Usare il tasto sinistro del mouse per aprire la mappa al posto della pagina attuale;

usare il tasto destro del mouse per aprire la mappa in un'altra scheda o in un'altra finestra, senza chiudere la pagina attualmente aperta.

Isolato O1: Portico S.Rosalia/strada dietro S.Eulalia/vico S.Eulalia/discesa e piazza Monserrato

(via Principe Amedeo, via Collegio, via dei Pisani, via Lepanto, via Porcile)

numeri catastali da 2780 a 2807

l’isolato ha subito poche modifiche: è da rimarcare l’utilizzo militare dell’ex convento dei Padri Osservanti, al di sotto del portico; sia sulla via del Collegio, sia sulla via Lepanto, alcune vecchie case sono state sostituite da costruzioni recenti, alcune su una linea arretrata; nella via del Collegio si nota un’area non edificata, corrispondente a parte dell’unità 2791, forse in continuità col cortile della fabbrica di cera sorta in questo sito nel XVIII secolo.

 

2780, 2781, 2782             

Le prime notizie che si hanno su queste unità catastali sono state rintracciate nel fascicolo di una causa civile relativa alle proprietà lasciate dal canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus (chiamato anche col solo cognome Gallus): in un documento inserito in quel fascicolo (senza data, ma presumibilmente del 1790 circa) risulta che Giovanni Domenico Gherzi aveva ereditato dallo zio canonico Fulgheri Gallus (morto nel 1775) un magazzino con 2 sottani in calle di Monserrato e una casuccia dentro un cortile nella stessa strada; le due proprietà erano separate da altra casa di Geronima Simon, madre del Gherzi: si tratterebbe delle case 2780, 2781 2782.

Il Gherzi scomparve misteriosamente nel 1784 e anni dopo fu dichiarato defunto; i suoi beni, così come quelli dei suoi genitori Giuseppe Gherzi e Geronima Simon Fulgheri e del ricco zio canonico furono ereditati dall’unica sua sorella Giuseppa (Pepica) Gherzi, monaca di Santa Chiara, e amministrati perciò dal convento.

Anche da un’atto notarile di aprile 1792 la casa 2780 risulta degli eredi del reverendo dottore e canonico Giovanni Battista Fulgueri Gallus; l’atto è relativo alla formazione di un censo da parte del mastro Francesco Spetto sulla sua casa 2835, la cui facciata sulla strada Delvechio aveva davanti, strada per mezzo, la casa Fulgheri Gallus.

In altro atto dell’agosto 1799, sempre relativo alla stessa casa Spetto, non si cita più la casa Fulgheri Gallus: davanti, strada per mezzo, vi è la casa di S.Eulalia che era della defunta donna Pasquala Montagnano; si può fare un’ipotesi, che si spera possa venire confermata da ulteriori documenti: l’unità 2780 era divisa in passato in due proprietà diverse, di cui una era del canonico Fulgheri Gallus, poi dei suoi eredi, l’altra parte era quella di donna Pasquala Montagnano, lasciata da quest’ultima alla comunità di S.Eulalia.

Nell’atto relativo alla divisione dei beni del defunto don Francesco Maria Viale, del dicembre 1797, è dichiarata una casa nella calle del Monserrato (eredità di don Giovanni Battista Viale, figlio di don Francesco) che aveva di fronte, strada mediante, una casa del Monastero di S.Chiara; non vi sono altri documenti che possano ricollegarsi alla casa Viale; però dopo il 1850 risulta che la casa 2831 sulla strada di Monserrato, appartenesse al conte Giovanni Viale, per cui si può ipotizzare che la casa 2782, posta di fronte alla 2831, fosse quella del Monastero, proveniente dai beni di suor Pepica Gherzi.

La casa 2780 è inoltre citata come proprietà degli eredi del canonico Gallus anche nel donativo (successivo al 1807) di Francesca Rodella e Vittoria Bonorino (che possedevano la casa 2796, alle spalle dell’unità 2780).

La suora Pepica Gherzi, monaca di Santa Chiara, dichiarò nel suo donativo diversi beni immobili, e fra questi vi erano 4 case in contrada del Monserrato, per una rendita totale di lire 302 e 10 soldi: la prima casa aveva un sóttano e un piano alto di 3 stanze; la seconda aveva un sóttano e un piano alto con 5 stanze; la terza aveva un piccolo sóttano e 2 stanze e cortile; la quarta era composta da un magazzino e 2 sottani.

Anche in atto del settembre 1800 la casa 2782 risulta di proprietà di “una monaca di S.Chiara”, e in atto del novembre 1801 è descritta come casa del defunto dottor Sguerci (cioè Giuseppe Gherzi, padre di suor Giuseppa) che si era occupato della amministrazione dei beni della famiglia dal 1784, dopo la scomparsa del figlio Domenico, fino alla sua morte, nel gennaio 1789.

Con atto notarile del 23.09.1808 fu effettuato l’estimo di alcune case appartenenti alla suora Giuseppa Gherzi; due periti muratori e due periti falegnami furono incaricati dalla suora, col consenso di suor Raffaela Busu, madre superiora del convento di Santa Chiara, e su incarico di Lucia Utzeri, già moglie separata di Domenico Gherzi, col consenso del marito Francesco Denurchi; furono valutate una casa nella strada di Barcellona (numero 2938), e due case confinanti nella strada Monserrato, identificabili con le case 2781 e 2782, stimate in lire 2224 soldi 6 e denari 8, e lire 1690 e soldi 10; le due case avevano il sotterraneo senza divisione, ed il primo piano con alcune stanze e la cucina.

Le sorti dell’eredità del canonico Fulgheri Gallus, dopo tanti anni, non erano ancora definite: la moglie del Gherzi nel frattempo era evidentemente riuscita a farsi riconoscere alcuni diritti, sicuramente le spese di mantenimento almeno fino alla data di morte presunta del marito, secondo la sentenza di separazione (si veda quanto già riferito per la casa 2371) e, con sentenza del 17.07.1806 e sua conferma del 13.01.1807, le fu riconosciuta anche la cosidetta “quarta uxoria” dal giorno del suo secondo matrimonio, che evidentemente non le era stata più versata dalla cognata e dal monastero di Santa Chiara, amministratore dell’eredità Gherzi.

Fra i dati catastali di metà ‘800, l’unico proprietario che risulti per la casa 2780 è il Legato Montegno; si può ipotizzare, senza averne certezza, che si tratti in realtà del legato Montagnano, e ci si ricollega quindi alla possibilità già espressa che l’unità 2780 fosse in realtà suddivisa in due abitazioni diverse: una parte Montagnano poi Sant’Eulalia, l’altra Fulgheri Gallus.

Le case 2781 e 2782, nel Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800, appartenevano invece all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2783     

Nell’atto del 12.09.1800 sopra citato, una casa situata nella strada di Monserrato e identificata con l’unità catastale 2783 venne concessa in enfiteusi perpetua dai guardiani dell’Arciconfraternita del Sepolcro al mastro muratore Juan Lilliu, con un canone annuo di 16 scudi; la casa si componeva di un piano alto e di un “sòttano”, confinava con la casa di “una monaca di S.Chiara” (2782) e di lato e alle spalle a case del defunto Ignazio Romagnino (2784 e 2792).

Dopo il 1850 apparteneva all’Arciconfraternita del Sepolcro.

 

2784, 2785, 2786, 2787, 2788, 2791, 2792                

Ignazio Ramognino (poi Romagnino) era un mercante nativo di Varazze; risulta presente a Cagliari almeno dal 1747, anno in cui fece un acquisto immobiliare per conto di alcuni suoi parenti (si veda l’unità 2793); tali parenti ed altri ancora, tutti di Varazze, erano presenti a Cagliari prima di lui: il primo arrivato dovrebbe essere Giuseppe Ramognino, sposatosi a Cagliari nel 1718, cugino primo del nonno di Ignazio; il cognome originario Ramognino nel corso del XVIII secolo si trasformò in Romagnino (o Romanino, con o senza tilde sulla prima n), e così si stabilizzò; dopo Giuseppe, che fu detto “maggiore”, arrivarono in città intorno al 1735 i cugini Rocco e Giuseppe Ramognino: il primo si sposò in S.Eulalia nel 1744, il secondo, detto “minore” per distinguerlo dal suo omonimo, si sposò nel 1748, anche lui in S.Eulalia; erano figli di due fratelli di Giuseppe maggiore; fra questi Ramognino/Romagnino, l’unico per cui sia certa una discendenza maschile che abbia fatto arrivare il cognome fino ai nostri giorni, in Sardegna, è Giuseppe minore.

Ignazio Romagnino comprò dagli eredi di Giuseppe Ramognino maggiore, morto nel 1758, alcuni terreni dietro la chiesa di S.Eulalia, nell’isolato fra le attuali via del Collegio, via dei Pisani e via Lepanto; qui Ignazio costruì alcune case e impiantò una fabbrica di cera; queste notizie le si apprende da una causa civile del 1763, rintracciata all’archivio comunale: il notaio Giovanni Pichi (Picci) citò in giudizio il Romagnino, sentendosi danneggiato dalla costruzione di una casa confinante con la sua (quella del Picci era la 2790).

Ignazio Romagnino morì celibe il 25.08.1788; 4 giorni dopo, il notaio Giovanni Battista Atzori iniziò a redigere l’inventario dei suoi beni, col curatore dell’eredita Onorato Cortese; essi si recarono nella casa del defunto, nella contrada “dietro S.Eulalia”, vicino alla chiesa e dirimpetto alla strada di Santa Teresa (vico Collegio); la proprietà si componeva di un unico “dominario”, con una casa e la fabbrica di cera sulla strada dietro Sant’Eulalia, e altre case nella parallela strada di Monserrato.

