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Isolato F, parte 1: case costruite sul molo di Sant’Elmo

(molo Sanità)

numeri catastali da 2217 a 2229

le case qui costruite, abbattute negli ultimi decenni del XIX secolo, erano sicuramente basse, con piano terreno ed eventualmente il primo piano, con un prevalente utilizzo commerciale; l’isolato era caratterizzato dalla presenza della piccola chiesa di Sant’Elmo e dalla casa della Guardia della Porta del Molo.

 

2217     

E' un numero catastale che non compare nella mappa di metà ‘800; non è contemplato nemmeno nel Sommarione dei Fabbricati.

Potrebbe attribuirsi alla casa della Sanità, al di fuori della mura, all’estremità di ponente del molo di Sant’Elmo. 

In data 20.11.1806 fu firmato un “Atto d’impresa” per affidare al mastro Gio Antonio Putzolu i lavori di riparazione della casa di Sanità della Città di Cagliari; precedentemente era stata fatta una stima della spesa, indicata in 362 lire e 10 soldi dal mastro muratore Sebastiano Puddu; erano quindi stati affissi gli avvisi di gara nelle porte principali della città, per invitare gli interessati a presentarsi davanti al Magistrato Civico il giorno 10 novembre alle ore 11 di mattina; il “miglior partito” fu quello del mastro Putzolu che aveva preventivato una spesa di 285 lire da pagare in 3 rate.

 

2218     

Corrisponde a una casa situata fuori dalle mura della Marina, sicuramente di proprietà demaniale, ma non si sa a quale utilizzo fosse destinata. Nemmeno il Sommarione dei Fabbricati riporta dei dati associati a questo numero catastale.

 

2219, 2220, 2221, 2222                   

L’immobile 2221, il più grande fra quelli nella piazza interna del molo di Sant’Elmo, era probabilmente la casa della Guardia adibita al controllo delle Mura del Molo e della porta stessa, e sembra più che possibile che anche le piccole unità 2219, 2220, 2222, avessero un utilizzo legato allo stesso posto di guardia; l’ipotesi, che richiederebbe conferme da altre fonti, si basa su quanto riportato in un atto notarile relativo a una casa dei padri Trinitari identificata con l’unità catastale 2228, e ad altri 3 atti relativi a una casa del convento dei Padri Mercedari, numero 2229; il primo documento, del 1800, riporta che la casa 2228 “afronta por delante a las espaldas de la casa ensostrada de la Guardia en la puerta del muelle plassa de por medio de san Helmo”, cioè la casa 2228 aveva sul davanti il retro della casa della Guardia, ensostrada, cioè con uno o più piani sopra il piano terreno; è plausibile che la casa delle guardie, adibita alla sorveglianza delle mura, fosse rivolta verso l’esterno, e quindi la sua parte posteriore si rivolgeva alla piazza. Nel primo degli atti notarili relativi alla casa dei padri Mercedari 2229, del 1799, è scritto che detta casa aveva “delante el casino dela guardia del molo, calle mediante por la qual se va alla iglesia de S.Elmo”; nel secondo atto notarile, anch’esso del 1799, è scritto che la casa 2229 guardava verso le spalle della casa della guardia, strada mediante; il terzo atto, del 1802, si limita a dire che dirimpetto alla casa 2229 c’era “la guardia”;

Anche queste case non sono citate fra i dati del catasto di metà ‘800; e questo può essere una conferma indiretta che appartenevano al demanio (le cui proprietà non venivano registrate al catasto, che si occupava delle proprietà dei privati), e che avevano una funzione di pubblica utilità.

 

2223 e 2224       

Questi numeri non sono presenti nella mappa di metà ‘800; dovrebbero corrispondere alla chiesetta di Sant’Elmo (o Sant’Erasmo), all’interno della piazza omonima, e a una costruzione adiacente, che poteva appartenere al demanio o alla confraternita di S.Elmo.

