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Isolato Z: Gesus/vico San Francesco/Saline/vico san Francesco

(via Cavour, via dei Mille, via Sardegna, via Concezione)

numeri catastali da 2581 a 2591

la pianta dell’isolato è poco modificata rispetto a quella di 200 anni fa, con alcune case della parte alta che sono state riedificate nel XX secolo; le case 2589 e 2590 sono state arretrate rispetto alla vecchia linea, per dare maggior spazio alla via Cavour.

 

2581     

In data 28.04.1779 il negoziante Francesco Pichety (Piqueti, Picetto, ecc.) consegnò al notaio Nicola Murroni Moyrano il suo testamento sigillato; il 12.12.1780 consegnò allo stesso notaio un codicillo con qualche piccola correzione, e il 19.12.1780 lo stesso notaio si recò in casa del Picheti, per l’apertura e lettura del testamento, chiamato da Vittoria Pichetty Belgrano, nipote del defunto; così inizia il testamento:

Francesco Pichetty negoziante, in età avanzata, infermo nella sua propria casa sita nell’appendice della Marina, e calle detta la bajada de S.Eulalia (attuale via Concezione), nomina curatore testamentario ed esecutore il reverendo dottore canonico nobile don Joseph Cao, e per mirador y Albassea (cioè per controllore) il suo carissimo amico dottore in diritto Pedro Frongia; vuole essere sepolto in S.Francesco di Paola, davanti alla cappella del santo, con l’accompagnamento della Comunità del convento di S.Francesco di Paola, del convento dei Padri Osservanti di S.Rosolea, dei padri di S.Agostino, della confraternita del Sepolcro, e della confraternita di S.Lucia, e il cadavere sarà accompagnato da 12 poveri, dando la elemosina a ciascuno”.

La sua casa di abitazione era stata dei suoi genitori, e ne avevano ereditato una porzione i suoi fratelli e sua sorella, già defunti; era soggetta a un censo di scudi 440 per il quale si pagava una pensione annua di 22 scudi, al 5%, all’ oratorio della Vergine d’Itria. All’epoca della divisione dell’eredità dei suoi genitori la casa minacciava rovina; non avendo i suoi fratelli denaro per ripararla gli era stata ceduta quando valeva 600 scudi, e dopo egli vi spese 800 scudi per ricostruirla e migliorarla; Francesco Pichety era vedovo di donna Mariquita Pizolo, e non aveva nessuno a cui lasciare i suoi beni, cioè la casa, i mobili, oggetti d’oro e d’argento e vestiti della sua defunta moglie.

Il defunto, in suffragio della sua anima dispose che si celebrasse una messa cantata con diacono e suddiacono nel convento di S.Francesco di Paola ogni primo lunedì del mese, pagando l’elemosina dai suoi beni; dispose che alla sua serva Isabella Carta venissero pagati 10 scudi e che non le si chiedesse l’affitto del sòttano dove abitava, per 5 anni; e dispose che per 3 anni non si chiedessero soldi per l’affitto dell’altro sòttano abitato da Salvatore Gaviano e sua moglie Teresa Sechy, ai quali non dovevano esser chiesti conti per il negozio del defunto che essi gestivano.

I mobili li lasciò alla nipote Vittoria Belgrano. Ordinò di non vendere la casa e di mantenerla in buono stato; nominò erede di tutti i beni restanti la sua anima, e dispose che il suo curatore si occupasse dell’amministrazione della casa unitamente ai sindaci della Marina.

La casa di Francesco Picheti è stata identificata, grazie ad altri documenti, con l’unità catastale 2581, nella discesa che porta alla chiesa e convento di San Francesco, all’angolo con la strada Gesus: in atto notarile del 1777, relativo alla casa 2582, di fianco a quest’ultima c’era la casa Picheti; negli atti notarili del 04.11.1797, del 27.11.1797, del 27.10.1799 e del 28.01.1802, tutti relativi alla casa Pinna 2591, quest’ultima aveva alle spalle la casa (2581) del quondam Francesco Picheto.

La casa 2581 è anche citata nella denuncia per il donativo del 1799 del convento di San Francesco, dove si dichiara un lascito del fu Francesco Piceti di scudi 12, proveniente dai frutti della casa alle spalle del convento e pagato dai sindaci della Marina.

Con atto del notaio Salvatore Boy del 05.01.1805 il muratore Giuseppe Ignazio Carta rilasciò ricevuta di lire 1030, soldi 11, denari 7, a lui consegnati dall’avvocato Emanuele Massa Eschirru e dal notaio Giambattista Azuni, i quali agivano in qualità di sindaco capo e sindaco secondo della Marina; si trattava del pagamento di alcune riparazioni eseguite dal mastro muratore in diverse case amministrate dal sindacato della Marina; per la casa Picetto della strada delle Saline furono pagate solo lire 83, soldi 10, denari 6, il resto della cifra riguardava altre case della Marina e della contrada San Lucifero in Villanova.

Il fascicolo di una causa civile, rintracciato all’Archivio storico del Comune di Cagliari, riferisce di una lite sorta nel 1819 fra il sindacato della Marina e l’arciconfraternita della Vergine d’Itria, per l’affitto della casa Piccetto situata nella discesa che dalla chiesa di S.Eulalia porta verso San Francesco di Paola; la casa era amministrata dal sindacato della Marina, e l’arciconfraternita non pagava l’affitto perché non le erano state pagate le pensioni del 1817 e 1818 sul censo di sua proprietà.

Dopo il 1850 la proprietà della casa 2581 era passata all’Oratorio della Vergine d’Itria, forse a seguito di trattativa col sindacato della Marina per la lite del 1819.