Il 16.02.1789 gli eredi di Ignazio Romagnino, arrivati da Varazze, si accordarono col fabbricante di cera Giambattista Cossu per la “locazione” della fabbrica; gli eredi presenti erano: il nipote Gerolamo che rappresentava il padre Giacomo, fratello del defunto; Giambattista Gustavino come procuratore del suocero Giammaria Romagnino, altro fratello di Ignazio; Gaetano Gustavino come procuratore delle figlie Maria, Angela e Bianca Gustavino figlie della defunta Chiara Romagnino sorella di Ignazio.

Giambattista Cossu[1] era maestro nella stessa fabbrica di cera del defunto Romagnino; gli eredi si trattennero qualche tempo a Cagliari ma intendevano tornare in patria, cioè a Varazze; intanto vivevano nella casa del defunto.

Il 27.08.1789 venne redatto l’atto di divisione dell’eredità del fu Ignazio Romagnino figlio del fu Lazzaro, nativo di Varazze nel genovesato; erano presenti Giacomo Romagnino del fu Lazzaro, Gaetano Gustavino del fu Stefano e Giambattista Gustavino del fu Enrico.

Il totale del fondo ereditario divisibile, fra contanti, mobili, crediti, stabili, fu valutato in lire 186.655, soldi 9, denari 10; facevano parte dell’eredità anche i frutti della vendita delle merci a Gio Batta Cossu.

Le parti stabilite nella divisione furono le seguenti:

1) porzione delle sorelle Gustavino, figlie di Chiara Romagnino: le 4 stanze nuove colla terrazza superiore ed inferiore spettante alla fabbrica di cera, compresa cucina grande e nuova nella terrazza, con tutta la casa laterale ove resta stabilita la fabbrica, corrispondente alla strada di S.Eulalia ed abitata (cioè utilizzata) dal fabbricante Gio Batta Cossu; la terza parte delle case della strada di Monserrato.

2) porzione di Giammaria Romagnino: la casa che abitava il defunto Ignazio per la parte della strada di Sant'Eulalia, con alti e basso; la terza parte delle case della strada di Monserrato.

3) porzione di Giacomo Romagnino: 3 magazzini nella strada di S.Eulalia in vicinanza alla casa di abitazione da una parte e alla fabbrica di cera dall’altra, che si estendevano fino alla contrada di Monserrato; la terza parte delle case della strada di Monserrato.

La casa nuova sulla strada di Monserrato, ossia il piano sopra la fabbrica, era abitata dal sig. Gio Batta Armeni [2]; la casa attigua piccola era abitata da Maria Buonaria Corrias nel piano superiore, e da Maria Angela Gaibisso in quello inferiore.

Il 15.09.1789, Giambattista Gustavino, come procuratore di Giammaria Romagnino suo suocero, procedette alla “locazione” di una casa dell’eredità Romagnino a favore del negoziante Gian Giuseppe Callamand di Cagliari: venne affittata la casa di abitazione del quondam Ignazio Romagnino corrispondente alla strada di S.Eulalia composta di 4 piani, cioè il terreno col suo magazzino e 3 superiori, si affittarono i 3 piani per scudi 70, mentre il magazzino era già affittato per scudi 30.

Riassumendo: la fabbrica di cera di proprietà delle sorelle Gustavino, occupata dal Cossu, era sulla discesa di S.Eulalia (attuale via del Collegio), e si estendeva fino alla strada di Monserrato (attuale via Lepanto); sulla stessa strada di S.Eulalia c’era la casa abitata dal defunto, proprietà di Giammaria Romagnino, composta da piano terreno con un magazzino e 3 piani alti; sulla stessa strada vi erano altri 3 magazzini, proprietà di Giacomo, posti fra l’abitazione e la fabbrica di cera, ed arrivavano alla strada di Monserrato; in quest’ultima strada, oltre al retro di detti 3 magazzini, vi erano delle case la cui proprietà rimase indivisa fra i 3 gruppi di eredi: una casa di recente costruzione aveva il piano terreno occupato dalla fabbrica, il piano superiore era affittato a Gio Batta Armeni, un’altra casa più piccola era affittata a Maria Bonaria Corrias e a Maria Angela Gaibisso.

Le informazioni disponibili non sono certo sufficienti per capire esattamente come era composta la proprietà, non si parla di cortili o aree non edificate, certamente esistenti, e la situazione catastale di metà ‘800, vista nella mappa, era sicuramente frutto di diverse modifiche successive alla morte di Ignazio Romagnino.

Sono numerosi i documenti che hanno fornito notizie sulle sue proprietà:

1) la citata causa civile del 1763, dalla quale si legge che Ignazio Romagnino era proprietario delle aree confinanti alla casa Picci (2790) sulla discesa di S.Eulalia e alla casa Ruxotto (2789) sulla strada del Monserrato; per cui gli si può attribuire le unità 2791 (o parte di essa) e 2788, senza poterne escludere altre;

2) l’inventario di agosto 1788, dove si legge che la casa del defunto era nella contrada “dietro la chiesa di S.Eulalia”, vicino alla chiesa e dirimpetto alla strada di Santa Teresa; la proprietà si componeva di un unico “dominario”, con una casa piccola, la casa di Monserrato, la fabbrica di cera;

3) le già citate carte del 1789, relative alla divisione dell’eredità, e relative all’affitto di alcune sue parti, che però non riportano i riferimenti ai confinanti e non permettono quindi conclusioni sufficienti;

4) un atto del settembre 1791, nel quale è confermata la contiguità con la casa Picci 2790;

5) l’inventario dei beni del defunto notaio Gio Francesco Picci del luglio 1793, dove è scritto che la casa Picci (2790), posta dirimpetto alla muraglia della Sacristia e al cimitero di S.Eulalia, confinava da un lato con casa del procuratore Antonio Giuseppe Porcu (casa 2789), e dall’altro e per dietro con case dell’eredità del negoziante Ignazio Romanino, confermando quindi che ne erano parte le unità 2791 e 2788.

6) due atti del 1797, uno di maggio e l’altro di settembre, relativi alla proprietà 2828 della Comunità di San Giacomo sulla strada del Monserrato, nei quali risulta che di fronte alla casa 2828 c’era la proprietà Romagnino, cioè le unità 2784 e 2785.

7) il donativo (senza data) di Giovanni Battista Gustavino, “genovese oggi abitante in questa città di Cagliari”, compilato per lui da Onorato Cortese, nel quale fu dichiarata una casa nella strada di S.Eulalia, alle spalle della chiesa, composta da 2 piani alti e piano terreno, con 10 stanze in tutto, da cui si poteva ricavare un fitto di 225 lire annue; il Gustavino denunciò la parte che spettava a suo suocero Giammaria Romagnino.

8) il donativo, presentato dal notaio Francesco Angelo Randacciu per conto di Gaetano Gustavino (il quale amministrava la porzione delle figlie, eredi di Chiara Romagnino, e quella del cognato Giacomo), che comprendeva i seguenti immobili: 3 magazzini nella strada di S.Eulalia affittati a lire 225; la casa sopra i magazzini, con 5 stanze che si potevano affittare a lire 62 e 10 soldi; altra casa attigua ai magazzini, con piano terra, un piano di 3 stanze, affittate al lire 60; altra casa simile con piano terra e primo piano di 5 stanze e cucina, affittata a lire 125. Una stanza era utilizzata dal Gustavino, si poteva affittarla per lire 30; quest’ultimo donativo è anch’esso senza data, ma dovrebbe risalire al 1799, probabilmente al mese di giugno come tutti quelli di qull’anno, dato che Gaetano Gustavino morì a Cagliari nell’ottobre del 1799.

9) un atto del settembre 1800, relativo alla casa 2783 dell’Arciconfraternita del Sepolcro, nel quale è scritto che tale casa era confinante da una parte con la casa di una monaca di S.Chiara (2782) e di lato e alle spalle a case del defunto Ignazio Romagnino: queste ultime dovrebbero essere la 2792 e la 2784.

10) altro atto del 04.11.1801, relativo a una casa alle spalle della chiesa di S.Eulalia, venduta dall’ex Religioso Lorenzo Alberto Lay di Cagliari al negoziante e mastro Antonio Diego Manca; la casa Lay, poi Manca, identificata con l’unità 2793, aveva di lato la proprietà Romagnino (2792).

11) un atto notarile del 18.04.1804, col quale il negoziante Bernardo Pintor Frongia pagò lire 130, soldi 9 e denari 6 al muratore mastro Antonio Camba per diverse riparazioni fatte nella casa dove abitava, propria dell’eredità di Ignazio Romagnino, identificata con l’unità catastale 2791.

12) un atto del maggio 1805 che ci informa che in una casa dell’eredità Romagnino, nella strada del Monserrato, abitava Girolama Erminio nata Ramasso, defunta in quella casa nel marzo di quell’anno.

13) una causa civile del 1807 fra Bernardo Pintor Frongia e Domenico Batilana, relativa ad alcuni magazzini dell’eredità Romagnino (2791), situati dietro la chiesa di Sant’Eulalia, utilizzati dal Pintor Frongia.

La prima informazione difforme da quelle contenute negli elencati documenti, viene da due atti notarili del 19.06.1807 e del 02.09.1809, relativi entrambi alla casa Paderi 2789: una casa di lato e alle spalle della casa Paderi, cioè l’unità 2788, è detta “della Comunità di Sant’Eulalia”; questo dato si ricollega con quanto risulta dai dati catastali di metà secolo, specificati più avanti.

