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Isolato D1: Gesus/Barcellona/Saline/S.Eulalia

(via Cavour, via Barcellona, via Sardegna, via Sant’Eulalia)

numeri catastali da 2622 a 2627

Le due case sulla via Barcellona, all’angolo con la via Sardegna, sono state sostituite da una costruzione recente, meno ingombrante sulla via Sardegna; fu il Comune di Cagliari ad acquistare nel 1865 la casa 2626 (forse insieme alla 2627), e la casa 2625 (all’angolo fra le attuali vie Sardegna e Sant’Eulalia), per allargare la via Sardegna che era fino ad allora un vicolo (Sez. II, Registro N° 49, deliberazioni del Consiglio civico dal 2/11/1863 al 15/18/1865, segnalazione del ricercatore Vincenzo Spiga). In seguito potrebbero essere intervenuti dei crolli causati dai bombardamenti del 1943, così come capitò alla vicina chiesa di Santa Lucia.

 

2622     

E' la casa all’angolo fra la contrada Gesus e la strada Barcellona; in un atto del 1768 è riferito che era in quell’anno di proprietà della compagnia di Gesù, ma in precedenza era di Pedro Juan Sequi; a seguito dello scioglimento della Compagnia di Gesù, in data 12.04.1790 venne deliberata la sua assegnazione in pubblica asta al notaio Gioachino Carro; egli però rinunciò, e con atto del dicembre 1790 la cedette al caffettiere Pietro Carboni, che l’avrebbe utilizzata come sua abitazione e per la bottega di caffè; era composta da 2 piani alti ed il terreno; quest’ultimo era diviso in una entrata, 2 botteghe, retro bottega, piccolo magazzino, sotterraneo; il piano superiore aveva una sala, anticamera, 2 camere con alcova, e il piano ultimo aveva una saletta, cucina, 5 camerini; la casa risulta ancora una proprietà del Carboni nel 1807, dal donativo di quell’anno del Capitolo, proprietario della casa 2623, e da atto notarile del 23.04.1808, relativo alla casa Racca 2920, dove è scritto che prima apparteneva all’Azienda ex-gesuitica, poi al caffettiere Pietro Carboni; successivamente diventò proprietà del Monte di Riscatto[1] che, con atto notarile del 02.09.1809, la cedette per lire 8030 a Don Giuseppe Simon Marchese di Samassi; questi, con altro atto dello stesso giorno la cedette al negoziante Domenico Dessì; fino ad allora era abitata dallo stesso Pietro Carboni che ne era stato proprietario e aveva in questa casa la sua caffetteria; la situazione non era mutata nel 1810: in due atti notarili del dicembre di quell’anno, relativi alla casa 2623, la proprietà risulta ancora del Dessì, e risulta cha Pietro Carboni vi avesse sempre il suo caffè.

Domenico Dessì, col suo testamento rogato in Napoli il 11.03.1820, la lasciò in eredità al negoziante Domenico Meloni, domiciliato in Napoli; quest’ultimo fu costretto a venderla attraverso il suo amministratore Giovanni Battista Oddone, per istanza di suo fratello “il mentecatto” Cristoforo Meloni, per un credito che quest’ultimo vantava verso Domenico; nel 1823 fu perciò acquistata dal negoziante Francesco Antonio Rossi, padre del barone Salvatore. 

Nel Sommarione dei fabbricati risulta appartenere sia a Teresa Mannu vedova Salvais, sia a Teresa Bongiovanni vedova Salvais: c’è una correzione poco chiara sul registro, e si intravede la possibilità che la doppia attribuzione sia frutto di un banale errore: l’unica Teresa Mannu di cui si hanno notizie morì a 69 anni nel 1897 in una casa della strada Mores, e risulta sposata con Giuseppe Raggiu; di Teresa Bongiovanni si sa invece che aveva sposato nel 1826 lo scarparo Pasquale Salvais, morto nel 1850; lei morì a 87 anni il 03.11.1892 in una casa di via Cavour (cioè l'antica strada Gesus) che non si esclude possa essere la stessa casa con numero catastale 2622. 



[1] eretto con Regie Patenti il 12.03.1808 

  

2623

L’unità immobiliare 2623 era divisa in due case distinte, almeno fino al 1811: la prima era la parte in alto, all’angolo fra le strade Gesus e Sant’Eulalia; l’altra, in basso, aveva la facciata principale sulla strada Barcellona e il retro sulla strada di Sant’Eulalia (a volte chiamata in questo tratto strada o stretta delle Saline o vico Salinas, o vico Toufany).

 

2623/a

Per la parte in alto le prime notizie arrivano dall’atto notarile del 1790 relativo alla casa 2622, apparteneva agli eredi del fu cavaliere Baldirio Durante (o Duranty) (1709-), e se ne ha conferma da un atto notarile del luglio 1793, relativo alla casa 2919.

