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Isolato S1: vico S.Eulalia/Monserrato/Gesus/Pagatore

(via dei Pisani, via Lepanto, via Cavour, via Arquer)

numeri catastali da 2866 a 2877

l’isolato è notevolmente modificato a causa della presenza del parcheggio limitrofo al palazzo del Consiglio Regionale: hanno tenuto la struttura originale solo le case della parte più alta, sulla via dei Pisani.

 

2866     

E' citata più volte nella causa dell’eredità Ravagli [1]: in un atto del 1797, riportato nel fascicolo di quella causa, viene ricordato un atto del 1753 col quale era stata accesa un’ipoteca sulla proprietà Ravagli, allora Del Vechio; le case Del Vechio confinavano con la casa 2866 che in quell’anno apparteneva a Thomas Zonca, e prima ancora a Sebastiano Demart.
Un documento dell’archivio di S.Eulalia relativo alla casa Recupu (2821), datato 1762, ci informa che in quell’anno la casa 2866, frontale alla 2821, apparteneva ad Antonio Segnorini; quest’ultimo era coniugato con Giovanna Zonca, probabilmente figlia e/o erede di Thomas Zonca; in una causa civile del 1785 relativa alla casa 2877 (proprietà Del Vechio, poi Marramaldo, poi Ravagli), la casa 2866 è di “Antonio Signorini ossia di sua moglie”.

Nell’atto del novembre 1797, con cui Agostino Ravagli ipotecò le sue case, la casa 2866 apparteneva al Reverendo Franchino (che è chiamato Joseph, ma il nome esatto era Alberto), e in altro atto del novembre 1799, relativo alla vendita della casa 2855, è confermato che la casa 2866 era dello stesso reverendo Alberto Franchino.

Un atto notarile del 24.08.1807 ricostruisce la storia della casa: in data 04.09.1787 Juana Mazuzi Zonca, vedova di Antonio Segnorini, la vendette per lire 2056 e 5 soldi al mercante Francesco Franquino; era gravata da un censo di 750 scudi di proprietà del Noviziato delle Scuole Pie, che fu pagato ed eliminato in quell’occasione; nel 1807 il reverendo Alberto Franchino, proprietario della casa, (e di cui non si conosce l’esatta parentela con Francesco Franquino), la cedette al protomedico Pietro Alciator, in cambio di due censi di proprietà dell’Alciator di 700 scudi in tutto; la casa era formata dal piano terra con 3 sottani, uno nella strada del Pagador con cisterna e pozzo, gli altri due nel callejon (cioè nel viottolo, l’attuale via dei Pisani), e un piano alto con sala e alcova, una piccola cucina, un’altra piccola alcova, e un altro piccolo mezzo piano superiore.

Il medico Alciator morì nel 1811 senza eredi diretti; col suo ultimo testamento del 24.12.1806 (e successivo codicillo del gennaio 1811), aveva nominato eredi la sua stessa anima, la sorella Maria Antonia e il reverendo (Salvatore) Mirello (o Merello), beneficiato di Sant’Eulalia (il quale era però morto dal 1809); nominò curatori la stessa Maria Antonia e il reverendo Mirello, di fatto eredi di tutti i suoi beni (e quindi la sorella unica erede, data la morte del sacerdote), a parte qualche legato; nel testamento venne specificato che nella casa della strada del Pagatore vi erano 3 sottani, nei quali abitava tale Baquis Boy; l’Alciator ne lasciò uno a Paulina Rais, che lo serviva da tanti anni.

Nel fascicolo della causa sull’eredità Ravagli (nell’estimo delle sue proprietà immobiliari, fatto il 16.05.1817), la casa 2866 risulta appartenere alla Comunità di Sant'Eulalia.

Nel fascicolo di una causa del 1835 relativa all’eredità del barone Vincenzo Otger (1797-1834), che aveva acquisito diverse proprietà di Agostino Ravagli (fra cui la casa 2867), la casa 2866 risulta della Comunità di Sant’Eulalia che ne era ancora proprietaria dopo il 1850.


[1] ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 54, busta 374, fascicolo 4825

 

2867, 2868, 2876, 2877                    

Queste 4 unità catastali formavano la proprietà Del Vechio, poi di Domenico Marramaldo; nell’inventario del 20.09.1778 dei beni del defunto Marramaldo si cita la casa grande, con la facciata e l’ingresso sulla strada di Fra Luis Grech, ossia la discesa del Monserrato, composta da due piani alti e da due magazzeni, comprendente le unità catastali 2877, 2876 e 2868; in quest’ultima, sporgente verso la strada del Pagatore, sembra che ci fossero i locali di servizio, cucine e altro. Nello stesso inventario viene anche citata un’altra casa, confinante con la precedente, identificata con l’unià catastale 2867, composta da due piani alti e un sottano. 

