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Isolato B2: S.Teresa/S.Eulalia/piazza e scalinata S.Eulalia/Collegio

(vico Collegio, via Sant’Eulalia, scalinata e piazzale Sant’Eulalia, via Collegio)

numeri catastali da 2959 a 2969

In questo isolato manca attualmente l’edificio con due piani alti, adibito a magazzino, corrispondente al numero catastale 2967, e ha subito ovvie modifiche l’area corrispondente al numero catastale 2966, che era un tempo occupata da modeste costruzioni e da una parte del Cimitero di Sant’Eulalia.

 

2959     

Da un atto notarile del 30.12.1788, relativo alla casa 2969, risulta che la casa 2959 appartenesse all’Arciconfraternita del santo Sepolcro. Il dato è confermato da altro atto notarile del 09.10.1792, relativo alla locazione di una proprietà della Casa degli Esercizi della chiesa di S.Teresa, sita di fronte alle case Novaro 2969 e del Sepolcro 2959.

Con atto notarile del 01.08.1798 i guardiani del Sepolcro Bartolomeo Sciaccarame, Angelo Truffa, mastro Francesco Conchedda, ottenner £ 2000 a censo onerativo dal negoziante Francesco Vodret; ne avevano necessità per riparare le case della confraternita; per garantirne la restituzione e il pagamento delle pensioni annue, ipotecarono una casa in ristrutturazione (identificata con l’unità 2959) sita “en la calle trasversal que conduze da la Iglesia y Porteria de Santa Teresa, a la Iglesia de Santa Eulalia, la qual affronta por delante a casas de los esercicios (2767) y del Gremio de Sant’Elmo (2774), dicha calle mediante, de un lado a casa del neg.te Fra.co Navarro (2969), de otro lado a casa que hoy posehe l’ill.e Cabildo Calaritano (2960) que era del quondam Juan Antonio Giorgelli, y de espaldas a casa dela viuda Josepha Navarro (2968).

In data 08.03.1799 Bartolomeo Sciaccarame e Angelo Truffa, a nome dell’Arciconfraternita, consegnarono lire 2707 e denari 8 ai mastri Efisio Atzeni (muratore), Marco Antonio Mereu (carpentiere), Vincenzo Delugas (fabbro), per la “riedificazione” di una casa situata nella strada di S.Teresa; 2000 lire provenivano dal prestito fatto da Francesco Vodret, con censo e ipoteca sulla stessa casa.

Infine, nel donativo dell’Arciconfraternita del Sepolcro, datato 13.08.1807, è compresa una casa nella contrada di Santa Teresa, composta da un sottano e 2 piani, ognuno con 3 stanze e alcova, con i medesimi confini prima specificati.

Dai dati catastali successivi al 1850 la casa 2959 apparteneva ancora all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2960

Gli unici riferimenti chiari a questa casa sono stati trovati nell’atto notarile del 01.08.1798, citato per la casa del Sepolcro 2959, e nel donativo del 1807 dell’Arciconfraternita del Sepolcro, in relazione alla stessa casa 2959: la casa 2960 risulta appartenere al Capitolo Cagliaritano e in precedenza, come riporta l’atto notarile, apparteneva al defunto Juan Antonio Giorgelly.

Nel donativo del 15.08.1807 il Capitolo Cagliaritano dichiarò di possedere la casa Giorgelli sita nella contrada di Santa Teresa, composta da un piano terreno ed un primo piano di 2 stanze; però i confini dichiarati non coincidono perfettamente con quanto risulta dai documenti precedenti: sul fronte c’era una casa di Sant’Eulalia, che non è però stata identificata con sicurezza[1], di lato un’altra casa di Sant’Eulalia corrispondente all’unità catastale 2961, sull’altro lato e di spalle le case Novaro: la casa di Giuseppa Novaro vedova Belgrano (2968) si trovava effettivamente di spalle, ma sul lato occidentale c’era la casa del Sepolcro 2959, che separava la casa 2960 dalla casa Novaro 2969.