In data 13.08.1796 donna Anna Maria Duranty consegnò il suo testamento al notaio Agostino Murrony Moyrano; nominò erede per la sua parte legittima materna della casa di abitazione, nella strada Gesus, la sorella Caterina Duranty, monaca in S.Chiara; per la parte d’eredità paterna nominò erede l’altra sorella, donna Maria Ignazia Duranty contessa di S.Sofia; il testamento fu pubblicato subito, con la testatrice ancora in vita.

Donna Anna Maria Durante (1743-), con i fratelli reverendo don Francesco (1738-1799), reverendo don Luigi (1741-1803), don Giovanni Stefano (1745 -), e la sorella donna Ignazia contessa Lostia di S.Sofia (1740 -), denunciarono per il donativo straordinario del 1799 la proprietà di una casa nella strada Gesus, composta da due piani con 7 stanze e 3 sotterranei; parte della casa era abitata da donna Anna Maria e avrebbe potuto rendere 16 scudi annui, mentre l’altra parte, quando si riusciva ad affittarla, rendeva scudi 60 annui; si pagava la pensione per un censo di proprietà del Capitolo ed uno della chiesa di San Sepolcro; donna Anna Maria Durante è citata come proprietaria anche nell’agosto 1807, nel donativo dell’eredità Picci (per la casa 2919).

In data 01.04.1803 donna Anna Maria Durante consegnò un altro testamento al notaio Alessandro Alciator; eredi universali furono nominati la sorella, donna Maria Ignazia Durante contessa di S.Sofia, e il nipote don Francesco Lostia, capitano del battaglione degli Invalidi; curatori furono nominati la stessa sorella e il reverendo Giuseppe Recupo, beneficiato e parroco di S.Eulalia, suo confessore.

In data 18.11.1810 donna Anna Maria Durante consegnò un terzo testamento al notaio Alessandro Alciator; eredi universali furono nominati la sorella, donna Maria Ignazia Durante contessa di S.Sofia, e l’anima della testatrice; i beni sarebbero stati amministrati dal reverendo Angelo Francesco Aitelli, presidente di S.Eulalia (nel 1806 era deceduto il suo confessore, reverendo Giuseppe Recupo, nominato curatore nel precedente testamento); il testamento fu compilato e consegnato al notaio nella casa di abitazione di donna Anna Maria, nella strada Gesus, presumibilmente la stessa casa 2623/a.

Nel frattempo, con atto del notaio Azuni del 29.03.1810, la proprietà Durante fu fatta valutare dai muratori Francesco Antonio Pilloni e Pasquale Cao, dal falegname Pasquale Fadda e dal ferraro Giovanni Orrù; l’estimo era stato chiesto dalle due dame Maria Ignazia Durante, contessa vedova Lostia, e da sua sorella Maria Anna, in accordo col Monsignor Canonico Don Pietro Maria Sisternes de Oblites, Decano della Primaziale, già proprietario della confinante casa Toufany (vale a dire l’altra ala della stessa unità 2623). La casa Durante, a sua volta, poteva essere divisa in due parti; la parte principale si affacciava sulla strada Gesus e sulla traversa che scendeva a quella delle Saline, una parte più piccola e interna era limitrofa alla casa del canonico; le due parti furono valutate in tutto lire 4231 e 15 soldi; la grande lire 3139 e 5 soldi, la piccola lire 1092 e 10 soldi.

Con atto notarile del 17.12.1810, donna Maria Antonia Durante e sua sorella donna Ignazia, vedova del conte Giuseppe Lostia di Santa Sofia, vendettero la casa al monsignor canonico Pietro Maria Sisternes de Oblites decano della Primaziale, Vicario generale Capitolare, e Proto Notaro Apostolico; era appartenuta in precedenza anche al fu sacerdote Francesco Durante loro fratello, e ad Anna Sequi erede del sacerdote Luigi Durante, altro fratello delle venditrici; proveniva dall’eredità dei loro genitori, Bardilio Durante e Maria Tommasa Sequi.

Sulla casa era caricato un censo di lire 658 e soldi 15 di proprietà di don Francesco Lostia di S.Sofia, capitano nelle Regie Armate, di sua sorella donna Tommasa Marramaldo nata Lostia e del fratello don Efisio Lostia, tenente nelle Regie Armate; i fratelli Lostia, figli di donna Ignazia Durante, l’avevano avuto in eredità dalla nonna donna Tommasa Sequi Durante, e lo cedettero, unitamente alla casa, al canonico Sisternes.