In una causa iniziata nel 1785, la Causa Pia di Gesico citò gli eredi del fu Domenico Marramaldo per pensioni scadute e ipoteca di cui si era onerata la fu Teresa Del Vechio il 31.10.1741; l’ipoteca gravava “sulla casa grande (cioè la casa 2877) che essa possedeva, situata nel sobborgo della Marina, strada Delvechio ossia di Fra Luis Grech, ed è la stessa casa che possiedono detti fratelli Marramaldo”; in data 25.04.1783 la Causa Pia e gli eredi Marramaldo giunsero a un accordo per sistemare i carichi pendenti, e fu rinnovata l’ipoteca “sulla stessa casa della quondam Teresa Delvechio nella strada Delvechio ossia di Fra Luis Grech, che confina da maestrale con casa di Giuseppe e Giovanna Boy giugali Tocco Mallus (2878),....... e con casa del R.do Raimondo Vacca (2879), strada Del Vechio mediante; da tramontana con casa di donna Maddalena Ventimiglia (2822) mediante la strada stretta del Ceppo (attuale via dei Pisani), da levante con casa di Antonio Segnorini ossia di sua moglie (2866), e con altra casa d’essi minori Marramaldo (2867) che corrisponde alla strada del Pagatore”.

Nella causa sull’eredità Ravagli iniziata nel 1818[1], è riportata copia di un atto notarile del 14.11.1797, col quale la Comunità di S.Eulalia riconobbe di aver ricevuto da Agostino Ravagli la somma di 410 lire 12 soldi e 6 denari, a estinzione del censo di cui si era onerata il 13.06.1753 Theresa Delvecho sopra la “casa chica ensostrada” (cioè la piccola casa con almeno un piano alto sopra il piano terreno) che la medesima possedeva nella strada del Pagatore (casa 2867), che aveva davanti la casa di Luis Usay (2854), per un lato la casa del reverendo (Alberto) Franquino (2866), dall’altro lato e per le spalle la casa grande del detto Ravagli (2877 e 2868); il Ravagli aveva comprato la casa dai fratelli Ramon, Francesca, Juan, e Antonio Marramaldo, con atto del notaio Domingo Satta del 31.01.1787.

Nella causa Ravagli, è inoltre nominato un non identificato don Battista Girau, proprietario seicentesco della casa, precedentemente ad Antioco del Vecchio, padre di Teresa.

Ulteriori conferme si hanno dall’inventario dei beni di Giuseppe Tocco Mallus, morto nel 1792, proprietario della casa 2878, confinante, strada dei Preti per mezzo, con la casa detta di “Li veccio” cioè di Del Vechio.

Con atto del 14.11.1797 il negoziante Agostino Ravagli ottenne 3000 scudi a censo dalle sorelle Thomasa, Angela (1724-), Teresa (1732-), Raimonda (1727-) Carnicer, suore di Santa Lucia e della Purissima Concezione, e dalla loro cognata donna Luisa Ripoll; vengono sottomessi a censo, cioè ipotecati, i beni che il Ravagli aveva comprato dagli eredi del fu Domingo Marramaldo nel 1787, fra cui una casa grande in calle di fra Luis Grech (2877 e 2876 con la 2868), altra piccola casa nella calle del Pagador (2867), e altri beni; la casa grande aveva di fronte la casa del reverendo Ramon Vacca (2879) calle mediante, e casa degli eredi del fu Joseph Mallus Tacada (2878); da un lato, mediante “el callejon por donde se pasa dala calle de fray Luis Grech a la calle del Pagador”, aveva davanti le case dell’eredità Vintimiglia (2822), dall’altro lato aveva la casa del Monastero delle Cappuccine, abitata dal notaio Carlo Rossi (2875)....., e per le spalle, calle del Pagador mediante, confinava con la casa del segretario Doneddu (2865); un patio della medesima casa grande affrontava la casa del reverendo Franquino (2866); una porzione di detta casa era l’antica cucina (2868), e dava alla calle del Pagador.

L’altra casa sita in calle del Pagador (2867), al lato dell’antica cucina, affrontava da un lato a casa del Franquino (2866), davanti una casa di Luis Usay (2854), calle mediante, per le spalle la casa grande (2877).

Tutti i descritti beni furono venduti il 31.01.1787 dai fratelli Marramaldo ad Agostino Ravagli, con atto del notaio Satta; erano già stati ipotecati dal defunto Antiogo Del Vecho, cavaliere e notaio, e dopo la sua morte passarono alle figlie superstiti Teresa e Caterina, come da testamento del 12.02.1705.

Dopo la morte di Antioco Del Vecchio, sua moglie Caterina Floris cedette una parte di casa a Domenico Marramaldo (atto del notaio Francesco Dias del 11.11.1727) e il prezzo servì per pagare i fratelli Antonio, Pedro Francesco, Rosolia, Teresa e Anna Bonenchi, come figli ed eredi della loro madre Caterina Del Vecchio (coniugata nel 1699 col veneziano Bernardo Bonenchi), come loro porzione della eredità del nonno Antioco Del Vecchio.

