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Isolato Y1: vico Barcellona-Moras (Tagliolas)/Moras/vico Barcellona-Moras(Tola)/Barcellona

(vico Barcellona, via Napoli, via Sicilia, via Barcellona)

numeri catastali da 2928 a 2936

l’isolato è rimasto piuttosto integro: rispetto alla situazione di 200 anni fa, si può segnalare la riunificazione della case 2935 e 2936, sul lato della via Sicilia, e la riunificazione delle unità 2929, 2930, 2931.

 

 

2928     

Questa unità, negli anni fra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, era divisa in 3 parti; è possibile che la parte sulla strada Barcellona sia da identificare come la casa che in un atto del 1678 (Asc, Archivio Ballero) venne descritta come quella che era appartenuta al defunto Juan Bartholo, senza poterne avere conferme; poi appartenenne alla chiesa di S.Giorgio e Caterina: con atto del 15.07.1799 il negoziante genovese Angelo Truffa, amministratore generale della chiesa, consegnò la somma di £ 1116 e 10 soldi ai mastri Efisio Atzeri muratore, Marcantonio Mereu falegname, e Vincenzo Sughes ferraro, per le giornate spese per la riedificazione della casa di proprietà della chiesa e proveniente dal legato di Carlo Pino, sita nella strada di Barcellona, confinante per davanti con casa di Agostino Arthemalle (2956), d’un fianco con casa della sagristia delle monache cappuccine (2929), d’altro fianco con casa del negoziante Eligio Alemand (2941).

Il dato è confermato da un atto del 10.09.1801 con cui il negoziante Agostino Arthemalle ipotecò la sua casa in strada di Barcellona (2956), e che aveva davanti, sull’altro lato della strada di Barcellona, le case della chiesa di S.Caterina Martire (2928), del monastero delle monache Cappuccine (2929), e di S.Eulalia (2931).

Nel suo donativo del 1807, la chiesa di S.Caterina dei Genovesi dichiarò una casa (2928) nella strada di Barcellona, con 2 piani e il “sòttano”, con 9 stanze in ogni piano, confinante di lato con casa di Eligio Allemand (2941), mediante la strada, sull’altro con casa del monastero delle cappuccine (2929), avanti con casa Arthemalle (2956) strada mediante, e dietro con casa del Capitolo (2928 parte I); rendeva in fitti £ 395. La casa era abitata dal negoziante Baldassarre Saetone, che la chiesa citò in giudizio nel luglio 1801, per alcuni affitti arretrati; il Saetone è citato nel donativo del 1807 di Agostino Arthemalle, in quanto dirimpettaio della casa Arthemalle 2956.

La parte sulla strada Moras era divisa a sua volta in 2 unità distinte: da atto del 1764, inventario dell’eredità Vargiu, è scritto che la casa del defunto, numero 2675, confinava sul davanti, strada Mores mediante, con una casa del convento dei padri Mercedari di Bonaria; in atto notarile del 1779, relativo anch’esso alla casa 2675, quest’ultima confinava sul davanti con case del convento di Bonaria e di Nicola Maria Botto, entrambe identificabili con la casa 2928 o parte di essa; non è stato rintracciato un collegamento fra queste prime informazioni e le successive.

Da un atto del 1795 relativo alla casa 2929, risulta che la parte bassa della casa 2928 appartenesse al convento di Sant’Agostino; vi è conferma di questo da un atto del 22.05.1800, quando i padri Agostiniani fecero stimare la casa, confinante da una parte a casa del Capitolo (2928 parte alta) e dall’altra con casa del mastro Tomas Murgia (2929); la casa venne valutata in scudi 209 e 8 reali (cioè lire 527 e 10 soldi), era composta da un piano terreno, un piano alto e un mezzo piano; la stima fu fatta in accordo col mastro Antonio Cuy al quale evidentemente interessava l’acquisto; forse però l’affare non andò in porto, non si ha notizia di un acquisto o contratto enfiteutico da parte del Cuy; si ha conferma invece della proprietà degli Agostiniani anche da un atto del 09.12.1800, con cui il notaio Jorge Podda donò alla moglie Rita Lampis una casa nella strada di Moras: la casa Podda, parte bassa dell’unità 2699, aveva davanti, strada Moras per mezzo, una casa dei padri Agostiniani e la casa del doratore Vissente Ogieri; non si può capire, da questo atto, quale fosse esattamente la casa dei padri Agostiniani e quale quella di Ogieri, corrispondevano comunque alle due frazioni sulla strada Moras dell’unità 2928.