Il 16.12.1810, cioè il giorno prima del passaggio di proprietà della casa Durante, fu stipulato un atto notarile di accordo fra il canonico Sisternes e gli eredi del sacerdote Alberto Franchino: essi affidarono al canonico una somma di denaro (lire sarde 4428) da investire sulla casa Durante, per il suo acquisto e per i lavori di miglioramento, e per lavori di miglioramento da effettuare sulla confinante casa Toufani, già di proprietà del canonico Sisternes; dalla somma consegnata al canonico, gli eredi Franchino avrebbero avuto un utile, cioè il canone annuo di lire 221, soldi 5, denari 6, destinato a celebrare 3 messe quotidiane, secondo le volonta testamentarie dello zio Francesco Franchino, di cui il defunto sacerdote Alberto era stato l’erede. 

La casa era composta da 3 piani e 2 botteghe terrene, in ogni piano vi erano 2 stanze, una sala, la “stanza da mangiare”, una dispensa e una cucina; vi erano inoltre la cisterna, il pozzo, una “stanza di domestico, il magazzino per bosco e carbone”.

 

2623/B

La seconda parte dell’unità catastale 2623 era la casa Nureci o Toufani; il primo riferimento utile proviene da un atto del 1779, relativo alla casa 2624, che confinava lateralmente con la casa del conte Toufany 2623; nell’atto notarile del 12.04.1790, relativo alla casa 2622, il proprietario della casa 2623 risulta “il fu conte Toufani”: si tratta di Pietro Toufani conte di Nureci e Asuni, morto il 12.10.1789 nella sua casa di “Monte Orpino”; dopo la morte di Pietro il titolo di conte di Nureci e Asuni fu attribuito a Francesco Marramaldo (-1837), figlio di donna Barbara Toufany (1727-1795) sorella di Pietro; la famiglia veniva chiamata frequentemente Marramaldo-Toufani o Toufani-Marramaldo, o semplicemente Toufani, generando diversi equivoci anche nella ricostruzione genealogica della famiglia.

Dalle denunce per il donativo del 1799 la casa 2623 risulta appartenere ancora alla stessa famiglia: il commerciante Angelo Belgrano dichiarò di possedere un censo gravante sulla casa del conte di Nureci (cioè Francesco Marramaldo Toufani), sita in “calle de la Trinidad”, cioè la parte bassa della strada Barcellona (così chiamata perché vi si affacciava la chiesa di Santa Lucia, sede dell’Arciconfraternita della SS. Trinità e sangue di Cristo, sotto l’invocazione di S.Lucia).
Con atto notarile del 03.01.1807, su incarico del conte Marramaldo Toufani e del Capitolo Cagliaritano, il muratore Francesco Magnetto, il falegname Antonio Ferdiani e il ferraro Giovanni Orrù eseguirono l’estimo della casa, e la valutarono in tutto scudi 5067, 5 reali, soldi 3 e denari 2. Il 07.03.1807 il Capitolo Cagliaritano comprò l’immobile e nell’agosto 1807, chiamandola casa Nureci, la incluse nella denuncia per il donativo.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni, del 20.10.1807, la casa Nureci fu ceduta al reverendo monsignore Pietro Maria Sisternes de Oblites, canonico decano della Primaziale, per lire 12668:18:2, esattamente la stesse cifra (espressa in lire anziché in scudi) per la quale era stata valutata; a conti fatti, per spese anticipate dal compratore, e per affitti da incassare, risultò che erano state già versate lire 3943, soldi 17 e denari 1; restavano da pagare lire 8725 e 11 denari somma per la quale il canonico avrebbe pagato l’annuo frutto compensativo di lire 436.10.10, con interessi al 5%, a partire dal primo giugno del 1807 (si era accordato al conte Marramaldo Touffani di vuotare la casa entro il mese di maggio, e gli affitti furono assegnati al compratore dalla stessa data; il negoziante Giovanni Manca, affittuario di una bottega e dei mezzanella, aveva già pagato un anno di affitto lire 175). Il canonico Sisternes avrebbe saldato il capitale in un decennio, a partire dal 1810, in 3 rate. La casa aveva una facciata nella strada di Barcellona, di fronte alla casa Rapallo (2640), fra il caffè del regio distillatore Pietro Carboni (2622) e la casa del negoziante Pietro Crobu (2624); l’altra facciata nella “traversa, ossia stretta, fra le contrade Salinas e Gesus” (ovvero l’ultimo tratto della strada di Sant’Eulalia); fu ancora elencata fra le proprietà del Capitolo nel donativo del 15.08.1807, ma una nota inserita nel mese di dicembre specifica che era stata ceduta (retroattivamente) al “Monsignor Decano”; venne specificato che sulla strada Barcellona c’era un piano terreno con una bottega e un mezzanello di 2 stanze (quanto aveva in affitto Giovanni Manca), sulla strada Sant’Eulalia c’era il piano terreno, un mezzanello di 3 stanze, un primo piano di 4 stanze e un ultimo piano di 6 stanze.