Il resto della casa rimase a Teresa Del Vecchio che, col suo testamento del 08.12.1763, istituì erede suo nipote Domenico Marramaldo[2] e legò alle nipoti Josepha, Annica, Lilia(?) e Caterina Marramaldo, l’usufrutto e l’abitazione.

Per cui tutti i beni di Antioco Del Vecchio arrivarono a Domenico Marramaldo Bonenchi, compresa quella porzione comprata nel 1727 dal nonno Domenico Marramaldo; Domenico (junior) morì intorno al 1779 e lasciò i 5 figli, Juan, Antonio, Ramon, Francesca, Ignazio, sotto la tutela della loro madre, la vedova Josepha Piana.

I fratelli Marramaldo Piana vendettero i loro beni ad Agostino Ravagli, loro curatore, il 31.01.1787.

Vi sono altri documenti del 1798, del 1800, del 1807, del 1811, che confermano la proprietà Ravagli, senza aggiungere altri dati, e nel suo donativo del 1799 il Ravagli elencò, molto confusamente, tutte le sue proprietà, fra cui 4 diverse case nella contrada del Pagatore una delle quali era una porzione della “casa grande” che dava su tre contrade, cioè la strada del Pagatore, la strada Del Vechio, e la traversa fra dette due strade (cioè l’attuale via dei Pisani), tutta affittata a diversi inquilini, mentre il Ravagli, abitava in un'altra casa di sua proprietà, nella contrada di Santa Rosalia.

Agostino Ravagli, come già detto più volte, morì il 01.05.1817; abitava in quell’anno nella casa Delvechio, nella strada Delvechio o di Monserrato (detta anche dei Preti o di Fra Luis Grech, attuale via Lepanto), e pochi giorni dopo il notaio Francesco Antonio Vacca iniziò a stilare l’inventario dei suoi beni, come di consueto partendo dalla casa di abitazione.

La casa grande venne stimata dai periti muratore e falegname in lire 10383 e un soldo; poi venne periziata la casetta sulla strada del Pagatore (2867), che era confinante alla cucina della casa grande (2868), e fu stimata lire 1177, soldi 10 e denari 10.

Il Ravagli nominò erede universale la sua anima, e diede l’incarico di esecutore testamentario e amministratore dei suoi beni al priore del convento dei Carmelitani, lasciando in pratica i suoi beni al convento, a parte diversi legati lasciati alle sorelle e ai nipoti; la causa del 1818 ebbe inizio perché il convento dei Carmelitani trascurò di pagare alcune pensioni alla chiesa di Santa Caterina e San Giorgio, che non tardò quindi a ricorrere al tribunale. Oltre al testamento ed all’inventario dei beni la causa ci fornisce anche l’elenco degli affittuari del Ravagli, e nel 1817 risulta che la casa Del Vechio (ancora così chiamata) avesse i seguenti: nella strada di Monserrato il negoziante Priamo Graziani aveva in affitto un magazzino; Girolamo Caddeo un “sòttano”; Stefano Paravagna e Salvatore Piras il piano sopra il magazzino; il “sòttano” sul retro (strada del Pagatore) l’aveva Gio Antonio Melis, mentre il “sòttano” del vicolo (la traversa) lo aveva la zitella Giovanna Lai; un altro “sòttano” lo aveva Francesca Pettinau vedova di Priamo Cocco; un altro piccolo “sòttano” a fianco dell’entrata della casa lo avevano i facchini Antonio Lioni e Giovanni Serra, mentre in un piccolo piano sopra detto “sòttano” abitavano la vedova Rosa Lai e il marinaio siciliano Marco Turri; in una stanza a cui si accedeva dalle scale dell’entrata abitava il calderaro Pasquale Bottero; nel piamo nobile, una stanza era abitata da Raffaele Marras, un’altra stanza dal marinaio siciliano Simone Fenga; nel mezzanello una stanza era abitata da Sberto Giagaloni, e 3 stanze dal marinaio Raffaele Porrà, dal marinaio napoletano Pietro Tramontana e da Paolo Turri; un’altra stanza era affittata al pescatore siciliano Vincenzo Balelonga (Vadilonga), e un’altra al pescatore Bartolomeo Orbano; in un “sòttano” sulla strada del Pagatore (casa 2867) abitava il tavernaro Marco Manca, nel piano superiore il marinaio napoletano Giuseppe Giudici e in un “sòttano” al lato il "panataro" Carlino Barbi.