 

2582     

Da un atto notarile del 1769 relativo alla casa 2583, risulta che questa casa appartenesse al reverendo Joseph Saliner (-1773); nel 1777 il patron Antonio Cambazzu comprò la casa dalla “Causa pia” del reverendo Saliner: una casa di fianco era di Francesco Pepitoni (2583), l’altra d’angolo (2581) era di Francesco Picheti; la proprietà Cambazzu è confermata da un fascicolo di una causa civile del 1777, relativa alla casa Melis 2576, nel quale si citano le vicine (ma non contigue!) case di Juan Felipe Pinna (2591) e di Antonio Gambazu Testony.

Notizie più precise, che consentono di identificare la casa Cambazzu, sono state trovate nell’atto notarile del 27.11.1797 relativo alla casa 2591, che aveva di spalle la casa del fu Francesco Piquetto (2581) e la casa del negoziante Cambazzu (2582); le stesse informazioni provengono dall’atto notarile del 28.01.1802 anch’esso relativo alla casa 2591.

Nel suo donativo del 22.06.1799, il negoziante Antonio Cambazzu denunciò la sua casa di abitazione, situata dietro il convento di San Francesci di Paola, con un magazzino al piano terra e due piani alti, in ognuno una stanza, un’altra stanza con l’alcova, una cucina e un piccolo terrazzo; se affittata avrebbe potuto rendere 60 scudi; il Cambazzu non firmò “attesa la sua illetteratura”.

Dopo il 1803 il Cambazzu, con la moglie Giuseppa Lai (Murgia, ma chiamata Lai!) e con i (4 o 5) figli ancora non sposati, si trasferì probabilmente nella casa della strada Barcellona (2626) acquistata di recente.

Alla morte di Antonio Cambazzu, il 01.09.1811, la casa della strada delle Saline, posteriore alla chiesa di San Francesco di Paola, fu stimata in lire 4555, soldi 19 e denari 9; era formata dal piano terreno con un magazzino usato dal proprietario e due piani superiori, aveva i balconi in ferro, la cisterna e il pozzo; con la divisione ereditaria del 10.01.1812 il magazzino fu assegnato alla figlia Paolica (1782-), sposata con Francesco Papi, Guardia del Corpo di S.M.; il primo piano fu assegnato alla figlia Chiara (1784-), moglie del negoziante Efisio Manca; il secondo piano fu assegnato al figlio più piccolo, Giovanni (1793-), il quale due anni più tardi sposerà Raimonda Laconi.

Nel Sommarione dei Fabbricati, quindi dopo il 1850, la casa 2582 risulta appartenere in parte a Raimondo Cambazzu, detto Pirresu, figlio di Giovanni Cambazzu e di Raimonda Laconi; Raimondo si era sposato nel 1838 con la cugina prima Ignazia Manca, figlia di Efisio Manca e di Chiara Cambazzu; una parte della casa era di proprietà delle sorelle Francesca (1802-1872) e Antonia (1819-1909) Manca, sorelle di Ignazia, e in parte apparteneva agli eredi Dugoni.

Raimondo Cambazzu morì a Pirri nel 1874 all’età di circa 60 anni; la sua vedova Ignazia Manca morì in una casa di via Cavour all’età di 86 anni il 30.05.1903. 

 

2583                     

Dall’atto notarile del 1769, citato nel precedente paragrafo, risulta che questa casa provenisse, insieme alla casa 2590, da un lascito fatto alla chiesa di Sant’Eulalia dal reverendo Giovanni Battista Mantelli, beneficiato e presidente della parrocchia; non si conosce esattamente la data di morte di questo sacerdote, che era ancora in vita nel 1742 e già defunto nel 1769; in quell’anno la casa era stata già ceduta al patron Francesco Pepitoni, che l’aveva acquistata dal nobile don Carlo Falqui che agiva in qualità di recettore delle Cause Pie ed amministratore dell’eredità del reverendo Mantelli; la casa era situata nella strada de Moreto, o de las Salinas o de Cavalleros[1], aveva davanti la sagrestia dei padri Paolini, cammino Real en medio (altro nome della strada delle Saline o delle Siciliane), e confinava da un lato con la casa del reverendo Joseph Saliner (2582), dall’altro lato con una casa della Causa Pia del Capitolo (numero 2584).

Nel 1792, da atto notarile del 20 giugno, la casa 2583 apparteneva al notaio e segretario Raimondo Doneddu.

Un altro atto notarile del 07.05.1797, relativo come il precedente alle case Murgia Melis 2584 e 2590, ci riferisce che la casa 2583, laterale all’unità 2584, faceva parte un tempo dell’eredità del quondam reverendo Juan Bauptista  Mantello, acquistata dal segretario Ramon Doneddu.

In data 22.06.1799 Raimondo Doneddu presentò la denuncia per il suo donativo, e fra le tante case di sua proprietà dichiarò di possederne una nella contrada delle Siciliane, dietro la sacrestia della chiesa dei padri Minimi, identificabile quindi con la casa 2583, composta da un sòttano e due piani alti; il primo piano aveva due camere e cucina, affittato per scudi 18, il secondo aveva una sola camera, affittato per scudi 10, e il sòttano era grande quanto il primo piano, affittato anch’esso per 18 scudi.

Ancora un atto notarile del 04.07.1800, relativo alla casa 2584, conferma che la casa confinante, ora di Raimondo Doneddu, era in passato del fu reverendo Mantelli.

Raimondo Doneddu, notaio, negoziante e segretario della Reale Udienza, figlio di Giuseppe e Angela Corongiu, morì nel 1817; la moglie Vincenza Manali era morta da diversi anni; la sua eredità passò ai numerosi figli e figlie, fra cui Maria Antonia (1777-1862) che aveva sposato intorno al 1800 Francesco Gastaldi, figlio del negoziante Giovanni Battista.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora a Maria Antonia Doneddu vedova Gastaldi (1777-1862).

