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Isolato P1: Monserrato/vico S.Eulalia/Pagatore

(via Lepanto, via dei Pisani, via Arquer)

numeri catastali da 2808 a 2837

in questo isolato sono rimaste integre le case del fronte sulla via Lepanto; sul lato della via Arquer vi sono state molte riedificazioni, nella parte alta e nella parte più bassa: le case sono state ricostruite su una linea più interna, permettendo l’allargamento della strada; rimangono solo poche case, a metà via, sulla vecchia linea stradale.

 

2808     

Da un atto notarile di aprile 1792, relativo alla confinante casa Spetto 2837, la casa 2808 risulta appartenere al nobile Joseph Corrias di Iglesias; da altro atto di agosto 1799, sempre relativo alla casa Spetto, risulta appartenere al nobile Antioco Angioy, anch’esso di Iglesias; in altro atto notarile del 27 luglio 1803 è scritto che era formata da piano terra, un piano alto, un “mezzo soffitto”, con la cisterna; nell'atto è chiarito che la casa in data 21.11.1799 fu ereditata da donna Maria Antioca Salazar come porzione dei beni lasciati da suo padre don Antonio Salazar di Iglesias (-1796), a seguito di atto di divisione rogato dal notaio Gio Luigi Todde, e fu stimata lire 992 e 10 soldi; c’era una stretta parentela fra i Salazar e gli Angioy di Iglesias, infatti la madre di donna Maria Antioca Salazar (1775-1848) era donna Giuseppa Angioy, sorella di don Antioco Angioy; si può ipotizzare che i beni cagliaritani dei Salazar  fossero amministrati da don Antioco Angioy (morto a Cagliari nel 1815), in particolare dopo la morte di don Antonio.

Non sono note parentele col sopracitato don Giuseppe Corrias; non sembra però una casualità che la proprietà sia passata di mano fra due concittadini di Iglesias appartenenti entrambi alla nobiltà.

Col citato atto del 27.07.1803 viene chiarito che la casa era stata ceduta in data 23.08.1802 dai coniugi don Antonio d’Alessio e donna Antioca Salazar, domiciliati in Alghero, al Munizioniere Generale di Guerra Michele Masala di Alghero e domiciliato a Cagliari, unitamente ad altre 5 case situate in Stampace nella strada San Paolo. Michele Masala nel 1803 la cedette al fratello Giuseppe Masala (capitano della centuria urbana di Cagliari) per lire 492 e soldi 15, somma che copriva esattamente un debito che Michele aveva verso Giuseppe, a seguito della cessione a Michele, dai suoi fretelli Giuseppe, Diego, Antonio, e Maria Ignazia Masala, di una casa in Alghero, lasciata dalla loro madre Maddalena Sanna, compresi i miglioramenti eseguiti dal loro padre Pietro Masala.

Sulle proprietà Salazar gravava un censo di lire 500, di proprietà del canonico Marvoddi (o Marfoddi), di cui si fece carico Giuseppe Masala. 

Non si per quanto tempo Giuseppe Masala fu proprietario della casa; dopo il 1850 apparteneva al Collegio del noviziato delle scuole pie dell'Annunziata.

 

2809      

Nell’atto citato nel precedente paragrafo, del luglio 1803, la casa 2809 risulta appartenere al Monastero di S.Chiara; non vi sono informazioni precedenti; questa attribuzione trova conferma nella dichiarazione per il donativo del 1807 presentata dall’Arciconfraternita del Sepolcro, nella quale è scritto che una casa dell’Arciconfraternita nella strada del Pagatore, identificabile (con qualche incertezza a causa della “vaghezza” delle informazioni) con la casa 2840, aveva davanti una casa del Monastero di S.Chiara, cioè l’unità catastale 2809.

Altra conferma arriva da un atto notarile del 14.10.1811, contratto di enfiteusi della stessa casa 2840, confinante per davanti, strada per mezzo, con una casa del Monastero di S.Chiara. 

Dai dati catastali successivi al 1850 la casa 2809 apparteneva ancora al Monastero di Santa Chiara.

 

2810, 2811, 2812      

Erano con tutta probabilità proprietà della Comunità di Sant’Eulalia; in un documento databile 1762, rintracciato nell’archivio di Sant’Eulalia, si fa riferimento a una “casa ruina”, cioè in stato rovinoso, che la Comunità di Sant’Eulalia possedeva nella contrada del Pagatore, confinante di lato con la casa Mantelli (2811), dall’altra con la casa dei fratelli Piras (2813); la “casa ruina” dovrebbe quindi identificarsi con l’unità 2812.
E’ probabile che la Comunità abbia ceduto questa casa, forse in enfiteusi, al mercante Pasquale Ponsiglion: infatti in atto notarile del 1778, relativo alla casa Piras 2813, questa era confinante con un magazzino e casa del mercante Pasquale Ponsiglion. Nel fascicolo di una causa civile del 1818, relativa alla eredità di Agostino Ravagli, vi è un riferimento alla casa 2842 sulla strada del Pagatore, “confinante davanti, strada Pagatore mediante, con magazzeni del fu Pasquale Ponzelloni, e oggi di S. Eulalia”; si può ipotizzare che la casa 2812, utilizzata per qualche tempo dal negoziante Pasquale Ponsillon, forse con contratto enfiteutico, dopo la sua morte (1802) fosse tornata in piena proprietà alla Comunità.

Si trova conferma che l’unità 2811 fosse una casa Mantelli, di proprietà della Comunità di Sant’Eulalia, in un atto notarile del novembre 1797, relativo alle case poste di fronte.

La casa 2811 è citata in un documento del 29.08.1798, rintracciato fra le carte del Demanio (ASC), relativo alla casa 2841, che aveva davanti una casa appartenente alla Comunità di S.Eulalia.

Nel donativo di S.Eulalia, presentato il 24.06.1799 dal sacerdote Faustino Baille e dal presidente della Comunità dottor Angelo Francesco Aitelli, risulta che la Comunità possedesse nella strada del Pagatore ben 7 case, di cui 3 chiamate case Mantelli (dal nome del precedente proprietario, il ricco reverendo Juan Bauptista Mantelli): si trattava di 3 casucce con un sòttano e un piccolo piano alto di una o due stanze; una di queste era la casa 2811, è possibile che una seconda fosse la casa 2810.

Dopo il 1850 le tre case appartenevano ancora alla Comunità di Sant’Eulalia.

 

2813     

Da un documento databile 1762, rintracciato nell’archivio di Sant’Eulalia, quetsa casa potrebbe identificarsi con la casa in condizione rovinose dei fratelli Piras, confinante con la casa 2812 della Comunità di Sant’Eulalia;  in un atto notarile del 30.03.1778 le sorelle Maria Anna e Giovanna Piras, col fratello reverendo Luigi Piras, fecero stimare il terreno occupato da una casa distrutta di loro proprietà, sita fra la casa del mercante Ponsiglion (2812) e una casa del Capitolo (2814); la valutazione fu fatta dai mastri muratori Pasquale Cau e Gregorio Serra, che stabilirono un prezzo di 100 scudi. E’ probabile che i Piras avessero intenzione di vendere la casa, ma non sono stati rintracciati altri documenti.

