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ISOLATO N1: Portico S.Rosalia/discesa S.Teresa/strada S.Teresa/strada dietro S.Eulalia

(via Principe Amedeo, piazza Dettori, vico Collegio, via Collegio)

numeri catastali da 2767 a 2779

rispetto alla situazione di inizio ‘800, è da notare che sulla via Collegio, al posto delle proprietà della Compagnia dei Gesuiti, c’è ora la scuola media Manno. Sulle altre vie, i beni della Compagnia (chiesa di Santa Teresa, istituto e convento) sono esistenti e utilizzati in altro modo.

 

2767     

Era la chiesa di S.Teresa, poi Auditorium, costruita nel 1691.

La grande area al di sotto della chiesa, senza numero catastale, corrisponde al collegio e convento dei gesuiti, poi scuola pubblica.

Fra i documenti di fine ‘700 consultati se ne trova menzione in atto del 1789, quando il mercante Francesco Novaro comprò un’area posteriore alla sua casa (numero 2969, all’angolo fra le strade di S.Eulalia e di S.Teresa) poi inglobata nella casa stessa, che aveva davanti “las porterias de Santa Teresa”.

L’edificio era sicuramente diverso dall’attuale, frutto probabilmente di una serie di riedificazioni successive: nell’ottobre 1792 il Reverendo Raphael Martiny, economo e amministratore della Casa di Exercicios stabilita nella chiesa di S.Teresa, concesse in locazione per 3 anni a Pasquale Corrias alias Lilliu, “Regatero” domiciliato nella Marina, tutta quella casa grande (compresa in quell’area senza numero catastale) con piano terreno composto da 2 sottani e cisterna e piccolo cortile e una piccola grotta, e con un piano alto, sita nella strada della “Porteria de dicha iglesia de S.Teresa”, e che aveva alla spalle la casa degli esercizi, davanti la casa del negoziante Francesco Navarro (2969), e una casa del Sepolcro (2959), da un lato la “Porteria della Casa degli Esercizi”, dall’altro lato una casa del Gremio de San Thelmo (parte dell’unità 2774 o della stessa area senza numero della Casa degli Esercizi).

In altro atto notarile dell’agosto 1798, i guardiani del Sepolcro Bartolomeo Sciaccarame, Angelo Truffa, e mastro Francesco Conchedda, ottennero un prestito di lire 2000 a censo onerativo dal negoziante Francesco Vodret, somma che serviva per riparare le case della confraternita, e ipotecarono una casa (2959) che stavano riedificando, sita nella calle “que conduze da la Iglesia y Porteria de Santa Teresa, a la Iglesia de Santa Eulalia” (attuale vico del Collegio), che aveva davanti la casa degli esercizi di Santa Teresa e la casa del Gremio di Sant’Elmo, a un lato la casa di Francesco Navarro (2969), all’altro lato una casa del Capitolo Cagliaritano (2960), e di spalle la casa della vedova Josepha Navarro (2968).

Nel donativo senza data (1799 o 1807) presentato dal sacerdote Salvatore Spetto, economo della casa degli esercizi di Santa Teresa, viene dichiarato un incasso di lire 137 e soldi 10 per l’affitto di un piano della casa degli esercizi, nella strada di Santa Teresa; questa parte affittata potrebbe essere la stessa che era stata affittata a Pasquale Corrias nel 1792.

 

2768 e 2769       

Queste due unità, poste dietro la chiesa di Santa Teresa, appartenevano alla Congregazione Gesuitica, quindi dal 1773 all’azienda ex-gesuitica; in data 23.07.1798 il mastro sarto Giovanni Pau Braxa acquistò dall’azienda 4 case nella strada del Portico di Santa Rosalia, poste fra la chiesa di Santa Teresa e la casa Scoffiè (2770); le 4 case corrispondevano quindi alle unità 2768 e 2769; il 19 settembre dello stesso anno Giovanni Pau Braxa ottenne un prestito di 2000 scudi, a censo onerativo, da Juan Domingo Corrias curatore testamentario del defunto don Manuel Vivaldi Castelvì; per garantire il prestito ipotecò le 4 case site nella strada del portico di S.Rosalia, che avevano alle spalle il cortile a cui si accedeva attraverso la “porta del carro della chiesa di S.Teresa”, cioè l’ingresso nell’attuale via Collegio.

