La causa Barbetta

 

Il milanese Giulio Barbetta aveva avuto in enfiteusi dai padri scolopi la casa 2426 nella strada della Costa; morto nel 1797, i suoi eredi erano i giovani figli Francesca, Carlino, e Bartolomeo i quali, nell’ottobre 1802, avevano rispettivamente circa 15, 14, e 12 anni; patrocinati dal causidico Ambrogio Sciacca citarono i loro curatori testamentari Gio Efisio Piras e Raffaele Uda, i quali “lasciarono i medesimi in abbandono a mani della stessa servitora che a quell’epoca vi era in casa, e si dispensarono da tutta quella attendenza, vigilanza, e cura, che i tutori debbono avere della persona dei pupilli e della buona educazione di essi.......buon motivo per rimuovere i suddetti Curatori, fa presumere quanto meno saranno stati vigilanti nella amministrazione del patrimonio dei minori Barbetta consistente nel fondo egregio di bottega che lasciò il loro padre, che montava a più migliaia di scudi come apparirà dall’inventario”.

La situazione sembra davvero complicata, anche per il numero di attori e per le loro “alleanze” mutevoli; fra i minori Barbetta è Carlino quello che più scalpitava: accusò la donna a cui lui e i fratelli erano stati affidati, e che lui definisce “servitora”, di fare la padrona assoluta nella loro casa, badando al suo comodo e costringendolo a spazzare il pavimento! Si rifugiò a casa dello zio Giambattista Barbetta, fratello di suo padre; la sorella Francesca e il fratello Bartolomeo inizialmente non aderirono alla linea di Carlino, e il procuratore dei curatori testamentari affermò cose ben diverse: la donna con cui vivevano i minori era una loro zia, cugina della madre, viveva con loro da quando era morta la loro madre, e rimase con loro anche quando il padre si risposò; i minori erano seguiti da un pedagogo; sempre secondo il procuratore dei curatori testamentari, Carlino era “lusingato” dallo zio Giambattista per gli interessi di quest’ultimo; infatti Giambattista amministrava una seconda bottega del fratello defunto e si opponeva a fare l’inventario, tanto che fu necessario sequestrare la bottega; risultò che era “debitore di una egregia somma”; inoltre, “il minore Carlino da quando vive con lo zio non frequenta più la scuola, ma va per le contrade della città colla cassetta in compagnia dello zio per la vendita delle merci di costui. Dopo pochi giorni che Carlino si ritirò in casa dello zio, fu arrestato per il disordine che commise insieme ad altri due compagni.

Nel 1804 Francesca Barbetta, 17 anni, era sposata col piemontese Pietro Pasquale Nervi; anche Carlino, di 16 anni, si era sposato con Francesca Melis, e viveva in casa del suocero; entrambi chiesero che lo zio Giambattista fosse nominato loro procuratore; nel giugno 1804 Carlino e Bartolomeo intendevano recarsi “in terraferma e portarsi in Barlassina (presso Milano) patria del fu Giulio, ove potranno abitare e rendersi utili sotto la direzione e vigilanza degli zii paterni Ignazio e Giannantonio Barbetta”; nominarono quindi loro procuratore generale lo zio Batta (Giambattista) Barbetta.

Intanto dall’inventario della bottega era risultato che mancassero merci per oltre 4000 lire di cui dovevano rispondere i curatori. Nella casa (2426) dove si trovava sia la bottega sia l’abitazione, dovevano trasferirsi Francesca Barbetta col marito, che da Sassari intendevano tornare a Cagliari; in data 24.01.1805 Carlino Barbetta mandò una lettera di insulti (porco, briccone e vile) allo zio Giambattista, accusandolo di averlo mandato a Barlassina “per mangiargli tutti i beni”.

Nel 1805 Bartolomeo accusò Francesco Melis, suocero di Carlino, di non restituirgli i vestiti che aveva lasciato nella sua casa. Melis affermò di aver trattenuto i vestiti per aver “somministrato il vitto” a Carlino e a Bartolomeo dal 6 giugno al 22 luglio, e voleva essere risarcito.

Nel dicembre 1806 Giambattista Barbetta riferì di essere “insultato continuamente dai nipoti Carlino, Francesca e suo marito, mentre Bartolomeo non gli ha dato finora ragioni di disgusto”; chiese pertanto la divisione dell’eredità per cedere l’amministrazione della bottega e della eredità stessa.