Un altro riferimento piuttosto vago è stato rintracciato nell’atto notarile del maggio 1809, relativo alla assegnazione della casa 2968: sul retro di questa c’erano alcune piccole casette del Capitolo e della comunità di S.Eulalia; quella del Capitolo può essere identificata con la unità catastale 2960.

A metà ‘800, dai dati del catasto, la proprietà risulta ancora del Capitolo. 



[1] Si veda quanto scritto per l’unità 2774 e per quell’area senza numero a essa confinante: inclusa in quest’ultima, lateralmente alla casa 2779, poteva trovarsi la proprietà dell Comunità di Sant’Eulalia. 

 

 

2961 e 2962       

Vi sono pochissime informazioni su queste due case: nell’atto notarile del 19.07.1805, relativo alla casa Sciaccaluga 2779, questa aveva davanti la casa 2963 del Capitolo ed una casa di Sant’Eulalia identificabile con la casa 2962; dal donativo del Capitolo del 1807, relativo alla casa Giorgelli 2960, si può ipotizzare che anche la casa 2961 appartenesse alla Comunità di Sant’Eulalia; la Comunità presentò il suo donativo il 24.06.1799 e dichiarò di possedere una casa nell strada di Santa Teresa, senza però specificare la posizione e i confinanti: era la casa Delvecho, composta da una bottega e 3 piani di 10 stanze in tutto; un’ipotesi è che la casa Delvechio possa corrispondere a una o a entrambe le case 2961 e 2962; un altro riferimento piuttosto vago è stato rintracciato nell’atto notarile del maggio 1809, relativo alla assegnazione della casa 2968: sul retro di questa c’erano alcune piccole casette del Capitolo e della Comunità di S.Eulalia; quelle di Sant’Eulalia possono essere identificate con le unità catastali 2961, 2962.

Dopo il 1850, dai dati del vecchio catasto, le due unità catastali risultano entrambe appartenere alla stessa Comunità di Sant’Eulalia.

 

2963     

In un atto notarile del 19.07.1805 relativo alla casa Sciaccaluga 2779, è scritto che detta casa Sciaccaluga aveva davanti una casa del Capitolo ed una casa di S.Eulalia “calle di S.Teresa mediante”: dovrebbe trattarsi rispettivamente delle case 2963 e 2962, ma servono sicuramente altri documenti per confermare tale ipotesi.

Con atto notarile del 02.09.1801 il Capitolo Cagliaritano concesse in locazione al dottor Francesco Busu, per 6 anni e per 13 scudi annui, la casa detta Galinari che il Capitolo possedeva in calle di S.Teresa; nel documento non vi sono altri particolari che possano far capire quale sia la casa Galinari; per esclusione si ipotizza che possa trattarsi della casa 2963, non attribuita a nessun altro proprietario.

Con atto notarile del 26.02.1803, il dottore in arti e medicina Francesco Busu Lepori ebbe in affitto dal Capitolo, per 5 anni, anche il piano basso e il cortile della casa confinante; era una “casuccia”, chiamata anch’essa di Galinari, che il medico Busu volle affittare “per evitare molestie che possono arrivare dal cortile”; forse il cortile era in comune con la casa già affittata in precedenza; è probabile che questa casetta sia stata poi inglobata nella stessa unità catastale 2963.

Il 20 febbraio 1805 il Busu presentò al Capitolo Cagliaritano il “progetto per farsi accordare l’enfiteusi, cioè la locazione perpetua, delle 2 case Gallinari”; dopo 11 mesi esatti, cioè il 20 gennaio 1806, si giunse alla firma dell’atto notarile di enfiteusi; Busu si obbligò a riedificare le 2 case, una attigua all’altra, con la somma di scudi 800 da spendere in 3 anni; avrebbe pagato al Decano del Capitolo (don Pietro Sisternes de Oblites) scudi 26, ossia lire 65, allo scadere di ogni anno; per lui diede garanzia l’avvocato Raffaele Passio, segretario del Monte di soccorso.