Fra i documenti del Monte di Riscatto, nel fondo Regio Demanio (ASC), è stata rintracciata la ratifica di questa vendita, registrata il 03.09.1801; venne specificato che le 4 case erano state già assegnate al notaio Nicolò Martini il 14.04.1790; quest’ultimo affermò di aver fatto un’offerta per acquisire le 4 case per conto di un’altra persona che però non era più interessata; avevano alle spalle il presbiterio e il cortile di Santa Teresa; le prime due case erano composte da una stanza ciascuna, e prima di quella data erano abitate da Gabriele Denissa e Giuseppe Piras; la terza aveva una stanza terrena abitata da Maria Angius e sopra un mezzo solaio utilizzato dal mastro ferraio Marchisoli; la quarta era composte da una camera terrena abitata dallo stesso Marchisoli, ed una bottega con il piano superiore diviso in 4 camere ed un terrazzino (il tutto sopra la stanza terrena e la bottega), ed erano abitati da Angelo Farris.

Le case erano ancora di Giovanni Pau Braxa nel 1807, come risulta dal donativo della chiesa di Santa Caterina dei genovesi (che era proprietaria delle case di fronte ), e ancora nel 1814 risultano del Pau Braxa che ci viveva insieme alla moglie Rosa Urru e alla nipote Francesca Cilloco; Pau Braxa al di sotto dell’abitazione aveva una bottega di vino, grano, merci varie; continuò anche l’attività di sarto dentro la casa, che sicuramente aveva rinnovato e ampliato, unendo le 4 casette e utilizzando il prestito ottenuto nel 1798.

Nel 1814 Francesca Cilloco diede avvio a una causa civile contro gli zii, accusandoli di averla sempre trattata come una serva, e di aver sfruttato il suo lavoro, in casa e nella bottega; chiese pertanto un congruo rimborso, ma non ottiene nulla; la causa si trascinò fino al 1848 per l’ostinazione della Cilloco; nel frattempo nel 1821 era morta la zia Rosa Urru, accusata dalla nipote di essere un’ubriacona violenta e sospettosa; Giovanni Pau Braxa si risposò nel 1822 con Caterina Isola e, nel 1823, scrisse il suo testamento; non è nota la data della sua morte, ma si sa che la Cillocco nel giugno 1836 cercò di rivalersi sui suoi eredi;

Dal testamento scritto nel 1823 si apprende che i coniugi Pau Urru avevano avuto una sola figlia, Raffaela, premorta ai genitori; Giovanni Pau Braxa, che oltre la casa aveva altri beni immobili in Pirri, Sestu, Samassi, Quartucciu, lasciò diversi legati per messe, per opere religiose, e a suoi conoscenti; alla seconda moglie destinò solo alcuni “diritti”:  “li si dia l’anno di luto, e la cosiddetta migia Cambra secondo la mia qualità e secondo il disposto della Real Prammatica, senza entrare nel dubbio, se o no li sia dovuto per essersi maritata senza dote”; lasciò l’amministrazione dei beni al Prefetto della congregazione del Santissimo Sacramento eretta nella chiesa di S.Eulalia, e nel caso questo non volesse accettare, alla confraternita dell’Oratorio d’Itria eretta nella chiesa di S.Agostino.

Diede disposizione di vendere gli immobili dei villaggi e i mobili della casa di Cagliari, con i quali sarebbero stati pagati i debiti, e di saldare il censo di 2000 scudi a suo carico, la cui pensione veniva pagata dal 1798 agli eredi di don Emanuele Vivaldi; la casa di Cagliari invece, liberata dal censo, si sarebbe potuta cedere in enfiteusi con un canone del 5%; quel che fosse restato in denaro, una volta soddisfatti tutti i debiti, e i lasciti, sarebbe dovuto essere consegnato ai figli e figlie del defunto fratello Giacomo e della defunta sorella Francesca.

Dopo il 1850 la casa 2768 risulta appartenere a Giovanni Battista Cuneo che probabilmente già ci abitava dal 1844 con suo fratello Bartolomeo, come riferisce lo “Status animarum” della parrocchia di S.Eulalia; la casa 2769 apparteneva invece all’Oratorio della Vergine d’Itria, che forse l’aveva acquisita direttamente per la volontà testamentaria del Pau Braxa.

I negozianti nativi di Chiavari (GE) Giovanni Battista e Bartolomeo Cuneo, e le loro mogli Vincenza Mais (cagliaritana) e Angelina Bonivardi (genovese), abitavano tutti in via Principe Amedeo: i due uomini vi morirono il 14.07.1877 e il 14.03.1893, all’età di 57 e 71 anni rispettivamente; le due donne il 19.07.1907 e il 31.01.1903, all’età di 80 e 75 anni; in una casa di via Principe Amedeo morì il 21.04.1885 anche la cagliaritana Caterina Serra vedova di Giovanni Bonivardi “Custode del Civico Palazzo”, nativo di Saluzzo (CN), genitori di Angelina Bonivardi.

