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Isolato F1: Gesus/Moras/Saline/Barcellona

(via Cavour, via Napoli, via Sardegna, via Barcellona)

numeri catastali da 2635 a 2644

la modifica notevole, rispetto a 200 anni fa, è la demolizione della chiesa di Santa Lucia, sacrificata da discutibili logiche post-belliche; è nota una foto dell’interno della chiesa, ma purtroppo, ed incredibilmente, non esiste nessua foto dell’esterno. 

 

2635/2636/2637

Queste tre unità catastali, la prima con entrata nella strada di Barcellona, la seconda con entrata nel vicolo laterale (cioè l’ultima parte, la più stretta, della via Gesus, attuale via Cavour), la terza all’angolo con la strada Moras, nel 1782 erano del dottore in diritto e cavaliere Antonio Lay che le aveva ereditate da sua figlia Maria Maddalena Lay (-1779), la quale le aveva avute in eredità dal dottore in diritto Juan Bauptista Amoreti o De Moretto[1]; se ne ha notizia in una causa civile del 1800 relativa alle case Arthemalle 2923 e 2924, ipotecate nel 1782; si trovano poi riferimenti alla casa 2637 in atti notarili del dicembre 1789 e marzo 1792, nei quali risulta che i proprietari fossero gli eredi del dottor Antonio Lay, in particolare la dama Rita Lay e l’Arciconfraternita della SS. Trinità e sangue di Cristo sotto l’invocazione di S.Lucia.

Da un atto notarile del febbraio 1799 si sa che il dottor Antonio Lay, nel suo testamento del 1785, aveva lasciato parte delle sue proprietà all’Arciconfraternita di Santa Lucia, e l’usufrutto alla sorella donna Anna Rita Lay, morta nel febbraio 1799; in quella data i guardiani dell’Arciconfraternita presero possesso degli immobili, di cui parte del primo piano era abitato in quell’anno come inquilino da Joseph Tronchy, mentre un “sòttano” era affittato a Juan Giatino; una parte era sicuramente sfitta perché inabitabile; la casa aveva l’entrata grande sulla strada Barcellona, ed era stata l’abitazione del defunto dottor Lay; vi erano due bassi sul vicolo laterale, cioè sulla strada Gesus, ed un’entrata piccola sul vicolo, con duei piani alti sopra l’entrata piccola che minacciavano rovina.

In data 31.12.1800 le case 2635 e 2636 vennero cedute in enfiteusi al negoziante Pasquale Gorlero, che ne risulta proprietario ancora nel 1811; un atto notarile del 16.02.1807, relativo alla casa Rapallo 2640, le identifica come una proprietà che era stata del defunto dottor Antonio Lay, poi del negoziante “Nicolino”, il cui cognome non viene specificato; potrebbe essere un riferimento poco preciso a Pasquale Gorlero, il cui padre si chiamava Nicola.

Da atto notarile del 1823 risultano di Giuseppe Gorlero, e dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 appartenessero (ancora in enfiteusi) al Regio impiegato Nicolò Gorlero[2].

L’unità 2637 sembra invece che fu ereditata dalle sorelle Rodriguez, di cui si ignora l’esatta parentela col nobile dottor Antonio Lay; ne fa riferimento un atto del novembre 1804 relativo alla frontale casa 2652; nell’atto sopra citato del 31.12.1800 le case Gorlero confinavano sul retro con la casa Percy; il notaio Pedro Percy era coniugato con Maria Chiara Rodriguez; dovrebbe essere la stessa casa che fu dichiarata nella sua denuncia per il donativo (senza data) da Luigia Rodriguez, sorella di Maria Chiara, per mano del cognato notaio Pietro Percy, composta da un sòttano e una camera al primo piano, affittata per lire 60 annue; in un atto dell’aprile 1811, relativo alla casa 2924, è invece ricordata come la casa del notaio Pasquale Perci; sembra più che probabile che quest’ultimo sia il medesimo notaio Pietro, chiamato erroneamente Pasquale; egli nel frattempo era rimasto vedovo e si era risposato nel 1808.

