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ISOLATO P: discesa di Porta Castello/piazzetta di Porta Villanova

(via Mazzini, piazza Martiri)

numeri catastali da 2443 a 2453

all’estremità occidentale sono sparite alcune case addossate alle mura, lì dove è stata murata una targa in ricordo dello scrittore Giuseppe Dessì; l’estremità orientale è modificata per la scomparsa della Porta Villanova. Il palazzo Rossi, corrispondente all’unità 2450, ha preso il posto delle diverse strutture prima esistenti, fra cui gli uffici dell’Amostassen.

 

2443/2446           

Nell’inventario del 21.03.1797 dei beni del defunto Giovanni Sisinnio Ladu, proprietario della casa 2435, è scritto che la sua proprietà confinava con case dell’Ospedale, attraverso la strada che conduce alla Porta Castello. Si tratta delle piccole unità catastali 2443 e 2444, ora non più esistenti; l’Ospedale possedeva però anche le successive casette, fino al numero catastale 2446; vengono tutte dichiarate nel donativo del 1807 dello stesso Ospedale: si tratta di ben “sette case tutte di un piano, situate all’uscita della Porta di Castello scendendo alla sinistra verso quella di Villanova, attigue ed appoggiate alla Muraglia del Bastione di San Remì"; è chiaro che fra la data del donativo e gli anni immediatamente successivi al 1850, quando fu compilato il Sommarione dei Fabbricati e fu preparata la pianta della Marina, vi siano stati dei cambiamenti e delle demolizioni: si trattava all’origine di casette molto piccole, che occupavano l’area della 4 unità catastali fra il numero 2443 e il numero 2446; la prima casa era abitata dal cappellaro Giuseppe Padroni che pagava un affitto di lire 125; la seconda casa, di cui non è specificato l’inquilino, rendeva lire 75 per la bottega al piano terra, altrettanto per il primo piano; lo stesso dicasi per la terza casa, mentre la quarta era abitata interamente dall’orologiaio Rodolfo Philibert (o Filiberto), che pagava lire 162 e 10 soldi; la quinta, la sesta e la settima casa rendevano lire 75 ognuna, e l’ultima era attigua alla casa posseduta da donna Speranza Paglietti nata Tuveri (casa 2447). 

La proprietà dell’Ospedale è confermata da un documento rintracciato fra quelli del Regio Demanio: nel luglio 1802 donna Speranza Tuveri ottenne dal Demanio il terreno sito dietro la sua casa numero 2447, confinante con case dell’Ospedale.

In data 26.09.1806 fu compilato l’inventario di tutti i beni mobili, semoventi e stabili appartenenti allo Spedale della Marina sotto l’invocazione di Sant’Antonio Abate, allo scopo di consegnarli al procuratore generale dei Reverendi Padri Spedalieri, “in eseguimento degli ordini di S.M. del 15.09.1806”.

L’inventario comprende 7 case di un piano nella Marina all’uscita di Porta Castello scendendo alla sinistra verso quella di Villanova, attigue e appoggiate alla muraglia del Bastione di San Remi (Case 2443-2446): l’inventario conferma e completa quanto già specificato nel donativo: la prima (2443) era abitata dal cappellaro Giuseppe Padroni col fitto di lire 125 annue, pagabili a mezze annate; Il piano superiore della seconda casa era abitato dal lanterniere Gasparo Bottero col fitto di lire 75 annue pagabili a mezze annate; la bottega della stessa casa era abitata dall’argentiere Efisio Putzu per scudi 30, cioè lire 75; il piano superiore della terza casa era abitato dall’argentiere Salvatore Serra Marini, per scudi 30, la bottega dall’argentiere Efisio Frau, per scudi 30; la quarta era abitata interamente dall’orologiaio Rodolfo Filibert, per lire 162 e soldi 10; la bottega della quinta casa era affittata all’argentiere Salvatore Serra Marini per scudi 30, il piano superiore a Rodolfo Filibert, e l’affitto era già compreso in quello della quarta casa; la sesta casa era abitata dal pittore Luigi Carneglia per scudi 30, e l’ultima, attigua alla casa Paglietti, era abitata per scudi 30 dall’argentiere Pasquale Fanni.

