inventario dei suoi beni è dichiarata la casa della strada de las Tallolas (altro nome della strada de los Sapateros, o degli Scarpari), indicata come casa di “Monserrada Araxi”, valutata £ 2325, soldi 19, denari 2; fra i legatari inclusi nel testamento del canonico figurava anche l’Arciconfraternita del Sepolcro, che rimase piena proprietaria della casa.

Che la parte sulla strada Moras appartenesse al Sepolcro è confermato da un atto del 29.12.1797 e da altri 2 atti del 1800; il donativo del 13.08.1807 dell’Arciconfraternita del Sepolcro aggiunge le seguenti informazioni: la parte sulla piazza (2700/a) era composta da 2 piani e un “sòttano”, con un piccolo cortile, in tutto 4 stanze, se ne ricavavano lire 125 di affitto annuo; la parte sulla strada Moras (2700/c) era composta da due piccoli piani e un “sòttano”, ogni piano aveva una stanza, se ne ricavavano lire 50; con atto del notaio Gio Batta Azuni del 14.04.1808, i guardiani dell’Arciconfraternita concessero quest’ultima parte in enfiteusi alla vedova Rosa Argiu e alle figlie Catterina ed Anna Mameli; le tre donne già vi abitavano, e pagavano 20 scudi (50 lire) annui di affitto; l’enfiteusi fu concessa per lo stesso importo, con l’obbligo di eseguire alcune riparazioni e miglioramenti: le scale, il tetto, le pareti, l’aggiunta di una vetrata; il vantaggio per le tre locatarie era che avrebbero avuto la garanzia di abitare la casa per tutta la loro vita, con il fitto bloccato; se avessero omesso di pagare per due anni, o non avessero effettuato i lavori promessi entro un anno, il loro diritto sarebbe decaduto; volendo alienare la casa avrebbero dovuto darne avviso all’Arciconfraternita due mesi prima, pagando per il laudemio la tredicesima parte del prezzo di tutta la casa; alla morte delle locatarie il contratto sarebbe cessato senza che gli eredi potessero pretendere nulla, nemmeno i diritti sui miglioramenti e sulla manutenzione eseguita.

La parte centrale dell’unità 2700 era pervenuta a Paolo Pinna per divisione dell’eredità di sua madre Francesca Sanna (morta prima del 1765), prima moglie di Gio Filippo Pinna, con atto del 17.04.1767; in altro atto del 21.03.1792, inventario dei beni di Paolo Pinna, morto vedovo il 19 marzo di quell’anno, è scritto che egli lasciò i suoi beni all’unico figlio dodicenne Raimondo; il Pinna abitava in quella casa della strada Is Tagliolas, di due piani alti e un “sòttano”, ed essendo vedovo conviveva con Rita Zonquello che occupava l’ultimo piano della casa; da altri documenti risulta però che il Pinna risiedeva più che altro in una casa con vigna nel territorio di Lluc; la casa di Is Tagliolas fu stimata lire 2740, soldi 1, denari 6.

Il minore Raimondo Pinna, tramite il suo curatore Giovanni Battista Gastaldi, denunciò la casa nel suo donativo del 10.07.1799, dichiarando di riceverne 50 scudi di affitto, cioè 125 lire.

Con atto notarile del 06.07.1806 Raimondo Pinna del fu Paolo, sottotenente nelle Regie armate e Guardia del corpo di Sua Maestà, nativo e domiciliato nella città di Cagliari, vendette al negoziante Gio Batta Gastaldi i suoi beni del territorio di Lluc e San Bartolomeo (vigna, terre, magazzino, case, un campo con case e fontana), e due case nel sobborgo della Marina, cioè una nella contrada di is Taglioras e l’altra in quella di San Agostino, per la somma di £ 24788, 15 soldi e 3 denari.