A conferma dell’ipotesi che si tratti dell’unità catastale 2963, le 2 case, situate nella contrada di Santa Teresa della Marina, avevano davanti una casa di proprietà della chiesa del Sepolcro (2777), posteriormente avevano il cimitero dei Santelmari (2966), a da entrambi i lati confinavano con case della comunità di Sant’Eulalia (2962 e 2964).

Altri particolari interessanti arrivano da un atto notarile del 05.03.1811: si tratta di un accordo fra i maggiorali del Gremio dei Santelmari ed il dottore in medicina Francesco Busu; la casa di quest’ultimo, sita nella contrada di S.Teresa, confinava alle spalle col “cortile corrispondente all’aula in cui sogliono congregarsi gli individui del Gremio dei Santelmari”, in vicinanza alla chiesa di S.Eulalia; dal momento che l’acqua piovana proveniente dai tetti non era raccolta, allagava il cortile e danneggiava le case circostanti, il dottor Busu si offrì di raccogliere in una sua cisterna l’acqua, se il Gremio non ne faceva altro uso.

La pianta catastale di metà ‘800 è di scarso aiuto, in questo caso, per identificare la proprietà del Gremio; in altre carte[1] è chiaro ch l’unità 2966 era suddivisa in tante piccole aree, e che la casa Belgrano 2968 non arrivava fin dietro la casa 2963; l’ipotesi che si propone è appunto che il Gremio avesse la sua aula con il cortile in un’area posta fra la casa Belgrano 2968, l’unità 2966 col cimitero di Sant’Eulalia, e le case della strada S.Teresa; fra queste ultime c’era l’unità 2963, che è attribuibile al dottor Francesco Busu.

Purtroppo fra i dati catastali di metà ‘800 non sono stati trovati riferimenti ai proprietari di questa unità immobiliare. 



[1] Si veda il volume “Marina” della serie “Cagliari quartieri storici” della Silvana Editoriale, pag. 74 e pag. 88  

 2964     

Non sono stati rintracciati documenti che possano riferirsi con sicurezza a questa unità catastale; l’unico dato certo è che dopo il 1850, dai dati del catasto, risulta appartenere alla Comunità di Sant’Eulalia; purtroppo non è d’aiuto la dichiarazione per il donativo della Comunità, del 24.06.1799, nella quale non sono specificati i confini delle case o altre indicazioni che ne permettano l’identificazione;  è specificato il nome della strada, il numero dei piani, delle botteghe, delle stanze, e la denominazione della casa, vale a dire il proprietario precedente all’acquisizione, per donazione o altro, da parte della Comunità; sono più di 50 le case di proprietà della ricca Comunità di Sant’Eulalia, solo nel quartiere della Marina, ed è indicata solo una casa nella strada di Santa Teresa, la casa Delvechio (o Delvecho) composta da una bottega e 3 piani, con 10 stanze in tutto; si è ipotizzato poco sopra che la casa Delvechio fosse la casa 2961 insieme alla casa 2962; la stessa ipotesi si può fare per la casa 2964, che però, data la dimensione, avrebbe dovuto avere molte più stanze, distribuite su tre piani diversi; inoltre nel donativo sono elencate ben 10 case nella strada di Sant’Eulalia: curiosamente non è stata identificata neppure una casa, appartenente alla Comunità di Sant’Eulalia, nell’omonima attuale via, e nemmeno il catasto di metà ‘800 ne indica su questa strada, mentre diverse proprietà della Comunità sono presenti nella area dietro la chiesa, nelle attuali via e vico del Collegio; è quindi possibile che una o più case, fra quelle indicate nel donativo della Comunità nella strada di Sant’Eulalia, corrispondano alla grande unità 2964; si è già detto che quest’ultima, dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, risultava appartenere alla stessa Comunità di Sant’Eulalia.

 

2965     

Il numero 2965 non è presente nella mappa catastale di metà ‘800; è forse attribuibile alla chiesa di Sant’Eulalia, e forse comprendeva anche quell’area, tutta o solo parzialmente adibita a cortile, che si trova a lato della chiesa, all’imboccatura dell’attuale vico del Collegio.