Nel 1807 alcuni immobili dell’eredità Romagnino erano stati già venduti, in particolare alcuni sul lato della contrada di Monserrato (attuale via Lepanto); infatti, con due atti entrambi del 13.05.1807 Pellegrina Gustavino, unica figlia dei defunti Gio Batta Gustavino e Colomba Ramognino, e le sorelle Angela, Bianca, e Maria Gustavino, figlie dei defunti Gaetano Gustavino e Chiara Ramognino, vendettero le due case sulla strada del Monserrato alla comunità di Sant’Eulalia.

Pellegrina, coniugata col Varazzino Bartolomeo Botalla, era rappresentata dal suocero Giuseppe Botalla, e la sua proprietà era limitata ad un magazzinetto situato al piano terreno della casa grande, il cui piano superiore era abitato dal signor Gio Batta Erminio; il bene proveniva dall’eredità di suo nonno materno Giammaria Romagnino; dal momento che la sua parte di eredità era stata ben più vasta, è probabile che la donna ne avesse già ceduto una gran parte. Il magazzino di sua proprietà fu stimato dal capo mastro Sebastiano Puddu in lire 500, la sua superficie era di 4,4 Trabucchi (circa 43,7 mq)

Le tre sorelle Gustavino (Angela moglie di Alberto Alberico Bosani, Bianca moglie di Ambrogio Tazzara, Maria moglie di Francesco D’Amigo, i primi due di Varazze, l’ultimo di Genova) cedettero alla comunità di Sant’Eulalia la parte che loro competeva di una casa grande e di una più piccola, poste nella contrada di Monserrato. Si trattava di due immobili che di comune accordo erano stati esclusi nell’atto di divisione del 27.08.1789, e che erano stati destinati dagli eredi del fu Ignazio Romagnino al beneficio dell’anima del defunto; i frutti erano quindi utilizzati dalla comunità di Sant'Eulalia per la celebrazione di messe. Le prime due sorelle erano rappresentate da Giuseppe Botalla, suocero della parente Pellegrina, la terza sorella dal signor Giovanni Compiano. Della casa più grande, la stessa alla quale apparteneva il magazzino di Pellegrina, sita nella strada di Monserrato, vendevano il piano superiore abitato da Gio Batta Erminio; della casa più piccola vendevano il piano terreno ed il primo piano; le due case, entrambe nella contrada di Monserrato, avevano alle spalle i magazzini e la fabbrica di cera della stessa eredità, da una parte confinavano con una casa della stessa Comunità di Sant’Eulalia e dall’altra con una casa dell’Arciconfraternita del Sepolcro.

Non si può dire che sia tutto chiarito: infatti, se la proprietà di quelle due case era rimasta indivisa, non si spiega perché la vendita risulta fatta dalle discendenti di Giommaria Ramognino, che avrebbero dovuto averne solo un terzo, e non è stata trovata la vendita delle parti degli altri eredi; comunque sia è importante sapere che a fianco delle case vendute c’era da una parte una proprietà di S.Eualia, dall’altra una proprietà del Sepolcro; l’ipotesi che si propone è che la casa 2788, già di Ignazio Romagnino, fosse stata già venduta alla Comunità di Sant’Eulalia, come è confermato dall’atto del 19.06.1807, prima citato; la proprietà della chiesa del Sepolcro potrebbe essere identificata con le case 2784 e 2785, già dell’eredità Romagnino e quindi vendute in precedenza; le due case venduta dalle eredi Gustavino sarebbero quelle con numeri 2786 e 2787. 

Pochi giorni dopo questa cessione, con atto del notaio Nicolò Martini del 29.05.1807, il console di Genova Felice Ranucci (cha aveva l’incarico di riscuotere i fitti) consegnò al reverendo Angelo Francesco Aitelli (presidente della Comunità di Sant’Eulalia) gli introiti degli ultimi semestri di affitto, pagati dagli inquilini: da Gio Batta Ermeni (sic) lire 187 e 10 soldi per 3 trimestri; dal mastro Efisio Atzori, che abitava il piano terreno della casa piccola, lire 34 per 2 trimestri, con l’abbuono di 11 lire per dei lavori di riparazione eseguiti dall’Atzori; dalla vedova Geltrude Podda, che abitava il piano alto della casa piccola, lire 25 per un semestre e un altro breve periodo. 

Una citazione a parte merita il locatario del piano alto della casa grande: sembra chiaro che Gio Batta Erminio sia la stessa persona citata in altri documenti come Gio Batta Armeni, che abitava nella casa almeno dal 1789; quella Girolama Erminio nata Ramasso, morta nella casa nel maggio 1805, dovrebbe essere la moglie di questo signore.

Per quel che riguarda la parte di eredità situata nella discesa dietro Sant’Eulalia (attuale via del Collegio) in un atto notarile del 13.07.1811, relativo ai beni dei coniugi Manca e Demelas, è scritto che la casa Manca 2793 confinava di lato con la “fabbrica di cera del Regio Patrimonio”; il dato è interessante: se è veritiero si può concludere che dopo 23 anni dalla morte del suo fondatore la fabbrica fosse ancora funzionante, gestita dalla “Regia Azienda”; questa informazione si ricollega in qualche modo con le informazioni che seguono:

fra le carte del Regio Demanio (Acquisti stabili, volume 162, fascicolo 17) è consultabile un fascicolo di grande interesse, datato 1826, relativo a una parte della proprietà Romagnino: gli eredi furono rappresentati, in questa vicenda, dal reverendo Ignazio Ramognino, figlio del fu Giacomo, nativo e domiciliato in Varazze; egli agiva a nome degli altri eredi (Ramognino e Gustavino) del defunto negoziante Ignazio Romagnino, suo zio paterno; dai vari documenti presenti nel fascicolo, si viene a sapere che due case e la fabbrica di cera dell’eredità Romagnino, dietro la chiesa di Sant’Eulalia, erano utilizzate almeno dal 1817 dall’Ospedale dei Cacciatori Franchi; in quegli stabili, o in parte di essi, per uso dell’ospedale, era stata installata la “Regia Fabbrica dei panni” e alcuni magazzini; gli eredi Romagnino da anni cercavano di farsi pagare dalla Regia Azienda i fitti a loro dovuti; dovettero dimostrare in primo luogo la proprietà di Ignazio e la loro attuale proprietà, con testimonianze e certificazioni di parentela, atte a escludere eventuali altri eredi; olre agli arretrati chiedevano che gli stabili venissero liberati; il così gran ritardo da parte della Regia Azianda era senza dubbio legato alla difficoltà, da parte degli eredi di Varazze, di amministrare i loro beni cagliaritani; inizialmente agiva per loro il cavalier Onorato Cortese, già curatore dell’eredità; questi aveva incaricato un perito, in accordo con le Autorità Regie, e si era stabilito un affitto di 290 scudi annui. Purtroppo il Cortese morì nel 1821, senza aver avuto il tempo di definire la questione, con conseguente ulteriore attesa.

Una volta nominati dei nuovi procuratori, gli eredi sollecitarono nuovamente la Regia Azienda; la decisione di liberare o meno la proprietà Romagnino da parte dell’Ospedale militare non era facile e non poteva essere immediata: vi fu un carteggio fra il Commissario di Guerra del Regno e l’Intendente Generale delle Regie finanze, che avrebbero dovuto appurare la convenienza e la possibilità di trasferire le attività e le strutture, installate negli stabili Romagnino, in altra proprietà, ancora da individuare. Sembra probabile che gli stabili occupati dall’Ospedale dei Cacciatori Franchi possano corrispondere alle unità catastali 2791 e 2792, sul versante della discesa dietro Sant’Eulalia; coincidono con quelle parti che anni più tardi risultano appartenere al commerciante, barone e industriale Salvatore Rossi (1775-1856).

Non è dato sapere, dalle carte rintracciate, fino a che anno l’Ospedale militare abbia occupato gli stabili Romagnino.

Dopo il 1850 le unità 2784 e 2785 appartenevano all’Arciconfraternita del Sepolcro; le unità 2786, 2787 e 2788 alla Comunità di Sant'Eulalia; le unità 2791 e 2792, come già detto, al barone Salvatore Rossi. 



[1] Il Cossu era proprietario della casa 2410, nella strada della Costa, e vi abitava con la sua famiglia

[2] Armeni (o Armenio) nel 1808 ospitava nella sua casa della strada di Monserrato il maiolo Francesco Piras di Gavoi

 

2789

Dalla causa civile del 1763 (AC), già citata nel precedente paragrafo per le proprietà Romagnino, risulta che la parte destra della casa 2789, sulla discesa del Monserrato, fosse appartenuta anni prima alla defunta Gerolama Bartolo y Ruxotto.

In un atto del settembre 1791 è scritto che questa stessa parte era appartenuta alla ormai defunta donna Teresa Ruxotto, della quale si ignorano gli esatti legami di parentela con la precedente proprietaria, mentre la parte sinistra, sulla discesa di S.Eulalia, apparteneva al notaio Antonio Giuseppe Porcu, che l’aveva acquistata nel 1753 dalla stessa Ruxotto. Con l'atto del 1791 il Porcu ottenne dal Capitolo di Cagliari £ 375 a censo onerativo, per le quali ipotecò la casa.