Tutti i beni ereditati dal padre erano sottoposti a diversi censi e pensioni, di cui il Pinna doveva pagarne molte già scadute e aveva un debito col suo curatore Gastaldi di lire 12007, soldi 10 e denari 3; aveva avuto già una citazione da un altro creditore e, per evitare di essere condannato ed “esecutato” (cioè per evitare il sequestro e la vendita all’asta dei suoi beni), e per evitare di perdere anche i beni materni, stabilì di vendere i beni paterni; l’unico compratore disposto ad acquistare questi beni fu lo stesso curatore Gio Batta Gastaldi, che “mosso a benevolenza” accettò il prezzo fatto a un precedente compratore che poi si era ritirato dall’affare; la casa della strada is Taglioras, sita nella piazza della fontana (piazza Fontana Nuova), era la casa che pervenne a Paolo Pinna, padre di Raimondo, dall’eredità materna secondo l’atto di divisione rogato dal notaio Nicolò Murroni il 17.04.1767.

Il prezzo stabilito era di lire 24788.15.3, di cui Gastaldi si trattenne però lire 23538.15.3, cioè lire 9375 per i censi caricati sui beni, lire 2156.5 per le pensioni scadute, lire 12007.10.3 per il credito che aveva verso lo stesso Pinna, per cui egli consegnò al Pinna solo lire 1250 in denaro effettivo. 

Con atto del notaio Giacomo Sini del 28.01.1808 due mastri muratori e due mastri falegnami, incaricati da Giovanni Battista Gastaldi e dal negoziante Pietro Bailly, francese del dipartimento di Parigi, eseguirono la stima della casa Gastaldi: la valutazione fu di lire 3257, soldi 18, denari 4; con atto dello stesso notaio del 01.02.1808 Pietro Bailly acquistò la casa per lire 4000, ben oltre la stima; pagò subito, o in poco tempo, lire 3000; con atto del notaio Giacomo Sini del 26.07.1808 pagò altre lire 500, e con atto dello stesso notaio del 13.01.1809 pagò le ultime lire 500, saldando il debito.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni del 21.11.1808 i Guardiani dell’Arciconfraternita dell’Orazione ossia della Morte (ossia del Sepolcro) concessero la casa del legato del canonico Benedetto Isola, 2700/a, all’angolo fra la piazza Fontana Nuova e la strada del Sepolcro, allo stesso Pietro Bailly, già proprietario della parte 2700/b; era stata richiesta in enfiteusi anche dal sarto Giuseppe Mezzano e dal signor Gio Battista Oddone; fu interpellato l’avvocato della confraternita, commendator Bonaventura Cossu Madao, che diede parere contrario all’enfiteusi; i guardiani si rivolsero allora al Vicario Generale del Capitolo, canonico Sisternes de Oblites, che non trovò nulla che ostacolasse l’enfiteusi, e giudicò che l’offerta migliore fosse quella di Pietro Bailly il quale, oltre ai 50 scudi di canone offrì di incrementare il legato Isola di altri 100 scudi che avrebbero fruttato altri 5 scudi annui da destinare a donazioni di vestiario per le donne povere del quartiere, e si offrì di occuparsi a sue spese delle riparazioni necessarie; la casa era composta da una bottega e una stanza al piano terra, due stanze al primo piano e due stanze e una cucina al secondo piano; era munita di cisterna; Bailly, a garanzia del pagameto del canone di scudi 50 annui, ipotecò la sua casa attigua numero 2700/b.

Il 27.12.1810 egli ottenne un prestito di lire 1250 da don Giovanni Battista Viale, ipotecando la stessa casa acquistata da Gastaldi (2700/b); aveva necessità di quella somma per alcune urgenti riparazioni da effettuare; è scritto in quest’ultimo atto che già possedeva in enfiteusi la casa al lato, cioè la parte prima dell’unità 2700, e pagava il canone annuo alla Arciconfraternita del Sepolcro; la casa alle spalle, cioè la terza parte dell’unità 2700, era ancora una proprietà della stessa Arciconfraternita.

Dopo il 1850 risulta come unico proprietario della casa 2700 l’avvocato Giovanni Battista Longu fu Francesco, che ne possedeva una parte in enfiteusi; Longu aveva sposato nel 1820 Emanuela Bailly, figlia di Pietro e di Giuseppa Degioannis.

