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Isolato Y: Gesus/vico San Francesco/Siciliane/Monserrato

(via Cavour, via Concezione, via Sardegna, via Lepanto)

numeri catastali da 2570 a 2580

la pianta dell’isolato è rimasta sostanzialmente uguale a quella di 200 anni fa; l’unica variazione riscontrabile è la unificazione delle case 2579 e 2580, intuibile anche dalla posizione dell’ultima fila di finestre sulla destra, corrispondenti alla casa 2579, maggiormente distanziate rispetto alle altre.

 

2570     

L’identificazione dei proprietari proviene da diversi documenti, alcuni dei quali riportano informazioni troppo generiche; una carta sciolta rintracciata fra le cause civili, databile solo per approssimazione fra il 1784 e il 1804, permette di azzardare un’ ipotesi: la carta riferisce di una lite fra la Comunità di Sant’Eulalia e il negoziante Tommaso Buddioni, per la proprietà di un cortile situato fra la casa 2575 del Buddioni, le case 2578 e 2579 di Carlo Marramaldo e una casa di Sant’Eulalia: la Comunità portò dei titoli di possesso del 1688 e del 1740, dai quali però non risultò provata la pertinenza del cortile; il Buddioni portò invece un documento che riportava la testimonianza del maggio 1760 del fu negoziante Carlo Marramaldo, che affermava con certezza che il cortile era sempre stato una pertinenza della casa 2575, anche quando apparteneva ai precedenti proprietari. Il cortile fu probabilmente assegnato al Buddioni, ma quel che importa è identificare la casa di Sant’Eulalia: questa potrebbe essere la casa 2570, unica fra le case confinanti di cui non si conoscano altri proprietari; la carta citata è sicuramente successiva al 1784, data di morte di Carlo Marramaldo, e precedente al 1804, data di morte di Tommaso Buddioni.

L’attribuzione a Sant’Eulalia ha alcune conferme: in atto notarile del 04.03.1792, inventario dei beni del defunto Joseph Tocco Mallus, una casa appartenente al defunto, identificata con l’unità 2536, aveva davanti la casa Cadello 2580 e una casa della Comunità di S.Eulalia, che potrebbe corrispondere alla sola casa 2570; la stessa informazione è fornita da un altro atto notarile del 01.08.1798, anch’esso relativo alla casa Tocco Mallus; un atto notarile di luglio 1808, relativo alla casa Cadello 2580, indica la casa laterale, corrispondente all’unità 2570, come appartenente alla Comunità di Sant’Eulalia.

L’attribuzione di questa casa alla Comunità di Sant’Eulalia è rafforzata dal fatto che dal Sommarione dei Fabbricati risulta che appartenesse, dopo il 1850, ancora alla Comunità di Sant’Eulalia, unica fra le case dell’isolato.

 

2571     

Dal confronto dei documenti, e dall’osservazione delle carte disponibili, sembra che questa unità catastale fosse in passato formata da due case distinte, entrambe con facciata e ingresso sulla strada dei Preti (o di Fray Luis Grech o di Monserrato); questa soluzione non sembra possibile dalla carta di metà ‘800, ma da carta catastale successiva [1], e dalla situazione attuale, la casa 2571 risulta ben più ampia. Con questa ipotesi si riesce inoltre a far quadrare le informazioni che forniscono i documenti.

Dall’inventario dei beni dei coniugi Salvatore Mandis e Francesca Aru, eseguito il 10.02.1798, è compresa la casa 2573 nella strada delle Siciliane, confinante di spalle con una casa della chiesa di Santa Caterina Martire, cioè dell’Arciconfraternita dei genovesi; questa si può identificare con la parte più a sud dell’unità catastale 2571.

Nella denuncia per il donativo del 27.06.1799 della Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, è compresa una casa situata nella strada di fra Luis Grech, composta da piano terreno e due piani, ognuno con una sala, l’alcova e una cucina piuttosto “oscura” a causa della costruzione di una casa alle spalle; non vengono specificati i confini, ma non sono state identificate altre case dei Genovesi in questa strada, per cui l’ipotesi è che questa casa corrisponda appunto all’unità 2571 (parte sud). 

In atti notarili del 08.04.1807, del 10.01.1809 e del 14.01.1811, risulta che la casa 2535, sull’altro lato della strada di Fray Luis Grech, avesse davanti una casa delle Monache Cappuccine, identificabile con la parte più a nord dell’unità 2571.