Si scoprì successivamente che sulla casa era caricato il capitale di lire 1852.12.7 con pensione al 5%, di cui si era onerato il conte di Nureci a favore dell’avvocato Angelo Belgrano con atto del 21.10.1785; Il conte, semplicemente, aveva omesso di ricordare il debito.

Il conte Marramaldo Touffani, al momento della vendita al Capitolo aveva promesso che avrebbe liberato la casa in due mesi; ma, per “mancanza di comodo alloggio”, continuò ad abitarla fino al 07.10.1808. Il canonico Sisternes decise così di chiedere un affitto e, in accordo fra il vecchio ed il nuovo proprietario, fu affidato l’incarico di stabilirne l’importo al Capo Mastro Muratore Francesco Magneto; per l’affitto dei due piani occupati dal conte, più un sottano, fu stabilito il canone annuo di scudi 150. 

Come già scritto per la casa 2623/a, in data 16.12.1810 furono consegnate al canonico Sisternes, dagli eredi Franchino, 4428 lire da investire nella casa Toufani già di sua proprietà e nella confinante casa Durante che egli avrebbe acquistato il giorno successivo.

 

2623/a/b

Per far fronte alle spese di acquisto delle due case, e alle spese ingenti per la riedificazione, in data 27.07.1810 il canonico Sisternes ottenne un prestito di lire 8725, col canone annuo al 5%, dagli amministratori dell’eredità del fu console Felice Ranucci. La somma fu depositata presso il reverendo Angelo Aitelli, presidente della comunità di Sant’Eulalia, e sarebbe stata messa a disposizione di volta in volta per pagare i lavori imminenti. Dovendo anche far fronte alle spese per il censo già caricato sulla casa ex-Toufani, il canonico ottenne un ulteriore somma di lire 4040, anch’essa soggetta alla pensione annua al 5%.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni del 05.08.1810 fu firmato un accordo fra il canonico Sisternes e i capi mastri Francesco Magnetto, Antonio e Francesco Antonio Pilloni, padre e figlio, per la riedificazione delle due case del canonico: una era in precedenza del conte di Nureci e Asuni, l’altra era ancora una proprietà Duranti e si aspettava “a momenti” di firmare l’atto di vendita. Fu fissata la cifra di 4500 lire pagabili in 3 rate, una all’inizio del lavori, la seconda a metà del lavoro e la terza a lavoro finito e collaudato. Fu pagata la prima rata di 1500 lire, prelevata dal fondo presso il reverendo Aitelli. Con l’acquisto delle due case, Sisternes potè “rendere i 4 piani comodi e potervi alloggiare con indipendenza la numerosa famiglia, essendo ogni appartamento composto da 15 camere, non comprese le cucine”.

Nell’atto notarile del 1823 relativo alla casa 2622, la casa 2623 risulta appartenere interamente al canonico Pietro Maria Sisternes; nato a Oristano nel 1758, egli morì a Cagliari nel 1828 (da Vittoria Del Piano, Giacobini moderati e reazionari in Sardegna). 

Nel Sommarione dei fabbricati di metà ‘800 risulta appartenere in parte al Capitolo Cagliaritano, in parte alla Causa Pia e in parte al Seminario Tridentino.

 

2624, 2626

Con atto notarile del 06.03.1779 il console di Malta Giorgio Valacca vendette 3 case situate nella strada di Barcellona ai fratelli negozianti Agostino e Maurizio Arthemalle; si tratta degli immobili con numeri catastali 2624 e 2626, quest’ultimo costituito da due case unite in un’unica abitazione; 3 anni prima il Valacca aveva avuto in prestito dal marchese di San Sperate, don Saturnino Cadello, la somma di scudi 3000 (lire 7500), e aveva avuto scudi 1000 (lire 2500) dalla Compagnia del Santo Monte di Pietà, con ipoteca della sua proprietà e interessi al 5%, col patto che avrebbe riedificato le case che avrebbero poi fruttato una rendita che gli avrebbe permesso di restituire le somme prestategli. I 4000 scudi (lire 10000) furono depositati presso il negoziante Agostino Arthemalle, dal quale il Valacca li prelevò mano a mano nei 3 anni successivi, per utilizzarli però per altri scopi. Nel 1779, pressato dai creditori, non disponeva più del capitale e si decise a vendere le case ai fratelli Arthemalle per il prezzo per il quale le aveva acquistate, cioè lire 9033, soldi 12 e denari 8, tutti da restituire; si impegnò a pagare la differenza entro 2 anni: mancavano al saldo poco meno di 967 lire.

La prima casa, identificata con la parte bassa dell’unità 2626, fu comprata dal Valacca il 27.07.1773 per 2583 lire, 6 soldi e 8 denari, dal reverendo Luis Piras di Oristano; un sottano aveva la porta nell’angolo di sud-est e guardava verso la porta dei magazzini Reali del sale (2601), mentre di lato, con la strada delle Saline in mezzo, confinava con la casa Marramaldo 2607.