 

 

2701

E’ la piccola casa all’angolo fra le strade del Sepolcro e Moras; se ne ha notizia in atto del 01.06.1792, quando era una proprietà del Convento dei padri di Sant’Agostino i quali, dal 14.12.1790, l’avevano affittata al mastro sarto Salvatore Contu; nei donativi del 1799 di Salvatore Contu e in quello non datato del Convento di Sant’agostino, si legge però che la casa era stata poi ceduta in enfiteusi dal Convento al Contu, che pagava 20 scudi di pensione.

E’ citata come proprietà dei Padri Agostiniani nell’atto di aprile 1808 relativo alla casa 2700/c e nell’atto di novembre 1808 relativo alla casa 2700/a. 

Dopo il 1850 la casa risulta ancora di proprietà del convento di Sant’Agostino.

 

2702     

Il 03.11.1784 fu pubblicato il testamento del cavalier Joseph Humana: fra i beni della famiglia è citata una casa sita nella “placa de las Tagliolas” e che “corresponde a la calle de Mores”; la rendita di questa casa, identificata con la casa 2702, costituiva il palafreno [1] della sorella del defunto, suor Angela Humana (1706-), monaca in Santa Lucia; in altro atto notarile, del 1789, donna Gerolama Zenugiu nata Humana risulta proprietaria della casa 2702, sicuramente della parte sulla strada Moras, non si sa se anche della parte sulla piazza Fontana Nuova.

In un atto del 05.06.1798 si specifica che i coniugi Bartolomeo Cristofani di Lucca e Josepha Satta di Cagliari erano proprietari della casa (solo la parte sulla strada Moras) in quanto legatari nel testamento di donna Gerolama Humana y Zenugio (pubblicato il 31.01.1796); nel giugno 1798 e nel novembre 1800 i coniugi ne risultano ancora proprietari; da atto notarile del dicembre 1802 ne risulta invece proprietario il negoziante Francesco Rattu: costui era forse imparentato con i coniugi Cristofani-Satta, la cui figlia Efisia aveva sposato un Luigi Rattu; è anche possibile che il documento del 1802 riporti un nome errato, Francesco al posto di Luigi.

Nel 1792 la parte con la facciata sulla Fontana Nuova era del negoziante francese Francesco Alemand, e questo dato è confermato da atti successivi dello stesso anno 1792, mentre il 18.12.1793 la casa era dei suoi eredi.

In data 17.08.1796 la casa, già degli eredi di Francesco Alemand, risultava di proprietà di Francesco Visca, anch’esso negoziante; il Visca in quella data stipulò un contratto col mastro muratore Giovanni Mameli, per “riparare, modernare e alzare” il vecchio edificio; il lavoro sarebbe stato fatto in 4 mesi, per lire 1625; in una causa civile del 19.12.1796 il Visca fu citato in quanto i lavori eseguiti avevano provocato dei danni alla vicina casa Pinna (2700). 

Un atto del 16.03.1797 ci spiega che la casa di Francesco Allemand era stata sequestrata ai suoi eredi, cioè il figlio reverendo Estevan e altri, per una causa mossa dalla Compagnia del Santo Monte di Pietà verso Francesco Allemand, e che 400 scudi, parte di quanto aveva pagato Francesco Visca per acquistare la casa, erano stati versati alla Compagnia. 

Dai donativi del 1807 risulta che Francesco Visca fosse diventato proprietario di tutta la casa, compresa cioè la parte sulla strada Moras; dall’elenco dei Maioli del 1808 risulta che Francesco Visca ospitasse, nella sua casa delle strade Moras e is Tagliolas, Salvatore Scano di San Gavino.

Nell’atto notarile del 27.12.1810, citato per la casa 2700, risulta che la casa confinante, cioè l’unità 2702, fosse quella

del fu negoziante Francesco Allemand, e ora di Francesco Visca”.

Un altro atto notarile, datato 13.11.1811, cita una perizia che venne eseguita sulla casa Visca e sulla confinante casa degli eredi Ponsiglione, numero catastale 2706: i Ponsiglione dovevano demolire la loro casa per riedificarla, e i periti garantirono che la casa Visca, in buonissimo stato, riedificata non più di 16 anni prima (più o meno al tempo del passaggio di proprietà da Allemand a Visca), non avrebbe sofferto danni dalla demolizione della facciata della casa Ponsiglione, a patto che la si puntellasse a regola d’arte.