Nell’aprile del 1807 Pietro Nervi affermò che i suoi cognati Carlino e Bartolomeo Barbetta avevano insultato e minacciato sua moglie, loro sorella.

Nel 1808 Carlino era separato dalla moglie Francesca Melis, e il suocero aveva venduto i mobili dell’eredità che erano stati consegnati a Carlino per ordine del giudice; Francesco Melis riferì che Carlino aveva abbandonato la moglie “quando era vicino a partorire” e lui era stato costretto a mantenerla.

I curatori Uda e Piras nel 1806 restituirono merci per circa 3500 lire, furono condannati a pagare ai minori Barbetta 902 lire e pagare un debito di 1133 fiorini ai commercianti di Augusta Piva e Botta per liberare di quel debito l’eredità Barbetta. Nel 1807 chiesero una moratoria di alcuni mesi, che venne loro accordata; nel dicembre 1808 vennero condannati a pagare ancora 109 lire.

Nel 1809 Carlino avanzava continue pretese nei confronti dei fratelli, in particolare voleva avere un orologio d’oro che era del padre; nel mese di luglio il curatore di Francesca e Bartolomeo affermò che Carlino aveva avuto “la sua rata d’alimenti e fitti di casa” fino al mese di agosto, ed era disposto a consegnare l’orologio solo su ordine del magistrato; nel frattempo Carlinoha preso la facoltà di pittore e si trova attualmente al servizio come cameriere dell’avvocato Bernardo Carbonelli, in Iglesias”.

Con atto notarile del 28.03.1812 i minori Bartolomeo Barbetta e Pietro Nervi, marito di Francesca Barbetta, consegnarono allo zio Giambattista Barbetta la somma di lire 473, soldi 12 e denari 2, che chiudeva i conti in sospeso fra le parti; la casa Barbetta era abitata dallo zio, in quanto non serviva né a Francesca che viveva a Sassari col marito, né a Bartolomeo che viveva nella casa del suo padrone (come il fratello, era forse cameriere); era stata abitata per alcuni anni dal fratello Carlino, che nel frattempo era morto.

Nel giugno 1812 Bartolomeo (22 anni) scrisse il suo testamento “in vista della sua partenza per la terraferma”, in realtà aveva intenzione di recarsi nell'isola di Malta; nominò curatore testamentario “suo zio stimatissimo Giambattista Barbetta”; nominò erede universale della metà dei suoi beni la sua anima, di fatto lo stesso curatore, erede dell’altra metà la cugina Innocenta Leoni nata Barbetta, figlia di Giambattista; il 02.02.1816 Bartolomeo morì nell’isola di Malta; il suo testamento verrà pubblicato dal notaio Nicolò Martini il 15.03.1817; la sorella Francesca viveva a Tissi, non rispose agli avvisi della cugina Innocenta che in data 11.04.1818 ottenne che si aprisse il testamento; nel frattempo era morto anche lo zio Giambattista.

Il 16.06.1819 vennero sequestrati dei beni (un comò, una pendola, 2 specchi, un tavolino ecc) al negoziante e Regio impiegato dello stanco del Tabacco Gio Efisio Piras, ex curatore dei minori, per la somma di lire 668, soldi 17. denari 9, che il Piras doveva ancora all’eredità Barbetta e ai commercianti di Augusta Piva e Botta; Raffaele Uda nel febbraio del 1824 risulta defunto e, nel novembre di quell’anno, vennero sequestrati alla sua erede (la figlia Ignazia, minore di 25 anni) dei mobili e la casa (2338) che abitava nella strada Sant’Agostino. Nel 1825 Piras fu costretto a cedere ai negozianti Piva e Botta una casa nella strada San Mauro; nel 1828 risulta ancora in vita Francesca Barbetta, ma le vicende dell’eredità erano seguite dalla cugina Innocenta Barbetta, erede di Bartolomeo; le ultime carte del fascicolo arrivano al 1833, e riportano anche la morte di Gio Efisio Piras.

A metà ‘800, dal Sommarione dei Fabbricati, la casa 2426 apparteneva al negoziante Giovanni Leone e a Luigi Serra fu Emanuele: il primo era figlio di Gennaro (o Gianuario) Leoni e Innocenta Barbetta, il secondo era il marito di Maria Leoni, sorella di Giovanni.