Dopo il 1850, dal catasto antico, risulta appartenere all’Arciconfraternita del Sepolcro, e si potrebbe quindi identificare con una delle 3 case della strada del Pagatore dichiarate dall’Arciconfraternita nel donativo del 1807; in particolare dovrebbe essere la casa di un piano con 3 stanze e “sòttano”, confinante davanti con una casa di Agostino Ravagli (2843), di dietro e da un lato con case della comunità di Sant’Eulalia (2829 e 2812), e dall’altro lato con una casa del Capitolo (2814).

 

2814     

Da atto notarile di marzo 1778, da due atti notarili di maggio e di settembre 1797, e dal donativo del 1807 dell’Arciconfraternita del Sepolcro, risulta che questa casa appartenesse al Capitolo Cagliaritano; nasce un dubbio dal fatto che nel donativo presentato dal Capitolo, anch’esso del 1807, non se ne fa menzione: l’unica casa del Capitolo nella strada del Pagatore era sull’altro lato della strada; però dai dati catastali del “Sommarione dei fabbricati” di metà ‘800 risulta ancora appartenere al Capitolo.

 

2815 e 2828

In atto del 20.09.1778, relativo alla eredità Marramaldo, ci si riferisce alla casa 2815 come appartenente alla vedova Maria Antonia Marramaldo Montagnano; in data 17.05.1797 il reverendo Sisinnio Dessì, presidente della reverenda Comunità di San Giacomo, firmò un atto di formazione di un censo di scudi 300 e pensione annua di scudi 15, in favore della religiosa del monastero di S.Chiara sor Gioannica Messina di Cagliari; la Comunità di S.Giacomo doveva recare a compimento una casa che aveva edificato in un territorio (cioè un terreno) attinente alla casa della fu Pasquala e della vivente Francesca sorelle Montagnano, “dame di Cagliari” (figlie dei defunti don Sebastiano Montagnano e Maria Antonia Marramaldo), nella strada detta de su Pagadori; sia la casa che il terreno erano stati venduti dalle due sorelle alla comunità il 27.06.1795; non avendo fondi a sufficienza, la Comunità di San Giacomo ottenne 300 scudi dalla suora Gioannica Messina, con un censo caricato sopra la casa; la proprietà confinava da una parte con la casa di donna Caterina Cavassa, dall’altra parte con una casa del Capitolo, davanti con casa delle sorelle Odella, strada del Pagatore mediante, e per le spalle, cioè dalla parte del terreno che era prima giardino, ora “ridotto” in casa nuova, con case del fu Ignazio Romagnino, strada di Monserrato mediante; i 300 scudi provenivano dal “palafreno”[1] di sor Gioannica Messina, che aveva il consenso della reverenda madre sor Maria Francesca Tarragona, abbadessa del convento di S.Chiara.

La casa e il territorio Montagnano/S.Giacomo corrispondevano alle unità catastali 2815 e 2828, la casa Cavassa alla unità 2816, la casa del Capitolo alla 2814, la casa Odella alla 2845, la casa Romagnino alla 2785.

Con altro atto notarile del 23.09.1797, la comunità ottenne altri 1000 scudi con un censo di proprietà in favore del convento dei reverendi padri Mercedari di Buonaria per poter costruire altre 2 case nello stesso “territorio” acquistato dalle dame Montagnano, che in precedenza apparteneva alla fu donna Geltrude Aruo (Arui?); la prima casa, costruita con i 300 scudi della suora Messina, aveva il piano terreno e uno superiore; le altre 2 case erano state “già principiate”; venne perciò accesa un’altra ipoteca su queste ultime case.

La casa antica delle sorelle Montagnano si trovava nella strada “de su Pagadori”, e di spalle aveva il giardino (2828) dove erano state costruite le 3 case nuove; queste confinavano da una parte con la casa antica (2815) e con la casa del Capitolo (2814), dai due lati con case di S.Eulalia (2827 e 2829), e davanti con una casa del fu Ignazio Romagnino (2785), strada di Monserrato mediante.

Due atti del novembre e dicembre 1797, relativo alla casa confinante 2816, confermano quanto scritto nei precedenti documenti.

Nel donativo della comunità di San Giacomo (anche questo, purtroppo, privo di data), si cita una casa nella strada del Pagatore, di 8 stanze, affittata a donna Francesca Montagnano per lire 115, e 3 case nella strada di Monserrato, ognuna di 3 stanze, affittate ai padri Mercedari rispettivamente per lire 80, 80, e 87.10; nel donativo non vi sono altre informazioni, ma sembra plausibile identificare queste case con l’unità 2815 sulla strada del Pagatore, e con l’unità 2828 sulla strada del Monserrato.

Altri riferimento alla casa 2815, con la conferma della proprietà da parte dela comunità di S.Giacomo, si trovano in atti notarili del 1809, relativi alla casa 2816, e nell’inventario dei beni di Agostino Ravagli, proprietario della stessa casa 2816, datato 1817 e rintracciato in una causa civile legata all’eredità e debiti del Ravagli.

Dopo il 1850 sia l’unità 2815, sia la 2828, appartenevano ancora alla comunità di San Giacomo. 



[1] Parafreno o Palafreno: derivato dal termine di diritto Paraferna (ciò che la moglie possiede, oltre alla dote); indicava i beni necessari alle monache per potersi mantenere dopo aver preso i voti

 

2816

In una causa civile del 1779, relativa al testamento della fu Giuseppa Piana vedova di Domenico Marramaldo, è scritto che Maria Clara Petroty, nonna di Domenico Marramaldo, aveva lasciato in eredità una casa nella strada del Pagatore: i piani alti spettarono a Caterina Marramaldo Cavassa, sorella di Domenico, il piano terreno e il “sòttano” ai figli di Domenico e di Giuseppa Piana; nella causa del 1779[1] non ci sono altri particolari che possano far identificare la casa; in atti notarili del maggio e settembre 1797 si cita la casa di Caterina Cavassa confinante con la casa Montagnano (2815); in altro atto del novembre 1797 si legge che nel 1787 il negoziante Agostino Ravagli aveva comprato diversi beni dai figli di Domenico Marramaldo e Giuseppa Piana, fra questi la metà di una casa in calle del Pagador, cioè il piano terreno con il sòttano, (mentre i piani alti erano della vedova Marramaldo Cavassa), e confinava davanti con la casa che era appartenuta al fu Bardirio Odella e poi di Santa Lucia (2846), di lato con la casa che era appartenuta a donna Pasquala Montagnana poi di San Giacomo (2815), dall’altro lato con casa del Monastero di S.Chiara (2817) e di spalle con casa di S.Eulalia (2827); la casa acquistata dal Ravagli aveva l’entrata nel cortile della casa di Santa Chiara.