 


[1] tutti nomi indicanti l’attuale via Sardegna, l’ultimo usato anche per la strada Gesus, attuale via Cavour

 

2584     

Dal già citato atto notarile del 1769, relativo alla casa 2583, risulta che questa casa appartenesse alla Causa Pia, proveniente cioè da un lascito testamentario fatto alla Chiesa; da un atto notarile del 03.10.1784, relativo  alla casa 2585, la casa 2584 è ancora indicata come appartenente alla Causa Pia della Cattedrale, proveniente da un legato della fu donna Vicenta Melis Cao, anche se in realtà, come si dirà più avanti, aveva già cambiato proprietario; nel gennaio 1787 apparteneva ai coniugi notaio Pietro Murgia Melis e Anna de la Ruvera; essi iniziarono una lite civile col negoziante Agostino Melis che, nella sua casa 2585, aveva costruito nel cortile un forno, la cui cappa disturbava però una finestra della casa del Murgia Melis; il notaio e suo figlio, servendosi di un palo di ferro, distrussero allora la cappa, e chiesero il rimborso al negoziante Melis per i danni che il fuoco e il fumo avevano causato alla parete della loro casa.

Il notaio Murgia Melis possedeva, oltre alla casa 2584 nella strada delle Saline, anche le case 2589 e 2590 nella strada Gesus; in data 20.06.1792 ebbe in prestito 100 scudi da don Gio Maria Angioy, con interessi al 6%, cioè 6 scudi annui, e ipotecò, per garanzia, la sua proprietà sita fra le strade Gesus e Saline, formata da un doppio patio nella prima strada, e da un patio nella seconda; dalla parte della strada Gesus aveva davanti una casa dello speziale Michele Tuveri (2897), e di lato le case Pinna (2591) e Fais (2588); dalla parte della strada delle Saline aveva davanti il convento di San Francesco, da un lato la casa Doneddu (2583) e dall’altro la casa Melis (2585).

Con atto notarile del 07.05.1797, il notaio Petro Murgia Melis, in difficoltà finanziarie, cedette la casa 2584 per 455 scudi, 5 soldi e 3 denari alle nobili sorelle Caterina e Giovanna Alesani; la casa era in cattive condizioni, fruttava pochi soldi; l’aveva acquistata il 09.03.1771 per 723 scudi, 3 soldi e 2 denari dal recettore delle cause pie, e faceva parte della Causa Pia Melis Cao; vi aveva caricato due censi, uno di 300 scudi, l’altro di 100, per i quali pagava le pensioni al reverendo Antonio Simbula, ereditati poi dal reverendo Giuseppe Simbula, il quale li vendette nel 1785 al medico Pedro Juan Demelas, i cui eredi li vendettero nel 1793 alle sorelle Alesani, le quali quindi, al momento dell’acquisto, erano già proprietarie di buona parte della casa.

Senza averne certezza, potrebbe essere la casa dove abitava Francesca Maria Balbi vedova Molinaro, che consegnò il suo testameno al notaio Ignazio Marras in data 25.06.1798; la donna abitava in una casa nella strada delle Siciliane, di lato a casa del segretario Doneddu; la casa 2583 fra le tante case del Doneddu, era l’unica della strada delle Siciliane; la vedova Molinaro doveva quindi essere inquilina delle sorelle Alesani nella casa 2584, dal momento che l’altra casa laterale alla casa Doneddu, numero 2582, era abitata dai suoi proprietari.

Nel loro donativo del 1799 le sorelle Giovanna e Caterina Alesani dichiararono di possedere una casa nella “calle de Pichety”, di fronte alla sagrestia del convento di San Francesco di Paola, formata dal piano terra con un sòttano senza divisione, affittato per scudi 14, e il primo piano con una stanza e la cucina, affittato per scudi 16.

Con atto notarile del 04.07.1800 le sorelle Alesani vendettero per 455 scudi e 5 reali al mastro muratore Gaspare Sedda la casa che possedevano nella Marina e calle de Pichetto, “dalla quale poco hanno ricavato da quando la possiedono, per essere abitata da gente povera, e la casa è antica e ruyna; si trova alle spalle del convento di San Francesco di Paola (2592), confina da un lato con casa degli eredi del quondam Agostino Martis oggi posseduta da Gerolamo Melis (2585), dall’altro lato con casa del quondam reverendo Juan Bauptista  Mantelli oggi posseduta dal segretario Ramon Doneddu (2583), alle spalle con casa degli eredi del quondam notaio Pedro Murgia Melis (2590), ed è la stessa casa acquistata da detto Murgia Melis con atto notarile del 07.05.1797”.

Non si sa per quanti anni il mastro Gaspare Sedda abbia posseduto la casa; essendo una casa vecchia e in condizione rovinose, è probabile che il mastro muratore l’abbia riedificata, forse per rivenderla dopo poco tempo.

Dal Sommarone dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2584 appartenesse, come la 2583, a Maria Antonia Doneddu vedova Gastaldi (1777-1862).

 

 

2585     

Da un atto notarile del 03.10.1784 risulta che la casa 2585 sia stata venduta per 501 scudi, 7 reali, 3 soldi e 4 denari, dai fratelli Agostino, Gaspare, e Luigi Trogu, col consenso del padre Giovanni Battista (in quanto gli ultimi due erano minori di 25 anni), al negoziante e patron Agostino Melis (detto Gattixedda); questi i confini: davanti c’era il retro del convento di San Francesco ( 2592), di spalle la casa Virdis (2589), da un lato la casa Borme (2586), sull’altro lato una casa del legato pio della defunta donna Vicenta Melis Cao (2584); la casa era stata donata dal nonno dei venditori, Agostino Martis, a sua figlia Anna Martis, al tempo del suo matrimonio con Giovanni Battista Trogu, come da testamento di Agostino Martis pubblicato il 13.07.1761, e la famiglia la possedeva da più di 40 anni.