 

2966     

Il primo documento, fra quelli rintracciati, che riferisca su questa unità catastale, è un atto notarile del 08.04.1802: si tratta dell’inventario dei beni lasciati dalla fu Giuseppa Belgrano nata Novaro, proprietaria della casa 2968: la casa confinava da una parte con la casa di suo fratello Francesco Novaro (2969), dall’altra parte con dei magazzini di don Giuseppe Rapallo (2967), alle spalle con il Cimiterio di S.Eulalia; quale fosse esattamente l’area occupata dal cimitero non è sicuro; probabilmente occupava l’area individuata col numero 2966 e si estendeva dietro la casa Belgrano; da altre fonti sembra che occupasse anche (tutta o in parte) quell’area senza numero a cui, in questa sede, è stata attribuito il numero 2910, a cui si rimanda; è possibile quindi che l’area cimiteriale si trovasse sia a destra, sia a sinistra della chiesa.

Nell’atto notarile del 05.03.1811, citato per la casa 2963, sembra che una parte dell’area 2966 appartenesse al Gremio dei Santelmari, che qui avevano una stanza per le loro riunioni, con un cortile che si spingeva sino alla casa Busu 2963. In data 02.03.1812 venne iniziato l’inventario dei beni di don Giuseppe Rapallo, morto il 20.11.1811; fra gli immobili di sua proprietà vi era anche un edificio adibito a magazzino, situato nella contrada Sant’Eulalia; la proprietà Rapallo corrisponde all’unità 2967: aveva davanti la casa del conte Pollini (2957) e alle spalle un piccolo giardino e il cimitero di S.Eulalia, coincidente con l’area 2966.

Nel catasto di metà ‘800 l’unico proprietario citato è il Gremio dei Santelmari; sembra però probabile che il Gremio possedesse solo una parte dell’unità 2966, forse quella coincidente con quella stanza e il cortile citati nel documento del 1811.

 

2967     

Dallo stesso atto appena citato del 08.04.1802, risulta che in quest’area vi fossero dei magazzini appartenenti a don Giuseppe Rapallo; corrispondono al fabbricato denunciato nel suo donativo da don Giuseppe Rapallo il 22.06.1799, sito nella strada di Sant’Eulalia, composto da 3 piani adibiti a magazzini contenenti “20 cisternoni per l’olio”, affittati a lire 375 l’anno.

La conferma si ha dall’inventario e descrizione dei beni dell’eredità del fu cavaliere don Giuseppe Rapallo, morto la mattina del 20.11.1811 senza testamento, lasciando i figli Giovanni, Vittorio e Beatrice, e la loro madre donna Anna Porcile; fra i beni compresi nell’inventario, iniziato il 02.03.1812, compare un “magazzeno di 2 piani alti e terreno con 20 cisterne per olio in contrada Sant’Eulalia, limitrofo davanti con casa del conte Pollini (2957) contrada frammezzo, alle spalle il cimitero di S.Eulalia (2966) con un piccolo giardino”.

Nell’’atto del febbraio 1804 con cui venne stabilito il valore della confinante casa Belgrano (2968), è scritto che di fianco a quella vi era un magazzino che era appartenuto all’ormai defunto negoziante Filippo Pinna; il Pinna era morto dal 1788: o da lui o dalla sua eredità potrebbe avere acquistato don Giuseppe Rapallo prima del 1799.

Dopo il 1850 l’unità 2967 apparteneva al barone Salvatore Rossi (1775-1856).

 

2968     

Era la casa del ricco mercante Ramon Belgrano, nato a Cagliari nel 1724, morto nel 1779; era sposato con Giuseppa Novaro, morta nel 1802; la coppia ebbe 3 figlie: Anna (1764-1791) coniugata con don Giovanni Maria Angioy, Giuseppa (1766-) coniugata con don Onorato Cortese, e Francesca (1769-1781).