L’ultima conferma viene dal Sommarione dei Fabbricati successivo al 1850, dal quale risulta che l’intera casa 2702 fosse di proprietà di Rafaele Melis Visca (1821-) figlio di Gerolamo Melis (1785 -) e di Antonia Visca (-1825) di Francesco.


[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti.

 

 2703     

Questa piccola casa era nel 1798 di proprietà del convento dei Padri Mercedari di Bonaria: si componeva di un “sòttano” e 2 porte, e per la porta “chica” si saliva al piano alto dove c’era una sala, e sopra c’era un mezzo piano con una cucina; il 16.09.1798 la casa venne stimata per 200 scudi, 6 giorni dopo venne ceduta in enfiteusi al mastro muratore Ramon Taris di Cagliari; con atto notarile del 24.01.1800 (registrato solo alla fine del 1802) il Taris affittò la casa per 2 anni, con l’esclusione del basso, al negoziante Pasquale Corrias detto Lilliu, per 12 scudi annui.

Da un atto notarile del 08.04.1807, relativo alla casa 2944, la casa davanti a questa, cioè l’unità 2703, risulta del notaio (Giovanni Battista) Azuni; non vi sono conferme su questa informazione; in ogni caso pochi anni dopo, da atto notarile del 13.02.1810 relativo alla frontale casa 2944, la casa 2703 risulta essere del muratore Giovanni Mameli, e da atto del 29.12.1810, relativo alla casa confinante 2704, è detta “un tempo della comunità mercedaria ed oggi di mastro Giovanni Mameli”; si ha conferma di questo nel donativo del 1812 dei padri mercedari che dichiararono di ricavare 30 lire di canone enfiteutico da Giovanni Mameli.

Infine dopo il 1850 la casa era una proprietà del consigliere collegiato Efisio Mameli Porcu, figlio del fu Giovanni.

 

2704     

Alcuni atti notarili del 1795, 1797, 1798, e 1802, permettono di identificare questa casa come appartenente alla “Causa Pia Roquetta” fondata (a fine ‘600) dal cavalier Antioco Roquetta nella chiesa di Santa Eulalia, per maritare “donzelle povere” del sobborgo della Marina; i fondi della Causa Pia erano amministrati dai Sindaci della Marina.

Con atto del notaio Salvatore Boy del 05.01.1805 il muratore Giuseppe Ignazio Carta rilasciò ricevuta di lire 1030, soldi 11, denari 7, a lui consegnati dall’avvocato Emanuele Massa Eschirru e dal notaio Giambattista Azuni, i quali agivano in qualità di sindaco capo e sindaco secondo della Marina; si trattava del pagamento di alcune riparazioni eseguite dal mastro muratore in diverse case amministrate dal sindacato della Marina; per la casa della Causa Pia Rocchetta della strada de is Tagliolas furono pagate lire 551 e soldi 18, il resto della cifra riguardava altre case della Marina e della contrada San Lucifero in Villanova.

Con atto del 29.12.1810 il sindacato della Marina concesse in enfiteusi a Francesco Piras la casa di 3 piani nella strada Moras, “situata e componente lo spuntone che per esso si va alla chiesa di S.Sepolcro e (dall’altra parte) alla piazza is Tagliolas”; se ne ha conferma da altro atto notarile del dicembre 1811, relativo alla casa 2699, che aveva davanti, mediante la strada Tagliolas, la casa del sindacato della Marina concessa in enfiteusi a Francesco Piras.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora alla Città di Cagliari.

 

2705     

Con atto notarile del 27.11.1797 il notaio Joachin Mariano Moreno compilò l’inventario dei beni del Reverendo Estevan Allemand, defunto il 28 ottobre di quell’anno; fra i beni era compresa una casa nella “calle de las Tallolas”, valutata lire 1516, soldi 2, denari 10, composta “de dos altos y sòttano”. Da notare che la casa confinava alle spalle con la casa 2702 che era stata di Francesco Allemand, padre del sacerdote Stefano, e a quest’ultimo era stata sequestrata dopo la morte di Francesco. Erede universale di Stefano era il cognato negoziante Pasquale Ponsillon, che aveva sposato in seconde nozze Eulalia Allemand, sorella di Stefano. La proprietà di Pasquale Ponsillon è confermata in altro atto notarile del gennaio 1799, quando lo stesso Ponsillon acquisì la casa confinante 2706. E’ confermata anche dall’inventario Ponsillon del 26.11.1802; in quest’ultimo documento la casa è così descritta: composta da un sottano a fianco del quale c’è la porta per salire agli altri due piani, e in ogni piano c’è una camera e una piccola stanza che serve da cucina.