Nel suo donativo del 1807, il Capitolo Cagliaritano dichiarò di possedere una casa nella strada Mores, chiamata casa Eugenio, che aveva di lato una casa dei padri Agostiniani, sull’altro lato la casa Peirani con la strada in mezzo, alle spalle una casa della chiesa di Santa Caterina: la casa del Capitolo era quindi la parte alta dell’unità 2928, sulla strada Mores, la casa degli Agostiniani era la parte bassa dell’unità 2928, la casa Peirani era la casa 2942; la denominazione “Eugenio” dovrebbe essere una corruzione del cognome del doratore napoletano Vincenzo Ogieri, chiamato in altri documenti Augenio o Ugenio. Era una piccola casa, formata da un piano terreno e due piani alti, con una sola stanza in ogni piano; fu valutata £ 1500 e rendeva lire 81 annue. 

Nei dati catastali di metà ‘800 l’unità 2928 risulta avere 2 proprietari: l’Arciconfraternita di S.Caterina e la Comunità di S.Eulalia.

 

2929     

Anche questa unità catastale era suddivisa in due case distinte: la parte est, sulla strada Barcellona, faceva parte dell’eredità del canonico Giovanni Battista Fulgheri Gallus, che la legò a un’ipoteca per far celebrare una messa quotidiana nella chiesa delle monache Cappuccine; nel testamento del canonico, del 1775, si specifica che la casa rendeva 105 scudi annui, di cui 72 sarebbero serviti per le messe, gli altri 33 come fondo per l’aumento dei costi delle messe e manutenzione della ipoteca, e per le riparazioni della casa.

Nel loro donativo del 1799 le Monache cappuccine denunciarono le case che provenivano dal legato del fu canonico Gallus (Fulgheri Gallus), fra cui una casa nella strada di Barcellona composta da una bottega e 3 piani, in tutto con 10 stanze; la casa rendeva di affitto 110 scudi.

Nell’atto notarile del 15.07.1799, già citato per la casa 2928, la proprietà della chiesa di S.Giorgio e S.Caterina, cioè la parte est della casa 2928, confinava di lato con una casa dell’azienda della sagristia delle monache Cappuccine, proveniente dall’eredità del fu canonico Gallus.

In atti del 10.09.1801 e del 01.03.1803 si legge che la casa Arthemalle (2956) aveva davanti, strada Barcellona per mezzo, le case della chiesa di S.Caterina Martire (2928), di S.Eulalia (2931), e del monastero delle monache Cappuccine (2929).

Nel suo donativo del 1807 Agostino Arthemalle dichiarò che la sua casa 2956 della strada Barcellona aveva dirimpetto l’abitazione del console di Ragusa Salvatore Palomba, e l’abitazione di Baldassarre Saetone (2928); Palomba, console della repubblica di Ragusa [1], era il nuovo proprietario della casa 2929, come ci conferma l’inventario del 1810 dei beni dello stesso Agostino Arthemalle, dove si legge che la sua casa della contrada Barcellona confinava davanti, strada frammezzo, con la casa del console di Ragusa con ipoteca delle Monache Cappuccine.

Sulla parte ovest della stessa casa 2929, con facciata sulla strada Moras, non vi sono molte notizie: con qualche dubbio la si può attribuire nel 1789 al mastro fabbro Antonio Costa, come da atto del 27.06.1789 relativo alla confinante casa del notaio Giorgio Podda (2930); vi è conferma in un atto del 23.12.1795, col quale i coniugi Antonio Costa e Marica Fadda, in accordo col mastro calderaro Tomas Murgia, fecero avvalorare la loro casa nella strada Moras, che aveva davanti una casa di Sant'Eulalia (2676), alle spalle una casa del fu canonico Fulgheri (2929 parte destra), di lato le case dei padri mercedari (2930) e del convento di Sant’Agostino (2928); la casa venne stimata 750 scudi ed era composta da due piani, una bottega, una terrazza e la cisterna; il Murgia era evidentemente interessato all’acquisto della casa e deve aver effettivamente acquistato visto che, in atto del 22.05.1801, il convento di Sant’Agostino fece stimare la sua casa nella strasa Moras (2928, parte bassa), confinante con la casa del Capitolo (2928 parte alta) e con casa del mastro calderaro Tomas Murgia; una conferma arriva dall’atto del 15.02.1810 con cui gli eredi Podda fecero stimare la loro casa 2930, che di fianco era confinante con casa del calderaro Tommaso Murgia; le stesse informazioni sono riportate nell’atto di vendita della stessa casa 2930, del 01.04.1810.