Una conferma alla proprietà Melis viene dalla causa civile del 1787, già citata per la casa Murgia Melis numero 2584.

Il 27.11.1788 morì Maria Paola Denegri, moglie del negoziante Agostino Melis; il vedovo fece effettuare un estimo dei beni familiari per evitare “sospetto di frode”, quindi per garantire l’eredità dei figli sui beni materni; erano presenti all’inventario i figli Antonio, Gerolamo, Giovanni e Francesco, mentre il figlio Salvatore viveva in quell’anno a Barcellona; il Melis aveva una casa nella piazza del Molo (2633) che era la sua abitazione, e due case nella strada delle Saline o Siciliane, cioè la casa 2576 e la casa 2585.

Agostino morì poco tempo dopo: in atto notarile del 27.02.1790, relativo alla casa Vulpes 2587, la casa alle spalle di questa è detta degli eredi del patron Agostino Melis.

In altro atto notarile del 23.02.1792, relativo alla casa Borme 2586, questa confinava di lato con casa del chirurgo Antonico Melis; dovrebbe essere il figlio maggiore di Agostino, nato nel 1747. E’ probabile però che non fosse stata fatta ancora la divisione dei beni familiari, poiché lo stesso Antonio è citato nel 1798 come proprietario dell’altra casa nella stessa strada, numero 2576, e poiché in atto del 12.03.1792, relativo alla casa 2586, è scritto che il proprietario della casa confinante era il fratello di Antonio, cioè Giovanni Melis dottore in teologia; in atto del maggio 1797, relativo alla casa 2584, è scritto invece che la casa confinante, già dell’eredità di Agostino Martis, apparteneva a Gerolamo Melis, altro figlio di Agostino.

Non basta: in atto notarile del maggio 1800, relativo alla casa 2589, è ancora citato Antonio Melis come proprietario della casa 2585, e in atto del luglio 1800, relativo alla casa 2584, è scritto che la casa 2585 era un tempo quella degli eredi del quondam Agostino Martis (cioè i fratelli Trogu) e posseduta da Gerolamo Melis.

Non è d’aiuto il Sommarione dei Fabbricati, poiché risulta che questa casa appartenesse dopo il 1850 all’Ospedale Civile.

 

2586     

Nell’atto notarile di ottobre 1784 relativo alla casa 2585, è scritto che la casa 2586 era quella del chirurgo Gabriel Bormo (recte Borme), e prima era del cavalier Giuseppe Humana, e prima ancora era di mastro Sadorro Caso.

Gabriele Borme, originario di Tolone, morì nel 1789 lasciando la vedova Ignes Piras, con cui si era sposato nel 1753, e diversi figli; in atto di febbraio 1790 relativo alla casa Vulpes 2587, la casa 2586 era quella degli eredi del chirurgo Gabriel Borme.

Nel 1792 sorsero alcuni contrasti sull’eredità del defunto chirurgo e sul possesso della casa: il 3 gennaio di quell’anno iniziò una lite giudiziaria che vedeva da una parte Giuseppina Borme con il marito Raimondo Sini, dall’altra sua madre Ignes Piras con gli altri suoi figli; la vedova abitava nella casa della Marina, e il 23 febbraio chiese che fosse compilato l’inventario dei beni del marito, defunto da più di due anni; i figli ed eredi erano Anna, Luigi, Giovanna, Salvatore e Giuseppa Borme Piras; la casa della strada delle Saline aveva davanti il convento dei padri Paolini (2592), di spalle una casa del notaio Raimondo Doneddu (ex casa Vupes, 2587), da una lato la casa del chirurgo Antonico Melis (2585) e dall’altro lato, separata dalla strada, la casa dei fratelli Gastaldi (2615). I coniugi Borme e Piras si erano sposati alla sardesca, quindi alla vedova spettava la metà dei beni; oltre alla casa 2586 possedevano anche un’altra casa nella strada Monti di Stampace (via Ospedale).

Nel marzo dello stesso 1792 la vedova Ignes (o Agnese) Borme Piras chiese un presito di 125 scudi al dottore in teologia Giovanni Melis, che era proprietario (insieme ai fratelli) della casa confinante 2585; è possibile che quel prestito, per il quale doveva essere pagata una pensione di 6 scudi e ¼ ogni anno (al 5%), servisse per liquidare la parte spettante alla figlia Giuseppa.

Ignes Borme Piras morì il 19.06.1804; la casa 2586 non era più una proprietà di famiglia e la donna abitava, insieme alla figlia Annica e al genero notaio Salvatore Tatti, in una casa della contrada Gesus (probabilmente in affitto), non identificata; era invece rimasta di proprietà la casa della strada Monti, prima citata.

Nel maggio 1798 la casa Borme era una proprietà del notaio Raimondo Doneddu, che possedeva già la casa 2583 e la casa 2587; egli si accordò col muratore Antonio Putzolu per riedificarla, e la dichiarò nella denuncia per il donativo del 22.06.1799: “..casa nell’angolo della strada che scende al Molo (in questo caso l’attuale via dei Mille), dirimpetto alla casa dei fratelli Gastaldi (2615), formata da 2 piani e 2 sòttani; il primo piano ha 3 camere e cucina ed è affittato per scudi 30, il secondo piano è identico al primo ed è abitato dalla figlia del proprietario, e potrebbe rendere anch’esso scudi 30; anche i sòttani sono affittati per scudi 15 e scudi 9 rispettivamente.”