In atto del 19.12.1797, Caterina Marramaldo, vedova del fu Miguel Cavassa, ipotecò la porzione della casa che possedeva in calle del Pagador composta dai due piani superiori, confinante con la casa che era prima di donna Pasquala Montagnano e posseduta al momento dalla “Comunidad de San Jayme”, e con casa del Monastero di Santa Chiara.

Nel suo donativo (del 1807?) Agostino Ravagli denunciò fra i suoi beni una porzione di casa con piano terreno e mezzanello affittati per lire 70 nella strada del Pagatore; nel 1809, con atto del 16 luglio, in accordo fra Caterina Marramaldo e Agostino Ravagli, la porzione appartenente alla vedova Cavassa fu stimata dai mastri Francesco Usai, muratore, e Nicola Degioannis, carpentiere; fu valutata in lire 744 e 16 soldi e, con atto del notaio Francesco Rolando del 21.07.1809, fu acquistata dal Ravagli, che divenne proprietario dell’intera casa; fu stabilito il prezzo di 350 scudi, vale a dire 875 lire, che Ravagli si impegnò a pagare in 15 anni, ipotecando la casa, e garantendo il pagamento degli interessi annui al 5%; nell’atto di acquisto è chiarito che la casa era in cattivo stato e Caterina Marramaldo Cavassa non aveva possibilità di spendere per rimetterla in sesto; ne era entrata in possesso il 06.01.1775 quando, con atto del notaio Francesco Pici, e dopo la morte dello zio Reverendo Francesco Marramaldo, era stata effettuata la divisione dell’eredità della nonna paterna Maria Chiara Petroti; gli eredi erano in quel momento, oltre a Caterina Marramaldo, i figli di suo fratello Domenico, rappresentati dalla madre Giuseppa Piana, e la zia Maria Antonia Montagnana nata Marramaldo Petroti, sorella dell’avvocato Ignazio Marramaldo, padre della vedova Caterina Marramaldo.

In una causa civile del 1818 è accluso l’inventario dei beni del defunto Agostino Ravagli, fatto nel 1817, e i periti stimarono una casa di 2 piani, mezzanello e piano terreno, nella strada del Pagatore, casa detta di Montagnana, confinante da un lato con casa della comunità di S. Giacomo, sull’altro lato con casa delle monache di S. Chiara, stimata in totale £ 2044.10; è chiaro dai confini che si parlava della casa 2816; non è chiaro il motivo per cui la casa fosse chiamata “di Montagnana”: forse venne confusa con la casa confinante 2815, che era di Maria Antonia Marramaldo coniugata Montagnano.

Dopo il 1850 la casa 2816 apparteneva a donna Giovanna Orrù (1809?-1901), moglie di don Michele Cao. 



[1] la causa ebbe inizio per una istanza del notaio Giuseppe Murroni, il quale voleva essere pagato per il lavoro relativo al testamento della defunta Giuseppa Piana, da lui preparato e pubblicato

2817

Il primo riferimento rintracciato per questa casa risale al 1778: lo si trova nell’atto notarile di inventario dell’eredità di Domenico Marramaldo; la casa Marramaldo 2816 confinava da un lato con casa delle madri di S.Chiara, identificata con il numero catastale 2817; dagli atti del novembre e dicembre 1797, citati per la casa 2816, la casa 2817 catastale risulta appartenere ancora al Monastero di Santa Chiara, e dovrebbe essere una delle proprietà dichiarate nel donativo del 1799, per le quali fu specificata solo la strada, senza altri dettagli che possano darne certezza.

Anche negli atti del 1809 e nella causa del 1818, citati nel precedente paragrafo, risulta appartenere al monastero, e la situazione non cambia dopo il 1850, nei dati del Sommarione dei Fabbricati.

 

2818

Giovanna Piana, vedova del notaio Francesco Maria Soddu, nel suo donativo del 1799 dichiarò la sua casa di abitazione, senza specificarne la localizzazione; sulla casa, che si sarebbe potuta affittare a scudi 45 annui, la vedova Piana pagava una pensione al Monastero di S.Lucia; nel donativo del Monastero è specificato che gli eredi Soddu pagavano una pensione di lire 75 e soldi 10 per un censo su una casa nella Marina; anche in questo documento non è indicata la strada.

Nel donativo del 1807 del Capitolo Cagliaritano è scritto che gli eredi del notaio Francesco Maria Soddu possedevano una casa in contrada Pagatore, davanti alla “casa Uda” di proprietà del Capitolo; quest’ultima è identificata con l’unità 2850, situata davanti all’unità 2818.

Anche in atti notarili del 1809, relativi alla casa Gindri 2825, la casa alle spalle, numero 2818, è quella di Francesco Soddu. Ulteriore conferma arriva da un atto del luglio 1812 relativo alla confinante casa 2819. 

L’identificazione dell’unità 2818 come la casa della famiglia Soddu è rafforzata dal fatto che nel catasto di metà ‘800 risulta appartenere al Monastero di Santa Lucia, che subentrò nella proprietà probabilmente grazie ai crediti che vantava dal 1799.

 

2819     

Era la casa del negoziante Gianuario Demeglio, appartenente a una famiglia di origine napoletana, nato a Cagliari nel 1731, defunto nel 1815; lo si legge in un atto notarile del luglio 1792, relativo alla confinante casa Rolando (2820); se ne ha conferma da altro atto notarile del febbraio 1798, relativo alla casa 2824, sita alle spalle della 2819, e da altri due atti di aprile e ottobre 1798 nei quali è scritto che la casa Rolando 2820 “affronta por medianoche a casa de Januario Demello”, cioè la casa Demeglio si trovava a nord (mezzanotte) rispetto alla casa Rolando.

Gianuario Demeglio è citato nel donativo del 1807 dell'Arciconfraternita del Sepolcro, come proprietario di una casa nella strada del Pagatore, presumibilmente la stessa casa 2819. Come spesso accadeva, in realtà la proprietà era della moglie del Demeglio, Anna Siguri: nel 1799 venne dichiarata nel donativo dal negoziante Antonio Gemiliano Russuy, che lo presentò come uno degli eredi della suocera Anna Siguri: “una casa nella strada de su Pagadori con 1 “sòttano” di 1 stanza affittata a scudi 13, I piano con camera e cucina, II piano con 2 stanze, il tutto molto diroccato e inabitabile dal tempo della guerra (1793) e abitato da alcuni eredi, potrebbe affittarsi per scudi 20”.

A conferma di quanto appena detto, in due atti notarili del 11.11.1811 e del 16.03.1812, relativi alla confinante casa 2820, la casa 2819 risulta appartenere a Giovanna Demello: si tratta di una figlia di Gianuario Demeglio e Anna Siguri, coniugata col negoziante Antonio Gemiliano Russuy.