La seconda casa, identificata con il numero catastale 2624, situata di fronte alla casa Solaro (2641) e laterale alla casa Toufany 2623, composta da 2 piani alti e una bottega, fu acquistata dal Valacca per lire 3637 e 16 soldi il 21.08.1773 dalla nobile vedova donna Maria Angela Borro e da donna Maria Antonia Borro moglie di don Joseph Ignacio Enna di Oristano; le due nobildonne l’avevano ereditata dal reverendo monsignor don Juan Antonio Borro vescovo di Bosa; era la più grande delle 3, con una facciata nella strada Barcellona ed un’altra, dove aveva la porta principale, nella “callesita de Toufany”, corrispondente al tratto più basso e più stretto della attuale via Sant’Eulalia.

La terza casa, identificata con la parte alta dell’unità catastale 2626, situata davanti alla facciata della chiesa di S.Lucia, fu comprata dal Valacca il 21.10.1773 per lire 2812 e 10 soldi da Joseph Liborio Piras Mura di Santu Lussurgiu; quest’ultimo agiva come procuratore di sua moglie Francesca Angela Piras la quale l’aveva ereditata da sua madre Maria Vissenta Del Faro, secondo la divisione ereditaria del 15.07.1770 fatta coi suoi fratelli reverendo Luis Piras (proprietario dell’altra parte dell’unità 2626) beneficiato della cattedrale di Arborea, e Domingo Vicente Piras.

Nella denuncia per il donativo straordinario del 24.06.1799 il commerciante Agostino Arthemalle dichiarò di possedere, insieme al fratello Paolo Maurizio, 3 case in contrada Barcellona di fronte alla chiesa di S.Lucia, una da parte (2624), le altre due unite in un’unica abitazione (2626), composte da 4 botteghe, 2 piani, in tutto 14 stanze, con rendita complessiva 226 scudi annui; vi era caricato un censo di proprietà di don Saturnino Cadello, risalente ai tempi del proprietario Valacca.

In data 13.07.1803 fu eseguita una valutazione della casa 2624 dai periti muratori mastri Vicente Castellano e Juan Crobu e dai mastri falegnami Antonio Marchia e Gaspar Cuy, su incarico dei proprietari fratelli Arthemalle e del negoziante cagliaritano Pedro Crobu, interessato all’acquisto; vi abitava come inquilino il negoziante Gaetano Navarro, la cui presenza è confermata anche da un atto notarile del novembre 1802, relativo alla frontale 2641; era composta da due piani alti e dal piano terreno diviso in due porzioni, aveva la cisterna e il pozzo e un piccolo cortile; nel primo piano, dalla parte della strada Barcellona c’era la scala, l’alcova e un corridoio, dalla parte sull’altra strada due stanze e alcova; il secondo piano era identico al primo, ma c’era la cucina, e si accedeva ad un piccolo terrazzo; le finestre avevano i balconi in ferro; fu stimata in tutto 1700 scudi, 7 soldi e 4 denari, cioè 4250 lire 7 soldi e 4 denari.

Contemporaneamente all’estimo delle casa 2624, il 13.07.1803 fu effettuato anche quello della casa 2626 dagli stessi periti falegnami e muratori, su incarico dei fratelli Arthemalle e del negoziante Antonio Cambazzu. Era abitata come inquilino dal “Panatero” cagliaritano Juan Espissu[1], il piano basso era diviso in 3 piccoli locali in uno dei quali c’era il forno; nel primo piano vi erano 3 stanze e l’alcova, e una cucina dalla quale si saliva al secondo piano che aveva 4 piccole stanze; la casa fu stimata per 1601 scudi e 9 reali, cioè 4004 lire e 5 soldi.

I fratelli Arthemalle non avevano più convenienza a tenersi le tre case: era sicuramente impegnativo pagare la pensione annua di lire 500 per le lire 10000 del censo rimasto sulla proprietà; con atto del notaio Nicolò Martini del 04.07.1804 cedettero quindi le tre case per lire 10000 allo stesso marchese Cadello già proprietario del censo; per cautelarsi da eventuali pretese che potevano arrivare dagli eredi Valacca o dagli eredi Piras dovettero ipotecare altri immobili di loro proprietà: Agostino la casa grande della contrada Barcellona (num. catastale 2956), Paolo Maurizio un magazzino nella strada di San Bernardo.

Il marchese Saturnino (o Sadorro) Cadello non aveva nessuna intenzione di tenersi i 3 immobili; il suo acquisto fu un comodo passaggio per risolvere i problemi legati al censo di sua proprietà; in data 03.08.1804, vale a dire 30 giorni dopo, poté vendere al negoziante Pietro Crobu la casa 2624 per scudi 2050, e le due case che formavano l’unità 2626 al negoziante Antonio Cambatzu per scudi 1950; i due compratori, che avevano commissionato l’estimo l’anno precedente, erano evidentemente già d’accordo sia col marchese, sia coi fratelli Arthemalle.