In data 19.07.1819 uno dei legali dei creditori di Ravagli affermò che l’eredità era tanto gravata da legati e da pesi (censi e pensioni) che non era possibile pagare i debiti, per cui invitò il tribunale a procedere con la vendita all’asta delle proprietà; nel febbraio di quello stesso anno il convento dei Carmelitani aveva rinunciato alla amministrazione e cura del testamento, e altrettanto fece il procuratore generale delle Caus Pie, con lettera dell’arcivescovo del 21.03.1821. Si cercò di coinvolgere alcuni parenti, fra i legatari, che non erano però in grado di affrontare le spese di una lunga causa.

Fra le carte della causa Ravagli, composta da più fascicoli, non si è trovata la sentenza o una decisione del tribunale in merito a una vendita all’asta; è probabile però che tale vendita debba esserci stata, perché da una causa civile del 1834 la casa Del Vechio, poi Ravagli, risulta appartenere all’eredità del barone Vincenzo Otger, che risultava essere nel 1817 uno dei principali creditori del Ravagli, avendo probabilmente ereditato dalla madre, donna Maria Luisa Ripoll[3], il censo che essa vantava sulla proprietà Del Vechio dal 1797, e forse anche quelli appartenenti alle sue cognate suore Carnicer.

Il barone Vincenzo Otger (1797-1834) morì senza discendenza alle 10 di sera del giorno 5 marzo 1834; col suo testamento, consegnato al notaio il 03.03.1834, lasciò all’Ospedale la casa grande nella Marina e strada dei Preti, casa denominata di Delvechio, e anche la casa nella strada del Pagatore, casa detta del Forno (case 2876, 2877, 2867 e 2868).

Dopo il 1850 le case 2876 e 2877 sulla strada dei Preti e le case 2867 e 2868 nella strada del Pagatore appartenevano tutte all’Ospedale Civile. 



[1] ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 54, busta 374, fascicolo 4825

[2] Domenico era figlio di Ignazio Marramaldo e Rosalia Bonenchi coniugati nel 1733; suo nonno era il suo omonimo Domenico Marramaldo, già proprietario di una parte della casa dal 1727

[3] donna Luisa Ripoll Salazar, vedova Carnicer, aveva sposato in seconde nozze, nel 1789, il barone Francesco Otger

 

2869     

Da un atto notarile del 24.03.1759, relativo alla vendita della casa 2870, risulta che l’unità 2869 appartenesse (almeno in parte) al cavalier Juan Bauptista Sahiu residente in Selargius, proprietario anche della casa 2870.

Entrambe le case 2869 e 2870 provenivano dall’eredità di Maria Felicia Sahiu nata Lostia, la quale, nel suo ultimo testamento del 31.10.1725, nominò eredi i suoi figli Giovanni Battista, Teresa e Maria Francesca Sahiu; nel riferito atto del marzo 1759 è scritto che la casa 2870, oggetto della vendita, faceva parte della quota ereditaria di Giovanni Battista; non è specificato a quali eredi fosse toccata la casa 2869; in quell’anno erano ancora in vita Giovanni Battista e Teresa, vedova del dottore in diritto e cavaliere Gavino Carta, mentre Maria Francesca era defunta e le erano subentrati nell’eredità i figli, cioè i fratelli Vacca Sahiu: il dottore in diritto Antonio, Maria Caterina coniugata a Giovanni Antonio Cassinis, Orosia coniugata col dottore in diritto Gavino Mulargia giurato terzo della città di Cagliari, e Maria Agostina.

Da atto notarile del 14.11.1797, relativo alle case Del Vechio (numeri 2867, 2868, 2876, 2877), la casa 2869 sembra identificarsi con una proprietà dei Padri Cappuccini di San Benedetto; il dato trova un'unica conferma in atto del 01.06.1810 relativo alle frontali case Racca 2870 e 2871; da atto del 1806, relativo alle stesse case 2870 e 2871, risulta che quella con numero 2869 fosse appartenuta anni prima al fu reverendo Giuseppe Salinier; non si hanno molte notizie su questo sacerdote, morto nel 1773, e non si è trovato nessun aggancio familiare fra i Sahiu e i Salinier; nell’atto del 1806 non è nemmeno riportato l’ultimo proprietario.

Dai dati di metà ‘800 contenuti nel Sommarione dei Fabbricati risulta che appartenesse al vermicellaio (pastaio) Gaetano Passalacqua, figlio del fu Domenico. In una casa della via Pagatore, presumibilmente quella di cui si parla, morì nel 1868 il sacerdote beneficiato Giuseppe Passalacqua, figlio dei defunti Gaetano e Rita (o Ignazia?) Ajtano.

 

2870 e 2871       

Fra i documenti dell’”Archivio Ballero”, conservato all’Archivio di Stato di Cagliari, vi è una raccolta di atti notarili relativi a compravendite di diversi immobili; fra questi ve ne sono diversi che riguardano le case 2870 e 2871.