Con atto del notaio Giuseppe Massa Eschirro del 18.03.1807, la chiesa dei nazionali Genovesi fece eseguire, dai mastri Sebastiano Puddu muratore e Antonio Ferdiani falegname, l’estimo della sua proprietà (2571 parte sud), confinante a tramontana con con casa del monastero delle monache cappuccine (2571 pare nord), a mezzogiorno con casa del sacerdote Francesco Sanna (2572), a levante e mediante la strada con casa degli eredi del mastro Antonio Denegri (2535) e con casa distrutta del collegio delle Scuole Pie (2534), ed a maestrale con casa del Patron Francesco Marturano (2574) e con casa degli eredi del fu Salvatore Mandis (2573); la casa fu valutata in totale lire 2232, soldi 7, denari 7; con atto dello stesso notaio del 06.05.1807, il conte don Gaetano Pollini e il negoziante Pasquale Chiappe, in qualità rispettivamente di procuratore e guardiano della chiesa dei Genovesi, firmarono la concessione enfiteutica della casa, perpetua ed irrevocabile, in favore del dottore in Arti e Medicina Fedele Meloni di Cagliari, con l’obbligo di migliorarla con spese non minori del suo valore stimato; Meloni ipotecò una sua proprietà in Quartucciu, e altri beni in Quartucciu e Quartu, per garantire il pagamento dell’annuo canone di scudi 49. La casa era sottoposta ad un legato testamentario istituito dal fu negoziante genovese Luigi Belgrano (-1773) (probabilmente suo precedente proprietario), e Meloni aveva intenzione di unirla ed incorporarla alla casa di suo suocero negoziante Francesco Marturano (2574). 

E’ da notare che nel donativo della Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina del 17.08.1807 non è più menzionata la casa presente nel donativo del 1799.

La proprietà del dottor Meloni è confermata da un atto del dicembre 1811, relativo alla casa Marturano 2574, la quale confinava da tramontana, quindi sul retro, con la casa Meloni: sulla mappa catastale di metà ‘800 le due unità non sono confinanti, separate da una piccola area, forse cortile, appartenente alla casa 2573.

Nel Sommarione dei Fabbricati risulta che l’intera unità 2571 dopo il 1859 appartenesse al dottor Fedele Meloni; il dato è presente solo nel “suppletivo” del Sommarione, perché fra i dati del suo primo impianto (precedenti di pochi anni) non si è trovata nessuna notizia. Fedele Meloni, cancelliere di Pretura, nato e residente a Cagliari, figlio del medico Fedele e di Giovanna Marturano, vedovo di Vincenza Campus e marito di Giuseppina Crespo, morì in una casa della via Genovesi il 13.02.1874 all’età di 60 anni.

 


[1] Del 1910 circa, pubblicata in “Marina”, serie “Cagliari-Quartieri storici” della Silvana Editoriale 

 

2572

La prima notizia che si ha su questa casa proviene dall’atto notarile del 10.02.1798, inventario dei beni dei coniugi Salvatore Mandis e Francesca Aru: la casa 2573, compresa nell’inventario, aveva di lato la casa del reverendo Francesco Angelo Sanna, identificata con l’unità catastale 2572; non si hanno notizie anagrafiche su questo sacerdote. L’attribuzione della casa al reverendo Sanna è confermata da due atti notarili del 1803, relativi alla casa 2569 frontale alla 2572, e da due atti del 1807, relativi alla casa 2571.

Esiste un’altra conferma, anche se priva di particolari: nell’elenco dei maioli presenti nel quartiere nel 1808 è compreso tale Pasquale Schirro di Ollastra Useddus (cioè Ollastra Usellus, oggi Albagiara), che viveva in casa del reverendo Francesco Angelo Sanna nella strada di Monserrato.

Da un altro atto notarile arrivano però notizie contrastanti: il 05.07.1807 morì improvvisamente il cardinale e arcivescovo don Diego Cadello; in data 07.12.1809, il fratello don Antioco incaricò il notaio Gio Batta Azuni di redigere l’avvaloramento dell’eredità, compresi gli di proprietà del defunto. Il totale dell’eredità fu stimato in lire 12615 e soldi 15; fra le case, una nel Castello, contrada Stretta, fu stimata lire 3011.15, due case unite in Stampace e strada di San Michele lire 5076.5, una casa in Villanova fra le strade di San Giacomo e San Domenico lire 1552.10, infine una casa nella Marina, nel cantone fra le strade di Monserrato e dei Siciliani, fu stimata lire 2976.5; è identificata con la casa 2572, sia per esclusione (le altre 3 case di quel “cantone” hanno diverse assegnazioni, non compatibili), sia per i confinanti riportati nell’atto Azuni: a levante una casa della Comunità di Sant'Anna (2532), a maestrale una casa di Salvatore Mandis (2573).

Occorre quindi ipotizzare che il reverendo Sanna fosse solo un affittuario o enfiteuta; in effetti gli altri documenti citati sono tutti relativi a case confinanti: sarebbe utile trovare una conferma in un atto che si riferisca direttamente alla casa 2572 e ai suoi abitanti e/o proprietari.

Dopo il 1850 apparteneva al Seminario Tridentino.

 

2573     

Già alcune volte è stato citato l’inventario dei beni dei coniugi Salvatore Mandis e Francesca Aru, compilato dal notaio Alessandro Alciator il 10.02.1798, su richiesta dello stesso Salvatore Mandis, dopo la morte della moglie; Francesca Aru era morta già dal 20.06.1796, e non si era fatto subito l’inventario per volontà dei figli, data l’età di Salvatore Mandis, 85 anni, che per le sue condizioni non aveva possibilità di disperdere l’eredità.