Dall’inventario dei beni del 04.03.1792 del defunto Joseph Mallus Toco (proprietario delle case 2878, 2889, 2890 e 2891), viene confermato che la casa 2789 aveva due proprietari: a sinistra il notaio Porcu, mentre la parte destra era chiamata casa Ventimiglia; non è chiara la genealogia di questa famiglia, ma si sa che all’inizio del XVIII secolo don Giuseppe Ventimiglia era coniugato con donna Orosia Bonet, figlia di Maddalena Bonet y Ruxotto; per cui, anche se le informazioni sono incomplete, si può ragionevolmente ipotizzare che la proprietà Ruxotto sia stata ereditata dai Ventimiglia.

In un atto del febbraio 1798, relativo alla casa 2824 nella strada del Monserrato, risulta che la parte destra della casa 2789 fosse di donna Maddalena Ventimiglia; si ha notizia di una Maddalena Ventimiglia, peraltro morta nel 1783, figlia nubile di quel don Giuseppe Ventimiglia prima citato.

Come si vede sono frequentissimi i riferimenti agli antichi proprietari, ripresi dai notai dai precedenti atti relativi all’immobile, senza preoccuparsi di inserire informazioni più attuali.

Due atti del 15 dicembre 1798 e 2 luglio 1799 danno informazioni più precise: don Sisinnio Paderi Areso, tutore dei figli minori don Domenico e Don Raimondo Paderi Ventimiglia, vendette le case 2822 e 2823 sulla strada di fra Luis Grec (o di Monserrato), le quali avevano davanti la casa grande degli stessi venditori (2789), tutte proprietà provenienti dalla eredità delle defunta Geltrude Ventimiglia, che aveva sposato nel 1776 don Sisinnio Paderi Areso.

Nel donativo del 31.07.1799 di don Raimondo e don Domenico Paderi Ventimiglia, presentato dal loro genitore, venne dichiarata una casa posta dietro il coro della parrocchiale Sant'Eulalia, di 9 stanze, che al momento del donativo era vuota; in precedenza era affittata a scudi 70.

Nel suo donativo del 26.07.1799 il procuratore e notaio Antonio Joseph Porcu dichiarò una casa nella strada di Sant'Eulalia (dietro la chiesa, da non confondere con l’attuale via Sant’Eulalia) con 2 piani alti abitati dalla sua famiglia, con 5 stanze e cucina, e 2 stanze al piano terra affittate. Il Porcu dichiarò che la casa era soggetta al censo di scudi 200 da pagare all’azienda ex-gesuitica, al censo di scudi 150 da pagare al Monastero della Concezione e al censo di 150 scudi da pagare al Capitolo (cioè le 375 lire avute nel settembre 1791).

Antonio Giuseppe Porcu risulta ancora proprietario il 28.02.1801, come è riportato in altro atto notarile relativo a una casa confinante. Si ignora la data della sua morte, ma è probabile che non sia di molto successiva al 1801: doveva infatti essere molto anziano (per quei tempi in particolare), dato che un suo figlio era nato nel 1742.

Con atto notarile del 19.06.1807 venne effettuata la divisione dei beni dell’eredità materna fra don Raimondo e don Domenico Paderi Ventimiglia; l’eredità comprendeva due casette situate nelle scalette di Santa Teresa e una casa dietro la chiesa di Sant’Eulalia; la madre era morta da diversi anni, ma fino a quel momento non c’era stata l’opportunità di effettuare la divisione, anche per la giovane età dei due fratelli, uno dei quali, Domenico, nel 1807 era ancora minore, cioè non aveva ancora 25 anni. La casa dietro Sant’Eulalia, nella quale era stata impiantata una fabbrica di cappelli, fu assegnata a Domenico, valutata lire 4143; lateralmente confinava con la casa degli eredi di Giuseppe Antonio Porcu (2789/b), sull’altro lato e di spalle con casa di Sant’Eulalia (2788).

Con atto del notaio Vincenzo Pala del 20.02.1809 la casa che era appartenuta all’oramai defunto notaio Antonio Giuseppe Porcu fu assegnata al notaio Andrea Pirisi per scudi 720; gli eredi del notaio Porcu erano Vincenzo, Anna e Rita Porcu, fratello e sorelle, e Raimondo figlio del defunto Eusebio Porcu, fratello dei precedenti; a seguito di una lite sorta col Ricevitore dei Legati Pii ex-gesuitici, col Monastero della Purissima Concezione, e con l’Economato del Capitolo Cagliaritano (che vantavano dei crediti verso l’eredità), il 17 agosto 1808 la casa fu esposta in pubblica asta, e contesa fra il negoziante Bernardo Cojana e il notaio Pietro Puxeddu (il quale probabilmente agiva su incarico di qualcun altro); Cojana offrì una prima volta 500 scudi, Puxeddu rilanciò con un offerta di 612, Cojana ne offrì 615, Puxeddu rilanciò della sesta parte, cioè oltre 100 scudi in più; finalmente il 20 febbraio 1809 si presentò il notaio Andrea Pirisi che offrì 720 scudi e si aggiudicò la casa di due piani alti e piano terreno.

Con atto del notaio Gioachino Efisio Aru del 16.03.1809 il notaio e procuratore Andrea Pirisi firmò l’atto di cessione della casa in favore del negoziante Bernardo Cojana; viene chiarito in questo documento che la casa era la medesima casa grande che gli eredi del procuratore Antonio Giuseppe Porcu avevano “esposto in pubblico concorso” ad istanza del procuratore generale delle opere pie dell’arcivescovato; era posta nella strada di Sant’Eulalia (cioè la discesa del collegio), dietro la chiesa e la sagrestia; il Pirisi ammise di esser intervenuto all’asta per parte di Bernardo Cojana.

Con atto del notaio Demetrio Satta del 02.09.1809, il cavaliere Raimondo Paderi Ventimiglia della città di Oristano, contino di Sant’Anna, vendette una casa di sua proprietà al negoziante Bernardo Cojana; si trattava di una casa ereditata dal defunto suo fratello Domenico, proveniente dalla eredità della loro madre donna Geltrude Ventimiglia, situata alla spalle della chiesa di Sant’Eulalia, e vi era stata impiantata una fabbrica di cappelli. L’affare era conveniente: la casa era “in stato rovinoso e necessitava di continue riparazioni”, Bernardo Cojana offrì scudi 1400 pagabili all’atto di stipulazione. La casa era gravata di una ipoteca di scudi 300 e interessi al 6%, risalente al 1769, di proprietà del canonicato della Madonna della Mercede, goduto in quell’anno dal canonico Demurtas.

Cojana, che nel mese di marzo aveva acquistato la casa Porcu, diventò quindi proprietario dell’intera unità 2789.

Da una causa civile iniziata nel 1845, relativa alla eredità del negoziante Bernardo Coiana, si ha conferma che il defunto fosse entrato in possesso dell’intera casa 2789; egli l’aveva ricostruita, era morto nel 1819 e col suo testamento l‘aveva destinata a tre fra i suoi eredi:

1) la figlia Fedela, coniugata con Efisio Marras (segretario del Regio Ufficio del Monte di Riscatto), ebbe l’intero piano nobile ossia di mezzo, il magazzino nella strada di Monserrato e i 2 piani terreni al lato dello stesso magazzino, e anche l’altro magazzino di fronte al giardino della chiesa;

2) la figlia Teresa, vedova del notaio Giuseppe Porru, ebbe il primo piano, con i 2 bassi o piani terreni a sinistra della porta maggiore della casa;

3) la nipote Maria Annica Cojana Mameli (figlia del defunto e prediletto figlio Efisio e di Luigia Mameli), ebbe il piano superiore e ultimo con i 2 bassi a destra della porta maggiore, verso la strada del Monserrato, con la condizione che vi alloggiasse la madre.

Dalla causa si apprende che nel 1845 i 3 figli di Fedela Coiana erano ancora proprietari del piano nobile e delle 4 botteghe a pian terreno della casa grande posta in vicinanza della chiesa di S.Eulalia.

Detto piano nobile era allora diviso in due appartamenti, uno dei quali era affittato per 35 scudi al beneficiato parroco Madeddu; l’altro, appena riparato, era stato ultimamente affittato per 30 scudi l’anno al muratore Antonio Pisano.

Dai dati del catasto di metà ‘800 risulta che la casa era in parte di Teresa Coiana (1784-1869) vedova Porru, figlia di Bernardo, e parte di Marianna Coiana (1802-) coniugata Frau, figlia del fu Efisio (1781-); non sono state trovate notizie sulla parte di Fedela (1800-1843), ereditata dai 3 figli: non si può escludere che l’esito della stessa causa civile del 1845 abbia costretto gli eredi Marras Coiana a cedere i loro beni.

Teresa Cojana morì il 26.04.1869 in una casa di vico Sant’Eulalia che potrebbe corrispondere alla casa 2789.

Suo figlio Raimondo Porru, “impiegato in ritiro”, marito di Marianna Graziani, morì sessantenne il 22.03.1871 in una casa di via Sant’Eulalia: anche in questo caso non si esclude che si tratti della stessa casa.

 

2790     

Dalla causa civile del 1763 (AC) già citata nei precedenti paragrafi, risulta che la casa 2790 apparteneva in quell’anno al notaio Giovanni Francesco Picci (o Pichi), che citò Ignazio Romagnino per i fastidi che gli recavano le nuove costruzioni nell’unità catastale 2791. L’atto del settembre 1791 con cui il notaio Porcu, proprietario della casa 2789, ottenne un prestito dal Capitolo, conferma che la casa 2790 era ancora del notaio Picci e, prima del Picci, faceva parte dell’eredità Pirella.