Dai dati catastali del 1854 risulta che la casa 2637 appartenesse all’Arciconfraternita di Santa Lucia.



[1] Non si sa esattamente quale fosse la parentela, ma il cavaliere e avvocato Antonio Lay risulta coniugato con Rosa Morety, defunta nel 1779; si può ipotizzare che Juan Bauptista Amoreti fosse il nonno materno di Maria Madalena Lay

[2] Nicola Gorlero dovrebbe essere figlio del negoziante Pasquale e della sua terza moglie Giuseppa Lucca, nato nel 1813; Giuseppe Gorlero potrebbe essere un altro figlio di Pasquale, nato dai precedenti matrimoni

 

2638     

Questa piccola unità catastale è da identificarsi con una proprietà dell’Azienda ex-Gesuitica, come attesta il documento di vendita della casa 2652, a essa frontale, del 31.12.1789; l’informazione è confermata da altro atto notarile del 18.11.1800, col quale fu ipotecata la stessa casa 2652, nel quale vengono ripetuti i confini riportati nel precedene documento; potrebbe anche identificarsi con la casa che gli amministratori dell’Azienda ex-Gesuitica cedettero al Gremio dei Santelmari nel mese di aprile 1790 al pubblico incanto, e che il Gremio non aveva ancora finito di pagare nel 1799, come risulta da altro atto notarile del 15 ottobre di quell’anno; potrebbe quindi essere la stessa casa che il Gremio dei Santelmari dichiarò nella denuncia (senza data) per i donativi straordinari, composta da un piano terreno e un primo piano formato da una sola stanza, e che fruttava lire 45 annue di affitto; era ancora del Gremio dopo il 1850, come risulta dal Sommarione dei fabbricati.

 

2639 e 2640       
Queste due unità catastali appartenevano al ricco mercante Francesco Rapallo, morto nel 1781, a cui nel 1787 fu riconosciuta la nobiltà postuma, col cavalierato ereditario; nell’inventario dei suoi beni, del 1782, è compresa una casa nella strada di Barcellona, nei pressi della chiesa di Santa Lucia, confinante da una parte con una proprietà di don Antonio Lay (2635), dall’altra con la casa di Gerolamo Solaro (2641); fu valutata dal perito Carlo Mayno per lire 6176, soldi 2 e denari 2.

La casa fu quindi ereditata dai figli e, con la divisione dei beni del 15.03.1785, i due piani superiori, valutati per lire 4844 e 12 soldi, divennero proprietà di donna Maria Anna Rapallo (1770-1828); con atto del notaio Giovanni Battista Melis del 06.07.1785 questa proprietà, insieme ad altri beni, fu destinata alla sua dote: già dall’anno prima (a 14 anni!) aveva contratto matrimonio col negoziante Antonio Pittaluga; il piano terreno della stessa casa, comprendente due botteghe, una sulla strada Barcellona, l’altra sulla strada Mores, valutate per lire lire 2898 e 8 soldi, entrarono a far parte del patrimonio ecclesiastico del fratello sacerdote Domenico (1762-); egli ne denunciò la proprietà nel suo donativo del 1799 e nel 1800 affittò le due botteghe allo scarparo Bernardo Ferrara che già le utilizzava. 

La parte sulla strada Moras, cioè l’unità 2639, è citata in un atto notarile del luglio 1802, relativo alla casa Ravenna numero 2654: in questo documento è detta casa del fu don Francesco Rapallo, ora dei suoi eredi; è citata nell’inventario dei beni di Pasquale Ponsiglion, del novembre 1802, in quanto confinante alla proprietà Ponsiglion 2641: in questo caso è detta “casa del reverendo Domenico Rapallo”.