 

2225     

Nella dichiarazione per il donativo firmata il 28.06.1799, il superiore dei Padri Trinitari di San Lucifero dichiarò che apparteneva all’ordine una piccola casa nella strada di San Telmo (o Sant’Elmo) attaccata alle mura della chiesa (2224), composta da un mezzo sottano e un primo piano con 2 stanzine, affittata in tutto per lire 25 annue; inoltre i padri possedevano un’altra piccola casa attaccata alla precedente, che non aveva il piano terreno, ma solo un primo piano a cui si accedeva da una scala esterna, affittata per lire 30; l’altro mezzo sottano della prima casa e il sottano della seconda, a formare due magazzini, erano affittati per lire 60 alla Regia Tesoreria.

Le poche informazioni riferite permettono di ipotizzare che le due piccole case dei Padri Trinitari corrispondessero alla casa 2225, confinante con la chiesa di Sant’Elmo. Si fa riferimento a questa proprietà del convento dei Trinitari anche in un atto notarile del 1803, relativo alla confinante casa 2226.

Con atto notarile del 16.01.1810, attualmente quasi illeggibile, i Reverendi Padri “ex-trinitari”, rappresentati dall’economo reverendo Gaetano Porcu, dottore, canonico e protonotaro, concessero in locazione al panataro Pasquale Peluffo per 60 scudi annui due case situate nel piazzale di Sant’Elmo, una aderente alla chiesa, l’altra aderente ad una casa del Gremio di Sant’Elmo (casa 2226, ceduta in locazione al Peluffo con lo stesso atto del 16.01.1810); le due case, insieme a quelle limitrofe del Gremio e la casa Ghiso, furono cedute al Peluffo per la formazione di una grande “Panattaria”, di interesse per la città: per intervento e ordini verbali dell’Intendente Generale, Cavaliere Don Jacopo Alessio Vichard di Sant Real, Regio Delegato, con atto notarile di stessa data venne certificato dal Capo Mastro Muratore Civico Sebastiano Puddu che la proprietà dei Padri ex-Trinitari era in buono stato e necessitava di riparazioni per lire 34 e soldi 11; anche queste informazioni indicano che la proprietà dei padri ex-Trinitari potesse coincidere con l’unità catastale 2225, formata all’inizio del XIX secolo da due casette distinte.

Questa attribuzione è confermata da quanto riporta il Sommarione dei Fabbricati di metà ‘800, da cui risulta che la casa 2225 apparteneva allo “Stabilimento Carlo Felice”, cioè un orfanotrofio al quale, nel corso della prima metà del secolo XIX, vennero assegnati i beni del soppresso ordine dei Padri Trinitari.

 

 2226 e 2227       

Con atto notarile del 12.05.1790, Pasquale Cadello, vice console di Svezia, ottenne 125 lire a censo onerativo dal Gremio di Sant’Elmo (o Sant’Erasmo, o San Telmo), somma che avrebbe utilizzato per riparare e migliorare una casa che possedeva nella piazza di Sant’Elmo, acquistata il 07.06.1780 dal Monastero di Santa Lucia; detta casa, identificata con l’unità catastale 2227, “afronta por delante con la Plassa de la Iglesia de S.Telmo, de espaldas a las Reales Murallas del Muelle, de un lado a casa che dicho Cadello comprò da mestre Gaetano e Giovanna Pintus (2226), de otro lado con casa de los Patres Trinitarios (2228)”; per garantire la restituzione delle 125 lire, come di consueto, la casa venne ipotecata.

In data 15.09.1791 i periti incaricati da Pasquale Cadello e quelli incaricati dalla confraternita di Sant’Elmo eseguirono la stima della stessa casa 2227, che “si compone di un sòttano, un alto e una sala con una alcova e una piccola cucina”, e venne stimata per 389 scudi e 2 reali.

Il 07.11.1791 il Cadello vendette la casa 2227 per 389 scudi al Gremio di Sant’Elmo.

Un atto notarile del 13.03.1800, relativo alla casa 2228, ci dice che la casa confinante 2227 apparteneva ancora in quell’anno alla chiesa di Sant’Elmo.

In un documento della Segreteria di Stato (1326) del 22.06.1799, sono elencati i beni dei gremi: il Gremio di Sant’Elmo possedeva nella piazza Sant’Erasmo un casa composta da un sottano e un primo piano, con alcova e stanza, presumibilmente identificabile con la casa 2227. 