Un atto notarile del 30.12.1788, relativo alla vendita di una casa della Causa Pia, limitrofa alla casa del Sepolcro 2959, e poi inglobata nella casa Novaro numero 2969 (corrispondente alla parte posteriore di questa), ci dà i seguenti confini: “affronta da un lato la casa del compratore Francesco Novaro, dall’altro lato casa del S.Sepolcro, alle spalle casa che sta fabbricando la vedova Josepha Belgrano Novaro...“; per cui, contemporaneamente all’acquisto della casa della Causa Pia da parte di Francesco Novaro, e successiva inclusione nella sua casa 2969, anche sua sorella Giuseppa Novaro vedova di Ramon Belgrano (la cui sorella Clara Belgrano aveva sposato Francesco Novaro) era intenta a costruire o ingrandire la sua casa (2968).

Nel suo donativo (senza data, ma probabilmente del 1799), Giuseppa Novaro vedova Belgrano dichiarò la sua casa nella strada di Sant’Eulalia, composta da 2 piani alti e 4 magazzini, di cui 3 affittati all’Annona Frumentaria della città per lire 675, l’altro affittato per lire 150; il primo piano di 10 stanze era abitato dalla proprietaria e avrebbe pouto rendere lire 250, il secondo piano era per metà affittato al Console Imperiale (don Gregorio de Cesaroni), l’altra metà era vuota già da due anni, e avrebbe potuto rendere in tutto lire 400.

Altri riferimenti alla casa 2968 sono presenti in numerosi atti notarili, tutti citano la vedova Giuseppa Belgrano nata Novaro (chiamata anche Navarro) come proprietaria: nel 1798 in atto relativo alla casa del Sepolcro 2959, nel 1800 in atto relativo alla casa Isola 2955, nel 1801 in atto relativo alla casa Arthemalle 2956 (in questo caso Giuseppa Novaro è chiamata erroneamente “vedova Fulger”, con riferimento ad Anna Belgrano, sorella di Ramon, vedova del mercante Giovanni Maria Fulger, o Fruquier, defunta già dal 1790).

Giuseppa Novaro morì il 16.03.1802, alle ore 2 e mezza del dopo pranzo; il giorno 17, alle 9 del mattino, Il notaio Nicolò Martini (padre dello storico Pietro Martini) si recò alla casa di ultima abitazione della defunta nella strada di Santa Eulalia, richiesto dalla figlia donna Giuseppa Cortese nata Belgrano; fu disigillato e letto il testamento scritto il 09.10.1800 e consegnato alle stesso notaio due giorni dopo; il fratello Francesco Novaro è nominato nel testamento curatore ed esecutore testamentario; in sua mancanza ne avrebbe preso il posto il nipote, don Gregorio Decesaroni (nipote in quanto coniuge di Anna Novaro, figlia di Francesco e di Clara Belgrano); i beni di Giuseppa Novaro vennero ereditati dalla figlia Giuseppa, moglie di don Onorato Cortese, e dalle 3 figlie della defunta figlia Anna, moglie di don Giovanni Maria Angioy.

L’otto di aprile del 1802 il notaio Martini diede inizio alla compilazione dell’inventario dei beni dell’eredità, su richiesta di Francesco Novaro; venne descritta la casa di abitazione, “di 2 piani alti e 2 magazzini nella strada di Santa Teresa[1], confinante da una parte a casa di Francesco Novaro (2969), dall’altra parte a magazzini di don Giuseppe Rapallo (2967), alle spalle al Cimiterio di S.Eulalia (2966), e dirimpetto, strada in mezzo, a case degli eredi del fu Giovanni Isola (2954 e 2955) e del negoziante Agostino Arthemalle (2956)”.

Con atto del notaio Francesco Angelo Randachu del 02.02.1804 la grande casa Belgrano fu valutata in totale lire 67531, un soldo e 5 denari.