Con atto notarile del 11.07.1811 i padri Ospedalieri cedettero all’argentiere ed orefice Efisio Frau, in enfiteusi, una casa situata nella discesa di Porta Castello, addossata alle mura, davanti alla casa Ladu 2435; lateralmente alla casa ceduta al Frau vi erano le botteghe utilizzate dall’argentiere Efisio Puzzu e dall’argentiere Marini (Serra Marini). Il Frau ottenne l’enfiteusi per tutta la sua vita e per la vita di un figlio che poteva nascere; se non avesse avuto figli sarebbe subentrato nell’enfiteusi il suo “piccolo fratelloNicola Frau.

Con atti notarili del 09.04.1812 i Padri Spedalieri cedettero in enfiteusi due case “a man sinistra nella discesa per andare da Porta Castello a Porta Villanova”: una fu ceduta per 180 lire annue ai coniugi orologiaio Ridolfo Philibert (o Rodolfo Filiberto) e Marianna Garau, l’altra per lire 150 annue ai coniugi argentiere Salvatore Serra Marini e Giovanna Medda; entrambe le case erano formate da una bottega e dal piano superiore, avevano un cortile dove le due coppie di coniugi avrebbero dovuto costruire, a loro spese, una nuova camera; entrambe le case erano già abitate in affitto, dal 1799, dagli stessi coniugi a cui furono cedute in enfiteusi. Non è chiaro quali esattamente fossero le case: entrambe confinavano ai due lati con altre case dello stesso Ospedale, avevano posteriormente la Regia Muraglia e davanti la casa Ladu (2435) e altre proprietà dell’Ospedale (2436/2442).

A metà ‘800 le case 2443, 2445 e 2446 risultano ancora di proprietà dell’Ospedale, mentre la casa 2444 apparteneva all’orefice Giuseppe Serra Medda; si tratta del figlio dei coniugi Salvatore Serra Marini e Giovanna Medda che ebbero l’enfiteusi nel 1812; il Serra Medda morì sessantunenne il 30.07.1771, abitava in una casa della via Argiolas (via Garibaldi).

Furono demolite negli anni 30 del '900, erano note come case "Bandini"; sulla parete del bastione, in corrispondenza all’area lasciata vuota dalla demolizione, è stata murata una targa che ricorda la nascita nel 1909 dello scrittore Giuseppe Dessì (1909-1977), di famiglia originaria di Villacidro.

 

2447     

Alle7 della sera del 11 agosto 1798 morì lo speziale Michele Tuveri; il giorno successivo venne aperto e pubblicato il suo testamento, nel quale egli stabilì di legare alla moglie Annica Fundoni l’usufrutto di diversi beni tra cui quello di una casa contigua alle mura, a mano destra salendo dalla Porta di Villanova per andare alla Porta del Castello (2447); non si conosce l’esatta data di morte di Annica Fundoni, si sa però che cedette alla figlia l’sufrutto di alcuni immobile e che nel 1804 le cedette ulteriori immobili di cui aveva conservato la proprietà; nel luglio 1800 la sua unica figlia donna Speranza Tuveri, coniugata con don Carlo Paglietti, agiva come piena proprietaria della casa 2447: ottenne dal demanio la concessione del terreno sito fra la casa e le mura, con l’intenzione di riedificare e ingrandire la sua proprietà, allineandola a quella confinante dell’ospedale (2446); avrebbe pagato lire 15 per l’introggio, e una lira e 10 soldi ogni anno. La casa era stata edificata da Michele Tuveri grazie alla concessione demaniale del 1780 e 1781; il nuovo terreno concesso sarebbe servito come cortile; la proprietà Tuveri/Paglietti è confermata dal donativo dell’ospedale (probabilmente del 1807), ed è confermata in una causa civile del 1840: nell’elenco dei beni posseduti dalla vedova donna Speranza Paglietti è compresa una casa con bottega nella strada degli Orefici (altro nome di metà ‘800 della via Mazzini) abitata dalla signora Rosina; infine, nel Sommarione dei Fabbricati risulta appartenere a don Carlo Paglietti, figlio del fu don Raffaele, quest’ultimo figlio di donna Speranza, a lei premorto.