Nell’atto del 08.08.1751 relativo all’acquisto da parte di Carlo Martini della casa 2540, all’angolo fra le strade Gesus e Pagatore, questa aveva davanti, sul lato della strada Gesus, una casa del convento di Bonaria (2871).

Con atto notarile del 22.01.1757, i Padri della Vergine SS.ma della Mercede del convento di Bonaria vendettero, per 400 scudi a censo onerativo, la casa (2871) sita nella Marina e calle di Jesus a Geronimo Massey; confinava davanti con casa nuova di Carlos Martin, calle di Jesus mediante, da un lato con la casa che possedeva la vedova Juanna Braxa (2872), dall’altro lato con casa di Joseph Antonio Bruno (2862) calle del Pagatore per mezzo, e di spalle con casa del dottore in diritto Eugenio Bono; la casa di quest’ultimo era con tutta probabilità una parte della stessa casa 2871, la quale appare nelle mappe catastali di dimensioni tali che è assolutamente probabile che derivi dall’unione di due case; si sa che la casa di Eugenio Bono fu acquistata il 24.03.1759 dallo stesso Massey [1].

A conferma di questo, con atto notarile di stessa data (24.03.1759), il Misuratore Generale Geronimo Massey comprò dal cavalier Juan Bauptista  Sahiu residente in Selargius la casa (2870) “de un patio y de un sostre”, cioè con un cortile interno e con un primo piano, sita nella strada del Pagatore, che aveva davanti la casa della vedova Maria Ignacia Virdis (2864) calle del Pagatore per mezzo, di spalle la casa del fu Reverendo Chimenes e poi dei suoi eredi (2875), da un lato la casa dello stesso Massey (casa 2871, cioè la parte appena acquistata da Eugenio Bono), dall’altro lato con altra casa del medesimo Juan Bauptista  Sahiu (2869).

La casa 2870 proveniva dall’eredità di Maria Felicia Lostia, vedova Sahiu, i cui eredi, come è specificato nel suo ultimo testamento del 31.10.1725, erano le figlie Teresa e Maria Francesca e il figlio Giovanni Battista; con la successiva divisione ereditaria la casa 2870 spettò a Giovanni Battista; era una casa piccola, valutata solo 146 scudi, e il Massey si offrì di pagarne 200 scudi, che restarono caricati sulla casa con una pensione annua al 6% di 12 scudi.

In data 07.01.1760 Geronimo Massey ottenne 500 lire, e in data e 23.06.1762 altre 1000 lire, da Giuseppe Racca, con ipoteca della sua casa (2871) in calle di Gesus.

Il 17.03.1768 Joseph Racca, chirurgo maggiore dei Dragoni, vendette i due censi di 200 e 400 scudi (cioè di 500 e 1000 lire) sulla casa Massei (2871) al Monastero della Purissima Concezione; la casa, che era di “dos patios y dos sostres”, cioè con due cortili interni e due piani sopra il terreno, aveva gli stessi confini specificati negli anni precedenti. I censi tornarono di proprietà del Racca con atto notarile del 22.04.1778.

In data 24.11.1796 morì la seconda moglie del Massey, Maria Francesca Godò, madre di Ursula Racca; il 31.12.1796 il “Regio Medidor General Geronimo Massey” donò la sua casa (2871) alla figliastra Ursula Racca; questa era destinata a ereditare i beni dello zio Joseph Racca e del patrigno Gerolamo Massey, entrambi senza figli. Intanto la casa piccola sulla strada del Pagatore era diventata sua con la morte della madre, in quanto nel 1773 Joseph Racca l’aveva comprata dal Massey per 1125 lire e il 08.04.1783 l’aveva donata alla cognata Maria Francesca Godot, vedova di suo fratello Luis, risposata col vedovo Gerolamo Massey.

Nel 1799 Ursula Racca denunciò le sue proprietà nel donativo: il patrigno aveva donato tutti i suoi beni alla figliastra, conservando il diritto d’abitazione e un censo che gravava sulla casa 2871.

Con atto del 09.03.1801 il notaio Miguel Corrias compilò l’inventario dei beni del defunto Misuratore e Architetto Antonio Gerolamo Massey, chiesto dalla figliastra e donataria dei suoi beni Ursula Racca. I beni mobili del defunto ammontavano a lire 10608, soldi 18 e denari 8. Dopo la morte della sua seconda moglie, Maria Francesca Godò, il Massey si era risposato con Giuseppa Cadoni, che non aveva però diritto sui beni immobili, sia perché già donati in precedenza, sia perché le leggi ereditarie del tempo tutelavano pochissimo i coniugi superstiti, in particolare in assenza di figli.