Con altro atto del notaio Martini, del 08.05.1809, fu firmato un accordo fra gli eredi per l’assegnazione della casa: era sorto infatti un problema per il fatto che il cavalier Onorato Cortese, genero della defunta Giuseppa Novaro, aveva speso parecchio suo denaro per la manutenzione e la “fabbrica”; per cui, unitamente a sua moglie Giuseppa Belgrano e alle figlie della fu Anna Belgrano, cioè le 3 sorelle Angioi, fu stabilito che la proprietà sarebbe stata divisa in 3 parti: una alle sorelle Angioi, una a Giuseppa Belgrano, e la terza allo stesso Cavalier Onorato Cortese; le sorelle Angioi avrebbero concesso la loro parte in enfiteusi perpetua allo zio cavalier Cortese, che avrebbe pagato il canone annuo di lire 500. Onorato Cortese ebbe quindi piena disposizione della casa, ovviamente includendo anche quella che apparteneva a sua moglie.

Negli anni immediatamente successivi, cioè in atti del 1810, del 1811 e del 1812, relativi alle case confinanti, la casa viene ancora ricordata come quella della “fu Giuseppa Navarro (o Novaro)”;

A metà ‘800 la casa 2968 risulta appartenere al medico don Francesco Boi, professore di anatomia nativo di Olzai, che aveva sposato nel 1817 Giuseppa Angioi figlia di Anna Belgrano.

Da informazioni verbali non surrogate sufficientemente da documenti d’archivio, sembra che negli anni ’60 e ’70 del XIX secolo fosse attiva nella casa la “Locanda Concordia” di Giuseppe Castello; nel 1864, questi denunciò per calunnia “l’emigrato” Luigi Ungaro che con lettere minatorie gettava il discredito sulla locanda e sui gestori [2]; risulta che la locanda fosse in via Sant’Eulalia, ma non sono stati trovati altri elementi per localizzarla con esattezza; Giuseppe Castello era nativo di Genova, figlio del fu Francesco, aveva in quell’anno 60 anni; era aiutato nella gestione della locanda dal figlio 23enne Giovanni, nato a Marsiglia e già “ammogliato”; dieci anni dopo, nel 1874, da un altro fascicolo di una causa penale[3], risulta che il 33enne Giovanni Castello figlio del fu Giuseppe, gestisse ancora la locanda; Giovanni Castello e la moglie Barbara Zucca esercitarono l’attività di albergatori in via Sant’Eulalia almeno fino al 1881: nel 1874, nel 1878 e nel 1881 vi morirono i loro figli Hiram, Romilda e Maria, all’età rispettivamente di 3, 1 e 14 anni. 



[1] la strada dove si trovava la casa è chiamata in questo caso “di Santa Teresa”: infatti la parte alta della strada di Sant’Eulalia veniva considerata il prolungamento naturale della strada che scendeva dalla chiesa di Santa Teresa; lo stesso nome fu a volte utilizzato anche per la parte più alta della strada di Barcellona.

[2] Asc, Tribunale, cause penali, processi decisi, Busta 242 fascicolo 21

[3] Asc, Tribunale, cause penali, processi decisi, Busta 378 fascicolo 22

 

 

2969      

Con atto del 30.12.1788 il sindacato della Marina cedette al mercante Francesco Novaro Ganau una piccola casa composta da un sottano e un piano, appartenente alla causa pia Roqueta (del cavalier Antioco Roqueta), sita nella strada di Santa Teresa, confinante da un lato con casa dello stesso Novaro (2969), sull’altro lato con casa della Arciconfraternita del Santo Sepolcro (2959), alle spalle con la casa della vedova Josepha Belgrano Novaro (2968).

La nuova proprietà del Novaro fu evidentemente inglobata nella sua già grande abitazione, numero catastale 2969.

Nel suo donativo (senza data, ma presumibilmente del 1799) il negoziante Francesco Novaro, figlio del fu Camillo, dichiarò di possedere una casa nella strada di Santa Teresa[1], così composta: il piano terreno comprendente 4 stanze per le provviste di carbone, legna, vino, e per una domestica; un primo piano comprendente 9 stanze e la sala d’ingresso; il secondo piano con delle soffitte inabitabili; vi abitava il proprietario e si sarebbe potuta affittare per lire 250 annue.