La figlia che abitava nella casa era probabilmente Rosa, sposata da pochi anni col giudice Antonio Scarpinati, la quale morì pochi anni dopo.

Non è stato rintracciato l’atto di acquisto della casa Borme da parte del notaio Doneddu; però il fatto è confermato da due atti notarili relativi alla casa Gastaldi 2615, uno di agosto 1810, l’altro di dicembre 1813, nei quali è scritto che la casa Gastaldi aveva davanti le case Fais (2588), Vulpes (2587) e Borme (2586), le ultime due di proprietà del notaio Raimondo Doneddu.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che la casa 2586 appartenesse, dopo il 1850, a don Michele Boi, figlio del fu Giovanni, e ne è stata trovata notizia in una causa del 1852: i fratelli Nicola e Gaetano Murroni cercarono di far interdire la sorella donna Francesca Murroni vedova Boy, sostenendo che era di decrepita età [1] e imbecille; Francesca Murroni, vedova di don Giovanni Anastasio Boi Pirisi di Olzai (-1851), possedeva due case amministrate dal figlio don Michele, una nel Castello, dove abitava, l’altra nella Marina; i fratelli Murroni sostenevano che anche il nipote don Michele Boy era un demente, e che sua moglie donna Agata Carboni (sposata alla fine del 1851) cercava di carpire l’eredità e voleva convincere la suocera a intestarle i beni. Francesca Murroni si difese dalle accuse, ed ebbe probabilmente successo, anche perché la causa iniziò nel giugno del 1852, il fratello Nicola morì in luglio, e il fratello Gaetano morì nel dicembre dello stesso anno. Non si conosce la data di morte di don Michele Boi, ma si sa che Agata Carboni, vedova, si risposò nel 1861 con don Emanuele Serra di Santa Maria.

 

 


[1] Figlia del Notaio Tommaso Murroni e di Caterina Diana, cresimata in Sant’Eulalia nel 1784, nel 1852 aveva circa 70 anni; morì nel 1856

 

2587     

Con atto notarile del 05.02.1790 si assegnò in asta pubblica al notaio Giuseppe Porru la casa (2587) del defunto medico Pietro Vulpes, situata nella Marina, strada de Cavalleros (in realtà era nella discesa che porta alla strada San Francesco, attuale via dei Mille), confinante con casa Borme (2586), casa Fais (2588) e casa Melis (2585), di fronte alla casa dei fratelli Battista e Antonio Gastaldi (2615). Nella casa abitavano come inquilini il calzolaio Francesco Gagiè, il muratore Michele Mannay e la vedova Silvia Mereu. Gli ultimi proprietari, a cui fu sequestrata sul finire del 1789, erano gli eredi del medico Vulpes, fra cui il figlio Raffaele Vulpes, assente da Cagliari, in lite con altri eredi.

Il cognome Vulpes è rarissimo in Italia, presente attualmente in Sardegna con pochi nuclei familiari al settentrione (Ittiri, Alghero, Calangianus).

Il notaio Porru, che aveva pagato 602 scudi, cioè 1505 lire, non l’aveva comprata per sé ma per conto del notaio e segretario Raimondo Doneddu, al quale la cedette con atto notarile del 27 febbraio 1790.

Il Doneddu dichiarò la casa nella denuncia per il donativo del 22.06.1799, insieme alle altre che possedeva nella Marina: “casa nella contrada che si discende al Molo, dirimpetto alla casa dei signori Gastaldi (2615); 2 piani e 2 sottani; al primo e secondo piano 3 camere con cucina affittati in scudi 48, il sottano piccolo affittato in scudi 9, l’altro sottano affittato in scudi 14”.

La casa 2587, ora Doneddu, è citata in atto del 1792 relativa alla casa Borme 2586, in atto del dicembre 1799 relativo alla casa Fais 2588, e in atto notarile del 13.08.1810, relativo alla casa Gastaldi 2615, che aveva davanti “la casa dell’eredità di Antonio Fais ora della chiesa S.Eulalia (2588), e le case che erano di Vulpes (2587) e di Borme (2586) ora di Raimondo Doneddu”, così come negli atti notarile del 24.12.1812 e 18.11.1813, anch’essi relativi alla casa Gastaldi 2615.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al convento dei padri Minimi di San Francesco di Paola.

 

2588

Era una delle case lasciate dal mastro conciatore Antonio Fais all’Arciconfraternita di Santa Lucia, col suo testamento del 25.01.1780; per le vicende già raccontate (vedi case 2336 e 2343), i beni lasciati dal Fais all’Arciconfraternita vennero ceduti alla Comunità di Sant’Eulalia, con atto del 16.12.1799; la casa 2588 si trovava nella strada Gesus, confinante da una parte con una casa del segretario Ramon Doneddu (2587), dall’altra con casa di Joseph Thomas Murgia Melis (2589), davanti aveva una casa ultimamente riedificata del Capitolo (2899), strada di Gesus in mezzo, e dalla parte della discesa che va al convento aveva davanti la casa dei fratelli Gastaldi (2615).

Vi sono diversi documenti che citano la casa 2588 e i suoi proprietari: un atto del febbraio 1790 relativo alla casa 2587, atti del giugno 1792 e del maggio 1800 relativi alla casa 2589, nei quali vengono nominati Antonio Fais o l’Arciconfraternita di Santa Lucia.

Nella denuncia per il donativo di Santa Lucia, del 1799, è compresa una casa di 3 piani nella strada Gesus, affittata per scudi 40 annui, proveniente dal legato del conciatore Antonio Fais. Con atto del 16.04.1801 la comunità di Sant’Eulalia, entrata in posseso di quei beni alla fine del 1799, fondò i benefici ecclesiatici voluti dal Fais nel suo testamento; la casa 2588 era abitata allora da Maria Giuseppa Paderi, vedova del dottore in diritto Giuseppe Angelo Porcu; risulta che la donna ci abitò almeno fino al giugno 1806, come risulta da un atto relativo alla casa 2900, sull’altro lato della strada Gesus, e probabilmente abitava lì col marito, morto nel 1795.