Con atto del 02.12.1806 Ursula Racca vedova Corda si obbligò di un censo verso il monastero della Purissima con ipoteca su 3 case di sua proprietà site nella Marina: la casa grande donatale dal fu Girolamo Massey in strada Gesus (2871), l’altra casa piccola (2870) attigua alla precedente, in strada del Pagatore, e la casa 2539/a sull’altro lato della strada Gesus.

Con atto notarile del 01.06.1810 ottenne altri 200 scudi dall’eredità del fu Console di Genova Felice Ranucci, ipotecando le stesse 3 case.

Con atto notarile del 14.10.1811, la vedova Ursula Racca ottenne il prestito di lire 1150 dal reverendo Girolamo Onnis, amministratore dell’eredità Paderi; la donna aveva urgente bisogno di denaro contante per estinguere alcuni debiti, in particolare verso il genero don Pietro Lostia; a garanzia del prestito ipotecò due case di sua proprietà nella strada Gesus: la casa 2539/A da lei comprata, e la casa 2871 donatale dal patrigno.

Da atto notarile del 28.10.1813, con cui la vedova Racca cedette la sua casa 2539/A, risulta che in quell’anno fosse ancora proprietaria di entrambe le case 2870 e 2871, provenienti dal patrigno Girolamo Massei.

Dopo il 1850 entrambe erano del conte Efisio Fancello (1795-1859), che ne aveva l’usufrutto; il conte Fancello aveva sposato donna Efisia Massa Corda (1797-1851), figlia del cavalier Giuseppe Massa e di Anna Corda Racca, quest’ultima figlia di Luis Corda e di Ursula Racca; una registrazione catastale appena successiva attribuisce le due case, già Fancello, al sarto bittese Salvatore Manno Attene (1809?-1884).

 



[1]nella tesi di laurea di Terenzio Puddu, riguardante l’architetto Antonio Gerolamo Massey, e pubblicata nella rivista “Arte, Architettura, Ambiente” nel settembre 2007, è ricordato l’acquisto per 200 scudi di una casa, fatto dal Massey in data 24.03.1759; il venditore era il dottor Eugenio Bono

 

2872     

Negli atti citati per le case del punto precedente vi sono numerosi riferimenti alla piccola casa 2872:

nell’Atto del 1851 con cui Carlos Martin comprò la casa 2540, è scritto che la casa acquistata, che aveva la facciata principale sulla strada del Pagatore (chiamata in questo documento calle de Cavalleros) e la facciata laterale sulla strada Gesus, confinava da un lato, strada mediante, con le case del convento di Bonaria (2871) e del defunto Ignacio Braxia (2872).

Nell’atto del 1757 con cui Gerolamo Massei acquistò la casa 2871 è scritto che la casa di lato apparteneva alla vedova Juanna Braxa e prima era del defunto mastro muratore Ignacio Braxa.

Gli eredi Braxa sono citati negli atti del 1760, del 1762 e del 1768 tutti relativi alla proprietà del Massei.

Nel 1788 la casa apparteneva invece al Patron (cioè padrone di una barca, marinaio) Nino Giangrasso; un “sòttano” della casa era affittato al patron Salvatore Arrais; quest’ultima informazione proviene da una causa civile fra i due “patron”, dove è specificato che la casa Giangrasso si trovava nella strada Gesus della Marina, senza specificarne la posizione; ma in un atto notarile del 29.08.1792 il patron Nino Gian Grasso fece periziare la sua casa, in accordo con la comunità di San Giacomo (in vista di un’eventuale vendita); la casa era situata nella strada del Gesù e aveva davanti una casa dell’Azienda ex-gesuitica, strada per mezzo (2539), da un lato una casa delle monache cappuccine (2873), dall’altro lato e dalle spalle la casa del Regio misuratore Girolamo Massei (2871). Era composta da un “sòttano” e due piani tavolati, fabbricata di pietra e calcina, e nei due piani e nel “sòttano” vi erano due stanze delle quali una era occupata dalla scala, l’altra era una camera “di dormire”; nel primo piano, sotto la scala, vi era una “stanzolina” ed ogni piano aveva il suo focolare, presente anche nel “sòttano”; le scale erano di pietra nera volgarmente detta “pisarra”. Vi era un balcone grande di ferro al primo piano e due balconi nel secondo piano. Venne avvalorata per scudi 592, 5 reali, 1 soldo e 4 denari.

Non si sa se Nino Giangrasso abbia venduto la casa alla comunità di San Giacomo; in ogni caso la cedette fra il 1792 e il 1801: in quest’ultimo anno, quando il 9 di marzo venne stilato l’inventario dei beni del defunto Antonio Geronimo Massey, la casa 2871 confinava di lato, dalla parte della strada del Pagatore, con la casa del confetturiere Gavino Pisano (2862), e dall’altra parte con una casa che possedeva il negoziante Salvatore Melis.