 

2770 e 2771/A   

I coniugi Pietro Scoffiè e Rosa Musu Porru erano i proprietari di una casa nella discesa del Portico di S.Rosalia, identificata con la parte di sinistra dell’unità 2771, e della piccola casa confinante, unità 2770; il primo documento che citi queste unità è l’atto del settembre 1798, citato nel precedente paragrafo, con cui Giovanni Pau Braxa ottenne 2000 scudi in prestito: vi si legge che le case Pau erano confinanti con quelle Scoffiè.

Pietro Paolo Scoffiè, mercante nativo di Livorno, probabilmente d’origine ligure o nizzarda, dichiarò la casa da lui abitata (2771, parte sinistra) nel donativo del 21.06.1799: era composta da un piano terreno con un magazzino, e due piani alti con 7 stanze e una cucina, e 2 mezzanelli con una stanza abitabile, 2 stanze del tutto scure, ed una per il domestico; pagava ad Anna Conti, moglie del notaio Giuseppe Cossu, un censo di scudi 1000 caricato sulla casa; Scoffiè era anche proprietario di una casuccia (2770) attigua alla precedente, con una stanza terrena ed un’altra stanza di sopra, molto vecchia, affittata a reali 18 mensili.

Pietro Scoffiè morì nella casa di abitazione, nella strada di S.Rosalia, il 19.03.1801, lasciando eredi la vedova Rosa Musu e i figli Chiara, Francesco e Ignazio.

Con atto notarile del 18.02.1803 gli eredi Scoffiè procedettero alla divisione dell’eredità; nel frattempo era morto anche il figlio più giovane, il negoziante Ignazio, laciando la vedova e due figli “pupilli”; la casa piccola, valutata in lire 1060, fu assegnata alla vedova Rosa Murru; era una casa a due piani (piano terreno e primo piano), acquistata dall’azienda ex-gesuitica nel 1790. La casa grande di 4 piani, acquistata il 14.06.1788 dalla vedova Anna Conti Serra, fu valutata lire 10067 e soldi 10, e divisa in 4 parti: una alla vedova Musu, una a testa ai figli Chiara e Francesco, l’ultima ai minori Pietro e Rosa Scoffiè, figli del defunto Ignazio.

Con atto del 23.04.1811 la vedova Rosa Musu Scoffiè, insieme ai suoi figli Chiara e Francesco, e alla nuora Francesca Carbonelli, vedova di Ignazio Scoffiè, cedettero la loro casa grande (2771, parte prima), per scudi 4000, al professore di chirurgia dottor Giovanni Battista Solinas, nativo di Alghero; la casa era ancora indivisa, ed è specificato che il defunto Pietro Scoffiè l’aveva comprata il 14.06.1788 dalla vedova Anna Conti Serra, per 4027 scudi, dei quali rimanevano da pagare ancora 1000 scudi con interessi al 5%; la casa acquistata era sita nella discesa del Portico di S.Rosalia, davanti alla casa che era stata del duca di San Pietro e poi del suo erede marchese di Villaclara (2755), di fianco aveva una casupola di proprietà della stessa vedova Musu (2770), sull’altro lato una casa degli eredi Olivar (2771, parte destra), dietro la casa degli eredi Cau (2772); il Solinas pose la condizione che venisse eliminato il carico di 1000 scudi di proprietà di Anna Conti, già vedova Serra, poi coniugata col notaio Giuseppe Cossu.

In data 18 febbraio 1813 il medico Solinas pagò 500 scudi alla vedova Scoffiè, per il saldo della casa acquistata nel 1811; in data 6 marzo dello stesso anno estinse un debito di 200 lire col monastero delle Cappuccine, capitale che gravava sulla stessa casa; quest’ultimo piccolo censo era stato creato dalla Reverenda Madre suor Maria Ursula Scoffiè, monaca cappuccina, altra figlia dei coniugi Scoffiè/Musu, a favore del monastero.

In data 09.01.1812 la vedova Rosa Musu ottenne un prestito di 100 scudi da Francesco Vodret; le occorrevano per riparare la casa di 2 piani che le era spettata nella divisione ereditaria del 18.02.1805; si trattava della casa 2770, confinante di lato e alle spalle con la casa già venduta al professor Solinas, e sull’altro lato con la casa del sarto Giovanni Pau; per garantire la restituzione del capitale Rosa Musu ipotecò la sua stessa casa; nel frattempo avrebbe pagato gli interessi al 6% al Vodret. Nell’atto notarile venne specificato che la casa era stata acquistata in pubblica asta con atto notarile del 22.12.1790; faceva parte dei beni dell’Azienda ex-gesuita.

Nell’inventario dei beni del defunto negoziante Francesco Vodret, del febbraio 1813, è compreso anche il censo di proprietà, corrispondente a un’ipoteca stipulata nel 1812, gravante sulla casa di Rosa Musu vedova Scoffiè, sita nella strada S.Rosalia; da notare il legame familiare fra Francesco Vodret e Rosa Musu, che gli era figliastra: sua madre Chiara Porru, rimasta vedova di Tommaso Musu, si risposò con Francesco Vodret, di cui fu la prima moglie.