 

2448

Il primo documento rintracciato che citi questa casa è la concessione demaniale del luglio 1800, rilasciata a donna Speranza Tuveri, del terreno retrostante la casa 2447: quest’ultima casa è collocata fra una casa dell’ospedale (2446) e una casa dell’orfanotrofio, che quindi corrisponderebbe al numero catastale 2448; è probabile però che questi confini siano stati riportati dalla prima concessione del 1780, quando Michele Tuveri, padre di Speranza, ottenne l’area dove costruì la casa; infatti nella “supplica” del 02.07.1800, scritta da Speranza Tuveri per avere la concessione, è scritto che la sua casa era “in attiguità di casa del chirurgo Miller”; è anche possibile che la casa dell’orfanotrofio fosse più spostata, verso destra (una parte dell’unità 2450), e che nel 1780 non ci fosse nessuna costruzione dove poi venne costruita la casa 2448; a quanto detto si può trovare conferma da un atto notarile del 17.09.1811, col quale il chirurgo Giuseppe Pollone cedette a sua suocera vedova Miller la metà di un terreno addossato al “Bastione dello Spellone”: Pollone era proprietario della casa 2449, e aveva avuto in concessione lo spalto e un terreno attiguo allo spalto dietro la sua casa; era però già d’accordo con sua suocera Maria Teresa Miller nata Casti che aveva partecipato alla spesa, e le cedette perciò la metà di quanto aveva acquisito; è plausibile che la vedova Miller fosse interessata al terreno in quanto confinante con la sua casa 2448, oltreché a quella del genero, numero 2449.

Una conferma più sicura arriva dal solito Sommarione dei Fabbricati successivo al 1850, dove la casa 2448 è attribuita a Francesco Miller, del fu Giuseppe; dai dati dell’anagrafe di Cagliari, risulta che Francesco Mūller, gabellottiere di 77 anni, morì in una casa di via Argentari il giorno 08.06.1871, figlio dei defunti Giuseppe Mūller e Teresa Costa (Casti?), marito di Giovanna Falconi; il chirurgo del 1800, di cui non è noto il nome di battesimo, dovrebbe essere quindi Giuseppe Mūller. Nella casa di via Argentari, al numero civico 3, morì il 17.11.1879 Giovanna Falconi vedova Mūller, anch’essa di anni 77; nella stessa casa, il 15.02.1883, morì a 35 anni Speranza Mūller (in cimitero registrata come Lorenza), figlia dei defunti Francesco e Giovanna Falconi.

 

 

2449     

In atto notarile del 10.10.1807 è scritto che la città di Cagliari, in data 23.06.1787, aveva ceduto una casa “in vicinanza dell’ufficio dell’Amostassen” (2450) all’aiutante maggiore Cassini perché lui e la moglie “potessero goderne per la loro vita, senza canone alcuno”; nel luglio 1790 i terreni posti fra la casa 2450 e le mura vennero concessi in enfiteusi ad alcuni privati; alla concessione è allegata una pianta dove risulta che la casa 2449, a sinistra della casa 2450, era quella dell’Aiutante maggiore Cassini (o Cassinis).