Con atto del notaio Rocco Congiu del 03.07.1812, la proprietà fu venduta: si trattava di una casa ormai in rovina, stimata in data 27 giugno per poco più di 443 scudi dal mastro muratore Francesco Usai e dal mastro falegname Pasquale Fadda; fu venduta per un prezzo appena inferiore, cioè 425 scudi; questa era la situazione: dopo il decesso di Anna Siguri (in data non nota, ma prima del 1792), fu ereditata in parti uguali dalle 3 figlie Giovanna, Luigia ed Elisabetta; nel 1792 morì Elisabetta e i suoi beni vennero ereditati dai figli Priamo, Giustina e donna Barbara Paradiso (quest’ultima coniugata con don Raimondo Mameli); Priamo Paradiso, Sergente nello Squadrone dei Cavalleggieri di Sardegna, morì intorno al 1810 e i suoi beni furono ereditati dai figli “pupilli” Giuseppe Maria ed Elisabetta Paradiso, tutelati dalla madre Maria Rita Dais; nel 1800 era morta anche Luigia Demeglio, lasciando i suoi beni alla sorella superstite Giovanna. Date le condizioni della casa, assai degradate, e in mancanza di fondi per rimetterla in sesto, gli eredi cercarono un acquirente, senza trovarne; nel frattempo il Russui, la cui moglie possedeva due terzi della casa, intervenne a sue spese per demolire il muro di confine con la proprietà Pisà (2820), in quanto era pericolante, e crollarono di conseguenza le volte e gran parte del tetto; per impedire ulteriori crolli si dovette puntellare il rimanente con parecchie travi; a questo punto il Russui stesso si offrì di acquistare il rudere, con vantaggio e accordo di tutti gli eredi. La proprietà era inoltre gravata da un censo di scudi 200 per il quale si pagava una pensione annua di scudi 12 ai padri di San Francesco di Paola; il Russui avrebbe quindi dovuto pagare 225 scudi, di cui però due terzi erano di spettanza della moglie Giovanna Demeglio; pagò quindi agli eredi Paradiso solo 75 scudi.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al Convento dei Padri Minimi di San Francesco, che già erano proprietari di una parte, cioè quel censo di 200 scudi prima citato.

 

2820     

Da un atto notarile del 1762, rintracciato nell’archivio di Sant’Eulalia, risulta che già da quell’anno la casa 2820 appartenesse al notaio Giuseppe Antonio Rolando, morto nel 1786; il 14.07.1792 la sua vedova Giuseppa Murroni delegò suo figlio, notaio Francesco Rolando, per firmare le carte relative ai prestiti contratti dalla vedova per la riparazione della sua casa in calle del Pagador, confinante da un lato con casa del reverendo Joseph Recupo (2821), dall’altro lato con casa di Januario Demeglio (2819), davanti con casa della comunità di S.Eulalia (2852), calle mediante, di spalle con casa di donna Geltrude Vintimilla (2823).

Con altro atto di aprile 1798 il notaio Francesco Rolando ottenne un prestito di £ 1250 a censo onerativo dal Seminario Tridentino, con ipoteca sulla stessa casa; nell’atto è specificato che la casa era di proprietà della madre Josepha Murroni, che l’aveva ereditata dalla madre Teresa Ricardo (morta prima del giugno 1729), che a sua volta l’aveva ereditata dal padre Efis Ricardo.

Con altro atto di ottobre 1798 venne accesa una nuova ipoteca sulla casa, per un censo di scudi 225 a favore della Causa Pia della Diocesi.

Nel donativo del 1799 il notaio Francesco Rolando dichiarò una casa nella strada del Pagatore, composta da una stanza al pianterreno, 2 stanze al primo piano, 2 stanze al secondo, abitata dal proprietario.

In data 07.01.1806 il notaio Francesco Rolando, citato in giudizio dal reverendo Bonaventura Puxeddu (Ricevitore dei Legati Pii), fu condannato a pagare la somma di lire 140, soldi 12 e denari 6, per 5 pensioni ormai scadute corrispondenti al censo di scudi 225 acceso nel 1798 con la Causa Pia “Pietro Barrai”; il 23.04.1806 la casa fu messa all’asta per l’insolvenza del Rolando, e con atto del notaio Francesco Soro del 30.07.1806 fu assegnata al negoziante Francesco Mazzuzzi per sole lire 1250, nonostante fosse stata stimata per lire 2191, soldi 18 e denari 4; il 24.09.1806 il negoziante Mazzuzzi prese possesso (teorico) della casa.

Nel donativo dei Legati Pii, presentato nel 1807 dall’amministratore (sacerdote beneficiato Bonaventura Puxeddu), è compresa una casa nella strada del Pagatore, appartenuta al notaio Francesco Rolando e assegnata in asta pubblica allo speziale Francesco Mazzuzzi; dai diritti che i “Legati Pii” avevano sulla casa si riscuoteva l’annua rendita di 28 scudi.

In realtà il Mazzuzzi non poté versare al creditore Puxeddu la somma pattuita per l’acquisto, a causa di una “dispendiosa lite” con lo stesso notaio Rolando, il quale, rimasto a vivere nella casa, non voleva pagarne l’affitto, a causa della sua “notoria povertà”; il Rolando fu alla fine “espulso dalla casa con la forza”, e il Mazzuzzi, con atto notarile del 11.11.1811, fu costretto a cedere la casa ai Legati Pii, il cui amministratore Puxeddu non era più disposto ad aspettare ancora le somme dovutegli.

Con atto notarile del 16.03.1812 il reverendo Puxeddu vendette la casa al notaio Giovanni Pisà: negli ultimi anni era stata trascurata la sua manutenzione, ed era ormai in condizione rovinose, inoltre era gravata del censo di scudi 500 di proprietà del Seminario Tridentino; fu perciò venduta per soli 500 scudi; nel luglio e nel novembre dello stesso anno, da atti relativi alle case 2819 e 2823, il notaio Pisà risulta ancora proprietario della casa 2820.

Dopo il 1850 apparteneva al negoziante e console Gregorio Vodret (1786-1863).

 

2821     

In data 21.06.1762 fu compilato l’inventario dei beni del defunto notaio Antonio Recupo, a istanza della sua vedova Anna Maria Gracia de Pascalis; fra i beni venne dichiarata “toda aquella Casa grande sita, y puesta en el Apendicio de la Marina, y Calle vulgo dicha del Pagador, que affronta por delante, y a las espaldas, a Casas de la Parroquial Iglesia de Sancta Eulalia, de un lato a casa de Joseph Rolando, y de otro lado a Casa de Antonio Senoriny, la qual ha sido estimada, y avalorada.......en el precio de quinientos octenta escudos, y siete reales”; l’unico figlio di Antonio Recupo (o Recupu) [1] si chiamava Giuseppe, allora di 6 anni, diventato poi sacerdote[2].

Nell’atto del luglio 1792, citato per la casa Rolando, si legge che la casa 2821 apparteneva al reverendo Joseph Recupo, e altre conferme si hanno da atti del 1797 e 1798, dove è citata anche la madre del sacerdote, Anna Recupu nata De Pascale.

Nel 1799 il sacerdote Giuseppe Recupo presentò la sua dichiarazione per il pagamento del donativo, e denunciò una casa nella strada del Pagatore, con un “sòttano” di 3 stanzette, 2 piani ognuno con 2 stanze e la cucina; pagava sulla casa una pensione di 15 scudi per un censo di 300 scudi di proprietà del convento dei Padri di S.Agostino. 