Nell’atto del 02.12.1806, col quale Ursula Racca ipotecò le sue case, la casa grande che ereditò dal fu Girolamo Massey (2871) nella strada Gesus, confinava da una lato con la casa di Gavino Pisano, strada del Pagatore mediante, dall’altro lato con la casa del negoziante Salvatore Melis, casa che prima era del patron Nino Giangrasso.

Nel donativo del 1807 del Capitolo Cagliaritano la prima casa “Cartaros”, identificata con l’unità catastale 2539, aveva davanti la casa di Salvatore Melis.

Da atto notarile del 01.06.1810, relativo ad una ipoteca accesa sulla casa 2871, quella con numero 2872 viene detta del negoziante Gerolamo Melis (1785-); dovrebbe trattarsi del figlio di Salvatore (1752-), il quale aveva forse concesso al figlio l’utilizzo della casa.

Infine dopo il 1850 apparteneva al negoziante Stefano Simonetti fu Giovanni; non si hanno su di lui notizie anagrafiche, a parte che la sua vedova, Eulalia Sessego (o Sesselego), morì a 62 anni il 14.02.1867, in una casa della via La Costa.

 

2873 e 2875       

Erano le case del reverendo Ximenes, poi del Monastero delle monache Cappuccine, e vi sono molti documenti che le citano, tutti relativi alle case confinanti; già dal 1759 (atto d’acquisto della casa 2870) la casa 2875, posteriore alla 2870, è detta “del fu Reverendo Chimenes, ora dei suoi eredi”; e in atti del 1760 e 1762 la casa 2871 del Massei aveva alle spalle la casa piccola del Massei (2870) e la casa degli eredi del reverendo rettore Chimenes (2875); in atto del 1768 viene specificato che la casa apparteneva agli eredi del reverendo Salvatore Ximenes.

Nell’atto di inventario dei beni del fu Domenico Marramaldo, del 20.09.1778, la sua casa 2876 confinava di lato con casa della sagrestia delle monache Cappuccine (2875).

Nell’atto del 1792 che riporta l’estimo della casa Giangrasso (2872), è scritto che detta casa in strada del Gesù confinava da un lato ed alle spalle con casa del Massei, dall’altro lato con casa delle Monache Cappuccine (2873).

Con atto del 20.11.1793, le sorelle Agostina e Pasquala Melachu accesero un’ipoteca sulla loro casa, identificata con l’unità 2539/a, sita in calle di Jesus: aveva davanti una casa degli eredi del defunto Rettore Salvador Chimenes (2873); in altro atto del 12.10.1797, le stesse sorelle Melachu vendettero la loro casa (2539/a) a Ursula Racca; la casa, sita nella strada Gesus confinava ai due lati con case del Capitolo (2538 e 2539/b), e davanti con casa del Monastero delle Cappucine, calle di Jesus mediante.

Non è esplicito chi fossero gli eredi del reverendo Ximenes; sembra però probabile che il defunto rettore possa aver lasciato la sua eredità direttamente alle monache.

In atti del 1797 e del 1798 è scritto che la casa Del Vecchio (2876 e 2877), posseduta da Agostino Ravagli, aveva di fianco una casa del Monastero delle Cappuccine (2875), abitata dal notaio Carlo Rossi; in atti del 1806 e del 1810 con cui Ursula Racca ipotecò le sue case, è scritto che la casa 2539/a aveva davanti una casa delle Monache Cappuccine (2873) e che la casa grande (2871) aveva alle spalle altra casa piccola della stessa Racca (2870) e una casa degli eredi del reverendo Cimenes (2873); infine la casa piccola della vedova Racca (2870) aveva alle spalle la stessa casa degli eredi del rettore Cimenes (2875).

Tutto questo sarebbe corretto nell’ipotesi che le due case 2873 e 2875 a fine ‘700 fossero esattamente come si vede nella mappa di metà ‘800; c’è un’altra possibilità: la casa Ximenes 2873 poteva essere un tempo più profonda e arrivare a confinare sul retro con le case 2869 e 2870; se così fosse tutti i riferimenti alla proprietà Ximenes interesserebbero la sola casa 2873, appartenuta dopo la sua morte al convento delle Cappuccine, mentre la casa 2875 potrebbe non essere mai stata del sacerdote.

Con atto del notaio Gioachino Mariano Moreno del 22.04.1807, l’abbadessa del monastero Suor Maria Speranza Manna, assistita dal decano della Primaziale e Sindaco Apostolico don Pietro Maria Sisternes de Oblites, e dal reverendo ex-gesuita Giambattista Senes confessore del monastero, concesse in enfiteusi la casa Ximenes 2873 della strada Gesus al reverendo Francesco Ignazio Paneri e a sua madre Francesca Maxia, per la durata della loro vita; la casa, situata fra le proprietà Melis (2872) e dei padri Mercedari (2874), confinante alle spalle con altra casa delle stesse Monache Cappuccine (2875), era composta da un piano terreno con cisterna ed un piano alto; fu pattuito il canone di scudi 30 a semestri anticipati, con l’obbligo di eseguire le riparazioni necessarie, e spendere scudi 200 per migliorarla entro il 1807; infatti in data 26.03.1808 il sacerdote Paneri consegnò 246 scudi, 2 reali e 4 denari al mastro muratore Giuseppe Schirru, al mastro falgname Agostino Mameli e al mastro ferraro Efisio Cucca, per i lavori di miglioramento e riparazione fatti sulla casa detta di Ximenes, concessagli in enfiteusi dalle monache Cappuccine.