In data 20.10.1804 la Città di Cagliari, “per ordine superiore”, tornò in possesso della casa, dal momento che il Cassini e sua moglieerano imbarcati entrambi per la terraferma”; infatti il procuratore dei coniugi Cassini non aveva potuto dimostrare, nel giro di 3 mesi, “che sia tuttora vivo detto Cassinis, non dubitandosi della morte della moglie”; vivi o morti che fossero marito e moglie Cassinis, il notaio Frau, per conto della Città, prese possesso della casa, sita nella Marina e strada “come si va alla Porta di Villanova”, confinante di dietro con le Reali Muraglie, da una parte con casa posseduta da Monsieur Miller (2448) e sull’altro lato con la casa del negoziante Angelo Farris, “nei di cui mezzanelli trovansi gli uffici del sig. Amostassen e del Deputato della Panatica, di pertinenza della Città” (casa 2450); “si comunicò agli affittavoli che la proprietà è ora della Citta”; la casa era composta da un piano alto e 3 botteghe; Giuseppe Borghini e Gio Lissa avevano in affitto una bottega e due stanze nel piano superiore e pagavano scudi 50 ogni anno, a mezze annate anticipate; un’altra bottega era affittata a Domenico Destefano che pagava 22 scudi annui a mezze annate anticipate; la terza bottega e una stanza superiore erano affittate a Sebastiano Macis che pagava scudi 40 annui (ma negli anni passati pagava scudi35).

Col citato atto notarile del 10.10.1807 la Città di Cagliari concesse in enfiteusi la casa ex-Cassinis al chirurgo Giuseppe Pollone.

Si ha conferma di queste informazioni da un’altra concessione enfiteutica del 1811: il chirurgo Giuseppe Pollone, già concessionario di una casa dell’Azienda Civica, contigua all’ufficio dell’Amostassen (2450), nel maggio del 1808 aveva chiesto la concessione in enfiteusi dello spalto attiguo al bastione dello Spellone (o Sperone), e anche del terreno appartenente allo stesso spalto che in passato era stato occupato, senza permesso, dal fu Gio Pietro Cassini; in detto terreno, posto dietro la casa (o corpo di case) dello stesso Pollone, vi si trovavano già fabbricate 3 piccole camere; la domanda del Pollone, presentata nel maggio 1808, ebbe risposa positiva solo il 14.01.1811.

In data 17.09.1811 il chirurgo Pollone cedette gratuitamente metà della proprietà acquisita nel mese di gennaio alla suocera Maria Teresa Miller nata Casti: la donna infatti, in accordo col genero, aveva contribuito a metà delle spese per l’acquisto e per la sistemazione della proprietà concessa dalla Città.

Una conferma ulteriore di questa attribuzione di proprietà si ha dal Sommarione dei Fabbricati, nel quale risulta che dopo il 1850 la casa 2449 apparteneva ancora al dottore chirurgo Giuseppe Pollone.

 

2450 e 2451

La grande unità catastale 2450 era un tempo suddivisa in più proprietà e costruzioni: in data 06.07.1790 lo speziale di Bosa Antonio Tedeschi ebbe in concessione un tratto di terreno vicino al Bastione dello Spellone (Sperone) mediante l’introggio di £ 5, soldi 13 denari 4, e il canone annuo di £ 4, soldi 10, denari 5; il terreno era vicino alle case da lui riedificate, presso la Porta di Villanova, lungo 2 trabucchi, 3 piedi e 6 once, e largo un trabucco e 4 piedi (cioè 8 metri e 13 cm di lunghezza, e 5 metri e 24 cm di larghezza); erano escluse dall’enfiteusi le logge destinate alla vendita di viveri al pubblico in tempo di scarsezza; Tedeschi chiese la concessione dell’area dietro le logge per rendere più vasta la sua abitazione.