Però nel 1798 uno dei figli chiese di ricevere la sua porzione di eredità materna, pertanto fu chiesto il permesso al tribunale di fare l’inventario, oltre ai termini solitamente consentiti; il permesso venne concesso, e si avvisarono nelle loro case i fratelli Mandis: Domenico, Maria Antonia moglie del notaio Carlo Franquino, Bartolomeo, il bottaio Luigi, Priama moglie di Agostino Rebecu dimoranti in Quartucciu, il reverendo Francesco; in casa di Salvatore Mandis, nella piazza del Molo, si cercarono notizie di suo figlio Antonio Efisio, il quale era però assente da molti anni dalla città e non si sapeva dove fosse; fra i beni inventariati figurava anche una casa nella Marina e strada delle Siciliane, con piano terreno, e due piani alti, ognuno con sala, altra stanza e la cucina; vi era la cisterna e il pozzo; confinava da un lato con casa del reverendo Francesco Angelo Sanna (2572), dall’altro lato con casa del Patron Francesco Marturano detto Basucu (2574), di spalle con casa di S.Caterina (2571), e davanti, sull’altro lato della strada, con casa del defunto canonico Romagnino (2568) e con casa di Stefano Floris (recte Stefano Tiragallo Floris) (2567); la casa fu stimata dai periti lire 2268, soldi 17, denari 8; in data 31.07.1798 fu assegnata a Priama Mandis, vedova di Agostino Rebecu [1].

La casa Mandis è citata nell’atto notarile di agosto 1800, con cui venne eseguito l’estimo della casa Romagnino 2568, situata esattamente davanti alla casa 2573; questa è detta in questo documento “casa di Bartolomeo Sascafa” (soprannome della famiglia Mandis); il riferimento sembra però impreciso perché la casa, come si è già detto, non apparteneva a Bartolomeo ma a sua sorella Priama.

Se ne ha conferma da un atto del 23.07.1805, nel quale la casa 2573, di due piani, “coerente alla casa del negoziante Francesco Marturano” (2574), risulta appartenere alla vedova Priama Mandis (1766-), domiciliata in Quartucciu; in quell’occasione la vedova Mandis Rebecu affidò il mandato di esigere i sui crediti, di occuparsi degli affitti, e di rappresentarla nelle liti, all’avvocato Filippo Altea Sotgiu.; ulteriore conferma proviene da due atti del 1807, relativi alla casa 2571; in un atto del dicembre 1809, relativo alla casa 2572, viene ancora citato Salvatore Mandis come proprietario della casa 2573: l’informazione è ovviamente imprecisa, ormai superata. Un’ultima conferma è stata rintracciata in atto del dicembre 1811, relativo alla casa 2574: la proprietà confinante è detta “di Priama Mandis”. 

Dopo il 1850 la casa apparteneva al sacerdote Salvatore Sechi.



[1] Non si conosce la data di morte di Agostino Rebecu; nell’atto di inventario dei beni Mandis, del 10.02.1798, Priama risulta sposata col Rebecu; nell’atto di divisione dei beni, del 31.07.1798, risulta invece vedova.

 

2574     

Dal già citato inventario dei beni dei coniugi Mandis-Aru, del febbraio 1798, la casa Mandis 2573 confinava da una parte con la casa del reverendo Sanna (2572), dall’altra con la casa del patron Francesco Marturano, detto Basucu.

Il dato è confermato da un atto di agosto 1798, relativo alla casa Buddioni 2575, che confinava da un lato con la casa di Francesco Basucu, dall’atto di luglio 1805 relativo ancora alla casa 2573, laterale alla casa del negoziante Francesco Marturano, e da due atti del 1807 relativi alla casa 2571; con questi due ultimi, rispettivamente del 18 marzo e del 6 maggio, fu prima stimata la casa 2571 di proprietà della chiesa dei Nazionali Genovesi, poi ceduta in enfiteusi al dottore in Arti e Medicina Fedele Meloni; questi aveva in tenzione di unirla e incorporarla alla casa confinante di suo suocero negoziante Francesco Marturano; se esisteva confine fra le due unità 2571 e 2574, questo significa che anticamente la casa 2574 comprendeva anche il dente, forse un cortile, che nella mappa viene attribuito alla unità 2573.

Francesco Marturano, negoziante e padrone navale, appartenente a una famiglia proveniente dal Regno di Napoli, (probabilmente siciliana) nato nel 1739 e sposato con Angela Cojana (figlia di Paolo Cojana e di Anna Carrucciu, entrambi di origine siciliana) era il bisnonno di Efisio Marini, scienziato noto per gli studi sulla pietrificazione dei cadaveri.