Vi sono altri due atti notarili, entrambi del 1811 (del 3 marzo e del del 14 ottobre), ed entrambi relativi alle proprietà della vedova Racca: le case Racca 2870 e 2871 confinavano con le case delle Monache 2873 e 2875, e l’altra casa Racca 2539/a aveva davanti la stessa casa 2873; infatti le Monache, al di là dell’enfiteusi al reverendo Paneri, ne conservavano la proprietà.

A conferma di quanto scritto nell’atto del 22.04.1807, dall’atto del 1813 con cui Orsola Racca vendette la sua casa 2539/a risulta che la casa di fronte, numero catastale 2873, fosse quella del reverendo Francesco Panery; si ha notizia di un sacerdote Ignazio Panery morto nel 1827: sembra probabile che sia lo stesso Francesco Ignazio, enfiteuta dal 1807.

Nella causa Ravagli del 1817 si citano ancora le Monache Cappuccine come proprietarie della casa 2875. 

Dopo il 1850 entrambe le unità 2873 e 2875 risultavano ancora appartenere alla Sagristia delle Monache Cappuccine.

 

2874     

Le prime notizie rintracciate per questa unità catastale sono del 1807; nel donativo di quell’anno del Capitolo Cagliaritano, la casa Cartaros della strada Gesus, identificata con l’unità 2538, aveva davanti una casa che apparteneva ai Padri Mercedari (2874); inoltre nell’atto col quale fu concessa in enfiteusi la casa 2873 al reverendo Paneri, lateralmente a quella vi era una proprietà dei padri Mercedari di Buonaria.

Con atto del notaio Francesco Antonio Vacca, del 08.06.1808, i padri Mercedari, in accordo col “Mastro delle Regie Saline Artificiali” Pietro Gianquinto, la fecero stimare dai mastri muratori Giuseppe Eschirru e Francesco Usai; si trattava di una casa composta da due piani alti e uno terreno, abitata dal notaio Pasquale Maria Cicalò, e fu valutata lire 2611. Il 21 giugno successivo fu accordata la sua enfiteusi perpetua dalla comunità Mercedaria al Regio Saliniere Pietro Gianquinto; fu pattuito il canone annuo di scudi 52, e Gianquinto si assunse l’obbligo di sistemarla a sue spese, all’interno e all’esterno, e di apporre dei balconi in ferro. Non c’è dubbio sulla identificazione della casa: confinava da una parte e dall’altra con case del Monastero della Monache Cappuccine (2873 e 2875), sull’altro lato della strada Gesus con la casa Marramaldo (2537); aveva davanti anche la casa 2538, come conferma un atto del 23.08.1808 relativo a quest’ultima unità catastale, nel quale è citata la casa frontale di Pietro Gianquinto.

In data 31.10.1808 Pietro Gianquinto pagò 683 scudi, 1 soldo e 6 denari ai mastri muratore Giuseppe Schirru, falegname Agostino Mameli (alias "sa Mongia"), e ferraro Efisio Cuca, per tutte le riparazioni e miglioramenti fatti sulla casa; fra le altre cose furono aggiunti dei balconi in ferro nella facciata.

In atto notarile del 25.09.1809, relativo alla casa 2537, è scritto che la casa di fronte, sull’altro lato della strada Gesus, era quella di Pietro Gianquinto e prima apparteneva ai Padri Mercedari.

Nel donativo dei padri Mercedari del 30.01.1812 è presente solo un riferimento a questa proprietà; i padri dichiararono di incassare i canoni annui per due case concesse in enfiteusi nella strada del Gesù (senza aggiungere altri particolari che ne permettano l’identificazione): uno dal notaio Efisio Usai di lire 92 e 10 soldi per la casa 2896 (identificata attraverso altri documenti); l’altro da Pietro Giacinto (sic) di lire 130, corrispondenti a scudi 52, medesima somma riportata nell’atto del 1808.

Pietro Giacinto è sicuramente lo stesso Pietro Gianquinto Regio Saliniere, d’origine siciliana; nel 1801 era guardiano terzo della confraternita dei Siciliani di S.Rosalia. 

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora al Convento dei Padri Mercedari.

 

2875      vedi 2873

 

2876 e 2877        vedi case 2867 e 2868