Nel luglio 1793 il notaio Giuseppe Bardilio Usai compilò l’inventario dei beni del defunto notaio Gio Francesco Picci, morto nel mese di giugno; da questo documento si apprendono diverse notizie: il defunto abitava in Villanova, in contrada San Domenico e di Incrastu; non aveva figli ed era vedovo già dal 1742 della dama Maria Giuseppa Pirella; iniziò la sua carriera di notaio nel 1749 e al momento della morte era giurato della città; era proprietario di diversi immobili, cioè alcune vigne in territorio di Settimo e Selargius, 2 case in Villanova, 3 case nella Marina, e fra queste una casa di un piano valutata in lire 1228, dirimpetto alla muraglia della Sacristia e cimitero di S.Eulalia, confinante da un lato con casa del procuratore collegiale Antonio Giuseppe Porcu (2789), e dall’altro lato e per dietro con case dell’eredità del negoziante Ignazio Romanino (2791 e 2788); nell’inventario fu allegato anche l’atto di vendita della casa, giurato da Girolama Rusciotto Bartolo (proprietaria anche della casa 2789) a favore di Maria Giuseppa Pirella Serra (moglie del notaio Picci), a rogito del notaio Didaco Meloni del 16.01.1740.

L’inventario venne fatto su istanza del reverendo Gio Bartolomeo Solanas e del notaio Francesco Maria Medda Pani procuratore fiscale patrimoniale, in qualità di curatore ed esecutore testamentario nominati dal defunto, che aveva istituito erede universale la sua anima e quella della fu sua consorte dama Maria Giuseppa Pirella. Non è stato rintracciato il testamento del notaio Picci, non si conoscono quindi in dettaglio le sue ultime disposizioni; il reverendo Solanas era un sacerdote “beneficiato” della chiesa di San Giacomo, ed era nipote del Picci; nel 1797 si occupava ancora dell’amministrazione dell’eredità dello zio, e di fatto ne era forse l’erede principale avendo il Picci istituito eredi la propria anima e quella della moglie.

Con atto notarile del 24.08.1796 il falegname Antonio Marcia Pinna ipotecò una casa di sua proprietà nella Marina, e strada “denominata al di dietro della parrocchia di Santa Eulalia”; il Marcia l’aveva acquistata il 30.04.1796 dal sacerdote Gio Bartolomeo Solanas e dal notaio Francesco Maria Medda Pani, curatori della eredita del fu notaio Gio Francesco Picci; il prezzo pattuito fu di lire 1140, soldi 10, denari 10, di cui versò subito lire 412.13.10, e le rimanenti 727.17 si obbligò a pagarle in anni 10; si impegnò inoltre a riedificare la casa entro un anno, e infatti fece costruire altri due piani, ma non poté terminare il lavoro per mancanza di fondi; per questo motivo, nell’agosto 1796 accettò lire 1009 dal sacerdote Giovanni Busu, tramite i sindaci della Marina che agirono da intermediari[1]; s’impegnò a pagare una pensione al 5% e ipotecò la casa; nell’atto è specificato che si trattava della stessa casa che la fu dama Maria Giuseppa Pirella, consorte del notaio Picci acquistò con atto del 16.01.1740 dalla vedova Girolama Bartolo e Ruxoto, e la Pirella, nel suo testamento del 17.02.1742 istituì erede il marito.

Con atto del notaio Lucifero Caboni del 30.04.1806, Antonio Pinna Marcia consegnò ai due curatori dell’eredità Picci la somma di lire 727 e soldi 17, come residuo del prezzo di vendita pattuito con atto del fu notaio Antioco Montixi del 30.04.1796; i due curatori lo stesso giorno, davanti al notaio Giuseppe Beldirio Usai, consegnarono la somma all’avvocato Proto Meloni Veghiere Reale, per investirla “in oggetti proficui alla stessa eredità”, in particolare per l’annullamento di un censo di scudi 200 dovuto dall’eredità Picci agli eredi del fu reverendo Montixi Barde di Orune.

La vendita della casa Picci trova conferma nel donativo del 04.08.1807 presentato dal reverendo Bartolomeo Solanas come curatore della eredità Picci e nipote del defunto notaio; essendo privo di vista fece sottoscrivere il donativo da due testi; delle 3 case della Marina che possedeva il Picci al momento del decesso (2299, 2790, 2919) era rimasta la sola casa grande 2919, nella strada Gesus.

Dal testamento del 1819 del negoziante Bernardo Coiana, proprietario della casa 2789, rintracciato nella citata causa civile del 1845, si sa che la casa 2790 in quell’anno era ancora del mastro falegname Antonio Marcia.

Dopo il 1850 la casa risulta appartenere in usufrutto a Ignazia Loddo (1783?-1872) vedova di Pasquale Rocca e di Filippo Martini (-1840); non risultano parentele col falegname Marcia. 



[1] l’avvocato Francesco Maria Ramasso, l’argentiere Pasquale Cojana e il conciatore Francesco Manca erano nel 1796 sindaci in capo, secondo e terzo del sobborgo della Marina  

 

 2791 e 2792        vedi 2784

 

2793     

La prima notizia che si ha su questa unità catastale proviene da una causa civile relativa alle proprietà lasciate dal Canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus: in un documento (senza data, ma databile 1790 circa), relativo alle proprietà del defunto canonico, la sua casa 2782 aveva alle spalle una casa dell’abate Lorenzo Lai, identificata con l’unità 2793.

Nel donativo (senza data, ma sicuramente del 1799) di Lorenzo Alberto Lay, ex religioso di San Giovanni di Dio, venne dichiarata una casa nella strada S.Eulalia (strada dietro Sant’Eulalia) composta da un piano alto e piano terreno che formavano 2 magazzini per il grano, ed erano affittati per scudi 30 annuali. Il Lay pagava un censo di scudi 15 al Monastero di S.Lucia, e defalcò dal reddito scudi 5 per le riparazioni; in questo donativo non ci sono altre indicazioni che possano permetterci di identificare la casa ma, con atto notarile del 4 novembre 1801, l’ex Religioso Lorenzo Alberto Lay di Cagliari (secolarizzato con decreto pontificio) domiciliato in Villanova, vendette un magazzino per 700 scudi al negoziante Antonio Diego Manca; si trattava di un magazzino grande de un sostre”, cioè con un piano sopra il terreno, alle spalle di S.Eulalia, che confinava da un lato con casa del defunto Ignazio Romagnino (2792), d’altra parte con casa che era del defunto Liborio Sotgiu e poi della Comunità di S.Eulalia (2794), di spalle a cortile del defunto dottor Sguerci (o Gherzi, unità 2782), ed era il medesimo magazzino che Ignazio Romagnino aveva comprato per 500 scudi il 18.01.1747 dalla vedova Maddalena Galvieddu e figli; Romagnino aveva però fatto l’acquisto non per sé, ma come curatore della eredità del defunto argentiere Juan Andres Lay (suocero di Giuseppe Romagnino maggiore, prozio di Ignazio), con gli 800 scudi che il Lay aveva lasciato a suo figlio Lorenzo Alberto, come da testamento del 05.01.1740.

In data 13.07.1811 venne effettuato l’inventario dei beni che i coniugi Antonio Diego Manca e Maria Giuseppa Demelas avevano acquistato durante il loro matrimonio; il 20 giugno di quall’anno era morta Maria Giuseppa Demelas, e il vedovo doveva provvedere a consegnare ai figli la loro parte d’eredità; fra i beni inventariati c’è anche una casa situata nella strada di Santa Eulalia (dietro la chiesa), usata come magazzino, confinante di lato con la fabbrica di cera del Regio Patrimonio (2792), e sull’altro lato con casa di Santa Eulalia (2794).

Non si hanno altre notizia di questa casa; Antonio Diego Manca si risposò nel 1814 con Nicoletta Azzeni; non si conosce la data della sua morte, ma era già defunto nel gennio del 1818[1]; non è stato rintracciato il suo testamento, ma nel catasto di metà ‘800 la casa 2793 risulta appartenere al sacerdote e teologo Giuseppe Carboni; quest’ultimo, nato nel 1791, era figlio di Stefano Carboni e di Narcisa Manca, figlia di Antonio Diego Manca e Maria Giuseppa Demelas. 



[1] In un documento del 20.01.1818 la vedova Nicoletta Azzeni è in lite con un nipote del defunto marito (ASC, Reale Udienza, Cause Civili, Pandetta 59, busta 4, fascicolo 14)

 

2794 e 2795       

Da due atti notarili rispettivamente di aprile 1797 e di aprile 1798, relativi alla casa 2776, sull’altro lato della via, la casa 2794 risulta appartenere alla Comunità di S.Eulalia; la comunità possedeva diversi immobili in questa strada, indicati nel donativo del 1799 e distinti col cognome del precedente proprietario; per la estrema sinteticità del donativo della Comunità, non si è però in grado di identificarne l’esatta posizione.

Nell’atto notarile del 4 novembre 1801, citato per la casa 2793, si sa che la casa 2794 apparteneva prima di quella data al defunto mastro Liborio Sotgiu, poi alla Comunità di S.Eulalia; può quindi identificarsi con la casa Sotgiu sita nella strada dietro S.Eulalia, denunciata dalla comunità nel donativo del 24.06.1799, composta da 2 piani di 4 stanze in tutto, ed il piano terra. La proprietà di Sant’Eulalia è ancora confermata da atto di luglio 1811, relativo alla stessa casa 2793.