Il 5 dicembre del 1811 mori Angiola Cojana, moglie di Francesco Marturano; anche i Cojana (o Coiana) provenivano dalla Sicilia, il loro cognome originario era Guajana (o Guaiana); il nonno di Angiola, Giuseppe Cojana, proveniente da Trapani, si era sposato a Cagliari in Sant’Eulalia nel 1721 con Angela Ladragna.

Il 20 dicembre, su indicazione del vedovo, venne compilato l’inventario dei beni della defunta; il notaio Antonio Pischedda Corona, su indicazione di Francesco Marturano e con intevento dei figli, oltre ai beni mobili trovati in casa inserì anche i beni immobili dei coniugi, fra cui due case nel quartiere della Marina e diversi terreni e vigne con alcune casupole nel circondario di Cagliari; la donna era morta improvvisamente nelle campagne di Quartucciu dove, insieme al marito, si era recata per occuparsi della vigne di famiglia. I figli erano: l’unico maschio Gioannico, negoziante, e le tre sorelle Damiana, Gioannica e Francesca, coniugate rispettivamente col regio misuratore Pasquale Piu, col medico collegiato Fedele Meloni, col negoziante Michele Cossu.

Una delle case in inventario era quella di numero catastale 2199, situata nella strada San Francesco di Paola, a ridosso della cortina della Darsena, l’altra era quella di cui si parla, numero 2574, nella strada delle Siciliane, fra la casa Mandis (2573) e una casa del Convento di Padri Minimi (2575), confinante per le spalle con casa del dottor Fedele Maloni, genero della defunta; fu valutata per 1200 scudi. 

Dopo il 1850 la casa 2574 apparteneva al Seminario Tridentino.

 

2575

Nel 1772 l’unità catastale 2575 era formata da due case contigue di dimensioni diverse, appartenenti alla marchesa d’Albis donna Maria Grazia Amat Masones; su incarico di suo fratello don Francesco Maria di Paola Amat Masones, marchese di Villarios e conte di Bonorva, il 03.05.1772 le due case furono stimate dal mastro muratore Nicolas Porcu e dal mastro falegname Juan Espiga, affiancati dal mastro muratore Alberto Campus e dal mastro falegname Alexandro Ferdiani, questi ultimi incaricati da Juan Jayme Goddòtratante de esta plaça”, cioè mercante operante in Cagliari; evidentemente il Goddò (o Godò, Godot) aveva intenzione di acquistare la proprietà della marchesa d’Albis; pur non avendo rintracciato l’atto di acquisto, sembra certo che l’affare fu concluso, come si vedrà più avanti; la valutazione della casa più grande fu di 443 scudi, 7 reali, 8 denari; la seconda venne valutata 393 scudi, 2 reali e 1 soldo.

Nel 1792 era un magazzino di proprietà dello speziale Tommaso Buddioni (1713-1804): è quanto riporta un documento del 06.07.1792, relativo alla frontale casa 2567, rintracciato fra le carte del Regio Demanio (ASC); il dato è confermato nell’atto notarile del 23.11.1797, inventario dei beni di Stefano Tiragallo, sempre a proposito della casa 2567, e anche nell’atto notarile del 18.04.1798, col quale Francesco Tiragallo, erede del padre Stefano, vendette la casa 2567 allo stesso Buddioni, già proprietario della casa 2575.

In data 14.08.1798 il Buddioni si accordò con un mastro muratore e un mastro carpentiere per costruire, al posto del magazzino corrispondente all’unità 2575, una casa di due piani, sita nella strada dei Siciliani davanti alla casa che era del fu Estevan Tiragallo Floris e ora dello stesso Buddioni; gli altri confini erano i seguenti: di spalle la casa degli eredi del fu Carlo Marramaldo (2578 e 2579), da un lato la casa del mercante Antonio Melis detto Gattixedda (2576), dall’altro lato la casa di Francesco Basucu (cioè Patron Francesco Marturano alias Basucu, casa 2574); sarebbe stata costruita una casa di 2 piani, alta quanto quella confinante di Melis Gattixedda.

Nella sua denuncia non datata per il donativo, Tommaso Buddioni dichiarò di possedere una casa in corso di fabbricazione nella strada delle Siciliane, corrispondente all’unità 2575, i cui lavori erano iniziati dopo il 14.08.1798; era una casa di 25 stanze che, una volta finita, si sarebbe potuta affittare per scudi 130 annui.

Una carta sciolta rintracciata fra le cause civili, priva di data, riferisce di una lite fra il Buddioni e la comunità di Sant’Eulalia a proposito della pertinenza di un cortile adiacente a una casa della Comunità (2570), alle case 2578 e 2579 di Carlo Marramaldo (-1784), e alla casa 2575 del Buddioni; a quest’ultimo fu riconosciuta la proprietà del cortile in quanto egli produsse un documento datato maggio 1760 nel quale Carlo Marramaldo, già defunto all’epoca di questa vicenda, dichiarava che il cortile era appartenuto al marchese di Villarios don Antonio Amat (padre di donna Maria Grazia Amat Masones), insieme alla casa (2575) della strada delle Siciliane; dalla stessa carta sciolta risulta inoltre che negli anni successivi la casa e il cortile erano stati ceduti (nel 1772) al negoziante Gian Giacomo Godò, e poi a Tommaso Buddioni che era subentrato al Godò (defunto nel 1789).