Francesco Novaro era nato nel 1732, era figlio di Camillo Novaro (o Navarro) originario di Diano nella Riviera Ligure[2], e di Maria Caterina Ganau; aveva sposato nel 1761 Chiara (o Clara) Belgrano e, come si è già detto, sua sorella Giuseppa Novaro aveva sposato Raimondo Belgrano, fratello di Chiara; vi sono altri legami fra le due famiglie Novaro e Belgrano: una sorella di Francesco e di Giuseppa, Maria Francesca Novaro, sposò nel 1767 Carlo Belgrano, fratello di Raimondo e Chiara; Camillo Novaro, figlio di Francesco, nel 1804 sposò Speranza Angioi, figlia della sua cugina prima Anna Belgrano (figlia di Raimondo Belgrano e Giuseppa Novaro); Maria Francesca Cortese, i cui nonni materni erano Raimondo Belgrano e Giuseppa Novaro, sposò nel 1833 il cugino secondo Francesco Novaro, i cui nonni paterni erano Francesco Novaro e Chiara Belgrano.

Francesco Novaro morì il 07.09.1803, sua moglie Chiara Belgrano era già defunta; l’eredità spettava interamente ai loro figli e, con atto del notaio Sisinnio Antonio Vacca del 05.04.1805, venne eseguita la divisione in 7 quote delle ricche eredità dei defunti coniugi Novaro Belgrano; furono divisi beni per un totale di lire 98000, ogni quota fu di lire 14000; da queste quota furono esclusi alcuni beni che rimasero indivisi[3]; gli eredi erano i seguenti:

- donna Anna Novaro coniugata col console imperiale don Gregorio De Cesaroni;

- donna Francesca Novaro coniugata con l’avvocato don Giambattista Serralutzu, aggiunto alla Regia Segreteria di Stato e di Guerra;

- il capitano del Reggimento Sardegna Michele Novaro;

- il capitano del Reggimento Sardegna Camillo Novaro;

- donna Maddalena Novaro coniugata con l’avvocato don Giuseppe Angelo Viale;

- Anna Maria Lezani vedova dell’avvocato Luigi Novaro, la quale agiva come tutrice e curatrice di Francesco Maria e Luigi Novaro,

  suoi figli impuberi;

- Giuseppe Novaro che agiva per se stesso e come co-curatore dei nipoti impuberi figli del suo defunto fratello Luigi Novaro.

La casa 2969, situata nella strada di Sant’Eulalia nei pressi della chiesa di Santa Teresa, fu valutata lire 15479, soldi 18 e denari 2; furono fatte 3 parti, ognuna pari ad un terzo del valore, cioè lire 5159, soldi 19, denari 4, una ai figli del defunto Luigi, una a Giuseppe, la terza al capitano Michele; ad ogni quota, per raggiungere la somma di lire 14000, furono assegnati altri beni.

Ai figli del fu Luigi fu assegnato la metà di un censo caricato su proprietà in Pirri del notaio Vacca per lire lire 4375; la metà delle gioie trovate in casa al tempo della morte del nonno, per poco più di lire 640; la metà della mobilia, della biancheria, e oggetti vari per lire 1750; metà dell’argenteria per lire 1427 e soldi 10; in contanti lire 646, soldi 11, denari 11.

A Giuseppe fu assegnata la metà delle gioie, della mobilia e dell’argenteria e in contanti lire 5021, soldi 11, denari 11.

A Michele furono conteggiate lire 6622 e spiccioli già avute in contanti dal padre per la sua carriera militare, e in contanti lire 2217, soldi 14, denari 5.

La casa era stata comprata dal fu Camillo Novaro, padre di Francesco, dal Monastero della Purissima Concezione in data 06.07.1752; Francesco Novaro nel 1788 vi aveva unito una casetta attigua (con facciata sulla strada di Santa Teresa) che aveva comprato dalla Causa Pia del Sindacato della Marina; questa piccola casa non era stata pagata, ma era stato creato un censo di lire 750 su cui si pagava la pensione annua; su ogni quota gravava quindi un terzo della pensione.