Con atto notarile del 31.10.1820 venne siglato un accordo fra il negoziante Francesco Antonio Rossi (calabrese, padre del barone Salvatore) e la comunità di S.Eulalia: il negoziante Rossi possedeva una casa (2929) nel quartiere della Marina con due facciate, una alla strada di Barcellona e una alla strada di Moras, attigua alla casa detta di Preve appartenente alla comunità di S.Eulalia (2931); detta casa gli era stata ceduta dagli eredi Palomba, e il Rossi desiderava aprire una finestra in un muro che affrontava un cortile esistente fra la sua casa e la casa di S.Eulalia; gli venne accordato tale permesso con la condizione di mettervi una grata di ferro ed essendo arbitrio della comunità il farla chiudere. Si sa che Salvatore Palomba morì nel 1814, non si conosce invece la data in cui i suoi eredi vendettero al Rossi la casa che, a quanto risulta dall’atto del 1820, nel frattempo era diventata interamente del Palomba.

Dopo il 1850 tutta l’unità 2929 apparteneva in enfiteusi al negoziante Francesco Urbano, figlio di Pasquale; non si conosce la data e le modalità con cui la casa cambiò proprietà da Rossi a Urbano; fra le famiglie doveva esserci una consolidata frequentazione, dal momento che nel 1774 Pasquale Urbano, insieme a Pasquale Doria, era stato testimone alle nozze del calabrese di Monteleone Francesco Antonio Russu (poi Rossi) con Raffaela Piras; entrambi i testimoni vengono detti “di nazione napoletana e residenti entrambi alla Marina”, anche se Pasquale Urbano era probabilmente nato a Cagliari nel 1742 da famiglia proveniente dal regno di Napoli. 

In una casa di via Barcellona, forse la stessa di cui si parla, morì nel 1881 la settantasettenne Monica Urbano, nubile, figlia dei già defunti Francesco, negoziante e proprietario, e Rita Cossu; sua sorella Gabriella Urbano, moglie di Raffaele Franco, morì a 62 anni nel 1884 in una casa della via Concezione.



[1] Ragusa era l’attuale Dubrovnik sulla costa Dalmata, nell’attuale Croazia

 

2930     

Con atto del 27.06.1789 i padri Mercedari concessero in enfiteusi questa casa al notaio Jorge Podda; si trattava di una casuccia con un piccolo cortile, necessitava di molte riparazioni, e confinava davanti con casa della comunità di Sant’Eulalia (2676), alle spalle con casa del monastero delle Cappuccine (2929 parte est); da un lato con casa del mastro Antonio Costa (2929 parte ovest), dall’altro lato con altra casa della comunità di Sant’Eulalia (2931).

Il notaio Podda nel suo donativo del 26.06.1799 denunciò le sue due case sulla strada di Moras: la casa di abitazione (numero 2675) ed un’altra (2930) di 2 piani e 6 stanze, affittata per lire 90, e per la quale pagava una pensione annua di scudi 12 (cioè lire 30) ai padri Mercedari.

Giorgio Podda morì nel 1807; nel suo testamento del 28.03.1807 e nel successivo del 16.04.1807, destinò la casa 2930, avuta in enfiteusi dai padri Mercedari, ai figli Maria Efisia e Giuseppe; con atto del notaio Raimondo Piras, del 15.02.1810, i figli del notaio Podda fecero stimare la casa dai mastri Pasquale Cau muratore e Salvatore Tortori falegname, i quali ne stabilirono il prezzo in lire 1391 e soldi 5; all’epoca era abitata da Antonio Schirru, marito di Efisia Podda, figlia del defunto notaio; la decisione di far stimare la casa precedette la cessione dell’enfiteusi; infatti con altro atto del notaio Raimondo Piras del 01.04.1810 la casa fu venduta per scudi 556 e reali 5 al Mastro Francesco Pizzurra; gli eredi Podda spiegarono che dovevano far fronte a diversi debiti ereditari: alcune pensioni censuarie per la casa grande (2675), da pagare all’Arciconfraternta del Sepolcro, per le quali era stata già emessa una sentenza di condanna dal tribunale; alcuni canono arretrati per l’enfiteusi della casa piccola (2930); altri debiti fra cui le spese funerarie per il defunto notaio, da pagare alla Comunità di Sant’Eulalia; davanti al notaio Piras si presentarono pertanto Giuseppe Podda minore di anni 25 col suo curatore notaio Francesco Soro; Giovanna e Maria Efisia sorelle Podda assistite dai loro mariti notaio Giuseppe Tatti e scrivente Antonio Schirru; Luigia Manconi Podda figlia della fu Annica Podda, assistita dal suo consorte Brigadiere nelle Guardie del Corpo di Sua Maestà Salvatore Cambilargiu; il causidico collegiato Francesco Giuseppe Garau in veste di procuratore di Salvatore Podda detenuto nelle Carceri di San Pancrazio; Rita Podda nata Lampis, moglie in seconde nozze, a cui per accordo amichevole era stata accordata una porzione di eredità.

La presenza di tutti gli eredi fa pensare che non era stato possibile, a causa della situazione debitoria, seguire le volontà testamentarie e assegnare la casa ai soli figli Maria Efisia e Giuseppe.