Evidentemente negli anni successivi la proprietà della casupola passò agli eredi Vodret: infatti dopo il 1850 la proprietaria dell’unità 2770 era Angela Vodret vedova Lezzani, figlia di Francesco Vodret e della sua terza moglie Maria Grazia Isola.

 

2771/B                 

La parte destra di questa unità nel 1778 apparteneva al nobile avvocato Ignazio Cordiglia: lo si legge nel fascicolo di una causa civile iniziata quell’anno fra il Sindacato della Marina e il musico Antonio Liberti, proprietario della vicina casa 2803, sull’altro angolo della scalinata. Ignazio Cordiglia morì in Castello nel 1798, la casa fu ereditata dai suoi figli don Giuseppe (1743-1801) e donna Francesca (-1804) i quali, nel loro donativo (privo di data, probabilmente del 1799) dichiararono di possedere una casa indivisa sulla strada di Santa Rosalia, con una facciata sulla scalinata che scendeva alla sagrestia di S.Eulalia; la parte su S.Rosalia, con 7 stanze, era affittata a 40 scudi, mentre sulla scala si aprivano 2 bassi, entrambi di una stanza, affittati per 13 scudi e 8 reali.

Don Giuseppe Cordiglia morì nella sua casa del Castello, nella strada di Santa Croce, il 31.03.1801; lasciò tutti i suoi beni, a parte alcuni legati, alla sorella donna Francesca coniugata con don Giuseppe Olivar; quest’ultimo è citato, come proprietario della casa, in atto notarile del 16.03.1803 relativo alla casa 2754, sull’altro lato della via; è ovvia l'imprecisione: in realtà la proprietà era della moglie.

In un atto notarile del settembre 1801, relativo a un passaggio di proprietà della vicina casa Liberti, si legge che la casa 2771 apparteneva al monastero di Santa Caterina da Siena, e in precedenza era stata del defunto notaio Diego Ferreli: la moglie di Ignazio Cordiglia si chiamava Maria Teresa Ferreli, figlia di Giovanni Antonio; Diego poteva essere uno zio o il nonno, da cui Maria Teresa potrebbe aver ereditato; non è però comprensibile il riferimento al Monastero; infatti, in atti di anni successivi, fino al 1811, Francesca Cordiglia e i suoi eredi sono citati ancora come proprietari della casa 2771/b. 

Donna Francesca Olivar nata Cordiglia in data 28.08.1803 scrisse il suo testamento e il 05.09.1803 lo consegnò al notaio Giovanni Agostino Ligas; morì il 10.11.1804 e il notaio si recò in Castello, nella casa della strada Santa Croce dove abitava la defunta; aprì dunque il testamento e lo lesse alla presenza del marito don Giuseppe Olivar e delle figlie donna Giuseppa moglie di don Pietro Cervellon barone di Samatzai e donna Teresa moglie del cavaliere don Gaetano Bosinco; assente perché indisposta l’altra figlia donna Speranza, mentre suo marito don Agostino Salazar era fuori città; Donna Francesca chiese di essere sepolta nella chiesa del Monte, in Castello; nominò esecutore testamentario il marito, a cui lasciò l’usufrutto di tutta la biancheria, l’argenteria e tutti i beni mobili che le aveva lasciato suo fratello Giuseppe Cordiglia; gli lasciò inoltre l’uso delle stanze alte della casa di abitazione, dove il marito aveva il suo ufficio; alle figlie lasciò le case di proprietà: a Speranza la casa della strada Santa Croce in Castello; a Giuseppa una casa in Stampace; a Teresa la casa di due piani della Marina, strada di Santa Rosalia.

La proprietà Cordiglia/Olivar è confermata dall’atto notarile del 07.10.1811, con cui la casa venne ceduta al professore di chirurgia Giovanni Battista Solinas: si occupò della vendita l’avvocato Gavino Misorro di Tempio, come procuratore del cavalier Gaetano Bosinco di Castelsardo; questi era a sua volta procuratore di sua moglie donna Teresa Olivar, dimorante in Sassari; la casa proveniva dai beni della madre, donna Francesca Cordiglia, che la lasciò alla figlia col testamento del 05.09.1803; confinava da un lato con la casa ex-Scofiè (2771, parte prima), già acquistata dallo stesso Solinas il 23 aprile dello stesso anno, sull’altro lato con la casa Liberti (2802 e 2803), davanti con la casa del duca di San Pietro (2755, che aveva però già cambiato proprietario), dietro con la casa degli eredi del fu padre Antonio Cau (2772).