Si hanno citazioni della casa 2969 e del suo proprietario in diversi atti notarili degli anni fra il 1792 e il 1812, tutti relativi alle case confinanti; in atti del 1807 e 1812 la casa risulta degli eredi di Francesco Novaro.

Con atto del 04.10.1806 i fratelli Michele (Capitano nel Reggimento Sardo) e Giuseppe Novaro (console Generale dell’impero Ottomano) ipotecarono i due terzi della grande casa che possedevano nella strada di Santa Teresa, “dirimpetto alla casa del collegio” (2767); il valore della parte ipotecata era di lire 10319 e denari 8.

L’ipoteca accesa nel 1806 serviva per garantire lo zio Felice Ranucci (zio acquisito poiché aveva sposato nel 1773 Antonia Belgrano, sorella di Chiara), che aveva consegnato ai nipoti 5000 scudi col patto di ospitarlo e mantenerlo, insieme alla sua serva.

Felice Ranucci, ex console di Genova, vedovo e “di settuagenaria e più avanzata età” possedeva 5000 scudi destinati “ad ottenere un frutto per sostenersi, assieme alla sua serva che da molti anni gli presta i suoi servigi”; rinunciò alla somma in favore dei nipoti, in cambio del 12% annuo da corrispondere ad ogni trimestre, cioè scudi 150 a trimestre, e in cambio di una stanza che gli metteranno a disposizione nelle loro case, e una stanza per la serva, “col pranzo, caffè, lume, Bugato (bucato?)”; avrebbe pagato al nipote o alla nipote che l’avesse ospitato 200 scudi ogni anno, cioè 50 a trimestre.

La nipote donna Annica Novaro, consorte del Console Generale Imperiale Don Gregorio De Cesaroni, “con somma contentezza” lo accolse nella sua casa assieme alla serva, “dandogli la tavola in cui si cibano i coniugi De Cesaroni Novaro, il caffè, lume e bugato, e le due stanze”.

Oltre a Michele, Giuseppe e Anna, furono coinvolti nell’accordo anche il fratello Camillo (Capitano nel Reggimento Sardo e Comandante delle centurie urbane) e la sorella Francesca (coniugata col nobile Giobatta Serralutzu); tutti ipotecarono diverse loro proprietà del valore totale di lire 82799, soldi 19, denari 2: alla Marina le case 2339, 2489, 2599, 2627, e la 2969, inoltre proprietà in Stampace, in Quartu, e diversi censi, tutti beni ereditati dai loro genitori o da altri parenti.

Dopo il 1850 la casa 2969 apparteneva ancora a Michele (1768-1853) e Luigi Novaro (1799-1859), figlio il primo, nipote il secondo, di Francesco.



[1] La strada dove si trovava la casa è chiamata in questo caso “di Santa Teresa”: infatti la parte alta della strada di Sant’Eulalia veniva considerata il prolungamento naturale della strada che scendeva dalla chiesa di Santa Teresa; lo stesso nome fu a volte utilizzato anche per la parte più alta della strada di Barcellona, e anche per l’attuale vico del Collegio.

[2] Vi sono ben 6 diversi Diano in provincia di Imperia: Diano Arentino, Borello, Calderina, Castello, Marina e San Pietro; l’unico sulla costa è Diano Marina, ed è attualmente il più abitato

[3] Con atto del 05.04.1805, stessa data dell’atto della divisione ereditaria, fu creata una società tra gli eredi Novaro Belgrano; si legge nel documento: “Per conservare la memoria del Padre e dell’Avolo, e per legarsi maggiormente col vincolo di fratellanza, il solo che può sostenere il lustro della famiglia, ed il comune interesse dell’Eredità, dopo il decesso del detto Francesco seguito il 07.09.1803, determinarono di stabilire una società nei rami di negozio che egli eserciva, come l’arrendamento delle Tonnare di Portoscus principiato il 01.07.1802 da terminare il 30.06.1810, e quello delle rendite feudali di Cuglieri e Scano principiato nel 1801 e da terminare nel 1810.”