Nell’atto è specificato che l’enfiteusi era stata concessa dal convento di Bonaria il 27.06 1789, e il notaio Podda aveva costruito per ex-novo e per intero il secondo piano, al di là dell’obbligo enfiteutico che era di costruirne sola una parte.

Il prezzo di vendita di scudi 556 e reali 5 (cioè lire 1391 e soldi 5), era lo stesso valutato dai periti Cau e Tortori il 15 febbraio; il Pizzurra pagò per mano del suo procuratore notaio Francesco Piras: furono saldati i 3 canoni scaduti per scudi 12 all’anno, e il laudemio corrispondente al 2% di 200 scudi, prezzo pattuito per la concessione enfiteutica al notaio Podda; la somma fu consegnata al padre Fra Antonio Baille, in rappresentanza del Convento; il Pizzurra trattenne per sé i 200 scudi, in quanto nuovo enfiteuta, la differenza cioè scudi 356 e reali 5 fu consegnata agli eredi Podda.

I frati Mercedari di Bonaria, nel loro donativo del 1812, dichiararono di ricevere dal sellaro Francesco Pitzurra la pensione annua di lire 30 (cioè 12 scudi, la medesima somma che pagava il notaio Podda) per una casa nella strada Moras; nel catasto di metà ‘800 la casa numero 2930 risulta ancora di proprietà dello stesso Pitzurra. 

E’ stato possibile rintracciare la registrazione di morte di 3 figli del sellaio Francesco Pitzurra e di sua moglie Giuseppa Licheri, cagliaritani: la nubile Rita Pitzurra, di anni 69 morì nel 1887 in una casa di via San Domenico; Grazia Pitzurra, nubile di anni 80, morì nella stessa casa nel 1894; il loro fratello Luigi morì a 73 anni, celibe, in una casa della via San Giacomo.

 

2931     

Dall’atto del 1789 già citato per la casa confinante 2930, risulta che la casa 2931 appartenesse alla Comunità di S.Eulalia; questa attribuzione è confermata da atti del 1793, del 1797 e del 1801 relativi rispettivamente alle case 2932, 2678 e 2956.

Nel 1799 la comunità di S.Eulalia dichiarò nel suo donativo le case di proprietà, e fra queste c’è la casa Preve, sulla strada Barcellona, composta da 2 piani di 6 stanze, una bottega e un magazzino; è identificabile con la casa che prima del 1678 apparteneva al negoziante ligure Miguel Angel Preve di Laigueglia (SV) e poi al marito di una sua nipote, Juan Bauptista Cagnè di Alassio (SV), morto nel 1681, casa che si trovava fra le strade di Barcellona e Moras.

Un atto del notaio Nicolò Martini, del 12.12.1803, riporta la concessione in enfiteusi di una casa, situata fra le strade di Barcellona e Moras, appartenente alla Reverenda Comunità di Sant’Eulalia, al negoziante napoletano Salvatore Palomba, che già vi abitava; la casa è identificata con l’unità catastale 2931 grazie ai confinanti (Rossi 2932, Arthemalle 2956, Polini 2957, Cappuccine 2929, ecc.); inoltre nell’atto è scritto che fu acquistata dalla Comunità, con atto Puzzolu del 1738, dai coniugi Ambrogio Martini di Alassio (-1739) ed Apollonia Cannas (1677-1759); quest’ultima, il cui vero cognome era Cagnè o Cannè, era figlia del sopradetto Juan Bauptista Cagnè e di Maria Preve.

Salvatore Palomba avrebbe pagato il canone annuo di 300 scudi, e prese l’impegno di costruire entro 3 anni un nuovo piano dalla parte della strada Moras; la casa fu stimata dal mastro muratore Sebastiano Puddu in lire 5787 e danari 9.

Per garantire il pagamento del canone, Palomba ipotecò 3 immobili di sua proprietà, uno nella piazza della chiesa di S.Elmo (num. 2226), gli altri 2 nella strada San Mauro del sobborgo di Villanova.

Non si sa per quanti anni il Palomba ne ebbe l’enfiteusi; in atti del 1810, relativi alla casa 2930, egli risulta ancora proprietario della casa 2931; dal 1807 risulta proprietario anche della casa confinante 2929 (parte est); dall’atto del 1820 già citato per la casa 2929, si apprende che in quella data la casa 2931 apparteneva alla comunità di Sant’Eulalia, e veniva chiamata ancora “casa di Preve”, nome del più antico proprietario citato. 