In un documento del Regio Demanio, del 20.04.1836, relativo alla casa 2755, questa aveva davanti la casa “dell’illustrissimo signor  cavaliere Don Gio Batta Solinas, professore di Chirurgia”.

Dai dati catastali di metà ‘800, l’intera unità 2771 risulta appartenere, a Teresa Solinas figlia del medico e chiururgo Giovanni Battista e di sua moglie Giuseppa Pons; Giovanni Battista morì a Cagliari nel 1841 all’età di 91 anni e fu sepolto nel cimitero di Bonaria; Teresa, coniugata col medico Luigi Ghera, ebbe almeno tre figli: Rosina nata a Sassari, si sposò col dottor Gaetano Ferdiani nel 1827; Angelina, nata a Cagliari, si sposò col commendator Francesco Mastio, morì a Cagliari a 89 anni in una casa di via Baille il 16.07.1902; Giovanni, nato a Sassari, si sposò con Efisia Satta nel 1841, morì a Cagliari in una casa di via Barcellona a 77 anni il 26.04.1898.

Da notare che nelle mappe novecentesche l’unità 2771 risulta ben più grande di quanto risulta nella imprecisa mappa di metà ‘800, mentre l’unità 2770 risulta molto più stretta e confinante anche sul retro con la stessa casa 2771.

 

2772     

Gli unici riferimenti certi, rintracciati per questa unità catastale, provengono da tre atti notarili del 1811: i primi due, entrambi del 23.04.1811, sono relativi alla vendita della casa Scoffiè (2771/a), e riportano la notizia che la casa alle spalle di quella, cioè l’unità catastale 2772, era degli eredi Cau; nel terzo atto, datato 07.10.1811 e relativo alla vendita della casa Olivar/Cordiglia (2771/b), è scritto che la stessa casa 2772 era del fu padre Antonio Cau. Si conosce l’esistenza di un padre Antonio Cao, ex-gesuita, morto nel 1807, e si sa che era figlio di Cosma Cao e Maria Chiara Piras; la madre morì vedova nel 1803, lasciando eredi il figlio Antonio, ex-gesuita, e la figlia Annica Cao vedova di Sebastiano Montixi.

E’ probabile che la casa 2772 provenisse dalla famiglia Piras: la sorella di Maria Chiara Piras, Anna Maria Piras vedova Saliner, nel suo donativo del 20.06.1799, presentato per lei dal dottor Francesco Rocco Corona (marito di Chiara Montixi Cao, figlia di Annica Cao Piras), dichiarò di possedere la casa di abitazione nella strada Barcellona (2940), una casa nella strada Gesus (2882), ed un’altra casa nella strada di Sant’Eulalia, composta da 6 stanze, cucina e magazzino, affittata per lire 133 e soldi 10 annui; è possibile che quest’ultima casa si trovasse in realtà nella strada dietro la chiesa, cioè l’attuale via del Collegio, e non nella strada che attualmene è chiamata via Sant’Eulalia; a rafforzare questa ipotesi, è stato rintracciato il fascicolo di una causa civile del 1767, nella quale il Capitolo Cagliaritano pretendeva dei soldi da Giambattista Saliner, marito di Anna Maria Piras, per delle pensioni arretrate su una casa sita nella Marina, nella “calle dicha la bajada de la escaleta dela calle de S.ta Rosalia”, cioè le scale che dalla strada del portico di Santa Rosalia scendono verso la chiesa di Sant’Eulalia, cioè l’attuale via del Collegio; le pensioni erano relative a un censo di 750 lire, con pensione annua di lire 45 (al 6%), stipulato il 18.11.1713 dai coniugi notaio Diego Piras e Juanna Ayraldo, genitori delle sorelle Piras. Questa casa, che si ipotizza sia la medesima del reverendo Antonio Cao, proveniva quindi dalla famiglia Piras/Ayraldo, tant’è vero che nella causa non era coinvolto soltanto il Saliner, ma anche sua moglie Anna Maria Piras con la sorella Maria Chiara.

Si sa che Anna Maria Piras Saliner, morta vedova e senza figli intorno al 1800, lasciò alla sorella Maria Chiara (-1803) la casa nella strada Barcellona (unità 2940), e dispose che la casa della strada Gesus (2882) andasse alla Comunità di Sant’Eulalia; la casa della strada S.Eulalia (sulla quale si pagava una pensione di 18 scudi, cioè 45 lire, la stessa cifra citata nella causa civile del 1767) sarebbe andata agli eredi; quest’ultima potrebbe essere proprio l’unità 2772, che arrivò ai fratelli Cao, nipoti del notaio Diego Piras, suo antico proprietario.