Nel 1804, con atto notarile del 24 ottobre, il reverendo Rapallo destinò gli affitti delle due botteghe per garantire la restituzione di 100 scudi che aveva avuto (30 scudi il 04.02.1800, 70 scudi il 24.10.1804) dal reverendo Giuseppe Melis, teologo e Maggiordomo dell’arcivescovo; dalle botteghe, affittate ancora a Bernardo Ferrara, ricavava 40 scudi annui per la bottega grande e 24 scudi (12 a semestre) per quella piccola. 

Con atto del notaio Giovanni Pisà del 16.02.1807, il canonico don Domenico Rapallo vendette le due botteghe sulla strada Barcellona, valutate lire 1766, soldi 13, denari 3, al fratello don Luigi Rapallo (1776-1852) tenente del corpo dei Dragoni; nel documento viene chiarito che la casa era stata assegnata a donna Marianna Rapallo nel 1785, a seguito della divisione ereditaria dei beni del padre, con l’eccezione di due botteghe assegnate a don Domenico; si trattava di una bottega grande sulla strada Barcellona e di una bottega piccola sulla strada Moras; in seguito donna Marianna e don Domenico fecero uno scambio: la bottega piccola divenne l’ingresso ai piani alti della casa di donna Marianna, e il vecchio ingresso, sulla strada Barcellona, fu trasformato in una bottega e divenne proprietà di don Domenico; lo scambio fu probabilmente fatto pochi anni dopo la divisione ereditaria (prima del 1800, quando le due botteghe furono affittate a Bernardo Ferrara), ma fu certificato con atto notarile del 23.01.1807, pochi giorni prima della cessione da don Domenico a don Luigi. E’ quindi ovvio che gli eredi fecero eseguire degli importanti lavori, e la facciata principale della casa con l’ingresso, inizialmente sulla strada Barcellona, diventò quella sulla strada Moras; dato che sulla strada Moras vi era una bottega piccola, è anche possibile che, al 1785, l’unità 2639 non fosse interamente occupata dall’edificio: poteva esserci un cortile a fianco alla bottega.

In data 14.03.1807 il cavalier Luigi Rapallo (capitano delle Regie armate e Luogotenente nel Corpo dei Dragoni Leggeri di Sardegna), concesse in locazione per anni 5 una bottega (forse entrambe le botteghe unite in una) della casa della contrada Barcellona (chiaramente identificata con la casa 2640 dai confini specificati) al calzolaio Bernardo Ferrara, che già l’aveva in affitto dal 1800 e che la utilizzava ancora da prima; fu pattuito il canone in scudi 43 annui, pagabili a mezze annate anticipate. Con atto del notaio Pasquale Maria Cicalò del 23.05.1810 l’affitto fu trasformato in enfiteusi, concessa per tutta la vita del calzolaio Bernardo Ferrara e di sua moglie Rosa Todde[1]; fu pattuito il canone annuo di 65 scudi per una bottega, ossia tutto il piano terreno, della casa sulla strada Barcellona.

La proprietà di donna Anna Maria Rapallo è ricordata nell’atto notarile del dicembre 1810 relativo alla casa 2623, e in una causa civile del 1813, relativa alle proprietà Ravenna 2654.

Dopo il 1850 l’unità 2639 risulta appartenere al negoziante Luigi Rogier, mentre l’unità 2640 apparteneva a donna Anna Maria Cugia vedova del maggiore don Luigi Rapallo (-1852). 



[1] Non si conosce la data di morte di Rosa Todde; però si sa che Bernardo Ferrara si risposò con Caterina Bruno, da cui ebbe diversi figli fra il 1816 e il 1826; Bernardo Ferrara morì il 16.05.1834.