Anche la casa confinante, numero 2795, è identificabile con una proprietà di Sant’Eulalia: in atto del 14.08.1807, relativo alla casa Rodella 2796, di fianco a quella vi era la casa del “fu mastro Vincenzo Soggiu”; non si sa se Vincenzo e Liborio fossero imparentati fra di loro; in un documento non datato, rintracciato nell’archivio di Sant’Eulalia, inserito fra altre carte del 1792, viene citata la “casa Col” che il mastro sarto Vincenzo Sotgiu aveva legato all Comunità per celebrare delle messe; nella casa abitava in affitto il reverendo beneficiato Francesco Eschirru.

Nel donativo del 1799, la Comunità di Sant’Eulalia denunciò anche la casa Col, con dimensioni e caratteristiche identiche alla casa Sotgiu prima nominata.

Nel donativo Rodella/Bonerino, senza data ma databile 1807, la casa numero 2796 era situata nella strada (dietro) Sant’Eulalia, fra una casa della Congregazione del Santissimo (2797) e una casa di Sant’Eulalia (2795).

Nell’atto di acquisto della stessa casa Rodella/Bonerino, i confinanti specificati sono la Congregazione del Santissimo (2797) e il fu mastro Vincenzo Soggiu (2795): è la conferma che la casa di quest’ultimo era diventata una proprietà di Sant’Eulalia.

Dopo il 1850 la comunità di Sant’Eulalia era ancora la proprietaria di entrambe le case 2794 e 2795.

 

2796

Si ipotizza che fosse la casa dichiarata nel donativo (senza data, ma probabilmente del 1807 o successivo) di Francesca Rodella, vedova di Gian Battista Bonorino, e della figlia Vittoria Bonorino, vedova di Francesco Giuseppe Armerin; la casa era composta dal piano terreno con una stanza grande e la cucina, il primo piano con 3 stanze e cucina, il secondo piano con 2 stanze e cucina, e confinava da una parte con una casa di S.Eulalia (2795), dall’altra con una casa della Congregazione del Santissimo Sacramento (2797); poteva fruttare £ 200 all’anno.

Nell’atto del 14.08.1807, con cui Francesca Rodella e sua figlia donna Vittoria Bonorino cedettero la loro proprietà delle scalette di Santa Teresa, ebbero in cambio dal Capitolo Cagliaritano una casa nella strada dietro Sant’Eulalia, detta “casa Carola”, valutata £ 4394.12.6; era situata fra una casa della Congregazione del Santissimo Sacramento (2797) e una casa del fu mastro Vincenzo Soggiu (2795).

Dopo il 1850 apparteneva al capitano marittimo Bernardo Barrago (1802-1886), figlio del fu Andrea.

 

2797 e 2798       

L’unica notizia che si ha sulla casa 2797 proviene dai documenti del 1807 relativi alla casa Bonorino/Rodella, relativi alla casa 2796: da questi si ipotizza che potesse appartenere alla Congregazione del Santissimo Sacramento; lo stesso dicasi per la casa 2798, secondo quanto è si deduce da atti del 1804 e 1810 relativi alla casa 2799.

Dopo il 1850 entrambe le case appartenevano alla stessa Congregazione del Santissimo Sacramento. 

  

2799 e 2800       

Su queste unità catastali sono state rintracciate diverse notizie, tutte però piuttosto vaghe, rese incerte dall’estrema imprecisione della mappe di metà ‘800; in questo caso, come in altri, sono state utili le mappe di primo ‘900 (si veda “Cagliari quartieri storici, Marina” della Silvana Editoriale), nelle quali sono più chiari e credibili i confini posteriori fra le diverse proprietà di quell’isolato; le due case 2799 e 2800 appartenevano al Monastero di Santa Chiara che, nel donativo del 1799, aveva denunciato 4 case in contrada S.Eulalia (dietro la chiesa): una di 12 stanze che rendeva lire 182.10; una molto piccola di 3 stanze e rendeva lire 24; una terrena col cortile, con una stanza, rendeva lire 30; l’ultima di 4 stanze, rendeva lire 65; due di queste case dovrebbero corrispondere ai numeri 2799 e 2800; una terza era probabilmente sull’altro lato della strada, unità senza numero catastale confinante con l’unità 2775; sulla quarta non è possibile, al momento, proporre delle ipotesi.

Altri documenti fanno riferimento in quegli anni alla casa 2800, proprietà di S.Chiara: tre atti notarili del 1801, 1802 e 1811, e due cause civili del 1801 e 1812, tutti relativi alla casa 2805, che confinava alle spalle con la casa 2800.

Con atto del notaio Giovanni Luigi Todde del 06.06.1804, la abbadessa del monastero di Santa Chiara, suor Francesca Terragona, vendette la casa terrena 2799 al professore di musica Juan Cuboni; situata nella discesa che, tramite le scale, portava da Santa Rosalia a Santa Eulalia, era sul lato sinistro a scendere, sull’altro lato rispetto alla porta del carro di Santa Teresa (2774), e confinava con altra proprietà del monastero (2800), con casa della Congregazione del Santissimo (2798), con la casa Liberti (2801 e altre), con la casa Ferreli ora del Capitolo (2806) e con il convento dei Padri Osservanti (2807); era stata fatta costruire dalle monache di Santa Chiara in un terreno di una casa demolita che era appartenuta ai fratelli Joseph e Grazia Pinna Moreto, ed era allora gravata da una ipoteca e censo a favore del monastero (atto del notaio Pilo del 03.10.1710); diventò proprietà del monastero nel 1765, e furono spese nel 1767 lire 692, 3 soldi e 8 denari per edificare la casa terrena. Le monache la vendettero al musico Cuboni per 240 scudi scudi a frutto compensativo, e Cuboni avrebbe dovuto costruire un piano superiore e pagare 12 scudi di interessi ogni anno; come garanzia ipotecò un suo giardino situato in Villanova. 

Nella denuncia per il donativo del 1807 presentata dal Capitolo Cagliaritano (per la casa 2806 sulla discesa del Portico di santa Rosalia), si fa riferimento alla casa di Giovanni Cuboni, confinante alle spalle: il cortile della casa Cuboni 2799, dalle mappe del ‘900, sembra effettivamente confinare con il cortile della casa 2806. 

In un atto del 13.12.1810 il musico Giovanni Cuboni e il monastero di Santa Chiara fecero stimare la casa situata nel sobborgo della Marina e strada detta di Basadonne[1] (nome insolito della discesa del Collegio), sull’altro lato rispetto alla porta del carro della casa professa di Santa Teresa (2774); i periti valutarono la casa per lire 1748, soldi 6 denaro 8; pochi giorni dopo, il 21 dicembre, i coniugi Giovanni Cuboni, professore di musica, e Anna Lai, vendettero alle monache di Santa Chiara la casa che avevano comprato anni prima dallo stesso monastero; nell’atto di vendita viene confermato che si trovava nella strada di Bassadonne, cioè nella strada che dalla chiesa di Santa Rosalia, attraverso la scala, porta alla chiesa di Sant’Eulalia; la casa aveva di lato un’altra casa dello stesso monastero (2800) e una casa della Congregazione del Santissimo (2798), di spalle il convento dei padri Osservanti (2807), e arrivava a confinare sul retro con le case del professor Liberti (2801 e limitrofe) e con una casa del Capitolo Cagliaritano (2806); il Cuboni l’aveva comprata per scudi 240 il 06.06.1804, e la rivendette per scudi 710, dopo averla riedificata e innalzata d’un piano.

Dai dati del catasto di metà ‘800, appena successivi al 1850, le due case 2799 e 2800 appartenevano ancora al monastero di S.Chiara.



[1] Bassadonne o Basadonne, dal nome del reverendo Bernardo Basadonne che aveva abitato in quella strada; si veda il paragrafo relativo alle case 2801/2804.

 

2801, 2802, 2803,2804    

Dal fascicolo di una causa civile del 1778 si legge che il musico Antonio Liberti aveva ostruito la strada del Portico di Santa Rosalia per dei lavori edili che andava effettuando: era proprietario di due case contigue su quella strada, e quella che dava alle scale che scendono a S.Eulalia era molto piccola; aveva ottenuto perciò il permesso di “innalzarla” e la nuova stanza sarebbe servita al figlio Luigi, “che trovasi all’incarico di Prof.re nella Regia Università”; le due case si identificano con i numeri 2802, 2803 e 2804; in particolare la casa su cui venifano fatti i lavori di ampliamento, che era l’unica bassa della strada, dovrebbe corrispondere all’unità 2803, laterale alla casa Cordilla 2771, e fu costruito un arco come contrafforte fra la casa Liberti e la casa Cordiglia.

In atto notarile del 28.12.1810, relativo alla casa Tuveri 2753 frontale alle casa 2803, è scritto che la casa Tuveri era “limitrofa alla casa che era del reverendo Bernardo Basadonne[1], beneficiato della Primaziale, strada in mezzo, per dove si scende a una piccola cantonata e strada posta alle spalle della chiesa di S.Eulalia, e poi l’ha posseduta Antonio Liberti musico, ed oggi l’avv.to Liberti”; in altre parole la casa Basadonne si trovava nella discesa del Portico di Santa Rosalia (attuale via Principe Amedeo), di fronte alla casa 2753, ed in corrispondenza della discesa che porta alle spalle della chiesa di Sant’Eulalia, vale a dire l’attuale via del Collegio; quest’ultima strada, in due documenti del 1810 (citati per la casa 2799), veniva chiamata strada di Basadonne; la casa del reverendo poteva quindi corrispondere alla unità catastale 2803 e forse anche alle unità 2804 e 2802, quest’ultima sulla discesa del Collegio.