Con atto notarile del 03.10.1808 la vedova Annica Cao ricevette dal negoziante Salvatore Rossi (futuro barone) 300 scudi per i quali ipotecò la casa della strada Barcellona; aveva necessità della somma per eseguire urgenti riparazioni sia nella casa della strada Barcellona, sia nella casa della strada dietro Sant’Eulalia, entrambe di sua proprietà “in virtù della donazione tra vivi fatta dal fu sacerdote Antonio Cao suo fratello con atto notaio Pisà del 14.05.1803”.

Con atto del notaio Gioachino Mariano Moreno del 05.08.1809, il baccelliere Francesco Rocco Corona, Regio impiegato nell’ufficio del Controllo Generale, per conto di sua moglie Chiara Montixi e di sua suocera Anna Cao, si accordò con i muratori Giovanni ed Avendrace fratelli Piu per apportare miglioramenti per 200 scudi nella casa che le due donne possedevano nella strada dietro Sant’Eulalia, nelle vicinanze delle scalette che portano alla chiesa di Santa Rosalia; tutto questo senza impedire la prosecuzione dei lavori già in corso dal mese di maggio nella casa della strada Barcellona (2940), altra proprietà di Anna Cao.

Dai dati dell’antico Catasto, si sa che dopo il 1850 la casa 2772 apparteneva al medico di Gavoi Francesco Mastio figlio del fu Pietro; era Ispettore del Corpo Sanitario Militare, e vi morì a 64 anni il 01.04.1868; da notare che Francesco Mastio era sposato con Angelina Ghera, figlia del medico Luigi e di Teresa Solinas, quest’ultima figlia del medico Giovanni Battista, proprietario della casa confinante 2771.

 

2773 e 2774          

La storia di queste due aree è sicuramente legata alla compagnia dei Geusiti e al collegio di Santa Teresa; attualmente in loro corrispondenza, sulla strada del Collegio, si apre l’ingresso della scuola media intitolata a Giuseppe Manno.

All’unità 2774 si affianca un’altra grande area, priva di numero catastale, di forma irregolare, che sulla pianta ha uno sbocco sulla strada del Collegio e uno nella strada di Santa Teresa (attuali via e vico del Collegio); vi era l’ingresso al cortile del collegio di Santa Teresa, e tutt’ora vi è il grande portale che introduce al cortile che in passato doveva essere più grande; sicuramente, vi sorsero diverse costruzioni, poi forse demolite e poi ricostruite, appartenenti a diversi proprietari, a seguito dello scioglimento della Compagnia di Gesù.

Una parte dell’unità 2774 apparteneva al Gremio di Sant’Elmo: l’ipotesi nasce da quanto è scritto in un atto del 1792, con cui il Reverendo Raphael Martiny, economo e amministratore della Casa di Exercicios stabilita nella chiesa di S.Teresa, concesse in locazione per 3 anni a Pasquale Corrias alias Lilliu una casa grande nella strada della “Porteria de dicha iglesia de S.Teresa”, confinante da un lato con una casa del Gremio de San Thelmo; uguale informazione si ha da un atto del 1798, relativo alla casa del Sepolcro 2959, che aveva davanti la casa degli esercizi di Santa Teresa e una casa del Gremio. Sarebbe la stessa casa che il Gremio di Sant’Elmo (o San Thelmo, o Sant’Erasmo) dichiarò di possedere nel suo donativo (non datato): una casa nella strada di Santa Teresa, composta da piano terreno e due piani alti, ognuno con una sala e due stanze; se ne ricavavano lire 150 annue.

In un atto notarile del 1805, relativo alla casa Sciaccaluga 2779, sono stati trovati dei riferimenti alle confinanti proprietà del Monastero di Santa Chiara, della chiesa di Sant’Eulalia e dei padri Mercedari, da situare nella unità senza numero sottostante l’unità 2774: la casa appartenente a S.Eulalia è da collocare lateralmente alla casa 2779; la casa di Santa Chiara è da collocare nelle vicinanze della casa 2775, e oltre che nell’atto notarile del 1805, è citata anche nella dichiarazione per il donativo del 1807 del Capitolo, proprietario della casa 2775; potrebbe identificarsi con una delle 4 case site nella “strada dietro la chiesa di Sant’Eulalia”, dichiarate dal monastero nella denuncia per il donativo del 1799.

La casa dei padri Mercedari, chiamata “Siete Fuentes” sarebbe da collocare al di dietro della casa 2779, il suo accesso poteva essere dal cortile dell’azienda ex-gesuitica; è forse da identificarsi con la casa sita nella strada S.Eulalia (dietro la chiesa) concessa dai padri Mercedari in enfiteusi per lire 75 annue alla vedova Cristofora Vinci Girò.

Dopo il 1850 entrambe le unità 2773 e 2774 appartenevano al Collegio di Santa Teresa.