Dopo quella data, in altri documenti viene citata correttamente come proprietaria della casa la Comunità di Sant’Eulalia: questo avviene in atti di agosto 1810, dicembre 1812, novembre 1813, tutti relativi alla casa Gastaldi 2615. 

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora alla comunità di Sant’Eulalia.

 

2589 e 2590       

Nell’atto del 1769 relativo alla casa 2583, questa confinava alle spalle con una “casa che era dell’eredità Mantelli e oggi del notaio Perico Murgia Melis”; il confine non è pieno, la casa Murgia Melis, identificata con l’unità 2590, confinava solo di sbieco e per un breve tratto con l’unità 2583; probabilmente fu indicato questo confine perché sia la casa 2583, sia la casa 2590, facevano parte dell’eredità del reverendo Giovanni Battista Mantelli.

Un atto del 03.10.1784, relativo alla casa Martis/Trogu/Melis numero 2585, riporta la notizia che la proprietà alle spalle, unità 2589, era la casa Virdis; non si hanno altre fonti per chiarire chi fosse Virdis, ma si sa che nel 1792 la casa 2589 apparteneva al notaio Pietro Murgia Melis, già proprietario della casa 2590; egli era coniugato con Anna de la Ruvera, figlia di Efisio de la Ruvera e di Maria Ignazia Virdis; è possibile quindi che la sua proprietà venisse dalla moglie, o meglio dalla madre della moglie.

Pietro Murgia Melis era figlio di Giovanni Stefano Murgia Melis e di Maria Rita Charella; nato nel 1725 si sposò nel 1751 con Anna de la Ruvera; il fratello Luigi era sposato con Rosa dela Ruvera, sorella di Anna. Pietro ebbe un unico figlio, Giuseppe Tommaso, che si sposò intorno al 1783 con Giuseppa Carboni Guiso, da cui ebbe diversi figli dal 1784 in poi.

Con atto notarile del 20.06.1792 il notaio Pietro Murgia Melis caricò sulle sue proprietà un censo di scudi 100, con pensione al 6%; ebbe i cento scudi da don Gio Maria Angioy; ipotecò la sua casa, o meglio le sue case (2589, 2590, 2584), con facciata sulla strada Gesus e sulla strada delle Saline, sulla prima strada con “dos patios”, sulla seconda con uno solo; dalla parte della strada Gesus aveva davanti la casa del Boticario Miguel Tuveri (2897), di lato confinava con la casa degli eredi del negoziante Filippo Pinna (2591), e dall’altro lato con la casa dell’eredità del mastro Antonio Fais (2588).

Fra gli altri documento che citano queste case vi è un fascicolo di causa civile del 1796, nella quale il notaio e giurato della città Pietro Murgia Melis citò i fratelli Giovanni e Raimondo Pinna, figli del defunto Filippo, proprietari della casa 2591, in quanto il cortile della casa Pinna 2591, confinante con il cortile della casa 2590, era pieno di immondizie, ridotto come una latrina. Un fascicolo di un’altra causa civile iniziata nel 1797 vede il negoziante Gregorio Piana, sequestratore dei beni di don Gio Maria Angioi (che in quel periodo era rifugiato in Francia), contro il notaio Murgia Melis, nel tentativo di recuperare 5 pensioni scadute, ognuna di 6 scudi, per il prestito di 100 scudi del 20.06.1792, per il quale il notaio aveva garantito con le sue case nelle strade Gesus e Saline e con altre proprietà in Villanova e a Selargius; la causa si trascinò fino al 1804, fra le figlie di don Gio Maria Angioi, le nobili Speranza, Giuseppa e Angela Angioi, e gli eredi del Murgia Melis, figli del figlio Giuseppe Tommaso, morto nel 1800 poco dopo il padre.

Il declino delle finanze di Pietro Murgia Melis iniziò forse nel 1792, quando ebbe i 100 scudi in prestito da Gio Maria Angioi: non pagò nessuna delle pensioni annue, per piccole che fossero; inoltre nel maggio 1797 dovette cedere alle sorelle Alesani la casa 2584, in condizioni rovinose, non potendo pagare le pensioni sui censi di 300 e di 100 scudi che doveva alle stesse Alesani.

Le case sulla strada Gesus, dove abitava, rimasero di sua proprietà per poco tempo ancora; la casa 2590 è citata in due atti notarili del novembre 1797, relativi alla casa Pinna 2591; un atto del 27.10.1799, relativo ancora alla casa 2591, cita la casa confinante 2590 come quella del fu notaio Pietro Murgia Melis; un altro atto notarile, relativo alla casa 2588, datato 16.12.1799, cita la casa 2589 come di Giuseppe Tommaso Murgia Melis, figlio di Pietro.

Con atto notarile del 14.01.1800, la casa 2590, già appartenente al defunto notaio Pietro Murgia Melis e ora di suo figlio tenente delle Porte Giuseppe Tommaso Murgia Melis, sequestrata il 06.08.1799 su richiesta della Comunità di Sant’Eulalia per un debito di poco più di 486 lire, confinante con la casa 2591 e dall’altra confinante con casa dello stesso Murgia Melis (2589), venne assegnata al notaio Pietro Santino per scudi 700 e reali 2.