Con atto del giorno 8 maggio 1806, Francesco Marramaldo Toufani conte di Nureci, proprietario della casa 2623/b, e Pietro Crobu, proprietario della casa 2624, fecero stimare da due mastri muratori i muri perimetrali che dividevano i rispettivi immobili; il Crobu fece eseguire una nuova stima della casa il 16.08.1806, in accordo con la suocera Chiara Luni: il 27 luglio era infatti morta sua moglie Anna Cixidda e il Crobu dovette saldare un debito con la suocera, per i diritti sulla parte legittima che doveva avere Chiara Luni sull’eredità della figlia, morta senza discendenza; per altri diritti testamentari fu coinvolto anche il Reverendo Bonaventura Puxeddu, amministratore delle cause pie della Diocesi; nell’atto d’estimo è specificato che la casa era stata comprata durante “la società coniugale con Anna Cixidda”; era composta da 4 piani compreso il terreno, con la cisterna, ed era ancora in fabbricazione; i periti la valutarono per lire 5257, soldi 13, denari 5.

Negli anni successivi la proprietà Crobu è confermata dal donativo del 1807 del capitano Camillo Novaro, proprietario della casa confinante 2627; è confermata dagli atti notarili del dicembre 1810 relativi alla casa 2623; è ancora confermata dall’atto notarile del 1812 con cui lo stesso Pietro Crobu acquistò la confinante casa Novaro 2627.

Da un documento del 18.03.1805 la casa 2626 risulta appartenere al patron Antonio Cambazzu, detto “Testoni” (1744-1811); egli chiese in quella data al Regio Demanio di inglobare nella sua proprietà un angolo morto sulla contrada delle Saline, “un luogo atto a nascondersi” posto fra la casa Cambazzu e quella di don Litterio Cugia (2625). 

In atto del 04.10.1809 relativo alla casa Bausà 2607, sull’altro lato della strada c’era la casa del negoziante Antonio Cambazzu; nell’atto notarile del 1812 con cui Pietro Crobu acquistò la casa 2627, la casa 2626 risultava appartenere agli eredi Gambazzu.

Probabilmente subito dopo l’acquisto, e certamente dopo una ristrutturazione, la casa divenne l’abitazione della famiglia di Antonio Cambazzu; questi morì senza aver fatto testamento, forse improvvisamente, il 01.09.1811; lasciò la vedova Giuseppa Lai e 6 figli, di cui 3 minori, e due nipoti orfane, figlie della defunta figlia Antonica (1777-1803) e del fu negoziante Efisio Steria Schivo (1769-1808); aveva diverse proprietà a Cagliari e altre a Pirri; fu incaricato dell’inventario il notaio Efisio Usai Todde che si occupò prima dei beni in Pirri, dove la famiglia era impegnata, in quella stagione, nella vendemmia; i beni di Pirri comprendenti le vigne e un grande magazzino con le sue merci, furono valutati per lire 7385, soldi 17, denari 10; poi si spostò a Cagliari: la casa della strada Barcellona (numero catastale 2626), dirimpetto alla chiesa di Santa Lucia, fu valutata lire 7202, soldi 4 e denari 4; oltre alla casa di abitazione furono stimate una casa nella strada Monserrato (numero catastale 2825, lire 7005.15.6), una casa nella strada delle Saline (numero catastale 2582, lire 4555.19.9), un magazzino in Stampace, strada San Bernardo (lire 2867.11.10); furono valutate le merci contenute in un magazzino della casa delle Saline, dietro la chiesa di San Francesco, per lire 4866.7.1; le merci nei magazzini della casa della strada Barcellona per lire 3432.4.8; poi il mobilio della casa di abitazione, gli oggetti personale e i tanti crediti; l’asse ereditario fu valutato in lire 56980 e spiccioli, di cui la metà di pertinenza della vedova, essendo sposati “alla sardesca”, l’altra metà agli altri eredi, da dividere in 7 parti, cioè ai sei figli superstiti e alla nipote Rita Steria (1803-1884), essendo morta pochi mesi dopo il nonno l’altra nipote Michelina Steria (1800-1811?); ognuno avrebbe avuto poco più di lire 4070.

In data 10.01.1812 fu firmato l’atto di divisione ereditaria: nella porzione della vedova fu compresa la casa di abitazione con il suo grande magazzino, tutto il mobilio e l’argenteria, e altri beni in Pirri. 