L’unità catastale 2226, che come già detto Gaetano e Giovanna Pintus vendettero a Pasquale Cadello, fu venduta dallo stesso Cadello e da sua moglie Angela Fadda, in data 27.02.1783, al console di Ragusa Salvatore Palomba, il quale la ipotecò nel 1803 per garantire il pagamento dell’enfiteusi della casa 2931; venne poi evidentemente ceduta alla confraternita di Sant’Elmo che, a metà ‘800, possedeva entrambe le case 2226 e 2227, come risulta dalla solita fonte del Sommarione dei Fabbricati.

Con atto notarile del 16.01.1810, attualmente quasi illeggibile, i maggiorali del Gremio di Sant’Elmo, rappresentati dal negoziante Salvatore Paloma, dal chirurgo maggiore del Corpo Reale Efisio Ghiso, dal mercante Giuseppe Castellano, in qualità di clavari, concessero in locazione al panataro Pasquale Peluffo due case situate nel piazzale di Sant’Elmo, una col canone annuo di scudi 30 annui, l’altra di scudi 24; una era aderente alla casa dei Padri Trinitari 2225 (ceduta in locazione al Peluffo con lo stesso atto del 16.01.1810), l’altra alla casa del chirurgo Efisio Ghiso; le due case possono essere identificate con le unità 2226 e 2227, nell’ipotesi che già da quella data appartenessero entrambe al Gremio di Sant’Elmo; insieme alle case limitrofe furono cedute al Peluffo per la formazione di una grande “Panattaria”, di interesse per la città: per intervento e ordini verbali dell’Intendente Generale, Cavaliere Don Jacopo Alessio Vichard di Sant Real, Regio Delegato, con atto notarile di stessa data venne certificato dal Capo Mastro Muratore Civico Sebastiano Puddu che la proprietà del Gremio, concessa in affitto al Peluffo, era in buono stato e necessitava di riparazioni per lire 5 e soldi 10; anche l’altra casa, detta casa Palomba, era in buono stato e necessitava di riparazioni per lire 16 e soldi 5.

La confraternita di Sant’Elmo a metà ‘800 possedeva entrambe le case 2226 e 2227, come risulta dalla solita fonte del Sommarione dei Fabbricati.

  

2228     

Dagli atti del 1790 e del 1791 relativi alla casa 2227, risulta che la casa 2228 appartenesse ai Padri Trinitari. La stessa informazione forniscono 2 atti notarili dell’aprile 1799, ed un atto del 1802, tutti relativi alla casa 2229, confinante appunto con la casa 2228 dei RR.PP. Trinitari.

Nel donativo del 28.06.1799 il superiore dei Padri Trinitari di San Lucifero dichiarò che apparteneva all’ordine una casa composta da un piano basso e un primo piano con 2 stanze strettissime e una piccola cucina, affittata in tutto per lire 60 annue; tale casa si trovava all’inizio della piccola strada di San Telmo.

Il 13.03.1800 padre Antonio Effis Cadello, ministro dei RR.PP. Trinitari di questa citta, firmò l’atto di enfiteusi perpetua di una casa ensostrada a favore del chirurgo collegiale Effis Guiso (o Ghiso) di Cagliari, domiciliato in Villanova; si trattava di una casa col suo sòttano che il convento possedeva per esser stata donata dal cavalier don Antonio Cavassa con atto del 15.05.1731, posta nell’Appendice della Marina e “calle de su Mollu, y en el districto de la Plassa, como se va a la iglesia de San Elmo, y afronta por delante a las espaldas de la casa ensostrada de la Guardia (2221) en la puerta del muelle, plassa de por medio de san Helmo”; da un lato confinava con casa posseduta dal convento dei Padri Mercedari (2229), dall’altro lato con casa della chiesa di Sant’Elmo (2227), per le spalle col bastione ossia con le fortificazioni “de las adoberias” (cioè delle concerie, la parte dell’attuale via Roma fra il largo Carlo Felice e la via Napoli). 