 

 

2641 

La prima notizia relativa a questa casa è del 06.03.1779: è citata nell’atto di acquisto della casa 2627, frontale alla casa 2641, la quale è indicata come casa dell’eredità del fu Agostino Solaro, posseduta da suo figlio Gerolamo Solaro; la proprietà di Gerolamo è citata nell’inventario dei beni di don Francesco Rapallo, del 1782, in quanto confinante con la casa Rapallo 2640; compare poi nell’inventario dei beni del defunto Pasquale Ponsiglione, iniziato il 26 novembre del 1802; era chiamata casa Solaro, comprendeva un sottano sulla strada Barcellona, un magazzino con cisterna per l’olio sulla strada Moras; la porta principale, sulla strada Barcellona, portava agli altri piani, e in ogni piano c’era un disimpegno da cui si entrava alla camera grande, sulla strada Barcellona, e un’altra porta dava accesso ad un corridoio che condceva a due piccole stanze e ad un’altra camera grande con l’alcova, che dava alla strada di Moras; così erano composti anche gli ultimi due piani; c’era la cisterna con due trombe per tirare su l’acqua, 6 finestre con balconi di ferro, su entrambe le facciate, mentre sul lato verso Santa Lucia vi erano delle finestre con grate di ferro, per dare luce ai corridoi; fu stimata in tutto lire 11019.9. Nell’inventario è specificato che il Ponsillon l’aveva acquistata a seguito di un’asta in data 16.01.1795, dopo una prima assegnazione ad Antonio Gimiliano Russuy, il quale l’aveva ceduta immediatamente al Ponsillon.

Nel 1807 la casa fu citata nel donativo del Capitolo Cagliaritano, che era proprietario della casa di fronte, sulla strada Barcellona; apparteneva ancora agli eredi del negoziante Pasquale Ponsiglione.

Dal fascicolo di una causa civile del 1811 si sa che fino a quell’anno apparteneva agli eredi Ponsiglione e dal 1805 fino al 1811 fu abitata come locatario dal negoziante Raffaele Usai; questi dovette abbandonarla in quanto serviva a Giovannica (1795-1834), figlia sedicenne di Pasquale Ponsiglione, che si era appena coniugata col negoziante Efisio Steria Porcile.

Potrebbe essere stata la casa di abitazione del reverendo Filippo Ponsiglione (1744-1816), cugino di Pasquale e amministratore della sua eredità; infatti il sacerdote, in data 08.03.1811, consegnò al notaio Bernardo Aru il suo testamento sigillato, nella sua abitazione della strada Barcellona.

Nel 1816 una bottega era affittata, a scudi 14 per la mezza annata, a Giovanni Criomand cappellaro; il primo piano della casa era affittato, a scudi 15 per la mezza annata, al negoziante Efisio Steria Reinaldi, probabilmente cugino primo di Efisio Steria Porcile.

Dopo il 1850 risulta che appartenesse al negoziante Michele Ponsiglioni (1799-), fratello di Giovannica  [1]. 

 


[1] I portoni del palazzo, ai numeri civici 20 e 22 della via Barcellona, sono sormontati dalle lettere E e P: potrebbero riferirsi all’ingegnere Enrico Ponsiglioni, figlio di Michele e di donna Lucia Orrù, che morì all’età di 84 anni in una casa della strada Barcellona il 12.06.1909

 

2642 e 2644       
La piccola unità 2642 era una piccolissima bottega, contigua alla chiesa di Santa Lucia ed appartenente alla chiesa stessa, dichiarata dall’Arciconfraternita nella denuncia per il donativo straordinario del 1799.

Con atto del notaio Gioachino Mariano Moreno del 11.12.1804 i guardiani dell’Arciconfraternita la concessero in locazione per 10 anni al negoziante Giovanni Dentoni, che avrebbe pagato 2 scudi all’anno. 

Risulta ancora proprietà dell’Arciconfraternita nei dati catastali del 1854, così come l’unità 2644 che non è nemmeno riportata nelle mappe del periodo, forse per le sue ridotte dimensioni e per la contiguità con la chiesa.

 

2643     

E' la chiesa di Santa Lucia; danneggiata dai bombardamenti del 1943, non fu fatto nessun tentativo di recupero e venne abbattuta negli anni successivi; incredibilmente non esiste nessuna foto della parte esterna, mentre è nota una foto dell’interno.

 

2644      vedi 2642