Dopo il 1850, dal Sommarione dei Fabbricati, la casa 2624 risulta appartenere ancora a Giovanna Tuveri vedova Crobu[2] e ai suoi figli Michele e Raimondo Crobu; una correzione successiva al primo impianto catastale attribuisce la casa ai soli eredi Crobu: Michele, Raimondo, Francesca, Maria, Carolina, Annina e Luigia, mentre viene eliminata l’attribuzione a Giovanna Tuveri.

Nella casa di via Barcellona, al numero civico 3, mori Il 12.03.1867 la nubile Carolina Crobu di anni 42, figlia del fu Pietro e di Giovanna Tuveri; vi morì a 39 anni la nubile Anna Crobu, sorella di Carolina; il numero civico 3, nel primo catasto urbano degli anni ’50 del secolo XIX, corrisponde alla casa 2603, altra proprietà dei Crobu. In data 03.04.1875 morì la ottantottenne Giovanna Tuveri, vedova di Pietro Crobu, in una casa al numero 14 della via Barcellona: non si sa se si tratta della stessa casa 2603 (i numeri civici furono cambiati più volte nella seconda metà del secolo), oppure della casa 2624, anch’essa in via Barcellona; il 05.11.1875 morì in una casa di via Barcellona, senza poter precisare il numero civico, il celibe impiegato Michele Crobu, altro figlio di Giovanna Tuveri; altre due sue figlie, Maria e Francesca, morirono nubili nel 1885 e 1895, all’età di 70 anni e 85 anni, in una casa al numero 3 di via Darsena (cioè la strada del fortino, attuale via Porcile), altra proprietà di famiglia (numeri catastali 2477 e 2478).

Nello stesso Sommarione dei Fabbricati la casa 2626 risulta appartenere al commerciante genovese Vincenzo Carossino (1794-1874), coniugato con Francesca Valle (1812-1894) figlia di Pasquale (1770-1842); egli possedeva a quel tempo anche la casa 2627.

Nel 1865 il Comune di Cagliari decise di acquistare la casa 2626, così come la confinante 2625, allo scopo di slargare la strada delle Saline in quel tratto veramente stretta e pericolosa per la circolazione dei carri (Sez. II, Registro N° 49, deliberazioni del Consiglio civico dal 2/11/1863 al 15/18/1865, segnalazione del ricercatore Vincenzo Spiga); la casa 2626 apparteneva ancora al “negoziante Carrozzino”, cioè a Vincenzo Carossino, il cui cognome veniva scritto spesso in diverse maniere.

Attualmente le due case 2626 e 2627, probabilmente danneggiate o crollate a seguito dei bombardamenti del 1943 (così come la vicina chiesa di Santa Lucia) sono state sostituite da una costruzione recente. 



[1] Il panettiere Giovanni Spissu in data 05.10.1803 risulta abitare la casa Marramaldo 2607, sull’altro lato della strada delle Saline.

[2] Il vedovo Pietro Crobu detto “su Topixeddu”, sposò Giovanna Tuveri nel 1807. Non risultano figli dal primo matrimonio con Anna Cixidda, a parte un bambino nato e morto nel 1781. 

 

2625     

Apparteneva a don Francesco Ignazio Cadello (1682-1763), poi a sua figlia donna Caterina (1741-1820), coniugata con don Litterio Cugia Manca (-1809); nel processo Gastaldi del 1793, citato per la casa 2615, don Litterio è citato come proprietario della casa, confinante attraverso la discesa di Sant’Eulalia con l’unità 2618; in atto notarile del 1796, relativo alla stessa unità 2618, vengono citati invece il defunto Cadello e sua figlia Caterina; in atto notarile del febbraio 1798, relativo alla casa 2608 (sull’altro lato della strada delle Saline), è ancora citato come confinante don Litterio Cugia, e quest’ultimo dichiarò nella denuncia per il donativo del 23.06.1799 una casa in contrada delle Saline composta da 8 camere, affittata per scudi 70 annui; un documento del 1805, relativo alla concessione di un pezzo di terreno contiguo alla casa 2626, cita ancora Litterio Cugia come proprietario della casa vicina; infine, in data 30.01.1809, fu effettuato l’inventario dei beni del defunto cavaliere di Gran Croce Don Litterio Cugia Manca, morto il 02.01.1809; presenziò la vedova donna Maria Caterina Cadello, per sé e come procuratrice del figlio cavalier don Raffaele Cugia Cadello, capitano del Reggimento Sardegna; erano presenti gli altri figli, donna Maria Angela e don Diego Cugia Cadello, cavaliere della sacra religione dei SS. Maurizio e Lazzaro, e fungente le veci di Controllore Generale; la famiglia abitava in Castello, nella strada Dritta (via La Marmora), e la casa 2625 apparteneva a donna Caterina, in seguito alla divisione ereditaria dei beni del padre don Francesco Cadello, secondo il suo testamento del 03.01.1742, e in seguito alla divisione del 07.01.1787 dei beni dei defunti donna Angela Maria Cadello [1] e don Ignazio Cadello (madre e fratello di donna Caterina); in quell’anno la casa, sita davanti al magazzino del sale (2601), composta da due piani, era stata valutata in tutto lire 2597 e soldi 18; dal fascicolo di una causa civile relativa a una lite fra le sorelle Sesselego, proprietarie della casa 2618, risulta che nel 1825 vi abitasse in affitto proprio la famiglia del "panataro" Giuseppe Sesselego; quell’anno, dopo la morte del Sesselego, la sua famiglia si trasferì nella casa di proprietà 2618, abbandonando così la casa Cugia 2625.