In un documento del 1836, rintracciato negli archivi di Sant’Eulalia, la casa 2931 risulta appartenere al canonico Ignazio Vodret (1769-1842), che in quell’occasione ricevette un prestito dalla comunità di Sant’Eulalia, dietro ipoteca sulla sua casa con facciate sulle contrade Barcellona e Mores, confinante da un lato con casa Rossi (2932), d'altro lato con casa delle monache Cappuccine (2929); è probabile che il canonico possedesse la casa in enfiteusi, per la sua vita: infatti dopo il 1850, dai dati del Sommarione dei fabbricati, risulta che appartenesse nuovamente alla Comunità Sant’Eulalia.

 

2932     

Con atto del 09.05.1793 questa casa venne venduta per 3666 scudi dalla nobile donna Isabella Lostia vedova Sanna Durante al negoziante Francesco (Antonio) Rossi:Isabella Lostia possiede due case site in calle di Barcellona, entrambe affittate; vende al Rossi tutta quella casa di 3 piani sulla via Barcellona e altri 3 sulla parte di via Moras, ed è la stessa casa che suo padre, il conte di Santa Sofia don Salvator Lostia, comprò il 09.05.1757 dalle sorelle e fratelli Alegre (Maria Antonia, Teresa, Isabella, Maria Anna, Giuseppe Antonio, Ignazio); affronta da una parte a (altra) casa di detta vedova (2933), che era del nobile quondam dottore in diritto don Joseph Thomas Sanna Cossu, dall’altro lato a casa della comunità di Santa Eulalia (2931), davanti (sulla strada Barcellona) a casa del nobile quondam don Antonio Maria Copola che oggi possiede il neg.te Caetano Polini (2957), di spalle a case degli eredi Sciaccaluga (2679 e 2680) strada di Moras in mezzo.

In un atto del 1798 relativo alle case Sciaccaluga (sull’altro lato della strada Mores), si legge che la casa davanti (2932) era in precedenza del fu dottore in diritto Manuel Sanna Durante (anche se in realtà era della moglie Isabella Lostia), poi dei suoi eredi, e poi del negoziante calabrese Francesco Rossi.

Nel suo donativo del 1799 Francesco Antonio Rossi dichiarò, fra le altre sue proprietà, la casa (2932) nella contrada Barcellona con un secondo ingresso nella strada di Moras, abitata dal proprietario, con una bottega e 3 piani alti, ogni piano con 5 stanze, saletta e cucina. 

Con atto del notaio Giovanni Battista Azuni, del 14.11.1804, Francesco Antonio Rossi costituì una società coi figli Giuseppe e Domenico, ambi negozianti; nel mese di aprile di quell’anno era infatti stata sciolta una analoga società che sei anni prima il Rossi aveva costituito col figlio primogenito Salvatore; volendo “dimostrare lo stesso amore paterno verso gli altri figli” il Rossi creò con essi la società che comprendeva “tutti gli articoli, capi di merce e fondi esistenti presso di sé e nelle 3 botteghe che ha in questa città, una in contrada Barcellona, un’altra nella contrada della Costa, l’altra nel sobborgo di Stampace”. Ai figli, in particolare, fu destinato il fitto della bottega nella strada della Costa, sotto la casa di sua proprietà, (numero catastale 2422), mentre Francesco Antonio tenne per sé 150 scudi di affitto che ricavava dalla casa e dalla bottega fra la contrada di Barcellona e quella di Moras (numero catastale 2932) e 500 scudi annui provenienti da altri immobili; si sarebbe accollato l’onere di tutte le spese di “manutenzione” di famiglia, alimenti, vestiario, servitù, eccetera.

Con atto dello stesso notaio Azuni del 24.06.1806 i coniugi Francesco Antonio Rossi e Raffaela Piras crearono una ricca dote per la figlia Angela, che si sarebbe sposata di lì a poco col dr. Francesco Mossa Fancello; la dote comprendeva una casa nella strada della Costa, comprata nel 1804 dal reverendo Aitelli (numero 2411); inoltre comprendeva due censi di scudi 2000 ciascuno, uno sui beni dell’eredità Capra, l’altro sui beni dell’avvocato don Salvatore Lostia, conte di Santa Sofia; comprendeva ancora un appartamento a disposizione, fra le loro proprietà, a scelta degli sposi; in alternativa avrebbero messo a disposizione un censo di 1000 scudi il cui frutto avrebbe permesso agli sposi di pagarsi un affitto secondo il loro piacere; ancora, scudi 1000 fra abiti e gioielli e oggetti vari; infine misero a disposizione della figlia e genero il piano superiore della loro casa di abitazione (casa 2932 fra Mores e Barcellona), per condividere con loro i pasti e la servitù, e una pensione annua di scudi 120, durante tutto il tempo che avrebbero gradito convivere con i genitori; in quest’ultimo caso però gli sposi avrebbero dovuto cedere ai genitori i frutti dotali sopra specificati.