Delle vicende testamentarie del Buddioni, morto nel 1804, si è già riferito a proposito della casa 2567.

Nell’inventario dei suoi beni (già riferito per la casa 2567) compare la stima della casa della strada dei Siciliani 2575, confinante da una parte con casa Melis, dall’altra con casa Marturano; era composta da due patii, due piani alti ed un piano terreno composto da due camere indipendenti; una camera terrena era abitata dal patron Rosario Grillo, l’altra era vuota; le due abitazioni del primo piano erano abitate da Luigi Marzano e Luigi Felici, l’ultimo piano era abitato dal patron Giuseppe Durzu e dal chirurgo Giuseppe Emanuel. Il suo valore fu stimato in lire 6443, soldi 6, denari 8.

Altre informazioni sulla casa 2575 vengono da un atto notarile di marzo 1809 e da altri due atti di aprile e luglio 1811, tutti relativi alla casa Melis 2576; nel primo atto è scritto che la casa Melis confinava con una casa che era stata del fu negoziante Giacomo Godò, poi del fu speziale Tommaso Buddioni, poi dei Padri Minimi di San Francesco; negli altri due atti è scritto che la casa 2575, a levante rispetto alla 2576, era una proprietà del Convento di S.Francesco di Paola, erede del Buddioni.

Dopo il 1850 la casa apparteneva ancora al Convento dei padri Minimi di San Francesco.

 

2576

Una causa civile iniziata nell’agosto 1777 riferisce di una lite fra il muratore Antonio Denegri e suo cognato patron Agostino Melis detto Gattixedda, per alcuni lavori fatti dal Denegri in una casa del Melis nella strada delle Siciliane. Non vi sono altre informazioni che permettano di identificare la casa, che dovrebbe corrispondere però alla casa 2576, grazie al confronto con documenti successivi: il negoziante Agostino Melis fece valutare i suoi beni in data 23.12.1788, dopo la morte della moglie Maria Paola Denegri, allo scopo di evitare il sospetto di frode sulla eredità di quest’ultima; alla compilazione dell’inventario erano presenti i figli Antonio, Gerolamo, Giovanni e Francesco, mentre il figlio Salvatore viveva in quel momento a Barcellona; fra le proprietà del Melis, l’unica che può corrispondere a quella oggetto della lite del 1777 è una casa nella strada delle Saline (o Siciliane) acquistata il 18.09.1776 dal notaio Ambrogio Sciacca.

Agostino Melis risulta già defunto alll’inizio del 1790; nell’atto notarile del 14.08.1798 relativo al magazzino Buddioni 2575, la casa confinante 2576 apparteneva al mercante Antonio Melis Gattixedda, figlio di Agostino.

Un’altra citazione di questa casa è nell’atto notarile del 16.12.1799, relativo alle case cedute dall’Arciconfraternita di S.Lucia alla comunità di Sant’Eulalia: fra queste c’era anche la casa 2566 (parte di essa) nella strada delle Siciiane, che aveva davanti, sull’altro lato della strada, una casa delle madri Cappuccine (2577) e la casa del negoziante Antonio Melis (2576). Le stesse informazioni son date dall’atto notarile del 24.01.1801 col quale venne affittata la stessa casa 2566.

Antonio Melis era il primogenito di Agostino e Maria Paola Denegri, nato nel 1747; in atto notarile del 1790 è definito chirurgo, ed è da identificare col chirurgo e negoziante Antonio Melis che sposò nel 1766 Rosa Mulano, con cui ebbe parecchi figli; Rosa Mulano morì alla fine del 1803, in quella data la famiglia viveva a Quartu, nel vicinato di Perda Mulla; Antonio si risposò poi con Anna Floris.

In data 04.11.1803, dopo la morte di Rosa Mulano, il notaio Pasquale Luca, su richiesta di Antonio Melis, preparò l’inventario dei beni di famiglia; la defunta lasciava sei figli: Salvatore e Rita (coniugata col dottore in ambi i diritti Giuseppe Marini), maggiori di 25 anni; Giuseppe e Fedela, minori, Teresa e Paulica monache professe in Santa Chiara.

Il totale dei beni fu valutato in lire 45207, soldi 2, denari 6; alla voce 265 dell’inventario fu inserita la casa in Cagliari, nella strada delle Siciliane, valutata in lire 5317, soldi 5, denari 8, come da estimo del Regio misuratore Gerolamo Massei del 1789; era in realtà una proprietà di Antonio Melis, metà arrivatagli in porzione d’eredità materna, e l’altra metà regalatagli da suo fratello Salvatore.

Altro immobile importante, presente in inventario, è la casa in Quartu, località Perda Mulla, valutata lire 7500, di cui ad Antonio Melis toccarono per eredità 600 scudi, il resto lo comprò dai suoi fratelli.