Il notaio Santino l’aveva acquistata per conto della Comunità di Sant’Eulalia; era una casa di due piani, due sòttani, due piccoli cortili, il pozzo, la cisterna e un terrazzo; il 12 maggio venne registrata la cessione della casa dal notaio Santino alla comunità di Sant’Eulalia; questi i confini: da una parte la casa che ara stata del defunto Filippo Pinna, poi del negoziante Juan Luis Arnoux, dall’altra la casa di Tommaso Murgia Melis, alle spalle la casa delle sorelle Alesani (ex Murgia Melis 2584).

Con atto del 26.05.1800 il tenente delle Porte Giuseppe Tommaso Murgia de la Ruvera, unico figlio dei coniugi Pietro Murgia Melis e Anna de la Ruvera, cedette la casa 2589, l’unica rimastagli nella Marina, alla comunità di S.Anna; la casa confinava da una parte con casa di S.Lucia (2588), dall’altra parte con casa di S.Eulalia (ex Murgia Melis 2590), alle spalle con la casa di Antonio Melis (2585); la casa era gravata dal 1785 da alcuni censi di proprietà del reverendo Bartolomeo Lebio, oggi defunto, il quale nel suo testamento del 30.10.1788 li legò alla chiesa di S.Anna, la quale era quindi creditrice del Murgia Melis e di suo figlio.

Con atto notarile del 31.07.1800 la Comunità di Sant’Eulalia, volendo riedificare la casa che era del fu notaio Murgia Melis (2590), assegnata al notaio Santino il 14.01.1800 e ceduta alla Comunità il 12.05.1800, ebbe in prestito lire 2875, soldi 12 e denari 6 dal negoziante Francesco Vodret, con pensione al 5%, e ipotecò diversi beni che provenivano dalla eredità Mantelli e la stessa casa della strada Gesus ex Murgia Melis (2590).

Un atto notarile del 28.01.1802, relativo alla casa Arnoux 2591, conferma che la casa laterale era in precedenza del notaio Murgia Melis, poi di S.Eulalia.

Nel corso dell’anno 1800 morì Giuseppe Tommaso Murgia de la Ruvera; nella causa già citata per il censo Angioi, iniziata nel 1797, nel 1804 furono coinvolti gli eredi, cioè le figlie Maria Anna e Caterina e la sua vedova Giuseppa Carboni Guiso curatrice dei figli minori: Efisia, Marianna, Giovanni e Pietro.

Nella sua denuncia per il donativo, non datata, la comunità di Sant’Anna dichiarò di possedere una casa (2589 ex Murgia Melis) nella strada Gesus, formata dal piano terreno e due piani alti, ognuno con una stanza e una cucina, confinante da entrambi i lati con case della comunità di S.Eulalia (2588 ex Fais, e 2590 ex Murgia Melis).

Con atto del notaio Nicolò Martini del 30.12.1809, la Comunità consegnò al negoziante Vodret lire 500 per ridurre il debito contratto il 31.07.1800; restava ancora un carico di poco più di 1100 lire; la somma pagata proveniva da quanto versato nello stesso giorno dall’avvocato Pietro Murroni per l’acquisto della casa Vacca 2879.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2589 appartenesse ancora alla comunità di S.Anna, e la casa 2590 alla comunità di S.Eulalia.

 

2591     

Era la casa del mercante Gian Filippo Pinna, sassarese, morto a Cagliari nel 1788; figlio di Paolo Pinna e di Giovanna Pericu, si sposò 4 volte: la prima volta nel 1730 con Francesca Sanna, figlia di Antonio e Maria Serra, con la quale ebbe 13 figli fra il 1732 e il 1747; la seconda nel 1765 con Anna Bollolo, figlia di Antonio Efisio e Maria Clara Mirello, con cui ebbe due figli fra il 1767 e il 1768; la terza nel 1770 con Maria Anna Humana, figlia di Francesco e di Rosolea Gaibisso, con cui ebbe un’unica figlia morta bambina nel 1773; la quarta nel 1781 con Giovanna Fassio, figlia di Andrea e di Angela Mantelli, con cui ebbe 5 figli fra il 1781 e il 1787.

Il primo riferimento rintracciato per la casa 2591 proviene da una causa civile del 1777, relativa alla casa Melis 2576, in cui si citano alcune case del vicinato (non confinanti), cioè quella di Juan Felipe Pinna e quella di Antonio Cambazzu, identificate rispettivamente con le unità 2591 e 2582.

Filippo Pinna morì nella notte fra il 15 e il 16 dicembre 1788, e in data 16.08.1789 il notaio Nicola Murroni terminò l’inventario dei suoi beni; gli eredi erano il dottore in diritto Priamo, Paolo, Maria Anna coniugata con Paolo Maurizio Arthemalle (figli del primo matrimonio); Ramon, Giuannico (figli del secondo); la sua vedova (quarta moglie) Juannica Pinna Facio, curatrice dei figli pupilli Efisia, Giuseppe Andrea, Efisio, e Angela Pinna; dei 21 figli avuti ne erano sopravvissuti solo 9.

L’inventario ebbe inizio dai beni presenti nella casa di abitazione nella strada Gesus (unità 2591), proseguì poi con gli estimi degli immobili: la casa di abitazione di 3 piani, fu valutata 3812 scudi, 6 reali, 3 soldi e 4 denari; poi c’era una casa nella strada del Molo (2597), una dietro Santa Teresa (2776), una nella strada di Sant’Agostino (2667), due magazzini vicini alla chiesa di Sant’Eulalia, una casa nella strada Dritta del Castello (via La Marmora), una grande vigna nel territorio di Lluch (San Bartolomeo), un’altra casa con una vigna piccola che era appartenuta al figlio Giuseppe Pinna, premorto al padre.

Sono numerosi i documenti che citano la casa 2591; fra questi il fascicolo della lite civile iniziata nel 1796 fra Pietro Murgia Melis e i nuovi proprietari della casa, cioè i figli di Filippo Pinna, Raimondo (1767-1808) e Giovanni (1768-), accusati di aver fatto diventare il cortile della casa una “latrina” piena di immondizie, procurando fastidi al suscettibile vicino di casa.