Con atto del 10.01.1808 il negoziante Francesco Antonio Rossi donò la casa 2932, insieme ad altri beni, alla figlia Angela Rossi Piras coniugata nel 1806 con l’avvocato Francesco Mossa: si trattava della casa dove abitava lo stesso Rossi, posta fra le strade di Barcellona e Moras, composta da tre piani e una bottega, confinante a destra con la casa (2933) della vedova donna Isabella Lostia dalla quale Rossi aveva comprato la stessa casa 2932; l’usufrutto della casa donata rimase al Rossi e a sua moglie Raffaela Piras. 

In un documento datato 21.11.1836 rintracciato fra le carte dell’archivio di Sant’Eulalia, relativo alla casa Vodret 2931, è citata la casa confinante 2932 di proprietà del negoziante Rossi; non si conosce la esatta data di morte di Francesco Antonio Rossi, si suppone intorno al 1831, sicuramente prima del 1835; il proprietario citato nel 1836 potrebbe già essere il figlio Salvatore, nominato barone solo nel 1847; dopo il 1850 la casa risulta appartenere ancora al barone Salvatore Rossi (1775-1856), figlio di Francesco Antonio; non si conoscono le esatte vicende per cui, dopo la donazione fatta da Francesco Antonio alla figlia Angela Rossi Piras (morta nel 1833), la casa sia poi appartenuta al barone Salvatore.

 

2933

Nell’atto notarile del 1793 relativo alla casa 2932, si legge che la casa confinante (numero 2933) apparteneva a donna Isabella Lostia vedova di Emanuele Sanna Durante, e prima era del defunto dottore in diritto don Joseph Thomas Sanna Cossu, suo suocero, morto nel 1775.

La stessa informazione si ha dall’atto del 1808 col quale il negoziante Rossi donò la casa 2932 alla figlia Angela.

Nel donativo dei Legati Pii, presentato dall’amministratore reverendo beneficiato Bonaventura Puxeddu, venne dichiarata una pensione annua pagata ai Legati Pii da donna Isabella Lostia, per un’ipoteca gravante sulla sua casa nella contrada Barcellona.

In data 26.01.1808 la nobile vedova Isabella Lostia la cedette in enfiteusi al negoziante Girolamo Melis; per tutta la vita della venditrice il Melis avrebbe dovuto pagarle il canone di lire 252, soldi 7, denari 6; proveniva dai beni del defunto suo marito don Emanuele Sanna Durante, e prima era del padre Giuseppe Sanna (don Joseph Thomas Sanna Cossu); vi erano caricati due pesi: la proprietà censuale di lire 2687 e 10 soldi, con pensione annua di 134 lire 7 soldi, 6 denari che veniva pagata al recettore delle Cause Pie del Capitolo, e un legato dei padri Agostiniani, voluto dai don Joseph Sanna, per il quale si pagavano lire 33 e 5 soldi; al momento dell’acquisto il Melis eliminò i carichi, liberando la casa dalle ipoteche. 

La casa, composta da 3 piani, divenne l’abitazione del Melis; in data 13.04.1811 egli la ipotecò, insieme ad altre sue proprietà, per ricevere il prestito di 1000 scudi dal marchese di San Sperate, cavalier Saturnino Cadello, a cui avrebbe pagato la pensione annua di 50 scudi, al 5%; aveva bisogno del denaro per “l’ultimazione di alcuni suoi affari”.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2933 risulta appartenere in usufrutto a Ignazia Loddo (1783?-1872) vedova di Pasquale Rocca e di Filippo Martini (-1840); non si conoscono le date e le modalità del passaggio di proprietà dalla famiglia Melis ai coniugi Martini Loddo.

 

 

2934     

Da un atto notarile del 1796, rintracciato nell’Archivio Martini e relativo alla casa 2935, risulta che la casa 2934 appartenesse al genovese Gio Andrea Navoni o meglio ai suoi eredi, visto che il Navoni risulta defunto nel 1779; fra i suoi figli si possono ricordare il conte Francesco (1746-1825), cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro e console di Venezia, e Nicolò, (1755-1836), arcivescovo di Cagliari; altri due atti del dicembre 1797, relativi rispettivamente alle casa 2936 e 2958, specificano appunto che la casa identificata con l’unità 2934 apparteneva agli eredi del defunto Andrea Navoni.

Con atto del 09.11.1798 il reverendo canonico Nicolò Navoni estinse l’ipoteca che gravava sulla casa di famiglia della strada Barcellona e Moras, restituendo la somma di £ 1543 e soldi 7 al Priore e Guardiani della Chiesa di S.Giorgio e S.Caterina, ipoteca che aveva acceso il defunto Andrea Navoni con atto del notaio Giacomo Massa del 23.12.1778.