Dopo il 1850, dai dati catastali, risulta appartenesse a donna Mariangela Cugia Cadello (1776-1860), figlia di don Litterio e di donna Caterina. 

Nel 1865 il Comune di Cagliari decise di acquistare la casa 2625, così come la confinante 2626, allo scopo di slargare la strada delle Saline in quel tratto veramente stretta e pericolosa per la circolazione dei carri (Sez. II, Registro N° 49, deliberazioni del Consiglio civico dal 2/11/1863 al 15/18/1865, segnalazione del ricercatore Vincenzo Spiga); la casa 2625 era in quell’anno di proprietà del generale Cugia, probabilmente don Litterio Cugia Ledà, figlio di don Raffaele Cugia Cadello (figlio di don Litterio Cugia Manca e di donna Caterina Cadello). 

 


[1] Donna Angela Maria, coniugata con don Francesco Ignazio Cadello, era una cugina prima del marito, anche il suo cognome da nubile era Cadello

 

2626      vedi 2624

 

2627

La casa 2627 dal 1778 apparteneva al negoziante Francesco Novaro Ganau; egli ne dichiarò la proprietà nella dichiarazione per il donativo del 1799, e in quell’anno era gravata da un censo di lire 2500 e pensione di lire 125.

Francesco Novaro morì il 07.09.1803; sua moglie Chiara Belgrano era già defunta, l’eredità spettava interamente ai loro figli; con atto del notaio Sisinnio Antonio Vacca del 05.04.1805 venne eseguita la divisione in 7 quote delle ricche eredità dei defunti coniugi Novaro Belgrano; gli eredi erano i seguenti:

- donna Anna Novaro coniugata col console imperiale don Gregorio De Cesaroni;

- donna Francesca Novaro coniugata con l’avvocato don Giambattista Serralutzu, aggiunto alla Regia Segreteria di Stato e di Guerra;

- il capitano del Reggimento Sardegna Michele Novaro;

- il capitano del Reggimento Sardegna Camillo Novaro;

- donna Maddalena Novaro coniugata con l’avvocato don Giuseppe Angelo Viale;

- Anna Maria Lezani vedova dell’avvocato Luigi Novaro, la quale agiva come tutrice e curatrice di Francesco Maria e Luigi Novaro,

  suoi figli impuberi;

- Giuseppe Novaro che agiva per se stesso e come co-curatore dei nipoti impuberi figli del suo defunto fratello Luigi Novaro.

La casa 2627, situata davanti alla chiesa di Santa Lucia, fu destinata al capitano Camillo Novaro che già aveva ricevuto dai genitori, per la sua carriera militare, oltre 5000 lire; la casa era stata ceduta a Francesco Novaro il 15.10.1778 dal negoziante Giorgio Vallacca, che aveva un grosso debito verso il Novaro; era stata valutata allora per lire 5517 e soldi 18 ma era gravata da due censi, proprietà del Capitolo, per 2500 lire, che il Novaro aveva estinto nel 1802; nel corso del 1803 vi erano stati fatti dei lavori di miglioramento per oltre 600 lire;

Con atto notarile del 04.10.1806 Camillo Novaro ipotecò la casa per dare una garanzia allo zio Felice Ranucci; questi aveva consegnato ai nipoti Novaro 5000 scudi col patto di ospitarlo e mantenerlo, insieme alla sua serva[1].

Camillo Novaro, nella denuncia per il donativo del 15 agosto 1807, dichiarò di possedere una casa nella strada Barcellona, confinante con la casa di Pietro Crobu (2624) e di patron Testoni (2626); con atto notarile del 19.02.1812 la cedette al negoziante Pietro Crobu, già proprietario della casa confinante 2624; Camillo Novaro, coniugato con donna Speranza Angioy, figlia del giudice Gio Maria, in quest’ultimo atto confermò che la casa proveniva dalla divisione dei beni dell’eredità paterna.

A metà ‘800 la casa 2627 risulta appartenere al commerciante genovese Vincenzo Carossino, proprietario anche della casa 2626.

 



[1] si veda il paragrafo relativo alla casa 2969 per maggiori dettagli su questo accordo fra i Novaro e lo zio Ranucci