Lo stesso giorno Angelo Farris, assistente nello Stanco del Tabacco di Cagliari, ebbe la concessione enfiteutica di un tratto di terreno vicino al Bastione dello Spellone, con "l’introggio" di £ 8, soldi 18, denari 8 e il canone annuo di £ 6, soldi 11, denari 3; il terreno era vicino alle case da lui riedificate nella Porta di Villanova, di lunghezza di trabucchi 3, piedi 4 e once 6, di larghezza un trabucco e 4 piedi, cioè 11 metri e 80 cm di lunghezza e della stessa larghezza (o profondità) del terreno concesso a Tedeschi; si trovava dietro l’ufficio dell’Amostassen, e dietro la loggia che prima serviva d’ingresso all’ufficio, e il Farris voleva costruire una abitazione al di sopra del detto ufficio e della loggia, con intenzioni simili a quelle dello speziale Antonio Tedeschi, per rendere più vasta la sua abitazione; nella pianta citata nel precedente paragrafo compare la casa Cassini corrispondente alla casa 2449, la casa e il terreno concesso al Tedeschi corrispondente alla parte sinistra dell’unità 2450, e la casa del Farris e il terreno a lui concesso corrispondente alla parte destra della stessa unità 2450 e alla casa 2451, dietro alle logge adibite alla vendita dei viveri e all’ufficio dell’Amostassen; pochi mesi dopo, il 07.12.1790, il Farris ottenne la concessione enfiteutica di un altro pezzo di terreno posto fra la sua casa di recente riedificata e il bastione: voleva formarvi un cortile per le provviste del bosco e per tenere le galline; avrebbe pagato l’introggio di lire 7 e soldi 5, e un canone di lire 5.

Vi sono altri documenti che citano la casa 2450: un atto notarile del 1797 relativo alle botteghe 2442, site proprio di fronte agli uffici dell’Amostassen; un altro atto notarile del 1799 relativo all’affitto di altre 2 botteghe corrispondenti alla casa 2452, poste fra l’ufficio dell’Amostassen e la casa Farris da una parte, e il corpo di guardia della Porta di Villanova dall’altra parte; un atto del 1800 relativo alla casa 2741, posta di fronte alla loggiata e ufficio dell’Amostassen; un atto del 1802 relativo alla stessa casa 2741, davanti alla casa Farris e all’Amostassen.

Inoltre vi sono le denunce per i donativi: Angelo Farris, nel suo donativo non datato, dichiarò la sua casa di abitazione posta nella Piazza interna di Villanova, composta dal piano terreno con una piccola bottega e un piccolo magazzino, e il primo piano di 4 stanze; confinava a levante con la casa dell’aiutante maggiore Quessa (Chessa, casa 2452) e a maestrale con la casa di Gio Efisio Piras; la casa Piras potrebbe corrispondere a quella che prima era dello speziale Tedeschi, cioè la parte sinistra dell’unità 2450, o forse ad una parte più centrale; Farris scrive che il valore della sua proprietà era di lire 5000 e avrebbe potuto rendere d’affitto lire 300 annue; Gio Efisio Piras era con tutta probabilità il cognato del ricco negoziante Francesco Antonio Rossi, che anni più tardi diventerà il proprietario delle case 2450 e 2451, con l’esclusione di una parte che rimarrà alla Città di Cagliari; Piras è nominato nel donativo del 1799 di don Giuseppe Rapallo, il quale dichiarò di ricevere lire 90 di pensione annua per un censo concesso a Gio Efisio Piras per una casa in Porta Villanova; è anche nominato nell’atto dell’aprile 1812 con cui Antonio Gimiliano Russui vendette la sua casa 2740, sita di fronte alla casa dell’Amostassen e dei negozianti Angelo Farris e Giovanni Efisio Piras.

E’ più difficile collocare, all’interno della stessa unità catastale 2450 o nei suoi immediati pressi, i locali utilizzati dal Conservatorio delle orfanelle: la loro presenza è segnalata nel già citato atto notarile del 1797 relativo alle botteghe 2442, e in altro atto notarile del 1807, anch’esso relativo alle botteghe 2442: in entrambi i casi i locali delle orfanelle sono citati insieme agli uffici e alle logge dell’Amostassen, coi quali dovevano essere a stretto contatto, o coi quali condividevano le stesse strutture; un’altra citazione è stata rintracciata in una concessione demaniale del 1800, relativa alla laterale casa 2447, ed in un atto notarile relativo alla casa 2439, sul davanti; la vaghezza dei riferimenti non permettono di capire esattamente dove fossero questi locali, che probabilmente furono eliminati una volta perfezionate le concessioni fatte ai privati di cui si è riferito.