Nell’atto del 1810 con cui fu concessa in enfiteusi la casa 2704, la casa 2705 risulta appartenere agli eredi del defunto Pasquale Ponsiglione (-1802).

Da una causa civile del 1817, relativa all’eredità Ponsiglione, fra i beni di pertinenza della famiglia risulta esserci la casa 2705, affittata alle vedove Maria Antonia Monni e Luigia Cassinis nata Melis, per scudi 8 e reali 7 ½ ogni trimestre.

Nel catasto di metà ‘800 la casa è di Marianna Rattu, il cui nonno materno era appunto Pasquale Ponsiglione; la donna era coniugata col professor Giovanni Degioannis Gianquinto.

 

2706     

In atto del 08.02.1779, relativo alla casa 2695, è scritto che la casa sull’altro lato della strada las Tallolas, cioè la numero 2706, era appartenuta al defunto Juan Domingo Corrias, e in quell’anno apparteneva alla Comunità di Sant’Eulalia; nel 1790 apparteneva ancora alla Comunità di S.Eulalia; quest'ultima  informazione proviene da atto notarile del 9 aprile, relativo alla casa 2696; la Comunità, in data 30.01.1799, la cedette al negoziante Pasquale Ponsillon in cambio d’un’altra casa (sita nella strada di Fra Luis Grech, ossia di Monserrato, numero 2560); in quell’occasione venne avvalorata dal regio misuratore Girolamo Massei per 1734 lire, 2 soldi, 2 denari; nell’atto notarile è specificato che era stata ceduta alla Comunità dai coniugi Juan Andres Loy e Cecilia Corrias con atto del notaio Agustin Murrony del 28.06.1734, e veniva per questo chiamata casa Corrias.

E’ quindi compresa, e chiamata ancora casa Corrias, nell’inventario Ponsillon del 26.11.1802: situata all’angolo fra la contrada las Tallolas (cioè la piazza Fontana Nuova) e il vicolo che portava alla contrada Moras, aveva due sottani, uno per ogni facciata; la porta d’ingresso era sulla calle las Tallolas, sovrastata dal balcone del primo piano; aveva anche il secondo piano, e fu stimata lire 1642 e 10 soldi. Nell’inventario Ponsillon si ripercorrono i precedenti passaggi di proprietà: nel 1639 apparteneva ai coniugi Diego Lecca e Sisinnia Palla, che vi caricarono un’ipoteca di 800 lire; nel 1684 fu venduta dai coniugi Salvador Lixi e Josepha Sechy al notaio Domingo Corrias Salis; nel 1734 i coniugi Juan Andres Loy e Cecilia Corrias (erede del notaio Domingo) rinunciarono ai diritti sulla proprietà, a favore della Comunità di Sant’Eulalia; e infine nel 1799 la Comunità la cedette al negoziante Ponsillon, in cambio d’un’altra casa.

Nel 1811 gli eredi Ponsiglione decisero di demolirla per riedificarla; con una perizia del 13 novembre, eseguita dal mastro muratore Antonio Pilloni, venne garantito che la demolizione non avrebbe arrecato danni alla confinante casa Visca, unità 2702.

Dalla causa civile del 1817, citata nel precedente paragrafo, fra i beni dell’eredità Ponsiglione è compresa anche questa casa: era affittata per scudi 55 annui al negoziante Giuseppe Sessini, che occupava la bottega e il piano alto.

Dopo il 1850 la casa 2706 apparteneva a Efisia Ponsiglioni (1797-1859) figlia di Pasquale, coniugata con Giovanni Nepomuceno Rattu, genitori di Marianna Rattu, proprietaria nello stesso periodo della casa 2705.