Il 20.05.1806 la vedova Anna Maria de Pasquale chiamò nella casa il notaio Francesco Antonio Vacca, perché provvedesse all’apertura e lettura del testamento del figlio sacerdote Giuseppe Recupo, appena “passato a miglior vita”; la vedova era erede universale; alcuni legati furono destinati alla vedova Teresa Peralta, che aveva assistito il defunto per diversi anni; Anna De Pasqual denunciò nel suo donativo del 1807 una casa in contrada Pagatore, di cui affittava il piano nobile e il “sòttano” per un totale di 40 scudi, e abitava l’altro piano che avrebbe reso 15 scudi se affittato.

Il 14.04.1807 venne pubblicato il testamento dell’appena defunta Anna Maria Depasqual; fu il reverendo Angelo Aitelli, presidente della Comunità di S.Eulalia, ad avvisare il notaio Francesco Rolando e a chiedere la lettura e la pubblicazione del testamento. Furono però aperti due testamenti della defunta, il primo del 13.03.1807, il secondo del giorno successivo; nel primo la defunta nominò amministratore dei suoi beni il reverendo Pasquale Humana, beneficiato di S.Eulalia, legò i mobili e la biancherià alla serva Raffaele Dessì, a cui lasciò anche il diritto di abitare un appartamento terreno della casa della strada del Pagatore, con annessa la cisterna; i frutti della casa sarebbero serviti per pagare le messe annuali da celebrarsi nella chiesa delle Cappuccine. Nel secondo testamento la donna revocò quest’ultima disposizione, specificando che la casa di fatto lasciata alle Cappuccine l’avrebbe invece destinata alla Comunità di S.Eulalia, per pagare la messa annuale per l’anima di suo figlio reverendo Recupo, beneficiato della stessa chiesa di Sant’Eulalia.

Con atto del notaio Nicolò Martini del 08.01.1810, la Comunità di Sant’Eulalia consegnò ai padri Agostiniani la somma di lire 528, soldi 2 e denari 6; infatti la casa Recupo/De Pascale era gravata di un censo di lire 500 di proprietà dei padri Agostiniani, risalente al 1775, soldi che erano serviti al sacerdote e a sua madre per estinguere un censo di proprietà del barone di Teulada e per riedificare la casa; con l’atto del 1810 la Comunità pagò il capitale e gli interessi, sgravando la casa dal suo peso.

In atto notarile del 11.11.1811, relativo alla confinante casa 2820, la casa 2821 è detta “del fu reverendo Giuseppe Recupo, oggi di S.Eulalia”.

Dopo il 1850 era ancora una proprietà della Comunità di S.Eulalia.

 

 


[1] Antonio Recupu apparteneva a una famiglia di origine trapanese il cui cognome originario era Recupero; figlio e nipote di mastri “carpinteros”, era parente stretto di Thomas e Giovanni Recupu, intagliatori e scultori del primo ‘700 ricordati per alcuni altari lignei da loro costruiti in Sardegna

[2] Giuseppe Recupu era parroco a Settimo nel 1780, poi fu parroco beneficiato di Sant’Eulalia

 

2822 e 2823        

Facevano parte del patrimonio della famiglia Ventimiglia (o Vintimiglia); in atto notarile del 1778, relativo alla eredità di Domenico Marramaldo, proprietario della casa Del Vechio 2877, ed in una causa civile del 1785, relativa alla stessa casa 2877, la vicina casa 2822 risulta appartenere a donna Maddalena Vintimiglia; era ancora degli eredi Vintimiglia in atti del 1797 e 1798 relativi alla stessa casa Del Vechio. 

La prima informazione sulla casa 2823 proviene da un atto del 14.07.1792, già citato per la casa Rolando (2820): apparteneva a donna Geltrude Vintimiglia, coniugata con don Sisinnio Paderi Areso; un altro atto notarile del febbraio 1798, relativo alla casa 2824, l’attribuisce a donna Maddalena Vintimiglia (-1783), zia di donna Geltrude; in realtà donna Maddalena in quell’anno era già defunta, per cui la proprietà doveva essere già di donna Geltrude.

Quest’ultima morì poco tempo dopo; in data 15.12.1798 don Sisinnio Paderi tutore dei figli minori don Domenico e don Raimondo Paderi Vintimiglia, cedette la casa 2822 al chirurgo Francesco Medori; si componeva di un “sòttano” e di un piano di sopra (con una sala e una stanza), e la vendita fu necessaria per pagare 54 scudi di pensioni scadute al canonico Demurtas, provenienti dall’eredità di donna Geltrude; fu venduta per scudi 611 e reali 3, come da valutazione del perito. Nell’atto notarile il canonico Demurtas viene chiamato Antonio; deve però trattarsi di un errore: infatti il canonico Salvatore Demurtas in data 21.06.1799 presentò la sua denuncia per il donativo, e dichiarò di ricevere dall’eredità Vintimiglia 18 scudi annui, per un censo di scudi 300 al 6%; evidentemente gli eredi erano debitori di 3 annualità.

Con atto notarile del 02.07.1799 i fratelli Paderi Ventimiglia, sotto tutela del padre don Sisinnio Paderi Areso, vendettero anche la casa 2823 allo stesso Francesco Medori, da pochi mesi proprietario della casa confinante; era composta da un “sòttano” e un piano di sopra con una sala e una stanza, e un altro mezzo piano; era situata nella strada di fra Luis Grec, ossia de is Predis, e confinava da una parte con l’altra casa del Medori (2822), di spalle con casa del notaio Rolando (2820), da un lato con la casa di mastro Giuseppe Rossi (2824), e dirimpetto con la casa grande dei venditori Domenico e Raimondo Paderi Vintimiglia, strada in mezzo (2789).

Nell’atto notarile del 19.06.1807, col quale i fratelli Paderi Ventimiglia si divisero l’eredità materna, la loro casa 2789 confinava lateralmente, attraverso la strada di Monserrato, con le case 2822 e 2823 del negoziante Francesco Medori; la stessa informazione proviene da atto del 02.09.1809, col quale la casa 2789 fu venduta a Bernardo Cojana.

Quel poco che si sa del chirurgo Francesco Medori è che era di origine corsa (con cognome diffuso in centro Italia), sposato con Maria Rosalia Coppello della Marina (cognome presente in Liguria); era presente a Cagliari almeno dal 1792; i due coniugi ebbero almeno 3 figli: Pasquale si sposò a Cagliari nel 1817 con Efisia Ciampelli; Caterina nata circa nel 1794, morì a Cagliari nel 1869 vedova di Nicolò Coppello; Antonio nato circa nel 1804, sacerdote beneficiato, morì a Cagliari nel 1890.