Con atto del notaio Nicolò Martini del 04.03.1809 il negoziante Antonio Melis ricevette £ 2500 dal protomedico Pietro Alciator; ne aveva necessità per “suoi affari e negozii” e dovette ipotecare la casa della contrada dei Siciliani e altri beni che possedeva in Quartu; il possesso della casa fu attestato da atto dell’ormai defunto notaio Giovanni Agostino Dessì, datato 29.05.1790: probabilmente si tratta della divisione dell’eredità del padre Agostino.

Antonio Melis, morì il 28.03.1811; in data 03.04.1811 il notaio Gioachino Mariano Moreno iniziò l’inventario dei suoi beni su richiesta di Anna Melis nata Floris, seconda moglie del defunto, e dei figli avuti colla prima moglie, la fu Maria Rosa Mulano; i figli erano i seguenti: Salvatore, Giuseppe, Rita, suor Teresa, suor Paulica, e Fedela; Rita era sposata con l’avvocato Giuseppe Marini, assente dal regno da più anni e di incerta residenza; Fedela in quei giorni era indisposta avendo partorito da pochi giorni, al suo posto intervenne suo marito, notaio Efisio Marini, fratello dell’avvocato Giuseppe; le due figlie suore non erano presenti alla compilazione dell’inventario, per loro era stato nominato un procuratore; firmarono tutti i fratelli Melis e la vedova, con l’esclusione di Rita, in quanto “illetterata”.

I beni erano stati già avvalorati con atto notarile del 04.11.1803 del notaio Lucca, dopo la morte di Maria Rosa Mulano; la casa della strada dei Siciliani, composta da 2 piani e magazzino, era stata stimata in lire 5317, soldi 5, denari 8.

Con atto notarile del 04.07.1811 venne eseguita la divisione dei beni fra gli eredi; alla divisione non parteciparono le due sorelle suore, per ciascuna delle quali gli altri eredi si impegnarono a versare ogni semestre 80 scudi. Tutti i fratelli Melis erano nativi e domiciliati in Cagliari, con l’eccezione di Salvatore che viveva a Quartu.

La quota di ogni erede fu valutata in lire 7003; ognuno ebbe una parte di beni mobili, di crediti e censi, e diversi beni immobili, fra questi case e terreni in Quartu e Pirri; l’unica casa di Cagliari, nella strada delle Saline o dei Siciliani, fu assegnata per metà a Giuseppe e per metà a Rita. I confini specificati, fra una casa dei Padri Minimi (2575) e una casa delle monache Cappuccine (2577), ne confermano l’identificazione con la casa 2576.

Dopo il 1850 la casa 2576 apparteneva alle monache Cappuccine, come la confinante 2577.

 

2577     

Nel testamento del canonico Juan Bauptista Fulgueri Gallus, datato 16.11.1775, oltre ai molti beni distribuiti ai parenti vi erano molti legati a chiese e corporazioni religiose, e fra questi vi era una casa situata nella discesa che va da S.Eulalia alla strada delle Saline, che il canonico destinò alle monache Cappuccine per la celebrazione annuale in perpetuum della festa e novenario dedicati alla SSma madre de los desemparados; era una casa “ensostrada”, cioè con uno o più piani alti oltre il terreno. Nel testamento non vi sono informazioni sufficienti per identificare la casa, la cui posizione però si adatta a quella della casa 2577, la cui facciata più lunga è proprio in quella strada che dalla chiesa di Sant’Eulalia portava alla strada delle Saline, e che, da documenti successivi, è stata identificata come una casa delle monache Cappuccine.

In atto notarile del 01.10.1784, relativo alla divisione dei beni del defunto Carlo Marramaldo, si fa riferimento alla casa 2578, che confinava da una parte con una casa che era del fu canonico Gallus, identificabile con la casa 2577.

Negli atti notarili del 16.12.1799 e del 24.01.1801, relativi alla casa Fais 2566, davanti a questa c’era una casa delle madri Cappuccine, appunto l’unità 2577.

Nel donativo del 24.06.1799 delle monache Cappuccine, fra le case provenienti dal legato del canonico Gallus (Gallus Fulgheri o Fulgheri Gallus), vi è una casa nella strada di Sant’Eulalia (dietro Sant’Eulalia) con 4 bassi (data la lunga facciata) e 2 piani alti con 15 stanze in tutto, affittata per 81 scudi annui.

Nell’atto di inventario dei beni del defunto Antonio Melis, citato nel precedente paragrafo, datato 03.04.1811, e in quello relativo alla divisione dei beni dell’eredità Melis, la casa 2576 confinava dal lato di maestrale con una casa delle monache Cappuccine, corrispondente all’unità 2577.

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati, risulta che dopo il 1850 la casa 2577 appartenesse ancora al monastero delle monache Cappuccine.