In atto notarile del luglio 1797, si fa riferimento alla casa 2803 come quella degli eredi di Antonio Liberti, deceduto nel 1785.

Il donativo del 1799 presentato da Luigi Liberti, anche a nome delle due sorelle Maria Giuseppa e Anna (coniugata col notaio Pasquale Saunei), comprende:

1) la casa grande presso il portico di S.Rosalia, con un magazzino affittato a scudi 12, 1° piano abitato dalla sorella maritata con 4 stanze e potrebbe rendere scudi 30, 2° piano e piano altissimo abitati dal denunciante con 7 stanze, potrebbe rendere 45 scudi;.

2) una casetta attigua alla precedente con 3 stanzette e un piccolo fondaco affittata a scudi 18;

3) altra casetta attigua nella discesa di S.Eulalia (vico Collegio), una stanza e cortile, affittata a scudi 12;

Dal donativo, pur considerando che nella mappa della seconda metà del XIX potrebbero essere intervenute delle divisioni diverse, sembra di poter identificare la casa grande con l’unità 2804 e con la posteriore 2802; la casetta attigua dovrebbe essere l’unità 2803; la casa sulla discesa, formata da una stanza terrena e il cortile, dovrebbe corrispondere all’unità 2801.

In data 28.09.1801 il professor Luigi Liberti e le sue due sorelle Anna e Giuseppa, si accordarono per la divisione dell’eredità dei loro genitori Antonio Liberti e Cecilia Matti, morti senza testamento; le due sorelle, dopo la morte dei genitori, avevano vissuto col fratello Luigi, poi Anna si sposò nel 1797, e voleva avere la sua parte d’eredità; anche Giuseppa, nubile, preferiva avere la sua parte distinta da quella del fratello che era anch’egli sposato e aveva discendenza; Anna in quell’anno viveva con la sua famiglia nei due piani inferiori della casa, mentre Luigi viveva nei due piani superiori; facevano parte dei beni ereditari le case confinanti della discesa del portico di S.Rosalia e della discesa che va a S.Eulalia, oltre a una casa nella strada di Barcellona (2949) e a diversi crediti e censi; ognuno avrebbe avuto beni per 5883 lire, 8 soldi, 5 denari.

A Luigi Liberti venne destinata una porzione comprendente il secondo e il terzo piano della casa grande nella discesa del portico, il cui ingresso e la cisterna erano in comune con la sorella Anna; quest’ultima ebbe la proprietà del piano terreno e del primo piano della casa; alla sorella Giuseppa spettò la casa della strada di Barcellona; crediti e censi furono distribuiti per pareggiare al meglio le quote.

Nello stesso giorno, e col medesimo notaio Gioachino Efisio Aru, Anna Liberti, assistita dal marito notaio Pasquale Saunei, vendette al fratello professore emerito dottor Luis Liberti una porzione di casa per 1551 scudi; in particolare vendette la parte inferiore della casa nella strada (del portico) di S.Rosalia che confinava da un lato con la casa che era in precedenza degli eredi di Agustin Murgia, poi di Pasquale Lilliu (casa 2805), e dall’altro lato con la casa che era del fu notaio Diego Ferreli e poi del monastero di S.Caterina da Siena (casa 2771); alle spalle confinava con la casa che era del defunto mastro Joseph Pataconi e al vicolo detto di Monserrato, nel quale oggi è stata fabbricata una casa terrena del compratore Luis Liberti; da queste parole, non chiarissime, si ipotizza che la casa 2801, posteriore alle altre 3 ereditate dai genitori, fu costruita in un momento successivo a quelle, al posto della casa del defunto Pataconi e inglobando un vicolo perpendicolare alla discesa, che arrivava probabilmente fino al retro del convento dei Padri Osservanti, e forse anticamente arrivava sino alla chiesetta della Vergine del Monserrato da cui prendeva il nome.

Nonostante la vendità è probabile che Anna continuò ad abitare con la sua famiglia nella casa paterna: infatti nel 1808 il notaio Pasquale Saunei, vedovo dal 1806 di Anna Liberti, abitava nella strada di S.Rosalia, e dichiarò di ospitare nella sua casa il maiolo Raffaele Matta di Ovodda.

Anche la sorella nubile, Giuseppa, continuò a vivere nella casa di famiglia: il notaio Giuseppe Isola si recò nella casa di abitazione nella strada del Portico di Santa Rosalia, per ricevere il testamento della donna, in data 05.10.1809.

Vi sono ulteriori documenti, del 1803, 1804, 1810, 1811 e del 1812, relativi alle case confinanti, che citano la proprietà del musico Antonio Liberti, lasciata in eredità a suo figlio professore e avvocato Luigi.

Luigi Liberti, nato nel 1752, era coniugato dal 1788 con Maria Angela Paraiso, da cui si separò nel 1815; ebbero una

figlia, nata nel 1790, di cui non si hanno però altre notizie. Luigi, avvocato e professore di digesto nella regia Università di Cagliari, si ritirò dall’insegnamento universitario nel 1826 dopo 49 anni di carriera; morì nel 1838.

Dopo il 1850 le 4 unità catastali da 2801 a 2804 appartenevano a donna Luigia Saunei, vedova Deidda (1798-), figlia di Pasquale Saunei e Anna Liberti; potrebbe esserci stato quindi un’ulteriore passaggio di proprietà fra Luigi Liberti e i Saunei, oppure un’eredità alla morte di Luigi, nel 1838.

 



[1] i Basadonne, originari di Spotorno in provincia di Savona, arrivarono a Cagliari nella seconda metà del XVII secolo

 

 

2805

Una causa civile iniziata nel 1793 ci informa che questa casa, situata nella discesa del portico di Santa Rosalia, era stata una proprietà del notaio e consigliere della città Juan Agustino Murgia, defunto nel 1705; ereditata dai suoi figli col vincolo di far celebrare col suo usufrutto una messa quotidiana, nel corso degli anni subì pesanti danni tanto che, secondo quanto è scritto nel fascicolo processuale, “non si può più abitare dal tempo che si è ribassata quella calle”; in data 08.09.1772 fu creato un censo di £ 837 e soldi 19 con l’annua pensione di £ 41, soldi 17 e 11 denari (al 5%) a carico dei numerosi eredi di Agostino Murgia, a favore del Capitolo; quest’ultimo nel 1793 citò in giudizio, per 4 pensioni non pagate, Maria Antonia Diana Murgia vedova Zara, nipote di Agostino Murgia, e diversi suoi congiunti Diana, Bonomo, Porcu, Melis, tutti discendenti del Murgia.

Il 25.01.1799 il notaio Saunei si recò a casa della vedova Maria Antonia Diana, in contrada Monserrato, per esecutare i beni per il debito di £ 69.16.8; la vedova era a letto ammalata, assistita dalle figlie Grazia e Maria Giuseppa Zara. Si stimarono i mobili: 12 sedie vecchie dorate, un letto, 2 materassi, un tavolino con un piede rotto, e non si arrivò al sequestro per il basso valore dei beni e perché le figlie dissero che i mobili erano di loro proprietà e che ospitavano la madre per carità. Lo stesso giorno il notaio si recò in contrada Saline a casa di Caterina Diana vedova Murroni e della sorella Marica, nipoti di Maria Antonia Diana, per il debito di £ 23.5.6 di ognuna: si valutarono, per il sequestro, 12 sedie vecchie dorate, un burò, 1 letto col materasso, una cassa di Napoli, pochi utensili, ma anche in questo caso non si procedette, per il basso valore dei beni e perché la vedova Diana Murroni disse che i mobili erano dei suoi figli.

Il 10.03.1801 si procedette alla vendita all’incanto della casa, col banditore Carlo Vincenzo Perona: la casa venne assegnata per 830 scudi a Pasquale Corrias alias Lilliu, regatero (mercante) di Cagliari; era composta dal piano terreno ed un primo piano, confinava da un lato con la casa Liberti (2804 e 2802), dall’altro con casa del Capitolo (2806), davanti aveva la casa degli eredi del mastro Antonio Delvalle (2752), di spalle una casa del monastero di S.Chiara (2800).

In data 19.11.1801 Pasquale Corrias Lilliu ottenne dal Capitolo la ratifica del censo di £ 837 e 19 soldi e pensione annua di 41 lire, 17 soldi e 11 denari.

In data 20.08.1803 il Corriasabbisognando di scudi 460 all’oggetto di continuare nelle sue diverse negoziazioni”, ebbe un prestito da Carlo Dessì, esecutore testamentario del fu notaio Agostino Paderi; per garantire la restituzione del capitale e il pagamento degli interessi al 5%, ipotecò la casa formata da un piano e una bottega posta nel sobborgo della Marina e regione denominata di Santa Rosolia.

La casa risulta del Lilliu ancora nel 1807: l’informazione arriva dal donativo del conte Ciarella che possedeva la casa di fronte (2751); con atto del notaio Giovanni Agostino Ligas, del 16.12.1808, il regatero (mercante) Pasquale Corrias alias Lilliu ottenne una dilazione su un prestito di 300 scudi che aveva ricevuto già dal 08.04.1808 dal negoziante Francesco Antonio Garzia; non gli erano andati bene alcuni affari, per cui chiese di avere altri 3 anni di tempo per restituire la somma dovuta, su cui avrebbe pagato gli interesi al 6%; ipotecò la sua casa grande della strada di Santa Rosalia, corrispondente al numero catastale 2805 e identificata grazie ai proprietari delle case confinanti, ben specificati; la casa era composta da da due piani alti e un magazzino; con atto del notaio Joachin Mariano Moreno del 16.05.1809 il Regatiere Pasquale Corria alias Lilliu si obbligò al pagamento di scudi 90 verso la “Ragion cantante in questa città” dei signori Negozianti Bernardo Dugone e figlio; la somma era dovuta per il valore del Baccalà che la ditta  Dugone gli aveva venduto a credito nel febbraio 1807; avendo chiesto il Corrias una dilazione fino al successivo agosto, ipotecò nuovamente la casa che possedeva e abitava nella strada di Santa Rosalia.