 

2775     

Apparteneva al Capitolo Cagliaritano, come si evince, con qualche incertezza, da tre atti notarili dell’aprile 1797, dell’aprile 1798, e del luglio 1805, relativi alle casa 2776 e 2779: dovrebbe identificarsi con la casa Ruvera, che il Capitolo denunciò nel suo donativo del 1807, composta da un piano terra e un primo piano con 3 stanze.

Dopo il 1850 apparteneva ancora al Capitolo.

 

2776     

Nella notte fra il 15 e il 16 dicembre 1788 morì il negoziante Juan Phelipe Pinna; il 03.01.1789 fu iniziato l’inventario dei suoi beni, alla presenza degli eredi: i figli dottore in diritto Priamo, Pablo, Maria Anna (coniugata con Paolo Maurizio Arthemalle), Ramon e Juannico Pinna; la sua vedova, cioè la sua quarta moglie Juannica Facio, nominata tutrice dei figli “pupilli” Efisia, Joseph Andres, Effis, e Angela Pinna; fra i beni del defunto vi era anche una casa situata nella strada alle spalle della chiesa di Santa Teresa, valutata scudi 570; la casa è stata identificata con l’unità catastale 2776, grazie ad altri documenti successivi; da un atto di aprile 1797 questa casa risultava infatti appartenere agli eredi del defunto Gio Filippo Pinna, ed era composta da un piano terreno e due piani alti; fu sequestrata agli eredi Pinna, ed in quella data venne aggiudicata in pubblica asta, per 770 scudi, al notaio Francesco Frau Calvo; l’anno successivo, con atto del 21.04.1798, il notaio Frau Calvo la cedette ad Antonio Scarpinati, sostituto avvocato fiscale; conferme sulla proprietà Scarpinati arrivano da un atto notarile del 14 agosto 1807 relativo alla casa 2496, e dal donativo dello stesso anno 1807 del Capitolo Cagliaritano, proprietario della casa 2775.

Dopo il 1850 apparteneva al Regio impiegato Nicolò Gorlero, nato nel 1813, figlio di Pasquale.

 

2777     

Dal 1797 e fino al 1805, dalle stesse fonti che citano le case precedenti, la casa 2777 risulta appartenere all’Arciconfraternita del Sepolcro; fu inclusa nel 1807 nella dichiarazione per il donativo dell’Arciconfrternita, descritta come casa di 2 facciate e 2 piani, con 2 sottani.

Dopo il 1850, dai dati del Sommarione dei Fabbricati, risulta appartenere ancora alla stessa Arciconfraternita.

 

2778     

Era la casa Soglio (o Solio), citata nel donativo del 1807 dell’Arciconfraternita del Sepolcro in quanto confinante con la casa 2777.

La famiglia Soglio viveva nel Castello, dove nacque sia il medico Giacomo (1747-1806) figlio del piemontese Andrea Soglio e della cagliaritana Maria Francesca Palmas, sia i suoi figli avuti con Maria Antonia Denegri (-1805).

Giacomo Solio morì il 28.03.1806; la moglie Maria Antona Denegri era già defunta nel 1805, loro eredi erano i figli Antonio, Guardia del Corpo di Sua Maestà, e i minori e pupilli Rita, Francesca, Efisio, Giuseppe, Giovanni e Cecilia.

Il 03.01.1807 l’avvocato Don Raimondo Melis fu nominato curatore e tutore dei minori, e in data 13.01.1807 il notaio Raimondo Piras diede inizio all’inventario dell’eredità, con l’aiuto del figlio maggiore che aveva amministrato i beni dei genitori dopo la morte del padre, alla presenza di tutti i figli; la stima dei beni mobili fu di lire 2943, soldi 2, denari 11, al netto delle spese per il funerale, spese mediche e notarili, spese per il curatore, spese di vestiario e giornaliere per il mantenimento della famiglia dopo il 28 marzo 1806, e spese per l’affitto di casa da quella data; la casa di abitazione, della famiglia, per la quale si pagava l’affitto, era in Castello di lato alla porta dell’Aquila (probabilmente ci si riferisce alla porta della torre del Leone, inclusa attualmente nel palazzo Boyl, erroneamente chiamata in quel periodo torre dell’Aquila); faceva invece parte dell’asse ereditario una casa (2778) nel quartiere della Marina e strada di Santa Teresa, alle spalle della chiesa di S.Eulalia, proveniente dalla dote di Maria Antonia Denegri; nell’inventario si fa riferimento al titolo d’acquisto della casa da parte del falegname Marco Antonio Denegri (-1765) padre di Maria Antonia, del 06.08.1757; si fa rifermento anche ai capitoli matrimoniali firmati dalla vedova Maria Clara Denegri nata Pisano (madre di Maria Antonia Denegri) a favore dei giugali Giacomo Solio e Maria Antonia Denegri, e alla ricevuta dotale firmata da Giacomo Solio a favore di sua moglie; gli ultimi due documenti del notaio Raimondo Doneddu, datati 01.01.1775.