Con atti notarili del 20.12.1796 e del 06.05.1797, la casa 2591, assegnata ai fratelli Raimondo e Giovanni Pinna a seguito della divisione ereditaria del 04.06.1794, fu sequestrata per i debiti dei fratelli Pinna verso il negoziante francese Juan Luis Arnoux, e assegnata in data 04.11.1797 al notaio Tommaso Spano per lire 7100; i debiti ammontavano a lire 4810, soldi 2 denari 3, più gli interessi. La casa era situata nella strada Gesus, aveva davanti una casa del Capitolo (2894), di spalle la casa del defunto Francesco Picheto (2581) e la casa del negoziante Cambazzu (2582), di lato la casa del notaio Pietro Murgia Melis (2590), sull’altro lato, strada mediante, la casa del fu Carlo Marramaldo (2578); era stata valutata dal misuratore Gerolamo Massei in lire 11770 e 10 soldi.

Poche settimane più tardi, il 27 novembre 1797, il notaio Tommaso Spano cedette la casa al negoziante Arnoux, creditore dei fratelli Pinna.

Il 21.06.1799 Gio Luigi Arnoux presentò la sua dichiarazione per il donativo: abitava nella strada Dritta del Castello, e possedeva un’altra casa nella strada Gesus della Marina formata dal piano terra, due piani alti, e i mezzanelli, in tutto 18 stanze, 2 cucine e 2 botteghe, con una rendita di 195 scudi annui.

In data 27.10.1799 Arnoux ipotecò la casa per ottenere in prestito lire 2250 da Paola Sanna e suoi fratelli e sorelle; aveva necessità di quella somma per i suoi affari; i confini della casa non erano mutati rispetto a quanto già dichiarato nel 1797.

Fra gli altri documenti che citano la casa 2591, vi è un atto notarile del 14.01.1800, relativo alla casa 2590, nel quale la casa 2591 è detta del quondam monsieur Delivò; in altro atto appena successivo, del maggio dello stesso anno, relativo alla stessa casa 2590, è invece definita come casa “del quondam Filippo Pinna e oggi del negoziante Juan Luis Arnuz”; è interessante notare che il nome di Filippo Pinna è scritto sopra un altro di difficile lettura, ma che potrebbe essere Delivò: si identificano l’iniziale D e un’ultima vocale accentata; l’ipotesi è che Monsieur Delivò possa essere stato un proprietario precedente a Filippo Pinna.

Con atto notarile del 28.01.1802 Giovanni Luigi Arnoux nativo di Nizza, unitamente al suo socio Giuseppe Terris, anch’esso francese, ottennero 3000 scudi con interessi del 6% dal Segretario del Tabellione Luigi Zibetto Serra; venne ipotecata ancora la casa 2591; nell’atto viene spiegato che alla assegnazione della casa al notaio Tommaso Spano nel 1797, e cessione successiva ad Arnoux, si oppose il cavalier Onorato Cortese, cha vantava dei crediti verso i fratelli Pinna superiori a quelli di Arnoux; quest’ultimo fu costretto a depositare in tribunale la somma del valore della casa e fu costretto a impegnare le merci del negozio nel quale era socio col Terris, col quale quindi condivise l’immobile; per liberare il negozio dai carichi i due soci decisero di accendere 2 ipoteche sulla casa a favore del segretario Zibetto Serra.

Con atto del notaio Giuseppe Baldirio Usai del 16.01.1804 il Negoziante (rigorosamente con lettera maiuscola, come tutte le professioni) Gio Luigi Arnoux, unitamente al suo socio Giuseppe Terris, cedettero la casa al Segretario Luigi Zibetto Serra per lire 12500; il compratore già abitava la casa sulla quale gravavano un censo di scudi 3000 di proprietà dello stesso Zibetto Serra e uno di scudi 900 di proprietà di Paola Sanna, di cui si fece carico il compratore, entrambi i censi compresi nel prezzo pattuito; nel frattempo Arnoux aveva provveduto ad eseguire diverse riparazioni, necessarie in particolare per i danni subiti durante il tentativo di invasione francese del 1793; la casa era stata nuovamente stimata in data 28.07.1798 dal misuratore regio Massei per lire 14009, 1 soldo e 8 denari, circa lire 2239 in più rispetto all’estimo del novembre 1797.

Conferme alla proprietà Zibetto Serra arrivano dal Donativo del Capitolo del 1807 e da atti notarili del 04.01.1811 e del 22.04.1813, entrambi relativi alle case Conte (2894 e 2895) del Capitolo Cagliaritano: davanti a queste case, verso mezzogiorno, e attraverso la strada Gesus, vi era la proprietà del segretario del Tabellione Zibetto.

In data 10.03.1842, Annica Pala vedova del fu segretario Luigi Zibetto, consegnò al notaio Pietro Doneddu il suo testamento, rintracciato fra gli “atti delle Ultime volontà” (ASC): la vedova abitava nelle sua casa della strada Gesus, che potrebbe corrispondere, senza averne certezza, alla casa 2591.

Dopo il 1850 la casa apparteneva a Raimondo Cambatzu detto Pirresu, figlio di Giovanni, nipote del negoziante e patron Antonio Cambatzu già proprietario della casa 2582; si sa che la casa 2591 appartenne per diversi decenni ai suoi discendenti.

Dopo un completo e recente restauro del fabbricato, al di sopre del portone, al numero civico 46 della via Cavour, è stata murata una targa: si attribuisce alla casa la denominazione “palazzo Boyer”, dal nome di un proprietario del XVII secolo.