In data 16.01.1810 la casa Ghiso, insieme alle case limitrofe (2225/2227) fu ceduta in affitto al panettiere Pasquale Peluffo per la formazione di una grande “Panattaria”, di interesse per la città: per intervento e ordini verbali dell’Intendente Generale, Cavaliere Don Jacopo Alessio Vichard di Sant Real, Regio Delegato, venne certificato dal Capo Mastro Muratore Civico Sebastiano Puddu che la proprietà Ghiso era in buono stato e necessitava di riparazioni per lire 23.

Dai dati catastali di metà ‘800 la casa 2228 risulta essere di proprietà dello “Stabilimento Carlo Felice” che, come già detto per la casa 2225, era un orfanotrofio a cui vennero assegnati i beni del soppresso ordine dei Padri Trinitari.

2229, 2230, 2231              

In data 18.04.1799 i Padri Mercedari del convento di Bonaria concessero in enfiteusi al conciatore Domenico Mereu due botteghe site nella piazza del Molo; la prima, identificata con la parte più a sud della casa 2231, aveva davanti la piazza del Molo, di spalle aveva le mura a cui era addossata, da un lato aveva una bottega che in precedenza apparteneva a Salvador Nieddu (2230) e dall’altro lato una bottega degli stessi padri Mercedari (2231, parte nord); l’altra bottega dei Mercedari, numero 2229, aveva davanti “el casino dela guardia del molo (2221 e sue pertinenze 2219, 2220, 2222), calle mediante por la qual se va alla iglesia di S.Elmo”, di spalle aveva “il cammino per come si sale alla muraglia” (fra le case 2229 e 2230), da una lato aveva la piazza del Molo, e dall’altro lato una casa dei padri Trinitari (2228). Nell’atto del 1799 è scritto che si trattava delle stesse botteghe che il convento aveva ceduto al bottaio Antiogo Comina il 19.07.1770, e che tornarono al convento per debiti del Comina verso il convento stesso.

Dieci giorni più tardi il conciatore Mereu affittò entrambe le botteghe per 3 anni e per scudi 195 al taverniere Gioachino Loi; i confini erano quelli già detti, con l’unica differenza che la prima bottega confinava da un lato con la taverna di Pasquale Lilliu: questa dovrebbe corrispondere alla parte nord della stessa casa 2231, ceduta al Lilliu in enfitesusi dagli stessi Mercedari.

Tre anni dopo, con atto del notaio Francesco Soro del 14.04.1802, Domenico Mereu affittò le due botteghe per altri 3 anni e scudi 219 in tutto, al tavernaro Vincenzo Manca e al facchino Giovanni Pinna Diana; i confinanti non erano cambiati rispetto a tre anni prima.

Il contratto di locazione fu rinnovato per altri 3 anni con atto del notaio Raimondo Piras del 15.05.1804; il rinnovo sarebbe partito dal 28 aprile 1805 fino al 27 aprile 1808; il canone fu stabilito in 65 scudi annui (con un ribasso di 8 scudi rispetto al precedente) e Mereu e Pinna Diana pagarono subito scudi 130 per due annualità anticipate e avrebbero pagato altri 65 scudi nel corso del mese di aprile 1805.

Una conferma sulla casa 2229 arriva anche dall’atto del 13.03.1800, citato a proposito della casa 2228, la quale confinava appunto con la casa 2229 dei padri Mercedari.

Una conferma sulla casa 2231 arriva invece da un atto del 10.09.1800, relativo alla casa 2232, la quale aveva di lato una casa dei Padri Mercedari (2231, parte nord).

Con atto notarile del 08.07.1811, il taverniere Giovanni Pinna, affittuario di due botteghe nella piazza del Molo proprie dei padri Mercedari, le sub-affittò per 6 mesi al taverniere Giovanni Efisio Masala, incassando da lui 54 scudi, ossia 30 per l’affitto di 6 mesi e 24 scudi per il guadagno che avrebbe potuto avere in quel periodo; Giovanni Pinna dovrebbe essere il medesimo Giovanni Pinna Diana, già affittuario nel 1802.