Nel 1807 il conte Michele Ciarella dichiarò nel suo donativo che la sua casa in Porta Villanova, numero 2739, si trovava davanti all’ufficio dell’Amostassen. Sempre dai donativi, nel 1812 i padri Mercedari di Bonaria dichiararono di possedere una casa, identificata con la casa 2452, di fianco alla casa del negoziante Angelo Farris.

Il Farris come si è detto era proprietario di una bottega che si trovava al piano terreno della casa dell’Amostassen; con atto notarile del 19.12.1809 cedette le sue merci e affittò la bottega col magazzino al negoziante della Marina Giuseppe Saetone[1], col canone annuo di 80 scudi per i successivi 6 anni; le merci furono valutate lire 2179 e soldi 7, somma che Saetone avrebbe pagato in 3 rate.

Con atto del notaio Lucifero Cabony del 10.08.1810, Angelo Farris concesse in locazione al Saetone una seconda bottega a fianco alla precedente; l’affitto fu stabilito per 6 anni in 70 scudi annui.

Nel 1811 il chirurgo Pollone ottenne in enfiteusi un terreno dietro la sua proprietà (2449) sita di lato all’ufficio dell’Amostassen. Nell’inventario del 1813 dei beni di Francesco Vodret, è scritto che la casa grande della piazza interna di Villanova, numero 2740, aveva di fronte l’ufficio dell’Amostassen i cui piani alti sono del negoziante Angelo Farris.

Un documento datato 13.10.1848, rintracciato fra le carte del Regio Demanio, riporta l’ affrancamento del canone della casa Farris sita nella discesa di Porta Villanova: la casa era stata venduta a Francesco Antonio Rossi dagli eredi di Angelo Farris il 18.03.1826; il Rossi la donò a suo figlio barone Salvatore Rossi il 08.05.1829, e la donazione fu ratificata col testamento del 07.06.1831. E’ stato già detto che parte dell’unità 2450 era appartenuta a Gio Efisio Piras, cognato del Rossi, già dal 1799.

Infine, dal Sommarione dei Fabbricati si sa che la casa 2450 apparteneva in parte alla Città di Cagliari, utilizzata per la Giudicatura mandamentale, in parte al barone Salvatore Rossi (1775-1856), al quale apparteneva anche tutta la casa 2451.

Sulla parete del palazzo Rossi, corrispondente all’unità catastale 2450, nell’anno 2012 è stata affissa una targa, di fianco all’ingresso della storica “offelleria Tramer”: ricorda i gravi disordini verificatisi la sera del 31.10.1926 sotto le finestre dell’abitazione di Emilio Lussu (1890-1975), deputato e leader dell’antifascismo in Sardegna, durante i quali morì il ventenne(?) ferroviere(?) Battista Porrà[2]. 



[1] Giuseppe Saetone (Saeton, Saettone), (1781/1853) era figlio del negoziante di Albissola (Savona) Baldassarre e di Anastasia Scapapietra.

[2] Nelle diverse pubblicazioni o siti che raccontano la vicenda, Battista Porrà viene detto ferroviere a volte diciannovenne, a volte ventiduenne; nel sito dei Cimiteri Cagliaritani è però presente Battista Porrà, morto il 31.10.1926, nato nel 1905, figlio di Vincenzo e Gaetana Dell’Aria; all’anagrafe di Cagliari è presente la registrazione di nascita del 18.08.1905 di Battista Gaetano Angelo Porrà, figlio del fuochista Vincenzo e di sua moglie Gaetana Dellaria, abitanti nella via Arquer. L’età giusta era quindi “21 anni”.