La casa 2822 fu venduta il 19.01.1810 dal chirurgo Medori al Patron Francesco Moi, con atto del notaio Giuseppe Serra Carta. La casa 2823 rimase ancora di proprietà del chirurgo, come confermano atti del novembre 1811 e del luglio 1812, relativi rispettivamente alla casa 2820 e 2819, le quali avevano alle spalle “la casa del chirurgo Francesco Midori”.

Con atto del notaio Gio Batta Azuni del 10.11.1812 il chirurgo e negoziante Francesco Medori costituì un censo di 200 scudi, con pensione al 6% di 12 scudi annui, caricati sulla sua casa di 3 piani (probabilmente piano terreno e due piani alti) della contrada Monserrato, confinante con la casa Moi (2822) e con una casa della Arciconfraternita del Sepolcro (2824). I 200 scudi gli furono consegnati, alla presenza del notaio, da Giuseppe Corona, Guardia Reale.

Dalla causa già citata relativa all’eredità del negoziante Agostino Ravagli, la casa 2822 risulta appartenere nel 1818 agli eredi di Francesco Moi. 

Dopo il 1850 la casa 2822 apparteneva al negoziante Francesco Floris nativo di Furtei, figlio di Battista e di Teresa Acca; egli vi morì a 84 anni il 16.05.1867; la casa 2823 era invece del luogotenente Agostino Piccaluga, figlio del fu avvocato Nicolò e di Luigia Arthemalle; egli morì in questa casa il 08.02.1869 a 94 anni.

 

2824     

Con atto del 25.02.1798 i guardiani dell’Arcicinfraternita del Sepolcro cedettero in enfiteusi questa casa al mastro calafato Joseph Rossu (o Rossi) e a sua moglie Anna Pino, che già la abitavano; i coniugi avrebbero pagato ogni anno £ 40, con la promessa di migliorarla in un anno, rifare la facciata, i tetti, e conservarla in buono stato; dopo la morte dei coniugi Rossu la casa sarebbe tornata in piena proprietà alla Hermandad del Sepulcro (hermandad del SS. Crocifisso e dela Oracion alias dela muerte, erigida en la iglesia del S.Sepulcro).

L’atto del 1799 relativo alla casa 2823 conferma la proprietà di Giuseppe Rossu, e con atto del 13.08.1799 i coniugi Rossu Pino pagarono 62 scudi al mastro muratore Francesco Usay e al mastro falegname Antonio Marchia per i lavori di riparazione della facciata; non si conosce la loro data di morte; la proprietà dell’Arciconfraternita è confermata da atti notarili del giugno 1807 e del settembre 1809, relativi alla casa Ventimiglia 2789, da atti del marzo e del luglio 1809, relativi alla confinante casa Gindri 2825, e da atto del novembre 1812 relativo alla casa 2823.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2825

Nell’atto del 25.02.1798 con cui il calafato Joseph Rossu acquistò in enfiteusi la casa 2824 è scritto che detta casa confinava da una parte con la casa Ventimiglia (2823) e dall’altra parte con la casa del “Panadaro” Geronimo Gindri. Il Gindri, nel suo donativo privo di data, dichiarò di possedere una casa nella strada di Monserrato, volgarmente chiamata “de is Predis”, composta da un basso per il forno, 2 piani ognuno di 3 stanze, la dispensa e la cucina, abitata dal proprietario; pagava al monastero di Santa Lucia 20 scudi di pensione annua per un censo di scudi 400 al 5%.

Con atto notarile del 14.03.1809 il negoziante Gerolamo Gindri, in accordo col negoziante Antonio Cambazu, fece valutare la sua casa situata nella strada di Monserrato, ossia di Delvechio, ossia di Fra Luis Grech; era composta da due piani alti ed un terreno, aveva la cisterna, un forno per cuocere pan francese, i balconi di ferro nei due piani superiori; confinava da una parte con una casa di S.Eulalia (2826), dall’altra con una casa della confraternita del Sepolcro (2824); fu valutata dai periti falegnami e muratori per lire 4178 e soldi 8. L’atto di vendita al Cambazzu è datato 24.07.1809 e ripercorre la storia della casa e dei suoi proprietari a partire dal 1747: era appartenuta al canonico della Cattedrale Giambattista Usai il quale in quell’anno doveva essere già defunto da tempo e, dal momento che la casa era in stato rovinoso (ed evidentemente abbandonata), l’Obriere della Città di Cagliari (avvocato e cavaliere Salvatore Durante) stabilì di venderla all’asta; in data 12.04.1747 fu assegnata al muratore Battista Bazella per 152 lire, con l’obbligo di riedificarla, di pagare le spese della delibera, e di depositare la somma stabilita entro un mese. Il Bazella, a cui mancava il denaro, con atto notarile del 05.10.1747 prese a censo dal sacerdote e beneficiato di Sant’Eulalia Giambattista Mantelli la somma di scudi 100 con interessi al 6%; il 30.07.1748 ottenne dal reverendo Mantelli altri 50 scudi, su cui avrebbe pagato gli interessi al 7%; riuscì così a riedificare la casa nel corso del 1748, con il lavoro del muratore Nicolò Cabras e del falegname Agostino Melis; pochi anni dopo ebbe dei grossi problemi di salute, e fece testamento il 27.07.1755 col notaio Pietro Maria Olianas; nominò suoi eredi i suoi sei figli: Francesco, fra Girolamo (Padre Osservante), Maddalena, Pasquala, Vincenza e Giuseppa; i figli avrebbero potuto prendere possesso della casa solo dopo la morte della loro madre Giuseppa Musu, che vi abitava e ne possedeva la metà, visto che i coniugi erano sposati “alla sardesca”. Con atto del 25.01.1772 la vedova Musu e i figli fecero avvalorare la casa in occasione delle nozze di Giuseppa Bazella, la quale aveva necessità della suo quota ereditaria; fu valutata scudi 687 e, non avendo altri beni, la vedova con 4 figli (mastro Francesco, Maddalena, Pasquala e Giuseppa; nel frattempo era morta Vincenza, e non fu coinvolto il frate Girolamo) in data 16.03.1772 caricarono sulla casa un censo di scudi 400 con interessi al 5%, da pagare al Monastero di Santa Lucia; 157 scudi e 28 soldi servirono per estinguere le due proprietà di 100 e 50 scudi di spettanza della causa Pia Mantelli (il reverendo Mantelli era infatti defunto, e i suoi beni e i suoi crediti erano di pertinenza della parrocchia di Sant’Eulalia); 55 scudi e 21 soldi furono consegnati ai coniugi Antonio Pilloni e Giuseppa Bazella per la loro quinta parte di eredità paterna; la quota sarebbe dovuta essere pari a 60 scudi, partendo da un valore dell’immobile di 600 scudi di cui metà spettante alla vedova Musu, maritata alla sardesca, e l’altra metà ai 5 figli, ma tutto il residuo della somma disponibile era stato usato per urgenti lavori di cui la casa aveva necessità; nel 1790 la situazione era nuovamente precaria: la casa “minacciava rovina” e il Monastero di Santa Lucia pretendeva il pagamento di diverse pensioni arretrate; la vedova Musu, la figlia Pasquala Bazella e la nipote Luigia Bazella figlia del (defunto) figlio Mastro Francesco, con atto del notaio Saturnino Corona del 11.05.1790 vendettero la casa a Girolamo Gindri per 740 scudi; dedotto il capitale di scudi 400 e le pensioni scadute, la somma residua di 296 scudi, 9 reali e 10 cagliaresi fu depositata presso il mastro Sebastiano Puddu per la necessità di chiarire i conti fra gli eredi di Mastro Battista Bazella e la vedova Musu; il 18 maggio furono consegnati a Pasquala Bazella 138 lire, 11 soldi e 2 denari, e stessa somma fu consegnata a Luigia Bazella; alla vedova Musu furono consegnate 465 lire, 2 soldi e 10 denari; l’altra figlia Giuseppa Bazella aveva preso la sua porzione quando si era maritata con Antonio Pilloni, e la figlia Maddalena Bazella l’aveva presa quando si era maritata con un certo Campurra; forse in quell’anno non era più in vita il padre Osservante fra Girolamo.