E’ stato rintracciato il donativo dei padri Mercedari del 30.01.1812: venne dichiarata la proprietà di 2 botteghe terrene nei pressi della porta Marina nel Molo, contigue alla muraglia di Sant’Erasmo (o Sant’Elmo); furono valutate lire 1000 e rendevano d’affitto lire 150 annue (che corrispondono esattamente ai 30 scudi semestrali chiesti da Pinna a Masala). Inoltre il convento incassava da Pasquale Lilliu 52 lire all’anno per l’enfiteusi di due botteghe “al Molo”; le due botteghe del Lilliu dovrebbero corrispondere, come già detto, alla parte nord della casa 2231; le due botteghe dichiarate dai Mercedari corrispondono a quelle che erano state date in enfiteusi a Domenico Mereu, e quindi recuperate dal convento, numeri 2229 e 2231 (parte sud), una delle quali era contigua alla bottega di Lilliu (2231 nord), l’altra era contigua a una bottega che era appartenuta a don Giovanni Maria Angioy; quest’ultima può essere identificata con la casa ex-Nieddu 2230; infatti, con atto del notaio Nicolò Martini del 17.03.1809, donna Giuseppa, donna Angiolina e donna Speranza Angioi, figlie ed eredi dell’ormai defunto giudice, consegnarono alcune loro proprietà, fra cui una casuccia adibita a taverna per vino situata in vicinanza della piazza del Molo, al loro zio cavaliere don Pietro Nieddu Minutili di Nuoro; questi, erede e unico fratello di don Salvatore Nieddu Minutili, morto a Torino senza testamento, più volte aveva chiesto alle nipoti Angioi di risolvere alcune ipoteche che gravavano sulla loro eredità, ipoteche che dovevavno essere pagate a don Pietro in quanto erede del fratello; è probabile quindi che, anni prima, don Salvatore avesse ceduto la casetta (e un’altra proprietà presso San Lucifero, comprendente un orto , un mulino e alcune case) a don Gio Maria Angioi, riservandosi su quei beni un censo che non era stato saldato.

Nel donativo di don Giovanni Maria Angioi[1], venne dichiarata una casa terrena di una stanza, contigua alla muraglia nella strada del Molo e affittata per scudi 38; questa scarna descrizione si adatta sicuramente all’unità 2230.

A metà ‘800 la casa 2229 apparteneva ancora al convento dei Mercedari; la casa 2230 era di donna Nicoletta Nieddu, vedova di don Giovanni Falqui; donna Nicoletta, figlia di don Pietro Nieddu e di donna Antonia Angela Angioy di Bono sorella del giudice Angioi, morì a Cagliari nel quartiere Castello nel 1855[2]; la casa 2231 dal 1860 apparteneva a Emanuele Casapietra[3]; nel 1868 vi morì Marina Morasso, moglie del Casapietra; la casa fu probabilmente demolita alla fine del 1879 dopo essere stata acquistata dal Comune di Cagliari[4], a seguito della delibera del 1863 con la quale fu stabilito di demolire la cortina muraria della strada delle Conce. Si veda la trascrizione della delibera nel capitolo “Varie – approfondimenti”.



[1] senza data, fu presentato dal procuratore Gregorio Piana, data l’assenza di Angioy da Cagliari

[2] dati rintracciati nel sito della Associazione araldica della Sardegna

[3] Emanuele Casapietra, figlio di Gio Francesco Casapietra e di Giulia Moresco, era un negoziante nato a Genova e residente a Cagliari; morì a Cagliari all’età di 80 anni il 21 gennaio 1887, vedovo di Marina Morasso (Novi Ligure 1818- Cagliari 1868).

[4] Nel corso di una seduta straordinaria del 17.11.1879 fu stabilito dal Consiglio Comunale di abbattere la casa Casapietra e Cauglia, per la sistemazione della via Roma; non è chiaro se la proprietà Cauglia facesse parte della stessa unità catastale 2231 o di una unità confinante.

E’ possibile che quest’ultimo proprietario sia da identificare con Paolo Cauglia, nativo di Orani, morto a Cagliari nella via Azuni il 26.06.1896  all’età di 65 anni, “Dottore Zoojatrico”.