 

2452 e 2453       

Con atto notarile del 23.08.1799 i padri Mercedari del convento di Bonaria firmarono l’ atto di locazione di 2 botteghe per 3 anni e 90 scudi per anno, in favore del negoziante Francesco Antonio Rossi; due anni prima, il 03.01.1797, i padri avevano affittato le botteghe e il piano alto della casa al tavernero Mauro Orano, ma il governo non aveva approvato l’intenzione dell’Orano di farci una taverna di vino, a causa della vicinanza del posto di guardia; le due botteghe erano contigue e comunicanti, si trovavano nella piazza di Villanova, e avevano da un lato il corpo di guardia, dall’altro lato la casa dell’ufficio dell’Amostassen, “ossia di Angel Farris” (2450 e 2451), davanti, con la piazza in mezzo, le case di Francesco Vodret (2743 e 2744) e dell’ospedale di S.Antonio (2745), e alle spalle la Regia muraglia.

Dal donativo non datato (probabilmente del 1807) di Angelo Farris, proprietaro della casa 2451, si legge che la casa sul levante, cioè quella con numero 2452, era dell’aiutante maggiore monsieur Quessa (Chessa). Nel donativo dei padri Mercedari, datato 30.01.1812, essi dichiarano la casa vicino a Porta Villanova, formata da 2 piani con 6 stanze in tutto e due botteghe, posta fra il corpo di guardia (2453) e la casa Farris (2451), sita vicina alla muraglia della Zecca e sotto la muraglia del bastione di San Remì.

Nell’inventario dei beni di Francesco Vodret, del 19.02.1813, le sue case 2743 e 2744 avevano davanti una casa del “convento di Buonaria, in cui abita l’aiutante maggiore mussiù Quessa”.

Su questo Chessa si hanno pochi dati: si chiamava Giovanni Pietro, figlio di Giovanni e di Michela Angela Casula, era nativo di Borore; nel dicembre 1807 incaricò suo fratello Salvatore di occuparsi per suo conto della divisione dei beni lasciati a Borore dai loro defunti genitori, da dividere con l’altro fratello Giuseppe e con la sorella Maria; coniugato con Sofia Viale di Borore, rimase vedovo nel 1814 e si risposò nel 1815 con Rita Augustini del Castello; ebbe alcuni figli con la prima moglie, fra cui Giovanna che sposò nel 1817 Matteo Melis Alagna; nonostante il suo cognome e le parentele sarde, in varie registrazioni anagrafiche che lo riguardano viene chiamato "Monsieur", e la moglie "Madama", titoli che venivano utilizzati solitamente per i francesi; si può ipotizzare una sua carriera militare costruita fuori dalla Sardegna, non certo in Francia, ma nel francofono Piemonte: aiutante maggiore della Piazza di Cagliari da prima del 1799, tenente al 1807, nel 1808 gli fu concesso il grado di capitano delle Regie Truppe[1].

Dai dati catastali di metà secolo XIX, si sa che nell’anno 1854 la casa 2452 apparteneva all’orefice Gerolamo Campurra (1804-1879), il medesimo che possedeva la casa 2438 nella salita verso la porta Castello (a cui si rimanda per ulteriori considerazioni e notizie).

La casa 2453 risulta dello stesso Campurra solo dal 1859, è infatti inserita nel Suppletivo di quell’anno; un’ipotesi è che prima di quella data fosse occupata tutta o in parte dal corpo di guardia della porta Villanova, e ceduta al Campurra, che la inglobò nella sua proprietà, dopo che venne meno l’utilità militare.[2]

 


[1] ASC, Regie Provvisioni, serie 16 Q, 91v-24, e serie 03 C, 146-31

[2] La barriera della Porta Villanova fu abbattuta nel dicembre 1863; la Porta Villanova fu completamente eliminata nel settembre 1874; dopo quella data Gerolamo Campurra aggiunse un piano alla sua casa, incorporandovi la cortina sita tra la sparita porta e lo sperone del bastione.