Da atti del 1802 e 1803, relativi alla casa Sciaccaluga/Sanguinetto 2682, e da atto del mese di aprile 1811, relativo alla casa 2933, la casa 2934 risulta ancora degli eredi Navoni.

Nel donativo (non datato) dell’eredità Navoni, venne dichiarata una casa nella strada di Barcellona formata da una bottega e 3 piani superiori, in tutto 15 stanze, affittata per 340 lire annue. Uno degli eredi era don Giuseppe Humana, figlio di don Giovanni Humana e di Anna Navoni, figlia quest’ultima di Andrea Navoni; don Giuseppe Humana dichiarò di pagare una pensione di £ 85 alla chiesa di S.Caterina.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2934 risulta appartenere alle sorelle Carroz Navoni, cioè donna Battistina vedova Cossu di Sant’Elena e donna Efisia vedova Demai, e ad altri parenti, fra cui don Michele Humana e donna Michelina Castelli vedova Humana. Da una registrazione di poco successiva, inserita nei registri catastali di metà ‘800, risulta che le porzioni degli eredi Navoni e Humana furono acquistate dal signor Francesco (o Raffaele) Franco.

 

2935     

Apparteneva a Maria Josepha Padery vedova “relicta” del dottore in diritti Joseph Angel Porcu (-1795). In data 15.10.1796 la vedova si trovava “in urgenti necessità” e ottenne un prestito di 100 scudi dal Monastero di Santa Lucia; per garantirne la restituzione ipotecò i suoi beni, fra cui una casa nella strada delle Saline ereditata dal padre Jacinto Paderi (-1773) e una casa nella strada di Moras ereditata da un suo fratello (Priamo, defunto nel 1778, oppure Agostino, defunto nel 1788); quest’ultima casa (2935) confinava davanti con casa della causa pia Roqueta del Sindacato della Marina (2927), di spalle con casa di Andrea Navoni (2934), di lato con casa di don Bonaventura Cossu Madao (2936), e dall’altro lato con casa di Sant'Eulalia (2683), strada in mezzo.

In atto del febbraio 1798, relativo alle case Sciaccaluga (sull’altro lato della strada Moras), la casa 2934 è detta “casa che era del quondam segretario Jacinto Paderi” (da cui, evidentemente, l’aveva ereditata il fratello di Giuseppa Paderi).

Nel luglio 1798 la vedova Josepha Paderi Porcu ottenne altri 100 scudi in prestito dalla vedova Geronima Gismunda che aveva in affitto per 27 scudi annui il piano alto e la bottega della casa nella strada Moras di proprietà della stessa vedova Porcu, identificata con la casa 2935; l’altro “sòttano” della stessa casa lo teneva in affitto il mastro Marco Antonio Mereu; la vedova Paderi aveva necessità del denaro per aggiustare la stessa casa, rifare le scale e altro, e avrebbe restituito i 100 scudi in 3 anni, scalandoli dall’affitto.

Nel luglio del 1799, Girolama Gismunda nativa di Cagliari, vedova di Filippo Massabò ligure di Alassio, consegnò al notaio Efisio Usai Todde il suo testamento, scritto nella sua abitazione della strada Moras della Marina, presumibilmente la casa 2935.

Nel 1799 Maria Giuseppa Paderi, compilò il suo donativo, e dichiarò di possedere una casa in contrada Saline (2618) ed un’altra in contrada Mores (2935) composta da 2 sottani e un piccolo piano di 2 stanze piccole, affittata in tutto per 39 scudi; la vedova, che abitava in contrada Gesus in una casa (2588) dell’Arciconfraternita di S.Lucia, dichiarò di pagare, per la casa della strada Moras, una pensione annua di scudi 6 alla monache di Santa Lucia, dovuti per il capitale di scudi 100 avuto nel 1796.

La proprietà non era cambiata nel giugno 1803, come risulta da atto notarile relativo alla vicina casa 2683, sull’altro lato della strada Moras.

In data 09.09.1803, su istanza del negoziante Giovanni Battista Gastaldi che agiva come curatore testamentario del defunto sacerdote ex-gesuita Antonio Pinna, la casa della vedova Paderi fu assegnata in pubblica asta per 590 scudi al notaio Francesco Frau Calvo; era una “casa ensostrada de algunos aposentos y sotano, in calle de Moras”, confinante con casa Navoni (2934) e casa Cossu Madao (2936). Non sono noti i crediti che il sacerdote Pinna vantava sulla vedova che, come si è visto, aveva ottenuto diversi prestiti nel corso degli ultimi anni. 