In conclusione, con l’atto notarile del 1809 la casa fu venduta da Gerolamo Gindri ad Antonio Cambazzu (1744-1811); quest’ultimo si affrettò ad azzerare il debito verso il monastero di Santa Lucia: con atto del 28 luglio 1809, 4 giorni dopo aver comprato la casa, restituì il capitale di 400 scudi e pagò le pensioni scadute.

Alla morte di Antonio Cambazzu, il 01.09.1811, la casa della strada di Monserrato fu stimata in lire 7005, soldi 15 e denari 6; era formata dal piano terreno con un magazzino e due piani superiori, aveva i balconi in ferro e la cisterna; con la divisione ereditaria del 10.01.1812 il magazzino fu assegnato al figlio Francesco (1787-1823); il primo piano fu assegnato al figlio Efisio (1785-1820); il secondo piano fu assegnato alla figlia Rita (1789-), la quale nello stesso anno 1812 sposerà l’avvocato Antonio Saju.

Nel fascicolo di una causa civile del 1818, relativa alle vicine proprietà Ravagli, si fa riferimento a una casa appartenente agli eredi di Antonio Cambazzu, detto “Testoni”, casa che prima apparteneva al defunto “panataro” Gerolamo Gindri

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 appartenesse al barone Salvatore Rossi (1775-1856). 

 

 

2826 e 2827

Il primo riferimento alla casa 2827 è stato rintracciato nell’atto notarile relativo all’inventario della eredità Marramaldo, del 20.09.1778; in quest’atto però vi sono due citazioni contraddittorie: è scritto in un primo punto che la casa Marramaldo 2816 confinava alle spalle con casa della comunità di Sant’Eulalia, mentre in un altro punto è scritto che confinava da ponente, cioè alle spalle, con una casa del monastero di Santa Chiara; sempre che uno di queste affermazioni non sia totalemte errata, si può ipotizzare che la casa 2827 appartenesse anticamente al monastero di S.Chiara, e poi divenne una proprietà della comunità di S.Eulalia, che la possedeva negli anni successivi.

Gli unici riferimenti rintracciati per l’unità immobiliare 2826 sono presenti negli atti notarili del 1809 con cui Gerolamo Gindri fece valutare e poi vendette la sua casa 2825, ed apparteneva in quall’anno alla Comunità di S.Eulalia.

Nell’atto del 1797, citato per le case 2815 e 2828, la casa 2827 risulta appartenere anch’essa alla Comunità di S.Eulalia; il dato è confermato da altri 2 atti del 1797, relativi ai beni di Agostino Ravagli, e in atti del 1809, già citati per la casa 2816.

Dopo il 1850 entrambe le case appartenevano ancora a S.Eulalia; possono quindi identificarsi con una delle case che la Comunità, nel donativo del 1799, dichiarò di possedere nella strada di Monserrato: case Ponsillon, Betto, Cucuru, Guido, Espissu, Urru, Piga, Mantelli.

 

2828      vedi 2815

 

2829     

Era una delle tante case di proprietà della comunità di S.Eulalia: lo si desume da un atto del 30.03.1778, relativo alla casa 2813, da altro atto del 23.09.1797, già citato per la confinante casa 2828, e da un atto del 12.09.1800, citato per la casa 2783, sul lato opposto della strada di Monserrato.

Nel 1799 la comunità di S.Eulalia denunciò in questa strada ben 12 proprietà; senza fornire nè dettagli nè confinanti non permette una identificazione delle singole case.

Dopo il 1850 la casa 2829 era ancora di proprietà di S.Eulalia.

 

2830 e 2832          

L’unico documento rintracciato che cita queste due case 2830 e 2832 è la divisione dei beni fra gli eredi di don Francesco Maria Viale, del 23.12.1797: fra i beni del defunto c’è anche la casa 2831, che confinava ai due lati con case della comunità di S.Eulalia, cioè appunto la 2830 e la 2832.

Dopo il 1850 erano entrambe ancora proprietà della Comunità di S.Eulalia.

 

2831     

In una causa civile relativa alla eredità Gherzi, la casa dell’eredità 2782 aveva davanti una casa di Francesco Viale, identificata con l’unità 2831.

Il nobile don Francesco Maria Viale, ricco mercante abitante nel sobborgo di Stampace, morì nel gennaio 1796 e la vedova donna Pasquala Denegry e i suoi figli il dottore don Joseph Angel, il reverendo dottore don Pasquale (assente dal Regno e dimorante nella Augusta Corte di Torino), il dottore don Juan Bauptista, donna Rosa, donna Raimunda e donna Barbara fratelli e sorelle Viale, si accordarono, con atto del 23.12.1797 del notaio Andrea Pirisi, per la divisione dei beni del defunto. Donna Raimunda era assistita dal marito dottore in diritto don Pedro Cossu, mentre donna Barbara e il marito, don Joseph Cossu Cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro e Giudice della Reale Udienza, erano assenti dal Regno; i beni del defunto furono stimati dai seguenti periti: il misuratore Regio Geronimo Massei, i negozianti Bartolomeo Sciaccarame e Gaspare Antonio Raimondi, i mastri Juan Porcu falegname, Pasqual Putzu matterassaio, Vicente Uda Orefice, Baldirio Congiu argentiere, Pasqual Caredda calderaio, Juan Francesco Uda sellaio; totale dell’estimo dei beni £ 125162, soldi 15, denari 4; da questa somma si defalcarono quanto spettava alla vedova per i suoi diritti, e rimasero £ 114714 soldi 18 e denari 5, che gli eredi si divisero consensualmente secondo le proporzioni espresse nel testamento: 1/3 più degli altri a Joseph Angel, e 1/6 in più a Juan Bauptista.