 

2578 e 2579       

Con atto notarile del 1773 venne eseguita la stima della casa Vacca 2885, che aveva davanti, sull’altro lato della strada Gesus, la casa di Carlo Marramaldo 2578.

Con atto notarile del 01.10.1784 venne eseguita la divisione dei beni di Carlo Marramaldo, morto il 21 giugno di quell’anno; gli eredi erano il fratello Matteo ed i nipoti Francesco, Marianna, Maria Antioca e suor Maria Grazia Marramaldo Toufani, figli del defunto fratello Agostino e di donna Barbara Toufani; nell’atto è specificato che il fu Francesco Marramaldo, padre di Carlo, col suo testamento del 08.03.1750 aveva nominato suoi eredi i figli Carlo, Agostino, Antonio e Matteo; i beni ereditari di Carlo, nel caso fosse morto senza figli, erano destinati ai figli di Agostino; nel 1784 anche Antonio era morto senza figli, mentre Matteo che viveva a Torino, rinunciò alla sua parte di eredità; in questa era compresa la quarta parte della casa dove abitava e morì Carlo, in calle di Gesus, alla quale si aggiunse la quarta parte della stessa casa, di proprietà del fratello Matteo Marramaldo, che egli cedette ai nipoti (con l’esclusione della suora), ed una piccola casa confinante, anch’essa dell’eredità di Carlo Marramaldo; la casa grande (2578) confinava con la casa piccola (2579), inoltre con casa che era del canonico Gallus, poi delle Monache Cappuccine (2577), e con case della Comunità di S.Eulalia (2884) e del notaio Vacca (2885), sull’altro lato della strada Gesus; la casa piccola 2579 era compresa fra la stessa casa grande e la casa degli eredi del giudice Cadello (2580).

Altri documenti confermano le precedenti attribuzioni:

in atti notarili del novembre 1797, dell’ottobre 1799 e del gennaio 1802, tutti relativi alla casa Pinna (2591), è scritto che questa casa confinava di lato con casa del fu Carlo Marrmaldo (2578), callejon que se baja a San Francisco de Paula de por medio, cioè attraverso la stradetta che scende alla chiesa di San Francesco, identificabile in questo caso con l’attuale via Concezione;

nell’atto notarile del 14.08.1798, con cui Tommaso Buddioni si accordò per far ricostruire la sua casa 2575, questa confinava per le spalle con case che erano del fu Carlo Marramaldo, cioè le unità 2578 e 2579;

in un documento rintracciato fra le cause civili, privo di data, a cui si è già accennato per la casa Buddioni 2575 e per la casa di Sant’Eulalia (2570), si fa riferimento alla testimonianza di Carlo Marramaldo, resa nel maggio 1760, nella quale egli confermava che il cortile posto fra la sua casa e la casa Buddioni apparteneva a quest’ultimo; il documento ricorda l’antica proprietà della casa 2578 (e forse anche della contigua piccola casa 2579) da parte della famiglia Marramaldo: infatti apparteneva più di un secolo prima del 1760 a Carlo Marramaldo senior (nonno dell’altro Carlo), dal 1688 a Giuseppe Marramaldo (zio di Carlo junior?), dal 1740 a Francesco Marramaldo (padre di Carlo junior), e dal 1750 fino al 1784 a Carlo Marramaldo junior;

in atto notarile del luglio 1808, relativo alla casa Cadello 2580 che aveva l’ingresso e la facciata principale nella strada laterale, la casa alle spalle corrispondente all’unità 2579 viene indicata appartenente agli eredi Marramaldo, abitata in quell’anno da donna Antioca Cavazza, vale a dire Antioca Marramaldo Toufani, coniugata Cavazza; c’è però il dubbio che in quest’ultimo documento sia stata fatta confusione fra la casa 2579 e la casa 2537 attribuita agli eredi Marramaldo ma ceduta al procuratore Antonio Argiu: potrebbe essere vero il contrario.

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa grande 2578 appartenesse in parte al negoziante e cappottaro greco Cristoforo Pachi, e in parte a don Matteo Toufani; la casa piccola 2579 apparteneva invece a Pasquale Pisano fu Salvatore . E’ probabile che quest’ultimo sia da identificare col facchino Pasquale Pisanu nativo di Tortolì, del fu Salvatore, morto a 77 anni in una casa al numero civico 23 della strada Gesus il 17.07.1874. La sua vedova Rosa Sanna morì nella stessa casa al numero 23 della via Cavour il 12.04.1884, all’età di 75 anni.