Il notaio Frau Calvo aveva solo fatto da tramite per poi cedere in tempi brevi l’immobile al vero compratore (così come fece nel 1797 per la casa 2776); in effetti gli altri partecipanti all’asta erano altri due notai, Andrea Pirisi e Lucifero Caboni, probabilmente con lo stesso ruolo di intermediari; infatti, con atto del notaio Francesco Rolando del 31.03.1804, il notaio Frau Calvo firmò la cessione e la rinuncia della casa in favore del dottore in entrambi i diritti don Pietro Cossu, figlio del commendator Bonaventura Cossu Madao che possedeva e abitava la confinante casa 2936.

Da altro atto notarile del 29.12.1810, relativo alla casa 2927, risulta che in quell’anno la casa 2935 appartenesse ancora al cavaliere e avvocato Pietro Cossu Cossu.

Da atto notarile del 08.01.1811, relativo alla stessa casa 2927, la casa 2935 risulta essere una proprietà del commendatore Bonaventura Cossu Madao; la distinzione fra le proprietà di Bonaventura e quelle dell’unico figlio Pietro doveva essere solo formale; sicuramente le proprietà del primo passarono al secondo nel 1820, alla morte di Bonaventura.

A metà ‘800, dai dati del vecchio catasto, sia la casa 2935 che la 2936 appartenevano alle Monache Cappuccine.

 

2936     

Nel 1796 apparteneva al commendatore e avvocato Bonaventura Cossu Madao, come si legge nell’atto notarile, rintracciato nell’archivio Martini, già citato per la casa 2935; in realtà la casa faceva parte del patrimonio della moglie del Cossu Madau, Maria Francesca Cossu Mallas, che l’aveva avuta in dote dal padre Agustin Angel Cossu Racis; infatti in atto del 25.02.1797, relativo alla casa Busu 2921, che aveva la facciata sul vicolo (attuale via Sicilia) davanti alla casa 2936, si legge che la casa Busu confinava per parte dell’entrata con la casa degli eredi del quondam Agustin Angel Cossu Racis, “callejon mediante”.

In data 07.12.1797 Maria Francesca Cossu Mallas, figlia dei defunti Agustin Angel Cossu Racis e della dama donna Vissenta Mallas Cao, cedette a suo marito avvocato Bonaventura Cossu Madao alcuni beni che si trovavano vicino al villaggio di Pula, e che sarebbero serviti per costituire una commenda col titolo di San Pietro a favore dell’unico loro figlio Pietro Cossu Cossu; in questa occasione venne eseguita la valutazione di tutti i beni ereditati da Maria Francesca Cossu Mallas da suo padre, con testamento del 1772, beni ereditati totalmente dalla figlia, in quanto l’altro erede, suo fratello Giuseppe Ignazio Cossu Mallas, era morto senza successori e senza testamento; il muratore mastro Salvatore Pau e il mastro carpentiere Marco Antonio Mereu eseguirono la stima della casa grande dove abitavano i coniugi, nella strada Barcellona, che era la stessa che aveva portato in dote Maria Francesca Cossu Mallas, come da capitoli matrimoniali del 10.11.1770; era composta da 2 piani e un mezzo terzo piano, al piano terreno aveva 7 stanze, 2 cisterne e il pozzo, al 1° piano aveva 6 stanze, al 2° piano 7 stanze e al mezzo 3° piano aveva una cucina e due stanze; confinava con casa degli eredi Navoni (2934), con casa del negoziante Antonio Busu strada mediante (2921), e con casa dei nobili fratelli Viale strada di Barcellona mediante (2958); detta casa era stata riedificata dall’avvocato Cossu Madao negli anni 1776 e 1777, era stata quasi distrutta al principio del 1793 nell’attacco francese e fu nuovamente riedificata; avrebbe potuto fruttare (se tutta affittata) 200 scudi annui e fu valutata scudi 4300.

Due altri atti notarili del 1797 e 1798, relativi rispettivamente alla casa Viale (2958) e Busu (2921), confermano quanto già detto.

Nel suo donativo del 1799 Bonaventura Cossu Madao dichiarò la casa (numero 2936) nella strada Barcellona, con piano terreno affittato a 34 scudi, 2 piani abitati dal proprietario, con 20 stanze in tutto, che si sarebbero potuti affittare per scudi 114; nel donativo del dicembre 1806 dichiarò che il piano terra era affittato per scudi 70, mentre i piani alti erano abitati dai proprietari.

Bonaventura Cossu Madao morì circa ottantenne nel 1820; nel 1815 aveva avuto il cavalierato ereditario e la nobiltà.
Suo figlio avvocato Pietro Cossu Cossu, che aveva sposato in prine nozze donna Raimonda Viale e in seconde nozze donna Battistina Carroz Navoni, ebbe il titolo di conte di Sant'Elena nel 1823; la casa 2936 unì il suo destino alla confinante casa 2935, proprietà della famiglia dal 1804.

A metà ‘800, dai dati del vecchio catasto, le case 2935 e 2936 appartenevano al Monastero delle Monache Cappuccine.