In particolare al dottore don Juan Bauptista  Viale (1767-1856) spettò in totale £ 20589, soldi 17 e un denaro, e la sua eredità comprendeva diversi stabili fra cui una casa (2831) nella strada del Monserrato che aveva davanti una casa del Monastero di S.Chiara (2782) e confinava da ambo i lati con case della Comunità di S.Eulalia (2830 e 2832); stimata il 09.03.1796 da Gerolamo Massei in £ 3170, soldi 13, denari 10, era composta da 3 piani: al piano terreno c’era un camerone e un piccolo cortile, al primo piano una sala, un’alcova, un retrocamera, una piccola cucina, un “cielo coperto”; l’ultimo piano era simile al precedente.

Dopo il 1850 questa unità catastale era di proprietà del conte Giovanni Viale (1767-1856), e comprendeva una casa per abitazione ai piani alti e al piano basso uno “stabilimento” per fare il pane.

 

2832      vedi casa 2830

 

2833, 2834, 2836              

Da atti del 1792, del 1799 e del 1806, relativi alla confinante casa Spetto (2835), le case 2834 e 2836 risultano appartenere alla Comunità di Sant’Eulalia; per la casa 2836 è stata rintracciata una conferma in atto notarile del 21.11.1802, relativo alla proprietà del duca di San Pietro adiacente e sottostante al convento di Santa Rosalia (2807): questa proprietà era contigua, dalla parte di mezzogiorno, a case della Comunità di S.Eulalia (2836) e del falegname Francesco Espetto (2837) e all’Ospedale militare (2838).

Non si hanno informazioni sulla casa 2833; sembra però probabile che come le altre due appartenesse alla stessa Comunità di S.Eulalia che possedeva ancora dopo il 1850, sia la casa 2833, sia la casa 2836; dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2834 apparteneva invece all’avvocato e giudice Giacomo Antonio Rossi.

Si veda anche quanto scritto per la casa 2835, per una eventuale ipotesi alternativa relativa alle case 2833 e 2834, basata su un atto del 1803.

 

2834      vedi casa 2833

 

2835 e 2837           

Queste 2 unità catastali sono state identificate con quelle che facevano parte della proprietà Spiga, poi Spetto, con qualche incertezza a causa di informazioni imprecise e a volte contraddittorie; fra i documenti che citano queste case, il primo in ordine cronologico è il fascicolo di una causa civile del 1783, con la quale il falegname Francesco Spetto cercava di farsi dare, dal notaio Tommaso Murroni, 30 scudi per l’affitto di un anno e due mesi di una casa nella strada del Monserrato che il Murroni aveva lasciato senza pagare; non è possibile dalla causa capire di quale casa si trattasse, ma da documenti successivi è stata identificata con l’unità 2835, la prima acquistata da Francesco Spetto.

Nell’elenco dei beni di Giovanni Domenico Gherzi, databile 1790, si legge che davanti alla casa Gherzi numero 2780, nella strada del Monserrato, vi era la casa del mastro falegname Juan Espiga (2835); il dato non è corretto, perché Juan Espiga non era più proprietario di quella casa, venduta da lui allo Spetto; infatti con atto notarile del 14.04.1792, il mastro carpintero (cioè falegname) Francesco Spetto, ottenne 200 scudi dalle sorelle Alesani e ipotecò la sua casa (2837) con due “patios” in calle del Pagador, situata davanti all’Ospedale dei soldati (un tempo chiesa del Monserrato), confinante alle spalle con altra casa (2835) dello stesso Espetto; il documento riferisce che la casa sulla strada del Pagatore era stata fabbricata dallo Spetto a sue spese, nel territorio di “casa ruina” comprata dai fratelli Espiga, cioè il sacerdote Francesco, il mastro Juan e altri, con atto del 04.12.1778; per fabbricare la casa (2837) Francesco Spetto aveva già ipotecato l’altra sua casa (2835) della calle del Monserrato ossia Delvecho, sita davanti a casa degli eredi del reverendo canonico Juan Bauptista Fulgueri Gallus (casa Gherzi, 2780), confinante di spalle con altra casa dello stesso Espetto sulla strada del Pagatore, d’ambo i lati con case di S.Eulalia (2834 e 2836); questa casa sulla strada del Monserrato Francesco Espetto l’aveva comprata per 570 scudi, con atto del 16.11.1776, dagli stessi fratelli Espiga.

Il notaio degli atti del 1776 e del 1778 è Juan Agostino Espetto, probabilmente zio del falegname Francesco, che era figlio del chirurgo Giuseppe Espetto.

Con atto del 24.08.1799 Francesco Spetto, negoziante e mastro falegname, ipotecò ancora le sue case (sulle strade di Monserrato e del Pagatore) per garantire un censo di scudi 200 al 5% da pagare al conte Ciarella.

Nel suo donativo (non datato) lo stesso Spetto dichiarò di possedere una casa nella strada del Monserrato per uso proprio, composta da piano terreno e due piani e due “passadissos”, su cui gravava un censo di scudi 400 e pensione scudi 20 da pagare agli eredi del reverendo Carta, e un censo di scudi 200 e pensione di scudi 10 da pagare al conte Ciarella, e una casa nella strada del Pagatore, che si affacciava sulla parte finale della strada del Monserrato, con “sòttano” affittato a lire 30, e il primo piano usato dal proprietario; pagava 10 scudi annui di pensione per un censo di scudi 200 alle sorelle Alesani.

Nell’atto del 1803 relativo alla casa Masala 2808, quest’ultima confinava da un lato e di spalle con la casa del falegname mastro Francesco Spetto. Questa informazione fa ipotizzare che la proprietà Spetto comprendesse, oltre alla casa 2837 sulla strada Pagatore e a quella 2835 sulla strada Monserrato, anche la casa 2834, altrimenti attribuibile alla comunità di Sant’Eulalia; servirebbero ulteriori conferme.

Il 23.09.1806 morì Vincenza Dias, senza testamento; oltre al marito erano suoi eredi i due figli dei coniugi Spetto-Dias, cioè il sacerdote Salvatore beneficiato di S.Eulalia, e Pasquala premorta alla madre, che aveva sposato il notaio Emmanuele Curgiolu e aveva lasciato un figlio di nome Salvatore (1790-). 

Il 3 novembre Francesco Spetto incaricò il notaio Carlo Franchino Amugà di redigere l’inventario dei beni familiari; i beni mobili dell’eredità furono stimati, dai diversi periti, in lire 2346, soldi 2, denari 3; a questi si doveva aggiungere il valore di due case: una in contrada Pabillonis o di Tarragona, (corrispondente al numero catastale 2292), composta da piano terreno e 3 piani alti, che fu stimata in lire 9049, soldi 16, denari 4; l’altra casa aveva due facciate, una sulla strada di Monserrato (numero 2835), con piano terreno e due piani alti, l’altra sulla strada del Pagatore (2837), con piano terreno e un piano alto; era la casa di abitazione e fu stimata in lire 5512, soldi 16, denari 2.

A metà ‘800 la casa 2835 apparteneva alla Comunità di Sant’Eulalia; la casa 2837 apparteneva a Salvatore Curgiolu, figlio del notaio Emanuele Curgiolu e di Pasquala Spetto figlia di Francesco.

 

2836      vedi casa 2833 

 

2837      vedi casa 2835