E’ stata trovata un’altra citazione della casa Solio in una causa civile del novembre 1818, quando “Rita e di più fratelli e sorelle Solio” ottennero che la vedova Teresa Deidda Linguardo (o Lingurdo), che doveva pagare alcuni affitti scaduti, liberasse la loro casa. 

Dopo il 1850 la casa 2778 apparteneva ancora a Rita (1782-), Francesca (1783-1869) e Cecilia (-1868) Soglio; Cecilia e Francesca vi morirono nubili il 29.02.1868 e il 13.01.1869.

 

2779     

Questa casa è citata nell’atto notarile del 01.04.1797, relativo alla casa 2776, e apparteneva al negoziante Joseph Sciaccaluga; questi morì nell’ottobre dello stesso anno; nell’inventario dei suoi beni, fatto nel febbraio 1798, si legge che la casa in calle di S.Teresa era la stessa che il mastro sarto Pedro Pablo Manca comprò il 22.08.1790 dall’Azienda ex Gesuitica per £ 1800, con atto notarile del dottor Domenico Pasero segretario dell’Azienda; il Manca, che agiva per conto di Giuseppe Sciaccaluga, cedette immediatamente a quest’ultimo la casa appena comprata.

Alla morte di Joseph Sciaccaluga la sua eredità fu divisa in 3 parti con atto Aru del 05.07.1798, fra Anna e Giuseppa Sciaccaluga, sorelle del defunto e le eredi del defunto fratello Juan, cioè Paola e Raimonda; la casa 2779 restò però indivisa; poco tempo dopo morì anche Raimonda, e tutti i suoi beni restarono alla sorella Paola.

Nel donativo (senza data, ma dovrebbe essere del 1799) presentato congiuntamente da Anna, Giuseppa e Paola Sciaccaluga, venne dichiarata una casa nella contrada della “porteria” di Santa Teresa composta da un basso e un cortile, con 3 stanze e cucina al piano alto; era stata comprata in enfiteusi e si pagavano scudi 36 annui (cioè 90 lire, il 5% del valore della casa) all’azienda ex-gesuitica; rendeva d’affitto scudi 50 annui.

Il 19.07.1805 le sorelle Anna e Giuseppa Sciaccaluga cedettero la loro quota di casa e cortile alla nipote Paola Sciaccaluga, sposata con Giuseppe Campi (o Campus); pochi giorni dopo, il 24 di luglio, Paola Sciaccaluga ottenne un prestito di 750 scudi con pensione annua di 41 scudi e ¼ (al 5,5%) dal reverendo Domenico Pittaluga, ipotecando come garanzia la casa della strada di S.Teresa.

I coniugi Campi-Sciaccaluga (o Xaccaluga) fecero costruire nel cortile due grandi sottani con una loro recinzione e il forno in ogni sottano; spesero 805 lire 5 soldi come da ricevuta del muratore Joseph Esquirru del 17.07.1806.

Nel suo donativo del 1807 l’Arciconfraternita del Sepolcro, proprietaria della casa 2777, indicò Perico Campus come proprietario della casa 2779: si tratta di una svista, infatti il nome (un poco più corretto) sarebbe dovuto essere Pepico Campus, cioè Giuseppe Campi, marito di Paola Sciaccaluga; quest’ultima informazione è in contraddizione con quanto invece è scritto nella dichiarazione per il donativo del Capitolo Cagliaritano, presentata due giorni dopo quella dell’Arciconfraternita del Sepolcro: infatti secondo la dichiarazione del Capitolo (che possedeva la casa 2775) il proprietario della casa 2779 era il reverendo Domenico Piccaluga; un atto del notaio Francesco Demontis, del 30.08.1806, dà ragione al Capitolo: infatti in quella data Paola Sciaccaluga, moglie di Giuseppe Campi, vendette al reverendo Domenico Piccaluga, cappellano maggiore della chiesa di Santa Caterina martire, la casa della strada Santa Teresa, ereditata dallo zio Giuseppe Sciaccaluga, il quale l’aveva acquistata dal mastro Pedro Paolo Manca. Si trattava di una casa che un tempo aveva un “sotano” al piano terreno e un piano alto, e che al momento della vendita aveva tre sottani e il piano alto; fu venduta per 1100 scudi (comprensivi del debito verso il Piccaluga) cioè lire 2750, nonostante fosse stata appena valutata in lire 2934, soldi 11 e denari 2.

Dopo il 1850 apparteneva al Collegio di Santa Teresa.