Con atto del notaio Lucifero Cabony del 28.01.1810, il Lilliu caricò sulla casa un altro censo di scudi 300, per un prestito ottenuto dalla Confraternita delle Anime del Purgatorio; avrebbe pagato la pensione annua al 6%, vale a dire 18 scudi; dichiarò di aver necessità di quella somma “per accrescere il suo negozio di terraglie e cristalli, e per acquistare giardini fruttati e vigne”; però, con atto dello stesso notaio Cabony di stessa data, egli concesse un censo di 300 scudi e pensione al 6% a suo genero pescatore Francesco Castangia, che voleva “vantaggiare il suo negozio di legna e carbone”. Il Castangià caricò il censo sulla sua casa in Sant’Avendrace.

Con atto notarile del 19.08.1811 il Corrias Lilliu vendette la casa a Ignazio Campus di Sassari per £ 5000; questa informazione è confermata in una causa civile iniziata fra i due nel 1812, in quanto risultò che il Corrias aveva diversi creditori che pretendevano di essere pagati da quanto era stato incassato dalla vendita della casa, inoltre non aveva pagato alcune pensioni al Capitolo e aveva caricato sulla casa il censo di lire 1150 (i 460 scudi avuti nel 1803) e pensione di lire 57 e soldi 10, da pagare alla causa pia Paderi; la lite si protrasse almeno fino al 1817; nel frattempo, nel febbraio 1816, morì Pasquale Corrias, e la lite fu continuata dall’unica sua figlia Rita Corrias, coniugata col “patron” (padrone navale) Francesco Castangia. Non se ne conosce l’esito, né per quanto tempo Ignazio Campus restò proprietario.

Dopo il 1850 la casa apparteneva al marchese Giovanni Amat (1823-1879).

  

2806     

Nel 1772 era di proprietà del Capitolo Cagliaritano, come risulta dalla causa citata nel paragrafo precedente, relativa al censo a carico degli eredi Murgia; la proprietà del Capitolo è confermata nel 1801, quando Pasquale Lilliu si aggiudicò all’asta la stessa casa Murgia (2805), e da altri atti del 1798, 1802 e 1804, relativi alle case confinanti.

Nel 1807 il Capitolo Cagliaritano dichiarò nel suo donativo la casa detta «di Obino», nella strada di Santa Rosalia, limitrofa alla casa di Pasquale Lilliu Corrias (2805) e al convento dei Padri Osservanti (2807), composta da un magazzino, un mezzanello di 4 stanze, e due piani alti ciascuno di 4 stanze.

Da atti del giugno 1804 e del dicembre 1810, relativi alla casa 2799, risulta che la casa 2806 del Capitolo fosse in precedenza del defunto canonico Francesco Ferreli; occorrerebbe rintracciare altri documenti per capire la relazione fra Ferreli, Obino, e il Capitolo stesso.

Il 6 febbraio 1819, il Decano del Capitolo della Chiesa Primaziale di Cagliari citò il notaio Gio Batta Cicalò Galisai, affinchè liberasse e restituisse le chiavi di un magazzino che occupava da 2 anni nella strada di S.Rosalia, nella casa Obinu appartenente al Capitolo. 

Nel castato di metà ‘800 la casa 2806 risulta ancora di proprietà del Capitolo Cagliaritano.

 

2807     

Era il convento dei padri Osservanti di Santa Rosalia, diventato sede del Comando Militare della Sardegna nel 1867.

Nella parte bassa di questa unità catastale, all’incrocio fra le strade del Monserrato e del Pagatore, e nella parte prospiciente la piazza del Monserrato, vi erano, addossate al convento, alcune costruzioni; appartenevano, tutte o in parte, alla famiglia Genoves; la prima citazione rintracciata risale al 1750, e proviene da un documento del Regio Demanio: il “Regio Fisco” acquistò alcuni beni dei Padri Benedettini, situati nell’area identificata dal numero catastale 2838 (dove poi sorse il Nosocomio, poi caserma dei Cacciatori Franchi); in quell’anno, davanti a quegli stabili, dalla parte della strada del Pagatore, vi era una casa che era stata di don Francesco Genoves (potrebbe trattarsi del canonico morto nel 1744, zio di don Bernardino Genoves); la stessa proprietà, attribuita al figlio di don Bernardino, cioè il duca di San Pietro Alberto Genoves, è citata in atto notarile del 1792, relativo alla casa Spetto 2837, che confinava da un lato con la casa 2808 del nobile Giuseppe Corrias di Iglesias, e dall’altro, “per mezzo della strada che scende alla strada del Monserrato”, con casa del duca di S.Pietro; con atto notarile del 21.11.1802 il duca Alberto Genoves cedette questa proprietà all’avvocato Raimondo Emanuele Massa Eschirru (Schirru) per 2500 scudi; la casa era estremamente rovinata a causa dei bombardamenti del 1793, ed il duca era “molestato” dalla comunità di Sant’Eulalia e dal falegname Francesco Espetto, proprietari di case vicine (2836 e 2837), che volevano obbligarlo a riedificare la casa o a demolirla, per il suo stato di rovina; per questo motivo il duca, che era già debitore dell’avvocato Massa Schirru per 2500 scudi, cedette la casa all’avvocato che “accetta per condiscendenza”; la casa si trovava nella “piazza del Regio ospedale militare di Monserrato” (2838), (cioè nello slargo della strada di Santa Rosalia, in corrispondenza del bastione di Monserrato, dove aveva probabilmente l’ingresso), e confinava “per vento di tramontana e ponente col convento dei RR.PP. Zoccolanti di S.Rosalia (2807), per levante colla piazza del Regio spedale militare, per mezzogiorno con case della comunità di S.Eulalia (2836), del falegname Francesco Espetto (2837) e con detto spedale (2838), strada in mezzo”.

In data 21.08.1805 l’avvocato Raimondo Emanuele Massa Schirru ottenne la concessione demaniale per “un tratto di terreno vacuo o sia angolo morto nella di lui casa nella strada di S.Rosalia o sia dei padri osservanti; detta casa, nel punto che attacca al convento forma un angolo dove gli abitanti gettano le immondezze, in guisa che si ha un letamaio pubblico; e vorrebbe quindi lineare la sua casa al convento; il terreno è un trapezio irregolare di superficie trabucchi 3.1.7, ogni trabucco a £ 30, per l’ammontare di £ 97 soldi 18 denari 4”[1].

Da queste poche informazioni sembra quindi che la casa Genoves, poi Massa Schirru, occupasse la parte sud-est dell’unità 2807, e che avesse una facciata e l’ingresso nella strada di S.Rosalia (altrimenti detta, in quel punto, piazza dell’ospedale militare) e si affacciasse però anche sulla discesa di Monserrato, a sovrastare le case 2837 e 2836.

Dato il prezzo per cui fu venduta nel 1802, e considerate le sue condizioni, doveva avere dimensioni non trascurabili.

In data 07.10.1811 l’avvocato Emanuele Massa Schirru affittò “un dominario di case” al parrucchiere (caffettiere in altro punto dello stesso documento) GiamBatta Imerone, per 8 anni; la casa fu stimata in lire 751, soldi 16, denari 4; era confinante col convento dei Padri Zoccolanti (2807), e aveva davanti il Regio Ospedale Militare (2838); considerando la valutazione della casa, molto inferiore a quella del 1802, si può ipotizzare che la casa affittata fosse solo una parte della proprietà.

Non resta più nulla di queste costruzioni, demolite negli anni successivi e inglobate nella proprietà del convento o del Comando Militare.

Un’altra costruzione addossata al convento, modestissima, apparteneva ai figli del defunto notaio Saturnino Corona (morto nel 1797): i fratelli Raimondo, Francesco Rocco, Serapia, Anna, Angela, ed Eulalia Corona dichiararono nel loro donativo del 21.06.1799 di possedere “una scuderia con 3 stanze al piano terreno, attigua al convento di Santa Rosalia, affittata a 18 scudi annui per essere in pessimo stato, inabitabile dopo l’assedio dei francesi, ridotta quasi a un mucchio di pietre”; la proprietà Corona è citata anche in un atto dell’agosto 1799 relativo alla casa Spetto 2837, che confinava sulla destra con la casa del nobile don Antioco Angioy (2808) e dall’altro lato con “el espunton y escalinata como se baja de santa Rosolea y a casas ruinas del quondam not. Sadorro Corona”; la scuderia Corona, rispetto alla casa Spetto, si trovava esattamente dove era stata indicata, nell’atto già citato del 1792, la casa Genoves; una spiegazione può essere che facesse parte, nel 1792, della stessa proprietà Genoves, e che fra il 1792 e il 1797 fosse stata ceduta dal duca al notaio Corona, dal quale la ereditarono i figli; può forse identificarsi con quella stretta unità catastale, senza numero, segnata nella mappa di metà ‘800, attigua al convento sulla discesa del Monserrato. Ovviamente anche di questa costruzione non resta più nessun ricordo.

 

[1] il trabucco lineare corrispondeva a 3 metri e 15 cm; la superficie ottenuta dall’avvocato Massa equivaleva a poco più di 30 mq