Su Matteo Toufani e sulla sua famiglia occorre fornire qualche spiegazione: il primo Toufani arrivato a Cagliari all’inizio del XVIII secolo fu Guglielmo, commerciante francese originario di Marsiglia; egli diventò ricco e poté acquistare in tarda età il feudo di Nureci e Asuni, riuscendo anche a farsi attribuire il titolo comitale; si era sposato nel 1720 a Cagliari con Maria Grazia Loi e, alla sua morte (nel 1764), il titolo di conte e il feudo passarono al figlio Pietro; Guglielmo aveva anche un altro figlio maschio, Luigi (1723-1798), che diventò canonico; Pietro, nato nel 1721, si sposò una prima volta nel 1747 a Marsiglia con donna Maddalena Defabre di Marsiglia, che morì giovane, e la seconda volta, in data non conosciuta, con Anna Maria Zucca; Pietro non ebbe figli e, alla sua morte (1789), la sua eredità fu divisa fra le molte sorelle e i nipoti; il titolo comitale fu trasmesso, attraverso la sorella Barbara (1727-1795) coniugata nel 1757 con Agostino Marramaldo, al loro figlio maggiore Francesco Marramaldo Toufani. Agostino Marramaldo (1714-1760?) era fratello di quel Carlo morto nel 1784, proprietario delle case 2578 e 2579; da quel titolo di conte di Nureci e Asuni, conquistato dal nonno materno, venne l’abitudine di Francesco Marramaldo e dei suoi discendenti di assumere il cognome materno Toufani; Francesco morì nel 1837; Matteo Toufani (o Marramaldo Toufani) (1789-1854), proprietario della casa 2578 dopo il 1850, era con tutta probabilità un figlio del conte Francesco.

 

2580     

Dagli atti appena citati relativi all’eredità Marramaldo, del 1784, risulta che la casa 2580 appartenesse agli eredi del giudice Cadello; nel marzo 1792, in atto relativo alla casa Mallus 2536, è descritta come casa dell’Illustrissimo Vicario Generale (cioè il cardinale Diego Cadello); da un atto di agosto 1798, relativo ancora alla casa Mallus 2536 citata poc’anzi, è indicata come casa dell’illustrissimo “Monsenor de Caller”, cioè lo stesso Diego Cadello.

Vi è una conferma proveniente dalle denunce per il donativo: in quella presentata da don Antioco Cadello, fratello del cardinale, datata 20.06.1799, egli dichiarò di possedere 3 piccole abitazioni nella calle di Jesus, poche stanze affittate in tutto per lire 82 e soldi 10 all’anno.

Con atto del notaio Nicolò Martini del 08.07.1808 don Antioco Cadello vendette la casa a Salvatore Borme, sottotenente della Compagnia Leggera di Marina; l’ingresso era sulla strada di Fra Luis Grech, detta anche strada dei Preti, vale a dire l’attuale via Lepanto; faceva parte dell’eredità di suo padre, il giudice della Reale Udienza Francesco Ignazio Cadello; questi, nel suo ultimo testamento del 03.01.1742, pubblicato dopo la sua morte il 19.10.1763, aveva stabilito che, al di là delle quote legittime, il resto della sua eredità fosse diviso fra i suoi figli maschi, e nel caso di loro morte senza discendenti restasse ai fratelli; fra i fratelli di don Antioco nel 1808 erano già defunti senza discendenza il cardinale Diego e don Ignazio; l’unico ad avere diritti sarebbe stato il marchese di San Sperate don Saturnino Cadello che, con scrittura privata del 14.07.1798, aveva ceduto i suoi diritti al fratello don Antioco.

Salvatore Borme avrebbe pagato in tutto lire 1500, cioè lire 500 sul momento, lire 1000 in 2 anni in 2 quote uguali, pagando il frutto compensativo al 6%; la casa era stata valutata dai muratori Francesco Pasquale Piu e Pasquale Cao, e dai legnaiuoli Giovanni Secci e Tomaso Concas per lire 1569, soldi 9 e denari 6; il di più oltre le 1500 lire venne lasciato al compratore. 

Al 20.09.1812 don Antioco Cadello aveva ricevuto solo lire 1000 su 1500; Salvatore Borme, che nel frattempo era diventato capitano, “non aveva potuto pagare data la strettezza dei tempi”; Cadello, con atto del notaio Sebastiano Dessì Valeri, cedette il credito di lire 435 alla Confraternita del Rosario, tenne per sé le rimanenti lire 65, ovviamente caricate sulla casa del Borme che avrebbe dovuto continuare a pagare gli interessi.

Non sono state fatte specifiche ricerche su questa famiglia: si riassumono i pochi dati a disposizione[1]: il giudice Francesco Ignazio Cadello, citato nei documenti del 1784 e in quello del 1808, era cugino primo del 1° marchese di San Sperate don Giuseppe Cadello, di cui aveva sposato la sorella Angela. Il marchese Giuseppe morì senza discendenza nel 1772; il suo titolo passò al figlio maggiore di don Francesco Ignazio e di donna Angela, i cui figli erano: Saturnino (1733-1813) 2° marchese, il cardinale Diego Gregorio (1735-1807), Ignazio (1737-1760, morto in Spagna), Antioco (1739-1812) e Caterina (1741-1820) coniugata con don Litterio Cugia.

Dal Sommarione dei Fabbricati risulta che dopo il 1850 la casa 2580 appartenesse a tale Matteo Mereu del fu Bachisio. 



[1] Si veda http://www.araldicasardegna.org/